La macchina del tempo n. 9 settembre 2001 pag 133, 9 settembre 2001
Nei giorni feriali, però, contadini, borghigiani e artigiani di città si nutrono di minestre miste, polente di frumento o di mistura di cereali, come segale, spelta, miglio, panìco e sorgo (il mais non è ancora diffuso sulle nostre tavole), legumi, frittate e pane scuro, come si vede in una ”foto” dell’epoca, il celebre dipinto Il mangiatore di fagioli, del Carracci
Nei giorni feriali, però, contadini, borghigiani e artigiani di città si nutrono di minestre miste, polente di frumento o di mistura di cereali, come segale, spelta, miglio, panìco e sorgo (il mais non è ancora diffuso sulle nostre tavole), legumi, frittate e pane scuro, come si vede in una ”foto” dell’epoca, il celebre dipinto Il mangiatore di fagioli, del Carracci. Viene descritta come squisita la minestra di semi di canapa (cannabis): peccato che dia uno strano mal di testa, notano Martino e Platina. Al posto degli spinaci, si mangiano atreplice, ortica, malva, foglie di fave e di piselli, buonenrico e erba di S.Giovanni. I cuochi, non i vagabondi, preparano delicate minestre di radici di prezzemolo e foglie di grano verde. Nei pranzi degli artigiani anche qualche piccione (pippione), pollastro o pesce. Di tanto in tanto, per lo più la domenica, fegatelli, polpettine di fegato o salsicce, confetture e frutta fresca a fine pasto. Ma tutti, principi, borghesi e popolo, in pieno Rinascimento mangiano anche rondini, passeri, storni, gru, cicogne e tartarughe marine. In qualche taverna di montagna si trova perfino la carne d’orso. Sono i tempi felici e lontani di frutti oggi spariti, come corniole, carrube e lazzeruoli. Tutti, perfino gli uomini d’affari, conoscono le sottili differenze di gusto e aroma tra santoreggia e serpillo, rafano e crescione. Uno o due bicchieri di vino, sempre annacquato, accompagnano il banchetto casalingo. Bere vino schietto, come fanno i tedeschi o gli svizzeri, è per tutti gli italiani del Rinascimento ancora un’usanza strana ed esotica, così come era per gli antichi Romani. Ma inizia a diffondersi la prima, peccaminosa ”acqua di vite”. E l’atavica avversione italiana per l’ebbrezza comincerà inevitabilmente a vacillare.