Emanuela Moroli e Roberta Sibona, "Schiave d’occidente", Mursia 1999, 18 settembre 2001
Deshira, bosniaca, rimane incinta a 16 anni. I genitori raccontano a tutti che si è sposata e ha lasciato il paese, in realtà la tengono segregata in casa costringendola a fare da schiava a tutta la famiglia
Deshira, bosniaca, rimane incinta a 16 anni. I genitori raccontano a tutti che si è sposata e ha lasciato il paese, in realtà la tengono segregata in casa costringendola a fare da schiava a tutta la famiglia. Dopo aver partorito, ottiene il permesso di andare a lavorare, purché dica in giro di essere rimasta vedova. Un giorno un suo ex compagno di scuola di nome Kuro le racconta di possedere in Italia diversi night club, le offre un lavoro, le promette di farla raggiungere dal figlioletto entro tre mesi. Deshira, affidata a due russi, sogna locali di lusso frequentati da uomini ricchi ed eleganti, finisce invece a Zagabria nelle mani di uno zingaro che la obbliga a prostituirsi sulla strada. Tempo dopo, trovata dalla polizia a Lavinio, pochi chilometri da Roma, in una villetta trasformata in lager, legata a una sedia e completamente tumefatta, è l’unica del gruppo di schiave di una banda di macedoni disposta a testimoniare contro i suoi aguzzini. Dopo un lungo soggiorno nel Centro antiviolenza di Roma, trova ospitalità in un Centro Caritas. Attualmente, qualcuno racconta di averla vista dormire alla stazione Termini, altri sono convinti che sia partita per Bari con un uomo.