Emanuela Moroli e Roberta Sibona, "Schiave d’occidente", Mursia 1999, 18 settembre 2001
Elena Ballshi, albanese, vedova a 25 anni, quattro figli, una pensione di 10mila lire il mese, un lavoro in miniera per tirare avanti
Elena Ballshi, albanese, vedova a 25 anni, quattro figli, una pensione di 10mila lire il mese, un lavoro in miniera per tirare avanti. Durante la festa di compleanno della figlioletta di una sua collega due uomini le rapiscono il figlio Marco, 8 anni: "Vieni con noi, si va a Valona, se vuoi rivedere tuo figlio". Nella villa di Valona dove ritrova Marco, le scattano delle fotografie, le preparano un passaporto falso. Poi il viaggio fino in Puglia, la consegna agli aguzzini, la separazione dal bambino. La prima notte guadagna 850mila lire: ”In Albania le donne non toccano gli uomini, neanche da sposate. Che c’entra toccare con la mano o con la bocca?”. Una donna dell’organizzazione, incaricata di insegnare a Elena come si soddisfano le voglie dei maschi, si fa spiare mentre fa sesso con alcuni clienti. Elena, salvata da un’albanese sopravvissuta al marciapiede e dal suo fidanzato italiano, ex carabiniere, sporge denuncia. I carabinieri fanno irruzione nella villa dove il capo dell’organizzazione di sfruttatori tiene il bambino. Il boss racconta che Marco è suo ospite, e di averlo accudito come un fratello.