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 1999  settembre 27 Lunedì calendario

Studenti, ambientalisti, biologi, volontari, etologi e filosofi provenienti dalle più prestigiose università e fondazioni americane si sono riuniti giorni fa a Gresham, nell’Oregon, per discutere del ”Wildlands Project”, il progetto che intende restituire alla natura metà dell’America e permetterle di rifiorire come ai tempi in cui i primi indiani si avventurarono sullo Stretto di Bering

Studenti, ambientalisti, biologi, volontari, etologi e filosofi provenienti dalle più prestigiose università e fondazioni americane si sono riuniti giorni fa a Gresham, nell’Oregon, per discutere del ”Wildlands Project”, il progetto che intende restituire alla natura metà dell’America e permetterle di rifiorire come ai tempi in cui i primi indiani si avventurarono sullo Stretto di Bering. Il piano prevede l’espansione di parchi e zone protette da collegare con ampi corridoi verdi in modo che ogni specie possa muoversi e colonizzare gli altri ecosistemi. Secondo i teorici di ”Terre Selvagge” l’uomo non dovrà interferire con i processi naturali e «non ci dovranno essere strade, dighe, auto e camion, linee ad alta tensione, sorvoli aerei e gli altri prodotti della civiltà». Michael Soule, leader del movimento: «L’importante è cominciare, far rotolare un masso dopo l’altro, instillare il virus del desiderio da una generazione all’altra. Il nostro è un messaggio positivo: lottiamo perché un giorno i lupi corrano da Durango al Labrador, le pianure vibrino degli animali e delle piante precolombiani e gli uomini vivano in armonia con la terra, come creature rispettose anziché alieni invasori». Tra i sostenitori dell’iniziativa Dave Foreman, guru ecologista di ”Earth First”: «Con i territori off limits scongiureremo la sesta estinzione della storia. L’ultima avvenne nel Cretaceo, con la fine dei dinosauri, e ora ne rischiamo un’altra, se non fermeremo l’attuale tasso di distruzione, mille volte maggiore della norma». Tempo previsto per la costruzione della Wildland: almeno 100 anni.