Stefano Petrucci, ìCorriere della Seraî 6/2/2002, 6 febbraio 2002
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Caniggia Claudio
• . Nato a Henderson (Argentina) il 9 gennaio 1967. Calciatore. «Tutto, oggi, pare così lontano dal suo orizzonte. Le notti brave con Maradona, l’alcol, la cocaina, le discoteche, i voli verso Miami, i rendez-vous con la moglie-amante Marianna, pronta - come confessò senza arrossire in un’intervista - a vivere lontana da lui ma anche ad attenderlo ”in ogni angolo del mondo, all’ora e nel posto che preferisce, vestita solo dell’odore della mia pelle”. Tutto, oggi, pare così lontano dall’orizzonte di Claudio Caniggia, el Cabeza , el Pàjaro, el Hijo del viento . Tutto tranne i gol, i dribbling, le invenzioni da funambolo capriccioso, il meglio di sé che ha voluto tornare a tirar fuori per la gioia del pubblico dell’Ibrox Park, il tempio dei Rangers di Glasgow. Perché, come in un happy end strappalacrime, sulla soglia dell’età matura, anzi persino qualcosa più in là, considerato quanto pesano 35 primavere su un calciatore, Caniggia ha deciso di riappropriarsi del suo mestiere, ”un po’ per gioco, un po’ per rabbia, un po’ per restituire un minimo di ordine alla mia vita”. Manco a dirlo, lo ha fatto a modo suo. Da fuoriclasse. Cancellando i quasi tre anni di buio seguiti al clamoroso litigio con il più potente tra i dirigenti del calcio argentino, Mauricio Macri, presidente del Boca Juniors e oggi addirittura candidato alla presidenza del governo nazionale. Dopo la controversa avventura europea (il Verona, l’Atalanta, l a Roma, i tredici mesi di squalifica per uso di cocaina, il Benfica), Caniggia era tornato a casa. Saltando il fosso: lui, crac del River Plate ad appena diciott’anni, era passato nel Boca. Imbattendosi presto nella durezza di Macri: ”Volevo tornare in Europa, il mio contratto prevedeva che il club mi riconoscesse il 70 per cento del prezzo ottenuto dalla mia cessione. Macri mi offriva la metà. Mi impuntai, scappai a Miami. Pronto a smettere pur di non dargliela vinta”. Fermo al sole della Florida nel ’98, fermo nel ’99, fermo per buona parte del 2000. Una vita, per un atleta. Ma, esaurito ogni vincolo col Boca, eccolo riaffacciarsi in Europa. In Italia: per un paio di mesi in B, con l’Atalanta. Quindi in Scozia, chiamato dai Bonetti al Dundee, moglie e tre figli in Italia ”perché loro amano il sole e del pallone non gli importa niente”. Un’altra follia? Lo pensò Marianna con la prole, lo pensò lui, persino: ”Mai avrei pensato di poter giocare in Scozia: le città grigie, la pioggia, il mare del nord. Ho temuto a lungo di aver fatto l’ennesima scelta sbagliata. Però ho voluto provare, a 34 anni di occasioni non me ne sarebbero capitate più molte. andata bene, per fortuna”. Non bene, benissimo. Diciassette partite e undici gol con il Dundee, quanto bastò all’allenatore olandese dei Rangers, Dick Advocaat, per offrirgli dopo appena cinque mesi un contratto miliardario. Cambiata maglia, cambiato il conto corrente, mai in rosso, per carità, ma negli ultimi tempi parecchio eroso: a dicembre, il tribunale di Buenos Aires ha condannato il Boca a versare a Caniggia tre milioni e mezzo di euro (quasi 7 miliardi di lire) tra stipendi arretrati e indennizzi vari. Più soldi in tasca, più voglia di ritrovare sé stesso, le cuffie stereo calcate sulle orecchie con la musica dei Rolling Stones ad accompagnarlo in allenamento. E, soprattutto, la rinascita sempre più vistosa, la presenza costante nel team di Ronnie de Boer, Numan, Nerlinger, Arveldze, Tore Andre Flo. E i nuovi dribbling, i gol, le volate verso la porta avversaria rubate al suo passato di velocista quando, ad appena dodici anni d’età, gli organizzatori dei meeting d’atletica lo scarrozzavano per la Pampa come un fenomeno da baraccone: Daireaux, Pehuajò, Trenque Lauquen, Guaminì le tappe di un tour infinito per le piste dei piccoli impianti disseminati nella provincia di Buenos Aires. Claudio el Cabeza , come lo chiamò il suo primo allenatore per via di quel testone biondo piazzato su un corpo da uccelletto (di qui el Pajaro , il passero), volava sui cento, sui duecento e sui quattrocento e poi, giusto il tempo di cambiare le scarpe, scappava a inseguire il pallone. Come ha ripreso a fare oggi, a trentacinque anni e nessuna voglia di dire basta. ”Ci ho ripreso gusto, certo. Mica capita a chiunque di star fermo quasi tre anni e trovare la forza di rientrare a questi livelli. Cambiato? Forse nel carattere, specie fuori dal campo. Ma per il resto sono sempre lo stesso. Advocaat mi ha riportato al mio vecchio ruolo nel River: gioco largo sulla destra, in un attacco a tre punte. E mi trovo benissimo. Non piazzo più 40 piques a partita, magari. Mi fermo a 30. Ma bastano e avanzano: dovreste chiedere ai difensori scozzesi”. Piques , per la cronaca, sta per scatti. E Caniggia pare davvero tornato a produrne in serie. Il più bello, adesso, sogna di farlo verso la Selecciòn argentina. Ne hanno parlato i giornali, nel suo paese, il c.t. Bielsa è costantemente sollecitato dai critici, oltre che dai non pochi fan del Cabeza : ”Inutile che mi nasconda. Io ci spero. L’Argentina ha Batistuta, Crespo, Palermo, Lopez. Forse può servire una seconda punta, un esterno, un’ala... Io so solo che pagherei per andare in Giappone. I mondiali li ho già fatti, nel ’90 con due gol a Brasile e Italia portai l’Argentina in finale. Ma allora ero poco più di un ragazzino, non me ne importava niente. Ero un incosciente. Mondiali, campionato, coppe, amichevoli. Giocavo come veniva, avessi di fronte la Germania o Malta, il Real Madrid o una squadra albanese. Ora è tutta un’altra cosa. Ora capisco certe differenze. E sogno di recuperare qualcosa di quello che mi sono perso. L’emozione di una grande sfida davanti a 70, 80 mila spettatori. Io sono pronto, se Bielsa mi chiama salto sul primo aereo”. Dall’Ibrox Park con furore, il figlio del vento, lasciati alle spalle i troppi guai, giura di non volersi fermare più» (Stefano Petrucci, ”Corriere della Sera” 6/2/2002).