Marco Neirotti, La Stampa 30/07/1999, 30 luglio 1999
Pietro Cavallero, rapinatore negli anni Sessanta. Quante rapine ha fatto? «Non ho tenuto il conto, comunque tra banche e oreficerie e uffici postali almeno novanta o cento»
Pietro Cavallero, rapinatore negli anni Sessanta. Quante rapine ha fatto? «Non ho tenuto il conto, comunque tra banche e oreficerie e uffici postali almeno novanta o cento». Oggi sparano addosso alla gente, uccidono, che cosa è cambiato? «Tutto è cambiato. Davvero tutto. Noi facevamo un lavoro». Facevamo un lavoro è una bella frase. Ma è il lavoro che non è bello. Perché lei non uccideva e loro invece uccidono. «Vi sembrerà strano, assurdo, ma eravate tutelati, negli anni Sessanta e Settanta, prima del terrorismo, da quella che chiamavate Malavita». Referenze delinquenziali? «Certo. Ricordo un ragazzo che era un ottimo meccanico e ottimo autista. Lo provammo. Facemmo due finti colpi. Però quando lo lasciavamo solo perdeva la testa, scendeva dalla macchina, guardava dentro la banca. Bocciato». Non facciamo retorica noir. Dove sta la differenza fra un errore o una follia come quella di Panizzari e Cavallero e macelli come quelli di adesso a Milano e Brescia? «Io non faccio retorica. Dico che quelli furono episodi di forsennati. La differenza era che allora c’era la mala. La mala era un calmiere». Il calmiere d’onore? «Codici d’onore questa minc... Realtà, semplicemente. Quando uno aveva la fama del grilletto facile, di paranoie varie era finito. Sai chi ci faceva paura? Quelli che durante la strada ridevano troppo. O erano fessi o erano fatti di coca o avevano bevuto. Giù. Cambiare cavallo».