La macchina del tempo n. 9 settembre 2001 pag 128, 9 settembre 2001
A giudicarlo nello ”stile” gastronomico, però, il pranzo rinascimentale appare ormai una scenografia superata
A giudicarlo nello ”stile” gastronomico, però, il pranzo rinascimentale appare ormai una scenografia superata. ancora medievale nell’eccesso di carni, come ai tempi in cui i miti eroici del sangue e del cibo cruento erano legati al valore virile del principe guerriero. E, visto l’ammontare dei debiti dell’epoca, appare quantomeno ingenua l’esibizione del vasellame d’oro e d’argento sulle credenze bene in vista, fatta per rassicurare il popolino che il principato è ancora ricco malgrado i prestiti e con i creditori bloccati alle porte della città. Ma è curioso che nel Rinascimento entrambe le forme di spreco, il cibo e l’oro, infrazioni di una presunta norma morale, si alternino a frequenti digiuni e ad astinenze dalla carne prescritte da una religione invadente, in tempi in cui neanche papi, frati e monache sanno resistere al cibo e al sesso. Così nei conventi si pecca non solo introducendo amanti, ma anche dolci e carni vietate. Ecco perché il Folengo – sibilano le malelingue – nel suo poema in latino maccheronico Baldus si rivela esperto di piatti succulenti, descrivendo per esempio le lamprede del lago di Como in agrodolce con mandorle, zenzero, aceto e uva passa. E le pastinache fritte in pastella condite d’agresto (succo d’uva immatura): in fondo, dicono, è un monaco benedettino.