19 novembre 2001
"Don Luigino era ’squarcione’, ossia vanitoso e smargiasso, quanto era guantaio in via Guantai: da più generazioni e senza rimedio
"Don Luigino era ’squarcione’, ossia vanitoso e smargiasso, quanto era guantaio in via Guantai: da più generazioni e senza rimedio... Il pellegrinaggio al santuario di Montevergine era la sua grande giornata... Don Luigino Sgargiulo appressatosi alla cappella delle elemosine ritrovava se stesso per gettare al di là dell’inferriata, sul pavimento cosparso di monete, il suo più bell’anello. Qui ebbe inizio la sua rivalità con il grossista di pellami don Eugenio Caputo; e fu quando costui, rendendosi conto dello stupore suscitato nella folla dal gesto del Gargiulo, strappò alla signora Caputo una stupenda collana e le fece seguire la stessa strada dell’anello. ’Complimenti’ disse acre don Luigino. ’Non c’è di che’ rispose don Eugenio; le dita della signora Caputo, strette su una sbarra dell’inferriata, si erano fatte bianche come la tonaca del frate che, da poca distanza e senza levare gli occhi da un suo libriccino, nulla aveva perduto della scena" (Giuseppe Marotta, "L’oro di Napoli", Biblioteca Universale Rizzoli). Singolari offerte alla chiesa di san Benedetto in Brecklange, nella Lorena della fine dei secoli XVI e XVII: "Essendosi un contadino di Saint-Dié lussato la coscia, il suo vicino promise, per guarirlo, di mendicare letame in nove differenti scuderie per riempirne i pantaloni indossati dal ferito al momento dell’incidente e appenderli in chiesa. Nello stesso santuario una guaritrice, in pellegrinaggio per la guarigione di un’ammalata, portò una calza da uomo contenente cinque uova e tre pugni di sterco di cavallo, che vi aveva messo la figlia della paziente. Questi rituali si spiegano con l’assimilazione della malattia a un veleno, simboleggiato qui dagli escrementi: il santo doveva distruggerla per mezzo di essi" (E. Delcambre, "Le concept de sorcellerie dans le duché de Lorraine", citato in J. Delumeau, "Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo", Mursia). Camillo de Lellis (1550 - 1614), ex soldato divenuto infermiere, a Roma, e poi prete a 34 anni, era solito cucinar dolciumi per i malati cui prestava assistenza assieme ai propri discepoli, il "clero regolare per il servizio degli infermi". Suo abituale strumento di lavoro, la scopa, "perché egli voleva - cosa inaudita per quel tempo - che le sale dell’ospedale fossero pulite. La preoccupazione dell’igiene associata alla carità era cosa nuova. Camillo vietò un giorno a uno dei Padri del suo ordine di dir messa per un certo periodo, perché non aveva pulito il bicchiere di un malato". Altre prescrizioni: rifar bene i letti, "primo conforto degli ammalati"; cambiar loro regolarmente lenzuola e biancheria intima; non congedare sistematicamente, come guariti, i malati che non hanno più avuto febbre da tre giorni (J. Delumeau, "Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo", Mursia). Vincenzo de’ Paoli crea la sua prima "carità" a Chatillon-les-Dombes, nel 1617, confraternita femminile i cui membri si accordano per andare uno alla volta a curare gli ammalati e cucinare per loro. A Macon, nel 1621, fa firmare ad alcuni ricchi possidenti l’impegno a fornire ogni anno un certo quantitativo di frumento, carne, vino, legna e biancheria per i poveri. Più tardi raccoglie i bambini abbandonati di Parigi (in precedenza male alloggiati alla ’Cuccia’, nido d’infanzia dipendente dal capitolo di Notre-Dame) ed elabora il regolamento delle Figlie della Carità destinate a prendersi cura di loro: prevede delle "zuppe" per i più piccoli, la merenda per i più grandi, "con pane e qualche leccornia, quando se ne possono avere". A cinque anni i bambini imparano a leggere, a dodici vengono messi a fare gli apprendisti. Nel 1646 organizza l’invio di convogli nelle regioni dell’Artois, della Piccardia e dello Champagne devastate dalla guerra: "Dettaglio rivelatore di tutta una nuova concezione della carità, essi portano in particolare aratri e sacchi di sementi. E’ appunto pensando a questa filantropia illuminata che Voltaire nel secolo seguente scriverà: ’Il mio santo personale è san Vincenzo de’ Paoli’" (J. Delumeu, "Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo", Mursia). A Roma, sul finire del Cinquecento, un povero prete, soprannominato scherzosamente "il letterato", raccoglie i ragazzi abbandonati, li mette inizialmente al riparo in alcune grotte, poi si mette a spazzare le strade con i più validi tra loro, per ricavarne delle elemosine grazie alle quali gli procura un alloggio. In quegli stessi anni si apre un’istituzione analoga per le bambine abbandonate. Nel 1600 nei due ospizi sono alloggiati 370 bambini (J. Delumeu, "Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo", Mursia). A Roma, nel Cinquecento, Filippo Neri accoglie in un istituto specializzato i poveri ancora non del tutto guariti che, uscendo dall’ospedale, avevano bisogno di assistenza durante la convalescenza. Li rimette in salute e li aiuta a trovare un lavoro (C. Fanucci, "Trattato di tutte l’opere pie dell’alma città di Roma", Roma, 1601). Quel signorotto napoletano che, sul finire del Settecento, riscuoteva salate imposte in natura dai fittavoli delle sue terre, destinandone la parte meno riuscita (la frutta bacata, le uova piccole, la carne dura) in elemosina, ossia lasciando che se la tenessero i contadini più poveri. Questi s’erano abituati a portargli i prodotti di scarto, finché un giorno lui non li accolse munito di un cerchietto di ferro (del diametro di pochi centimetri) per misurar la circonferenza delle uova: quelle che non riuscivano a passarci attraverso le metteva da parte, le altre le restituiva a chi le aveva portate, aggiungendo però: "Avanzo da te queste uova" (aneddoto tuttora raccontato nelle campagne molisane). (raccontato da Paola Rocco, era un suo parente).