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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

Massud AhmedShah

• Jangalak (Afghanistan) 9 gennaio 1953, Jangalak (Afghanistan) 9 settembre 2001 • «Il leone del Panshir [...] un mito [...] una leggenda [...] A 16 anni era sceso a Kabul per studiare al liceo francese, con l’ambizione di proseguire, poi, gli studi di architettura. Ma c’era stata, nel 1978, la “Rivoluzione d’aprile”, i comunisti avevano preso il potere, con l’aiuto di Mosca, che aveva cominciato a “colonizzare” il Paese mandando in avanscoperta i suoi “consiglieri”, preludio all’invasione del 26 dicembre 1979. Piantò in asso tutto, tornò nel Panshir e attorno a lui si formarono rapidamente i primi nuclei di guerriglieri “mujaheddin” che avrebbero costituito la base del mini-esercito tagiko (l’etnia predominante nella valle) tanto detestato dall’Armata Rossa e dalle sue colonne corazzate. Benché non avesse frequentato nessuna accademia militare, l’esperienza fatta direttamente sul campo bastò a fare di lui un brillante stratega. Dai 16-17 anni, è sempre vissuto combattendo [...] Non alzava mai la voce. Aveva molta cura della sua persona, sempre elegante, sempre a posto. La sua famiglia era un mistero per tutti» (Ettore Mo, “Corriere della Sera” 15/9/2001) • «“Una forte personalità dietro un volto al tempo stesso riservato, amabile e seducente, che sapeva sempre indurre ogni interlocutore — straniero o afghano — a sentirsi speciale, prezioso e unico al suo cospetto”. […] Venne barbaramente ucciso da due kamikaze magrebini che si fecero passare come giornalisti il 9 settembre del 2001, solo due giorni prima dell’attentato alle Torri gemelle e al Pentagono e fu subito chiaro per tutti che ambedue gli avvenimenti facevano parte dello stesso piano: eliminando Massud, Osama Bin Laden e i talebani, toglievano di mezzo il grande protagonista della Resistenza afghana, il solo che godesse di prestigio internazionale. Contrariato e contrastato in vita da una parte dei mujaheddin che non condividevano la sua strategia, il comandante tagiko dell’Alleanza del Nord divenne subito, dopo la morte, l’eroe nazionale, acclamato e osannato da tutti […] Il “comandante-signore” era ritenuto “l’unico combattente professionista in mezzo a tutti questi mujaheddin afghani, l’unico che ha saputo creare un vero corpo d’armata”: ma non aveva frequentato nessuna accademia militare. Dopo gli studi al liceo francese, s’era iscritto al Politecnico di Kabul, facoltà d’architettura. Ma non arrivò alla laurea. Erano i primi anni Settanta e l’università “è in piena effervescenza politica” e il giovane studente che si è appena fatto crescere la barba si arruola nell’“Organizzazione delle gioventù musulmane”, che coltiva il seme del futuro movimento integralista che s’ispira alle dottrine di Sayyid Qutb, capo dei fratelli musulmani d’Egitto, fatto impiccare da Nasser nel 1965. Ma Massud non si butta sui suoi testi, che più tardi saranno il nutrimento di Osama Bin Laden e di Al Qaeda: legge piuttosto libri di filosofia e religione, che lo allontanano gradualmente dall’islamismo militante dei suoi coetanei. Altro che fondamentalista! E’ portato verso la meditazione astratta e […] vuole “liberarsi dall’avidità, dalla collera, dagli appetiti della carne, cancellare il culto del proprio io”. In un’intervista accordata qualche mese prima di morire uscì in una dichiarazione che rivela la sua indole clemente, il sentimento profondo della pietà: “Non ho mai ucciso un prigioniero né dato l’ordine di farlo né premuto io stesso il grilletto: che si trattasse di un russo o di un non russo”. Ma non aveva nessuna pietà per i suoi uomini sorpresi a saccheggiare o disertori. […] Non rinunciò mai alla sua “proverbiale clemenza politica”: non perseguitò mai un solo ufficiale o funzionario comunista e propose al presidente comunista Najibullah, che s’era rifugiato presso il palazzo dell’Onu di Kabul, di ospitarlo, sarebbe stato più sicuro. Najibullah non colse l’invito e fu giustiziato dai talebani appena misero piede nella capitale (settembre ’ 96). Una fine orribile. Lo evirarono insieme al fratello prima di impiccarlo a un lampione. Assetato di cultura, si tuffava nei libri nei momenti di pausa e di riposo: Victor Hugo, Mao, la biografia di de Gaulle, che era il suo eroe o le poesie di Khalilullah Khalili, padre di Massud Khalili, che fu il suo più grande amico nei giorni dell’infanzia e rimase gravemente ferito nell’attentato del 9 settembre, in cui il “comandante- signore” perse la vita. Quel giorno fecero le ore piccole parlando di Hugo e Dante Alighieri. La maggior parte della vita politica di Massud fu “dominata dal suo duello con l’islamista intransigente Gulbuddin Hekmatyar, i cui razzi forniti dai generali pakistani distrussero i due terzi di Kabul tra il 1992 e il 1995”. Erano in molti a odiarlo, tra i leader politici e i capi militari di etnia pashtun: eppure verso la fine della propria esistenza, era riuscito a fare alleanza coi suoi avversari, come il pashtun Haji Qadir, come il generale uzbeko Rashid Dostum o come il capo degli Hazara, Karim Khalili, che fecero parte del Fronte Unito per combattere i talebani» (Ettore Mo, “Corriere della Sera” 24/5/2003).