La Stampa, 31/01/2002, 31 gennaio 2002
Luigi Agnolin sugli arbitri italiani: «Dicono: non c’è uniformita di giudizio. Vero. Ma pure fra i giornali non esiste
Luigi Agnolin sugli arbitri italiani: «Dicono: non c’è uniformita di giudizio. Vero. Ma pure fra i giornali non esiste. A Milano si valuta in un modo, a Torino in un altro, a Roma in un altro ancora. Per tacere delle moviole: in base alle emittenti e ai bacini di utenza, versione scaccia versione. Chi dirige una partita non può non risentirne. Specialmente se non ha le spalle coperte. La sudditanza? Se entra il papa, ci si alza in piedi. Se entra, un cardinale si solleva il capo. Se entra un parroco di campagna, si continua a parlare. Il problema non è questo: se prendo 50 lire a partita e sbaglio nei confronti di una grande, mi segano per almeno tre mesi e ci rimetto di tasca mia. Se viceversa penalizzo una piccola, non succede nulla o succede poco, a meno che il risultato non sia andato di traverso a un’altra grande. La carriera è la carriera, e gli arbitri non sono marziani».