Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2001  ottobre 26 Venerdì calendario

Soraya Esfandiari-Bakhtiari, nata il 22 giugno 1932 a Isfahan (Iran), pelle bianca, occhi da gatta color giada che «sembravano non saper sorridere», zigomi perfetti, labbra piene e ben disegnate, ciglia folte, capelli neri e corti, vita stretta, braccia lunghe, passo elegante

Soraya Esfandiari-Bakhtiari, nata il 22 giugno 1932 a Isfahan (Iran), pelle bianca, occhi da gatta color giada che «sembravano non saper sorridere», zigomi perfetti, labbra piene e ben disegnate, ciglia folte, capelli neri e corti, vita stretta, braccia lunghe, passo elegante. Timida fin da bambina, stretta di mano umida e poco decisa (quando le presentavano qualcuno, le compariva sul naso una goccia di sudore), figlia di un principe persiano e di una nobildonna tedesca, studiò in una scuola iraniana di missionari inglesi, poi in esclusivi collegi svizzeri, dove imparò il tedesco con cadenza francese. Il suo poeta preferito Rainer Maria Rilke, la sua aspirazione studiare arte drammatica a Hollywood. Durante uno dei suoi frequenti viaggi a Londra, accettò di farsi fotografare dal cugino Gudars. Costui non le disse però che le immagini sarebbero finite nelle mani dello scià Reza Pahlavi, 32 anni, appena divorziato dalla prima moglie Fawzia, sorella di Faruk d’Egitto, e in cerca di una nuova imperatrice. Lui se ne invaghì immediatamente. S’incontrarono per la prima volta a Teheran, nella primavera del 1950. Due giorni dopo, il fidanzamento. Le nozze furono celebrate il 12 febbraio 1951 (1391 nel calendario musulmano): milleseicento invitati, una tonnellata e mezzo di orchidee, giunchiglie tulipani e lillà giunti appositamente dall’Olanda. Lei aveva 18 anni e un abito di Christian Dior in lamè d’argento, «un delirio di trine, balze, tulle e seimila diamanti» pesante 20 chili. Durante la cerimonia, svenne tre volte sotto la zavorra. Subito dopo lo scià ordinò a una dama di corte di tagliare dieci metri di strascico. Nonostante l’incontro forzato, Soraya e Reza Pahlavi s’amarono davvero: si davano del lei anche nell’intimità, amavano recitarsi versi (lei di Verlaine, lui di Omar Kayyam). Restarono insieme anche nel breve esilio del ’53, durante il colpo di stato di Mossadeq («lo scià non è mai stato così appassionato e i suoi abbracci così focosi», annotava lei sul diario). Il sospirato erede, tuttavia, non arrivava. Tornata in Iran, l’imperatrice si sottopose a lunghe cure per restare incinta. Nel palazzo imperiale di Etchessassi (da lei in seguito definito «trappola per topi»), riarredato all’occidentale, ricevette dai sudditi centinaia di talismani per il suo «grembo inadempiente»: amuleti, miniature con versetti del corano, flaconi di unguento magico. Fu inutile («il mio destino ha voluto così: non potevo avere un bambino e l’amore non bastava»). Ministri e parenti (soprattutto la premurosa e invadente suocera), sempre più impazienti. Non volendola ripudiare, lo Reza Pahlavi (che, destituito da Mossadeq, aveva annunciato: «Ho due fedi, il Corano e Soraya») tentò due strade. La prima, affidare la successione a suo fratello Alì, che però morì in un incidente aereo mentre si recava da lui. L’altra, la norma che nel diritto sciita si chiama ”sighé”: un «matrimonio a tempo» con una donna che lo scià avrebbe ripudiato nel momento in cui lo avesse reso padre di un figlio maschio. Soraya non volle nemmeno sentirne parlare («Il mio cuore si svuotò del suo sangue: come poteva propormi una cosa del genere?»). Così, a sette anni esatti dalle nozze, il 13 febbraio 1958, fu lei a prendere l’iniziativa: tornò in Europa dai suoi genitori, lasciando il marito libero di decidere. Il 14 marzo, in lacrime, lo scià proclamò via radio di aver ripudiato la sua «sposa adorata» (più tardi, le nozze con Farah Diba, che gli diede il sospirato erede mai giunto al potere). A Soraya fu concesso il rango di principessa imperiale, passaporto diplomatico, congruo vitalizio e tutti i gioielli avuti in regalo. In Iran non tornò più. Aveva 25 anni. Da allora, destinata all’appellativo ”principessa triste”, divenne una «stakanovista della mondanità d’alto rango»: viaggiò per il mondo, prese a frequentare i circoli e i posti più alla moda. Il suo rifugio principale, Roma, dove, con codazzo fisso di paparazzi, s’intratteneva con Consuelo Crespi, i principi Ruspoli e gli ambienti di via Veneto. Mutò stile e alimentazione: dagli abiti tipo ”vulcani di tulle” che comprava da Schubert (trenta per volta), ai ”sacchetti” corti al ginocchio; dal caviale dello scià ai rigatoni e alle fettuccine al triplo burro della Dolce Vita. Il ristorante Alfredo fece forgiare per lei un set di posate in oro massiccio, il vivaio Barni le intitolò una rosa rosso geranio. Le vennero attribuiti vari flirt, tra cui i principi Thurn und Taxis e Raimondo Orsini, Maximilian Shell, attore, Gunther Sachs, playboy, e un Sasà Magri, viveur di Capri. Nel 1965, recitò senza talento né successo nel film a episodi I tre volti , diretto da Michelangelo Antonioni, Mauro Bolognini e Franco Indovina. Quest’ultimo divenne il suo unico altro amore: vissero felicemente a Villa Papa, tra l’Appia Antica e l’Appia Pignatelli. La storia durò qualche anno: nel 1972 lui si schiantò con l’aereo a Punta Raisi. Il dolore di lei, «composto ma totale». Aveva 40 anni. Si trasferì a Parigi e condusse vita più ritirata (pur continuando a uscire quasi tutte le sere), assieme a due West Highland terrier bianchi. Pubblicò la storia dei suoi anni da imperatrice (Il palazzo delle solitudini). Continuò sempre a riferirsi a Reza Pahlavi chiamandolo «mio marito». morta giovedì scorso all’età di 69 anni, nel letto del suo appartamento arredato all’orientale, nessuna foto dello scià, in Avenue Montaigne, ottavo arrondissement. A trovarla, la sua donna di servizio .