Giovanni Maria Del Re, Avvenire 06/05/1999; liberal 06/05/1999, 6 maggio 1999
Budapest sta diventando una piccola capitale del dissenso serbo. Almeno 100 mila cittadini jugoslavi si sono rifugiati a Budapest
Budapest sta diventando una piccola capitale del dissenso serbo. Almeno 100 mila cittadini jugoslavi si sono rifugiati a Budapest. Di questi, tantissimi sono membri dell’intellighenzija belgradese: scrittori, artisti, registi, musicisti, giornalisti, professori universitari, studiosi. Zelimir Zilnik, regista serbo: « l’Occidente il primo responsabile dello sfacelo della vecchia Jugoslavia. Noi dell’opposizione siamo stati totalmente ignorati: dov’era la cosiddetta comunità internazionale quando per settimane abbiamo dimostrato in piazza (nell’inverno 1996-97, ndr)? E adesso arrivano le bombe a distruggere gli ultimi brandelli di resistenza». Vesna Nikolik-Ristanovic, presidente dell’Associazione ”Victimology” serba, che si occupa delle vittime del crimine, sia di quello ordinario che di quello di guerra: «Ho appreso delle prime bombe che ero ancora a Kiev [...] La delusione è grande, soprattutto per noi impegnati nella società civile: stavamo lentamente ricostruendo un sistema democratico, stavamo creando le infrastrutture di una società civile. Ora mi sembra di aver lavorato dieci anni per niente: come proporre i valori occidentali come modelli, se poi proprio l’occidente pretende di insegnarci la democrazia a colpi di bombe?». Sarà possibile una vita in Serbia dopo la guerra? Zilnic: «Che vita può essere possibile? Hanno distrutto tutto, sia sul piano materiale, sia sul piano intellettuale, hanno spinto la Jugoslavia verso l’Asia, lontano dall’Europa...». Dragan Velik, il più importante scrittore jugoslavo scappato a Budapest, da tempo nella lista nera di Milosevic: «L’Occidente in tutti questi anni non ha visto altro che Milosevic. Ne ha fatto un uomo famoso, importante, l’unico interlocutore, sperando di fare come il dottor Frankenstein: un essere docile, al suo servizio. E invece è venuto fuori il mostro, fuori controllo. Un grigio apparatschik qual era Milosevic fino al 1989, sta in qualche modo entrando nel mito, che in Serbia è legato anzitutto alla sindrome da martirio: il presidente può presentarsi, con un certo successo, come i martiri serbi della leggendaria battaglia del Kosovo nel 1389. L’Occidente deve capire che tanto più grande sarà la sconfitta di Milosevic, tanto minore sarà la vittoria della Nato. la pace, non la guerra, che il presidente teme».