Essad Bey (Leo Noussimbaum), Líepopea del petrolio, R. Bemporad & Figlio Editori, Firenze 1937., 18 maggio 2001
«Il lavoro sulla piattaforma nell’interno della torre era già considerato come un impiego qualificato, aspirazione irraggiungibile per numerosi ragazzi della regione
«Il lavoro sulla piattaforma nell’interno della torre era già considerato come un impiego qualificato, aspirazione irraggiungibile per numerosi ragazzi della regione. La maggior parte dovevano accontentarsi di un lavoro molto più penoso: essi servivano da sonde viventi. [...] Un operaio si collocava in un secchio e veniva calato nel pozzo con una fune. Là, soffocando nel gas di petrolio e guazzando nell’olio fino a mezzo busto, egli col secchio svuotava il pozzo dalla sabbia. Spesso la fune si rompeva e l’operaio precipitava nella fontana di petrolio. Altre volte il gas lo asfissiava. Allora si manifestava nell’impresa una grande agitazione, non tanto per la morte quanto per l’ostruzione del pozzo da parte del cadavere. Nel 1912 si contavano da dieci a dodici sinistri mortali al giorno nella regione petrolifera. Per questo lavoro al quale solo gli indigeni erano idonei, si pagavano da otto a dieci rubli al mese. [...] Per declinare ogni loro responsabilità i Capi servizio ai sondaggi fecero firmare dagli operai delle dichiarazioni del seguente tenore: ”Io, Ali Souleiman del villaggio di Khounsakh (Daghestan) dichiaro di essere sceso di mia propria volontà nel pozzo. Io sono il solo responsabile della mia morte. All’infuori di me non vi è persona da accusare”».