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 2001  novembre 17 Sabato calendario

«Nell’antichità tutti si lasciavano crescere la barba: che cresca sul mento dell’uomo è una legge naturale, tagliarla, per i Greci era infrangere questa legge

«Nell’antichità tutti si lasciavano crescere la barba: che cresca sul mento dell’uomo è una legge naturale, tagliarla, per i Greci era infrangere questa legge. Secondo un archeologo del mondo antico, Paul Zanker, la moda di radersi il viso nasce con Alessandro Magno. Nell’arte figurativa dell’area del Mediterraneo, i filosofi antichi sono sempre rappresentati con la barba. Un sorta di segno distintivo. Zanker afferma che, in epoca ellenistica, si poteva riconoscere l’adesione a un gruppo filosofico piuttosto che all’altro solo guardando il tipo di barba o la pettinatura. Nel mondo tardo antico non ci sono mai filosofi glabri o giovani: barba e cranio calvo la caratteristica del filosofo che conduce vita ritirata e si oppone al sistema, per esempio, quello imposto dai Romani, perfettamente rasati. l’imperatore Adriano, controcorrente in molte cose, a riportare in auge la barba. Più di recente, è Italo Calvino a riflettere sulla presenza o assenza della barba sul viso degli uomini di stato: per tutto il Risorgimento e fino alla Grande Guerra, gli uomini di stato sono barbuti e baffuti, con la sola eccezione dei presidenti americani; più tardi, durante il Fascismo, trionfa l’uomo glabro e col cranio rasato (con qualche eccezione, come Italo Balbo). il colpo di genio di Mussolini negli anni Trenta: radersi i capelli superstiti sulle tempie e sulla nuca. Si potrebbe forse scrivere una storia pelifera dell’umanità, dove i rivoluzionari sono sempre barbuti e i reazionari glabri e calvi? L’ipotesi non è da scartare, almeno per l’Italia. Al Fascismo anti-barba, succede un ventennio democratico e democristiano con il ritorno moderato alla barba, o almeno a un regime misto. Poi, a metà degli anni Sessanta, cominciano a crescere i capelli e le barbe. Pasolini ne parla con disprezzo, ricordando, nel suo debutto sulla prima pagina del Corriere della Sera, i giovani con i capelli e le nuche rasate della propria giovinezza. Altri invece parlano dei «capelloni» e dei barbuti (il modello sono i rivoluzionari castristi) come degli imitatori dell’icona del Cristo. Da Cristo a Che Guevara, negli anni Settanta, il passo è breve; ma c’è anche Marx con la barba del filosofo. L’intellettuale in genere è barbuto. Leonardo Sciascia, che non ha mai amato il ’68, si chiede: perché la barba? Per distinguersi o per somigliare? Per affermare o per nascondere? Per lui, come dimostra quella francese, la rivoluzione si può fare anche senza barba, mentre le contestazioni si fanno solo con barba: il Cristianesimo ne è stato il perfetto esempio. E i Talebani, da che parte stanno? Per tornare a noi: si dice che Silvio Berlusconi detesti i barbuti. Nessun presidente occidentale è un barbuto. Qualcosa vorrà pur dire, oppure no?» (Marco Belpoliti).