Roberto Barbolini, Panorama 22/03/2001, 22 marzo 2001
Margherita Keller, sofisticata, poliglotta, artistoide, figlia della borghesia milanese, sposa a 25 anni del conte Piero Besozzi di Castelbarco, cugina di Guido Keller, asso dell’aviazione nella prima guerra mondiale
Margherita Keller, sofisticata, poliglotta, artistoide, figlia della borghesia milanese, sposa a 25 anni del conte Piero Besozzi di Castelbarco, cugina di Guido Keller, asso dell’aviazione nella prima guerra mondiale. Allacciò la sua lunga relazione con Gabriele D’Annunzio, 29 anni più vecchio di lei, mentre si trovava a Fiume col marito, sodale dello scrittore. Cominciarono a scriversi appassionate e barocche lettere nel 1921, smisero nel 1937, poco prima che D’Annunzio morisse. Il loro rapporto era «di natura carsica, con sotterranee latenze e improvvisi ritorni di fiamma». Lei gli fu assai devota, presenza discreta e costante (mentre D’Annunzio era solito divenire indifferente quando gli si placava la passione dei primi tempi). Lui, che si firmava Ariel, l’aveva soprannominata Fiammadoro. Lei lo chiamava Mago. In un messaggio del 1923: «Sono pronta. Posso venire alla loggia dell’Apollino a prendere un caffè e mangiare un frutto? Mi invita il Mago? Ho un labbro gonfio come se me lo avesse baciato un dio, quale?». Lui, dopo un convegno d’amore: «Fiammadolce, come stai? Hai dormito in pace? L’oro è ancor dolente o è già liscio e lene?». Risposta: «Mago dolce, sono tutta imbevuta di te, anima e corpo. Mi hai versato ieri con la tua voce un filtro profondo come quello delle tue carezze». Una volta che gli donò due leopardi in ceramica fatti da lei: «Fiammadoro manda due liopardi perché lambiscano in silenzio le mani Uniche». Una sera che lei non gli aveva telefonato: «Son rimasto qui, solo, davanti a un mucchio di lettere che non aprirò. destino ch’io non debba conoscervi se non sotto la specie della malinconia. E scrivo con una penna aguzza che stride, con un inchiostro lento che impallidisce, sopra vil carta di tutti... Iersera mi foste insolitamente dolce perché mi sentivate soffrire. Nulla vale il favo di miele nella bocca della leonessa».