Martinez Tomàs Eloy, Santa Evita, Mondadori 1997, 2 novembre 2001
Nel giugno del 1952, sette settimane prima che Evita morisse, Peron convocò nella residenza presidenziale il dottor Ara, conservatore di corpi
Nel giugno del 1952, sette settimane prima che Evita morisse, Peron convocò nella residenza presidenziale il dottor Ara, conservatore di corpi. Gli estimatori di Evita volevano erigerle un monumento di centocinquanta metri nella Plaza de Mayo, ma il presidente aveva un desiderio: che il popolo potesse continuare a vederla viva in eterno. Il 26 luglio 1952 Evita era in agonia. Pedro Ara non immaginava l’arduo compito che lo aspettava. Gli diedero il corpo alle nove di sera. Evita era morta alle otto e venticinque. Era ancora calda, ma i piedi stavano già diventando viola e così l’imbalsamatore iniziò il suo lavoro in tutta fretta. «L’imbalsamatore aprì l’arteria femorale dell’inguine, al di sotto della tuba di Falloppio e, contemporaneamente, entrò dall’ombelico in cerca del limo vulcanico che le minacciava lo stomaco. Senza aspettare che il sangue fosse drenato completamente, iniettò un torrente di formaldeide...La sua attenzione volava dai bulbi oculari che si stavano appiattendo alle mandibole che si sfaldavano, alle labbra che si tingevano di cenere».