Marcello Veneziani, il Giornale 15/11/2001, 15 novembre 2001
«Il barbiere è sempre stato un alfiere di libertà e un sacerdote delle pubbliche relazioni: nei regimi dittatoriali le uniche associazioni consentite in luoghi chiusi erano le sale da barba, dove realmente si poteva mormorare sotto i baffi e perfino fare la fronda o scambiarsi messaggi clandestini
«Il barbiere è sempre stato un alfiere di libertà e un sacerdote delle pubbliche relazioni: nei regimi dittatoriali le uniche associazioni consentite in luoghi chiusi erano le sale da barba, dove realmente si poteva mormorare sotto i baffi e perfino fare la fronda o scambiarsi messaggi clandestini. Crocevia di microcosmi e di pettegolezzi, il barbiere era anche il luogo mitico dove si raccoglievano i si dice, si conosceva lo spirito del tempo e della comunità, si confrontavano gli usi e i costumi, si criticavano i gusti e i disgusti e si apprendevano i vizi più di moda. Dal barbiere si sapeva anche dei nuovi arrivi di meretrici giunte in paese, con le relative specialità e curriculum, e si respirava un annuncio di seduzione in quei calendarietti profumati da dare il mal di testa, dove sontuose tettone si protendevano ammiccanti dalle paginette viziose donate dal barbiere a fine rasatura. Servile con i clienti e tirannico con i garzoni di bottega (’ragazzo spazzola” urlava ogni tre minuti il titolare brandendo le forbici o il rasoio), il barbiere appariva al tempo stesso suddito e sovrano della sua sala, esattamente come il cittadino in democrazia... Queste abitudini che trovavo nel nostro meridione le ho ritrovate nei Paesi arabi e islamici; presumo dunque che a Kabul in questi giorni il barbiere sia diventato il vero supplente della forza pubblica. La democrazia in Afghanistan è appesa a un pelo» (Marcello Veneziani)