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 2002  febbraio 21 Giovedì calendario

CUPERLO

CUPERLO Gianni Trieste 3 settembre 1961. Politico. Pd. Ex segretario della Figc, ghost writer di Massimo D’Alema • «[...] laureato all’Istituto Dams di Bologna con una tesi, appunto, sulle comunicazioni di massa [...] alto, asciutto, con gli occhi azzurri, l’erre moscia e i capelli biondi spartiti a metà come la chioma di Robert Redford, [...] un signore piuttosto erudito, sempre arrovellato, molto attivo, poco noto al grande pubblico perché finora ha fatto solo vita di partito. Dopo aver guidato, infatti, per qualche tempo la Federazione dei giovani comunisti (trasformatasi poi in Sinistra giovanile), è rimasto sempre all’ombra del Palazzo: sia perché non è un tipo che ama sgomitare, sia perché non ha la stoffa del leader. Chi lo ricorda alla testa della Fgci verso la fine degli anni Ottanta ne parla come di un incrocio tra il missionario e il teatrante. Si presentava nei comizi in giubbotto blu, camicia a quadretti, sciarpone rosso e ammaliava le giovani compagne delle sezioni con estenuanti e accorate filippiche in difesa dell’ambiente, a favore della società multirazziale, contro l’industria bellica o le leggi anti-droga. E, oltre a evocare di continuo Melville, Italo Svevo, Eduardo, Pier Paolo Pasolini e Cesare Pavese, citava spesso anche lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. Ha, dicono, una sbrigliata fantasia e gli son sempre piaciute le frasi di un certo effetto come ”L’importante non è avere una tradizione, ma cercarla’, ”La politica, più che un mestiere, è una passione”, ”Il riarmismo non è più credibile”, ”Quel che conta è farsi contaminare”, ”Noi vogliamo una società altra, ricca e plurale” o ”Basta con le pulsioni puramente eticistiche”.Ma il suo pallino è il conio di slogan e di interrogativi, uno più astruso e incomprensibile dell’altro, con i quali ha infiocchettato i suoi discorsi nelle assemblee della Fgci e ne ha addobbato i manifesti propagandistici. I detti più famosi, per i giovani comunisti di allora e con buona memoria, restano ”I’m IndipendenteMente”, ”Controvento ma Non violento”, ”Benficenti, tolleranti o solidali?” e ”Non lasciarti eutrofizzare”.Il più pregnante, per i post-comunisti di oggi e che cedono talvolta all’emozione, è quello che ha sfornato come parola d’ordine per l’ultimo congresso del Pds (’Il futuro entra in noi molto prima che accada”) mutuandolo da un pensiero di Rainer Maria Rilke. Qualcuno dice che, quando si esprime così, il compagno Cuperlo ”dispiega tutta la sua profonda cultura mitteleuropea”: il che, essendo assai preso di sé, lo inorgoglisce. Secondo altri, invece, fa venire in mente le pensose ovvietà di Massimo Catalano, uno dei comici di Quelli della notte, il divertente show televisivo di Renzo Arbore: il che, essendo permaloso, lo irrita parecchio. In principio è stato un ardente seguace dell’ex segretario Achille Occhetto e, come tanti giovani comunisti della sua generazione, parlava quasi come lui, cioè in un lessico astratto, enfatico e un po’ sgrammaticato detto ”Occhettese”, ricorrendo a parole strambe tipo ”Alterità” o ”Sfida alta”, usando verbi bizzarri come ”Rifondarsi” o ”Spendersi” e inventando espressioni bislacche tipo ”Ripensare radicalmente il nuovo” o ”Bisogna andare alla ricerca del luogo dove l’agio non è mistificante occultamento di se stessi”.Poi, quando Occhetto ha perso le elezioni politiche contro il Polo di Silvio Berlusconi ed è caduto repentinamente in disgrazia nelle stanze delle Botteghe Oscure, si è schierato alla svelta con l’emergente D’Alema: nel luglio del 1994, insieme a Claudio Velardi, vecchio amico di Massimo, è stato addirittura uno dei più attivi sostenitori della sua candidatura alla segreteria del Pds e, da allora, gli è stato sempre accanto, diventando il suo servizievole factotum, cambiando spesso il proprio ruolo e dedicandosi a varie missioni. Prima, nei panni del restauratore, ha lavorato parecchio per rinfrescare la sua vecchia immagine di politico della prima Repubblica e presentarlo come un leader nuovo, degno della seconda. E così, quando lavorava in un ufficio della sede del Pds, ha preparato per D’Alema una specie di vademecum delle parole da usare e di quelle da evitare nelle interviste televisive suggerendo, nel fornirglielo, di sorridere un po’ più spesso e di essere un po’ meno sarcastico. Consigli, per la verità, cui D’Alema ha dato retta solo parzialmente. Poi, quando il suo capo ha presieduto la Commissione bicamerale incaricata di riformare lo Stato, Cuperlo si è trasferito a Montecitorio e gli ha fatto da segretario particolare organizzando i suoi incontri riservati e partecipandovi per verbalizzare tutto quel che veniva detto: un lavoro impegnativo, stressante e senza gloria. Quindi si è trasformato di nuovo, in uno scrivano di fiducia: altro incarico piuttosto faticoso. Infatti è stato il paziente curatore di due libri (Un Paese normale e La grande occasione) che, scritti e riscritti, corretti e ricorretti, sono stati alla fine pubblicati con la firma del leader; e, come se non bastasse, è stato pure l’estensore, o il revisore, di tutti i discorsi pronunciati dal premier nelle aule del Parlamento [...]» (Guido Quaranta, ”L’Espresso” 7/10/1999).