Giacomo Leso su D di Repubblica del 27/11/01 a pagina 131., 27 novembre 2001
«C’erano due Picasso, completamente diversi: l’artista affascinante e forte, e poi l’altro, quello che doveva fare il lavoraccio, ossia fornire la forza del genio
«C’erano due Picasso, completamente diversi: l’artista affascinante e forte, e poi l’altro, quello che doveva fare il lavoraccio, ossia fornire la forza del genio. Una forza che traeva dall’esasperare le persone che gli stavano vicine. Nella scala dei suoi valori, veniva prima la sua arte e poi gli altri. Umiliava suo figlio, ignorava me e mio fratello...è vero, c’era un legame d’amore enorme, ma eravamo noi ad amarlo. Lui non ha mai ricambiato. Il nostro amore era frustrato. In noi, sua famiglia legittima, vedeva il fallimento della sua storia con Olga, mia nonna. Il giorno delle visite era il giovedì. Mio padre, mio fratello e io andavamo sempre a trovare il nonno e spesso lui ci faceva aspettare davanti al cancello. Anche se pioveva. C’era un guardiano italiano alla Californie, la villa di Picasso. Era un ometto piccolo, semplice, molto gentile con noi, e non lo dico perché parlo a un giornale italiano. Si accorgeva dell’assurdità della situazione. Delle umiliazioni che il nonno infliggeva a mio padre davanti a noi bambini. A volte, ad esempio, non ci riceveva. Allora il guardiano doveva cacciarci: "Il Maestro dorme" diceva, oppure "Il Sole sta creando" e sul suo viso si leggeva il dispiacere. Erano le scuse che aveva inventato Jacqueline. Lei chiamava Picasso "il Sole", "Monsignore" o altro ancora» (Marina Picasso, unica nipote legittima di Pablo, che dopo 50 anni di sofferenze e 14 di psicoanalisi, ha deciso di scrivere i suoi ricordi in un libro, "Grand-pére", e di andare a vivere a La Californie, la villa sulle alture di Cannes che il nonno comprò nel dopoguerra).