Fulvio Scaparro, Corriere della Sera, 14/10/2001, 14 ottobre 2001
«Cos’è la "guerra santa"?», potrebbe chiederci una bambina o un bambino dei primi anni delle elementari
«Cos’è la "guerra santa"?», potrebbe chiederci una bambina o un bambino dei primi anni delle elementari. Un bambino può forse essere rimasto sconcertato da quell’aggettivo, "santa", applicato a un sostantivo che di solito non gode di grande popolarità in famiglia. Nei dizionari troviamo «guerra condotta dai seguaci dell’islamismo contro gli infedeli, cioé contro coloro che non si sottomettono all’unico vero Dio, ad Allah». Ma non mi limiterei a questa risposta perché non credo che, oggi come ieri, sia solo certa parte dell’Islam a invocare «guerre sante». Mi prenderei quindi la responsabilità di aggiungere qualche altra parola: «Io non conosco e non ho memoria di guerre "sante", che possono cioé essere giustificate perché volute da Dio». Un genitore credente, qualunque sia la sua fede, potrebbe trovare con facilità nei suoi libri sacri un passo in cui si afferma che «dove c’è carità e amore, lì c’è Dio». Ma, credenti o meno, si potrebbe rispondere così: «La guerra, ogni guerra, non è quella che vediamo nei cartoni animati, ma una vera sciagura perché lascia lunghi e duraturi strascichi di distruzione, dolore e risentimenti. Di "santo" non c’è proprio nulla. E’ vero che talvolta, un popolo, per difendersi o liberarsi da chi l’opprime, può ricorrere alle armi. Le libertà di cui oggi godiamo, non ci sono state regalate ma spesso sono costate la vita di tante donne, uomini e bambini che meritano il nostro rispetto. Ma non chiamiamo "santo" ciò che deve restare una soluzione estrema dovuta a dura necessità. Sarebbe come dire che la miseria e le epidemie sono una punizione "santa" per i peccati di coloro che ne sono colpiti». Ma qui, meglio di noi genitori, potrebbero essere i nonni a rispondere ai loro nipoti. Peccato che ve ne siano sempre meno nelle nostre case. Sarebbero preziosi testimoni di ciò che davvero è la guerra: una serie di lunghi, angoscianti giorni, in cui ci si addormenta senza essere sicuri di arrivare all’indomani. Gli anziani possono però dare ai nipoti motivi di speranza riferendo i non pochi episodi in cui, durante la guerra, uomini e donne si sono aiutati per sopravvivere. Oggi noi e i nostri bambini abbiamo l’opportunità di riscoprire il valore, anche terapeutico, dei racconti fatti da persone care. Eduardo diceva che «’a da passà ’a nuttata». Ma per i bambini è prezioso sentirsi raccontare da nonne e nonni come sono riusciti a passare altre nottate senza perdere l’amore per la vita. Io risponderei cosi. E voi?