Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1999  novembre 14 Domenica calendario

Pietro Abelardo, filosofo e teologo francese vissuto tra il 1000 e il 1100, abbracciò la vita monastica «più per vergogna che per autentica vocazione» dopo essere stato evirato dallo zio della sua amante, Eloisa, più giovane di 22 anni, sua allieva

Pietro Abelardo, filosofo e teologo francese vissuto tra il 1000 e il 1100, abbracciò la vita monastica «più per vergogna che per autentica vocazione» dopo essere stato evirato dallo zio della sua amante, Eloisa, più giovane di 22 anni, sua allieva. Conosciutisi quando lui aveva circa 38 anni e lei 16, avevano da poco avuto un figlio, Astrolabio (secondo lo storico Franco Cardini «è come se oggi una coppia chiamasse suo figlio Ciclotrone o Genoma»). Abelardo aveva proposto un matrimonio riparatore che Eloisa rifiutò, per timore di pregiudicare la carriera accademica dell’amante («Cosa hanno in comune gli scolari con le serve, gli scrittoi con le culle... E infine, chi è intento alla meditazione di argomenti sacri o filosofici, come potrà sopportare i pianti dei bambini e le nenie che le nutrici cantano per calmarli?»). Evirato durante il sonno, oggetto per questo della compassione e della curiosità generali, per sottrarsi allo scandalo Abelardo si rifugiò in convento e proclamò: «La grazia divina ha saputo guarirmi dalla lussuria privandomi dei mezzi con cui la esercitavo». Impose lo stesso destino anche ad Eloisa, la quale, spiegò con un ossimoro, «per mio comando prese spontaneamente il velo ed entrò in monastero». Era infatti nella sua natura «seguire con tutta se stessa i comandi di colui che considerava il suo padrone». Negli anni dovette accettare che Abelardo considerasse il loro amore «un passo falso, un peccato da espiare». Nelle lettere, lei gli si rivolgeva ancora come ”al suo signore e sposo” e lo chiamava ”mio unico bene”, lui rispondeva: ”A Eloisa, sorella carissima in Cristo, Abelardo, suo fratello in Cristo”; lei si proclamava ”appartenente a Dio come monaca, ma sempre ad Abelardo nella più autentica individualità” («Domino specialiter, sua singulariter»), lui le dichiarava «di non averla mai amata, di aver soltanto desiderato il suo corpo, e la esortava a smettere di difendere ”le turpi sconcezze di un tempo”». Altre volte le rimproverava la gelosia: «Ti sei abbandonata ancora una volta alle tue solite recriminazioni nei riguardi di Dio». Alla fine Eloisa smise di ricordargli quell’amore e s’adattò a diventare badessa esemplare nel convento del Paracleto, scrivendogli solo per chiedere la giusta interpretazione di qualche passo delle Scritture. Alla sua morte Abelardo volle essere seppellito al Paracleto. Quando l’abate Pietro il Venerabile le portò il cadavere, Eloisa lo guardò negli occhi e chiese sottovoce: «Ha pronunciato il mio nome prima di morire?». L’abate rispose di no.