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 1999  novembre 16 Martedì calendario

Un mese fa Alessandro, 16 anni, di Torino, per cinque notti di seguito invece di dormire ha giocato ai videogiochi abbandonando la tastiera solo quando si è immedesimato in Ken, il protagonista di Street Fighter, e come lui è sceso in strada in cerca di nemici da abbattere e fanciulle da salvare

Un mese fa Alessandro, 16 anni, di Torino, per cinque notti di seguito invece di dormire ha giocato ai videogiochi abbandonando la tastiera solo quando si è immedesimato in Ken, il protagonista di Street Fighter, e come lui è sceso in strada in cerca di nemici da abbattere e fanciulle da salvare. Adriana Ruschena, primario del reparto psichiatrico dove il ragazzo è stato ricoverato: « molto difficile dire se il delirio sia stato scatenato proprio dal videogioco o se sia invece una sorta di scelta esistenziale». Il padre, Mohamed B., 49 anni, in Italia dal ’73: «Sino a due anni fa non abbiamo avuto problemi con lui. Studiava, era sereno, poi ha conosciuto dei ragazzi in una sala giochi vicino a casa e da quel momento è cambiato. Non ha più studiato, è stato bocciato due volte di seguito in terza media tanto che ho dovuto iscriverlo ai corsi delle 150 ore. La playstation l’ha comprata con i suoi risparmi. All’inizio ci giocava solo il pomeriggio, poi le ore davanti a quel video sono man mano aumentate. E in più correva alla sala giochi dove restava quattro, cinque ore. Un giorno gli ho dato cinquantamila lire e l’ho mandato a comprare due stecche di Marlboro. Dopo un’ora non era ancora rientrato. Sono andato alla sala giochi. Era lì, appeso ad un videogame, le cinquantamila ancora in tasca, dimentico di tutto». Marco, 15 anni, compagno di gioco di Alessandro: «Aveva un sogno: andare in Giappone dalla Snk e creare un videogame dove i protagonisti fossero lui, noi e la sua famiglia». Annibale Crosignani, primario di psichiatria dell’ospedale le Molinette di Torino: «Per un ragazzo così grave ce ne sono altre migliaia nevrotizzati dai videogiochi: hanno tic, sono suscettibili coi genitori, non rendono a scuola...». Il professore ha tra i suoi pazienti anche un uomo di 33 anni che di mestiere inventa videogiochi: «Non è stato ricoverato per questo, ma pure lui è comunque dipendente dal gioco. Si è rifugiato lì. Tant’è vero che ho dovuto permettergli di portare i computer in ospedale: facciamo una vera e propria cura disintossicante».