Valter Boggione ñ Giovanni Casalegno, ìDizionario storico del lessico erotico italianoî, Longanesi, 22 novembre 2001
Fica. L’uso metaforico di fica, che, è già documentato in Aristofane (Pace, 1350) e si basa sulla somiglianza tra il frutto aperto e l’organo sessuale femminile, presenta un retroterra simbolico assai complesso
Fica. L’uso metaforico di fica, che, è già documentato in Aristofane (Pace, 1350) e si basa sulla somiglianza tra il frutto aperto e l’organo sessuale femminile, presenta un retroterra simbolico assai complesso. La foglia che copre le pudenda di Adamo ed Eva caduti nel peccato è appunto di fico (Genesi, 3,5). Il legno di fico era inoltre usato per scolpire forme falliche presso i greci (Borneman). Sempre nelle civiltà antiche si ritrova il frutto associato a numerosi riti della fecondità. Nella lingua italiana, l’assoluta e inconsueta prevalenza del maschile per indicare il frutto (di contro alla serie femminile albicocca, mela, pesca, ecc.) è con ogni probabilità da attribuirsi alla precoce specializzazione e all’ampia diffusione in senso traslato della forma femminile: come sembra indirettamente confermare il limitato successo (anche in senso cronologico) dell’uso metaforico del maschile per indicare la vulva o, ancora più raramente, il pene. Nell’attuale lingua d’uso si è persa da parte dei parlanti la consapevolezza dell’originaria valenza metaforica, e il termine è avvertito come crudamente descrittivo e volgare. Alla metafora sono consacrati un intero poemetto giocoso (La Ficheide di Francesco Maria Molza) e un burlesco e altrettanto equivoco commento a tale poemetto (Il commento di Ser Agresto da Ficaruolo di Annibal Caro). Nell’Italia settentrionale è diffusa soprattutto la variante figa, con sonorizzazioni della palatale. Analoghe metafore sono presenti in taluni dialetti, come testimonia il calabrese bifaru, che indica propria una qualità di fico che matura dopo la raccolta. Il francese fiuge, secondo Guiraud, sarebbe importazione dallitaliano. «Essendosi avenuta a bellissimo e grosso piede de fichi pagnottari, volse da lui aiutata montarvi suso a ogni modo, e così fece; e mentre, dalla bellezza de’ frutti invittata, disavedutamente si rivolgea, non so come tra’ verdi rami con la veste impacciossi, sì che Gabriotto, che di sotto stava con la bocca mezza aperta, aspettando s’alcun ne cadea, e con Vannozza brontolava che non gli faceva quella parte ch’egli arrebbe voluto, puoté agevolmente vedere quant’ella di quella cosa abundasse, dal dolce sapor di cui tinta, era su l’albero salita» (Molza, Novelle).