Guido Tiberga, ìLe mani lungheî , Liviana Editrice, 24 ottobre 2001
In Giappone la situazione è stata a lungo paradossale: per molti anni le donne al lavoro non avevano neppure diritto a un’identità e rispondevano al telefono usando formule tipo: ”Sono la signorina che siede alla destra del signor Makamoto”
In Giappone la situazione è stata a lungo paradossale: per molti anni le donne al lavoro non avevano neppure diritto a un’identità e rispondevano al telefono usando formule tipo: ”Sono la signorina che siede alla destra del signor Makamoto”. Ancora nel ’92 la Dentsu diffuse nelle università di Tokyo un vademecum per i futuri dipendenti dove era tracciato il profilo del candidato ideale: per gli uomini ci si soffermava su doti intellettuali e morali, per le donne bastava una foto in cui una ragazza appariva, sorridente, nelle divisa aziendale. Nella didascalia erano elencate le sue migliori qualità: ”il suo petto è bello largo”, ”dietro è piuttosto morbida”. In un paese dove non c’è neppure una parola che indica il concetto di molestie sessuali, le donne hanno dovuto usare la formula inglese ”sexual harassment”, storpiata in ”seku hara”, per manifestare in piazza e costringere l’azienda a ritirare l’opuscolo.