Varie, 13 febbraio 2002
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BERENGO GARDIN Gianni Santa Margherita Ligure (Genova) 10 ottobre 1930. Fotografo • «Uno dei più grandi fotografi italiani […] La sua lunga carriera inizia a Venezia negli Anni 50
BERENGO GARDIN Gianni Santa Margherita Ligure (Genova) 10 ottobre 1930. Fotografo • «Uno dei più grandi fotografi italiani […] La sua lunga carriera inizia a Venezia negli Anni 50. ”Allora - ricorda - facevo il giornalista aeronautico e mi servivano delle fotografie per corredare i miei pezzi”. La passione per l’immagine lo portò a frequentare un circolo fotoamatoriale - la celeberrima Gondola, da cui nacque una nidiata di grandi fotografi, come Roiter e De Biasi. ”Paolo Monti, anima di quel circolo, fu un grande maestro, ma avevo anche uno zio in America, che sapendo delle mia passione mi mise in contatto con Cornell Capa. Lui mi mandò un tipo di pellicola che allora non esisteva in Italia e permetteva di fare fotografie senza flash anche di sera. Soprattutto mi spedì dei libri: capii che la fotografia non era solo bei tramonti o bei vecchietti come si pensava allora in Italia”. Così scoprì i fotografi di ”Life” e quelli della Magnum, l’esperienze di documentazione sociale come quella della Farm Administration Security con pattuglie di fotografi a raccontare la povertà e le speranze del New Deal. ”Io non mi considero, a differenza di tanti giovani di oggi, un artista. Sono un artigiano o forse un giornalista che invece di usare il computer usa la macchina fotografica. Credo che il nostro dovere sia raccontare la società, se vogliamo usare un termine non di moda sono convinto che l’impegno sociale sia ancora un valore”. A metterlo in contatto con il mondo della carta stampata milanese fu Leo Longanesi. ”Lo incontrai per caso. Io stavo mostrando in un bar di Milano alcune mie immagini ad un amico. Longanesi che era a un tavolo vicino allungò il collo e mi disse ”Sono belle me le porti domani al giornale che gliele compro’. Non sapevo neppure chi fosse e di quale giornale stesse parlando. Quando mi spiegarono chi era quasi non ci credevo. Il giorno dopo corsi da lui e fu così che le mie prime foto apparvero sul ”Borghese’, che allora non era così di destra come divenne in seguito”. Ciononostante in un giornale come quello non si trovava completamente a suo agio. ”Fu lo stesso Longanesi che mi presentò a Mario Pannunzio e mi consigliò di collaborare con ”Il Mondo’”. E in quello che allora era una delle testate più prestigiose, iniziò a pubblicare i reportage che l’avrebbero reso famoso, per quella capacità di analizzare l’Italia che stava cambiando. ”A scuola ero un pessimo studente, posso dire che quel poco di cultura che ho, la debbo tutta a Pannunzio e a quelli del ”Mondo’”. A far discutere all’epoca erano le condizioni di quelle che si chiamavano ”istituzioni totali”, come le carceri o gli ospedali psichiatrici. ”Conobbi Franco Basaglia. Facemmo insieme un libro: si chiamava Morire di classe e raccontava come si viveva nei manicomi che Franco voleva chiudere”. Anche quelle immagini servirono a far approvare la legge 180 che li aboliva: ”Era una buona legge, anche se è stata male applicata. Basaglia morì troppo presto per poterne seguire gli esiti”. Era intanto scoppiato il ”68 e Berengo Gardin ne firmò alcune icone, come il poliziotto con il manganello in una carica sotto la pioggia in Piazza San Marco. ”Avevo anche lavorato per la Olivetti, negli anni in cui era appena morto Adriano. Fu una esperienza importante, iniziai a fotografare il mondo del lavoro e scoprendo quella che allora si chiamava classe operaia e che adesso sembra scomparsa anche le mie idee cambiarono”. Negli Anni 70 entra nelle case degli italiani e ne descrive le tappezzerie e i ninnoli, le prime televisioni e i mobili. Ma viaggia anche per il mondo e cattura giovani che si baciano su un panchina di Parigi o vecchiette che guardano la corrida in Spagna. Conosce gente famosa e fa i ritratti di Sottsass e di Renzo Piano, di Zavattini (’con lui eravamo amici, insieme vent’anni dopo Paul Strand abbiamo fatto un reportage sulla sua Luzzara”), di Luigi Nono e di Borges e più di recente di Nanni Moretti a Torino per girare il film La seconda volta : ”Nel mio archivio - conclude - ho più di un milione duecento mila negativi. La fotografia mi scorre nelle vene come il sangue, mi tiene vivo e mi fa lavorare come un matto. Anche se posso dire che non ho mai lavorato perché ho sempre fatto una cosa che mi piaceva fare”» (Rocco Moliterni, ”La Stampa” 21/6/2001).