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 2001  ottobre 18 Giovedì calendario

Variazioni – Le differenze osservabili tra tutti i viventi [Martin Brookes, 6]. La variabilità è la materia prima della selezione naturale [Martin Brookes, 39]

Variazioni – Le differenze osservabili tra tutti i viventi [Martin Brookes, 6]. La variabilità è la materia prima della selezione naturale [Martin Brookes, 39]. «Negli esseri viventi la plasticità, cioè la capacità di cambiare, è il fattore principale nel determinare la stabilità di fronte alle variazioni del contesto ambientale e la capacità di rispondere in modo adeguato. Gli esseri viventi, cioè, hanno bisogno di poter cambiare per restare stabili e mantenere il più possibile intatta la rete di interazioni che è necessaria al mantenimento della loro vita. Oltre alla eterosi ci sono altri meccanismi fissati durante l’evoluzione che fanno sì che vi sia stabilità attraverso delle forme di cambiamento. Si sa per esempio che in alcuni geni importanti, e in particolare nelle zone di Dna che li regolano, si sono fissate sequenze che mutano con grande frequenza, in modo da permettere con rapidità l’adattamento della quantità di espressione alle esigenze che via via si presentano nell’organismo. Questo fa sì che molte vie metaboliche importanti abbiano delle alternative, per cui se una viene interrotta entra in funzione l’altra. In molti casi esistono numerose copie dello stesso gene, che rendono possibile il mantenimento della funzione anche in presenza di un danno non riparabile in una o più di esse. Questo è vero anche a livello di popolazione e di specie perché è noto che una delle possibili cause di estinzione è la alta omozigosi derivante da una bassa quota di variabilità genetica. E’ la variabilità genetica infatti che fa sì che lo spettro delle possibilità di adattamento al variare dell’ambiente sia maggiore» [Marcello Buiatti, 35]. «Le scelte fatte in passato hanno impoverito la variabilità genetica. Ecco alcune cifre: ”Nel 1959 in India si coltivavano 30.000 varietà di riso, ma nel 1992 il 75% della poroduzione derivava da meno di dieci varietà e lo stesso era successo nello Sri Lanka in cui si era scesi da 2000 a sole 5 varietà nello stesso arco di tempo. Ad esempio, nel 1992 il 50% della produzione di grano era dato da 4 varietà, il 75% dei raccolti di patate da 4 varietà, il 50% del cotone da 6, un processo che continua tuttora, come dimostra ad esempio il fatto che per gli animali domestici sono attualmente in pericolo di estinzione 2255 razze, 740 sono estinte e si calcola che se ne perdano due alla settimana (...) Il 60-70% della soia coltivata negli Stati Uniti è transgenica ed è costituita da meno di 30 varietà» [? 89-90]. «Le variazioni sono continue e non discrete perché determinate da più di un gene. Il colore della pelle, che sfuma in molte gradazioni diverse, è influenzato da almeno quattro coppie di geni» [Martin Brookes, 56-57]. Raffronto tra Wilt Chamberlain, nero, alto più di due metri, pesante 136 chili, stella dei Los Angeles Lakers che riuscì a segnare 100 punti in una partita; e Willie Shoemaker, fantino, vincitore di quasi 9000 corse di cavalli, un bianco più basso di un metro e mezzo e pesante 43 chili: «Immaginiamo ora di poter confrontare le sequenze del Dna dei due sportivi, ponendole l’una accanto all’altra, proprio come nella famosa fotografia. Balza all’occhio che le basi sono identiche per lunghissime parti delle sequenze; in realtà dovremmo controllare diverse centinaia di lettere prima di incontrare una sola discrepanza nella lettura delle due sequenze. Tra due persone qualsiasi non imparentate tra loro infatti vi è circa un’alterazione ogni 1000 basi» «La somma delle varianti tra due persone qualsiasi ammonta dunque a 3 milioni. I punti che variano con maggiore frequenza tra due individui vengono definiti polimorfismi di un singolo nucleotide (altrimenti detto Snp dall’inglese Single Nucleotide Polymorfism o snip) e avranno un ruolo fondamentale nel futuro della medicina» [Kevin Davies, 55]. «Tra due persone qualsiasi vi sono circa un milione di differenze nelle lettere del genoma umano, forse in media mezza dozzina per ogni gene» [Kevin Davies, 166].