Mara Parmegiani Alfonsi, "I segreti della seduzione - Secoli di mutande", Marsilio 1997, 14 novembre 2001
«L’8
luglio del 1809 il ”Corriere delle Dame” pubblicava il figurino di un abito estivo con i mutandoni lunghi fino alla caviglia, invitando le lettrici ad adottarli: ”La moda dei pantaloni è molto comoda e pulita, poichè essa dispensa le donne dal sottanino nella stagione estiva, dal caldo, dalle pulci e dalle mosche”. Lunghe fino al collo del piede, le mutande-calzoni costavano tre zecchini, mentre per acquistare un abito ne bastavano quattro. Tale moda giunta dall’Inghilterra si rivolgeva soprattutto alle bambine, consigliando loro i pantaloni alla turca ”per gli esercizi del salto che si praticano nelle scuole”. E lunghi fino al polpaccio sporgevano dal fondo dei vestiti a crinolina distinguendo le giovanissime dalle fanciulle in età da marito. Ma sul ”Journal des demoiselles” del 1838 si legge: ”La mamma non approverà che una giovinetta porti i pantaloni il giorno in cui ella, compiendo l’atto più augusto della religione, diventa signorina”. Lo stesso giornale, nel 1840, consigliava di portare sotto le larghissime e rigonfie gonne che d’inverno lasciavano passare l’aria raggelando le gambe, non più calzoni ingombra-abiti ma abiti elastici, foderati di ovatta, scesi di 25 centimetri lungo la vita. Contro ”cortine” di tal fatta si scagliò nel 1896 Vacher de Lapouge, medico all’epoca particolarmente noto. All’inizio del secolo, spiegava, le donne avevano ”il collo nudo, le braccia nude, parte del seno nudo. Ignoravano l’uso dei mutandoni, e l’aria circolava sotto le gonne. La decenza di oggi non è più soddisfatta, e l’anemia e la nevrosi trovano in essa un potente ausilio. In questi ultimi trent’anni abbiamo visto generalizzarsi i mutandoni fra le bambine, sotto l’influenza delle suore, pie assassine che preparano le loro allieve per il cielo, l’anemia, la tubercolosi...”».