Claudio Rendina su la Repubblica del 09/09/01 a pagina XIII della Cronaca di Roma., 9 settembre 2001
Nel 1849, durante la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, gli artisti non ebbero più modo di lavorare su commissione papale e rimasero senza occupazione
Nel 1849, durante la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, gli artisti non ebbero più modo di lavorare su commissione papale e rimasero senza occupazione. Per porre rimedio alla crisi, qualcuno ebbe l’idea di abbellire il Pincio con alcuni busti. Venne stanziato un fondo di 10 mila lire: i pittori furono incaricati di copiare dai quadri i volti di personaggi famosi, gli scultori di raffigurarli nel marmo. I 52 busti realizzati, conclusasi l’esperienza repubblicana, rimasero nei magazzini del Comune. Il successivo comune pontificio ne collocò nei viali solamente alcuni: la maggior parte, come quelli di Napoleone, Leopardi e Savonarola, ebbero il veto della Commissione governativa di Stato e finirono nella Casina Valadier. Pio IX, nel giugno 1851, ordinò che i busti tornassero nella loro collocazione originale, al Pincio, esclusi quelli degli atei, degli eretici e dei rivoluzionari. Nel luglio 1857, il conte Luigi Antonelli decise che le immagini non gradite «venissero ridotte ad altre somiglianze e collocate sul posto, variate di aspetto e denominazione». I busti di Savonarola, Caio Gracco e Pietro Colletta, ritoccati dallo scultore Stocchi, diventarono rispettivamente Guido d’Arezzo, Vitruvio e Plinio Seniore; Leopardi diventò Zeusi, Machiavelli Archimede, Giovanni dalle Bande Nere Lorenzo il Magnifico e Orazio cambiò soltanto il nome per diventare il Gattamelata. Pio IX, seccato dalla presenza dell’ateo Vittorio Alfieri (quando lo vide esclamò: «Oh, guarda, hanno messo qui anche costui»), lo fece sostituire con uno di Vincenzo Monti (Alfieri fu messo di nuovo nel 1871). Rimase integro, invece, il busto dell’astronomo Angelo Secchi: ha alla base un forellino, attraverso il quale passa il meridiano di Roma.