Jacopo Iacoboni su La Stampa del 14/09/01 a pagina 3., 14 settembre 2001
«Il più vecchio aveva trentatré anni, il più piccolo dieci di meno. Gli altri trentuno, ventotto, venticinque
«Il più vecchio aveva trentatré anni, il più piccolo dieci di meno. Gli altri trentuno, ventotto, venticinque... Erano taciturni, ma "parlavano un buon inglese". Sbrigativi, chi li ha sfiorati dice persino "arroganti" e poco socievoli, "non avevano fatto amicizia coi compagni di scuola". Erano mediorientali ma americanizzati, le prime tracce in Florida risalgono al ’97, poi da luglio dell’anno scorso se ne trovano dappertutto: a Coral Springs, Venice, Hollywood, Daytona Beach, Boynton Beach, bei posti, se sono stati gli ultimi che hanno visto. Avevano il Corano in valigia ma due di loro, prima di morire, sono andati a sbronzarsi. Vodka e rum: la religione lo vieta... Mohammed Atta, Marwan Alshehi, Waleed Al Ahehri, Abdulatif Al-Omari, Wail Al Shehri: si scruta in questi morti per svelarne la vita, e a cosa s’è dedicata negli ultimi mesi. Innanzitutto, a studiare. Chi ha incontrato - conosciuto è dire troppo - i cinque presunti kamikaze ne parla come di gente "molto presa da sé stessa". Dotata di mezzi - l’ultimo viaggio l’hanno fatto in business class - e incline a pagare "cash", in contanti. Gente poco comunicativa, chiamata da una missione. "Non parlavano tanto, me li ricordo", dice franco al telefono Bob Martin, capo meccanico della scuola di aviazione dove due di loro erano andati a imparare a volare. Ce n’è uno che sembra agire da capo, e quello che lo segue gli va dietro come l’allievo. Mohammed Atta aveva trentatré anni, un documento egiziano e una casa a Coral Beach da due camere da letto e 1200 dollari al mese. Una passione per la vodka anche, soddisfatta solo alla fine: stando a quanto narra Patricia Idrissi, cameriera allo Shuckums Restaurant di Hollywood, Florida, il posto dove Atta ha preso l’ultima sbronza e ha rischiato il pasticcio che lo avrebbe tradito. Venerdì, tre giorni prima del volo finale, s’era bevuto 48 dollari di vodka Stolichnaya in tre ore assieme al più giovane Marwan Alshehi e a un "terzo uomo" che in indagini come queste non manca mai. Patricia lì per lì non li ha neanche notati, quei tre clienti che se ne stavano a bere e conversare. Alla fine, però, avevano piantato una grana: facevano storie per il conto, è dovuto intervenire il gestore del locale. Atta lo ha affrontato a brutto muso: "Posso pagare. Sono un pilota, io". Se ne sarebbero ricordati, dopo. Come si sarebbero ricordati del suo amico, Marwan Alshehi, l’allievo di ventitré anni che beveva rum, marca Captain Morgains, aveva un documento degli Emirati Arabi e seguiva ovunque Moammed. I due erano inseparabili. Andavano insieme a lezione. Passeggiavano insieme tra gli hangar. Il direttore della Huffman Aviation di Venice, "la prima scuola di volo del Golfo della Florida", parla di loro come "quello magro e quello più grosso". Racconta Rudi Dekker, 45 anni, origini olandesi: "Mi hanno pagato check i diecimila dollari a testa del corso". Potevano spendere. Orgogliosi di essere piloti? Uno di loro - Dekker non dice chi - aveva già istruzioni su come guidare un aereo. Tutti e due, però, studenti svegli: in pochi mesi avevano imparato gli elementi di volo, Piper Seneca e Cessna, aerei piccoli su cui si prova alla Huffman Aviation. "Portare un jet di linea - dice Dekker - è un’altra cosa". E le tracce, in effetti, conducono a un corso successivo alla Embry Riddle Aeronautics di Daytona Beach, dove si sono affilati le unghie. Tutto si muove in quella fetta di costa dove s’erano rintanati anche Wail Al Shehri, 28 anni, e suo fratello Waleed, più piccolo, di 25. Il primo viveva a Daytona e aveva anche lui una licenza di pilota commerciale. Nel ’97 s’era laureato alla Embry-Riddle col "bachelor’s degree", un esame tosto, in scienze aeronautiche. Il secondo aveva scelto Boynton Beach. Abdulatif Al Omari, trentun anni, se n’era invece andato a stare a Miami» (Jacopo Iacoboni).