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 2002  febbraio 21 Giovedì calendario

Curtis Tony

• (Bernard Schwartz) New York (Stati Uniti) 3 giugno 1925, Las Vegas (Stati Uniti) 30 settembre 2010. Attore. Film: A qualcuno piace caldo (Billy Wilder), Operazione sottoveste (Blake Edwards), Spartacus (Stanley Kubrick). Famosissima la serie tv Attenti a quei due, in cui aveva come partner Roger Moore. «[...] Ha avuto cinque mogli (e in effetti spesso nelle interviste ha ammesso: “Mi sposavo molto”). Ha avuto sei figli, tra cui la bellissima Jamie Lee Curtis, nata dal matrimonio con Janet Leigh (e uno, Nicholas, morto per overdose, ma non si poteva fare nulla per lui, spiega, impossibile salvarlo dalle sue abitudine autodistruttive). Ha avuto periodi di alcolismo, di depressione acuta e, racconta sereno, di droghe, dalla cocaina all’Lsd [...] Ha girato, se ho contato bene, oltre novanta film di ogni genere e peso e lo si ricorda forse per cinque o sei o sette: lui dice che di dodici è fiero (ma non li elenca) [...] Tony Curtis, nato Bernard Schwartz a New York da Emanuel e Helen, ebrei ungheresi litigiosi e appassionati, il papà sarto che voleva in realtà essere un violinista e la mamma, secondo i suoi ricordi molto manesca e cattiva, con una piccola bottega. Erano gli anni prima della grande Depressione, la vita era difficile, e lo sarebbe stata ancora di più dopo. Sembra di entrare nel mondo di Chiamalo sonno, quello degli immigrati ebrei poverissimi che si accalcano attorno ad Alphabet City. In realtà nel caso del giovane Curtis si trattava del Bronx, che avrebbe lasciato al nostro il pesante fardello di un riconoscibile accento e il ricordo di quando andava in giro per Manhattan, piccolo sciuscià, a cercare di guadagnare qualche soldo per la famiglia. Un fratellino muore travolto da un camion, un altro è schizofrenico e muore in un ospedale psichiatrico. Lui non può finire gli studi… A tirarlo fuori dal Bronx fu la Marina, in cui Bernie (così si chiamava allora) si arruolò nel 1943, a diciassette anni. Seguì, dopo la pace, una serie di scuole di recitazione a cui lo candidavano il suo ciuffo nero e la sua intraprendenza. Qualcuno si accorse di lui, Robert Siodmak, che lo fece debuttare in Doppio gioco. Poi arrivò la Universal, che lo mise sotto contratto tra i suoi giovani leoni, assieme a Rock Hudson, gli diede il nome di Anthony Curtis e gli fece fare un film dietro l’altro. Film indifferenti. Per di più pare che il giovane Tony non riuscisse a comunicare con gli occhi. Fino al miracolo, nove anni dopo il debutto: Piombo rovente (bel titolo, ma l´originale è meglio, The Sweet Smell of Success, il dolce profumo del successo), un film sulla brutalità e la trucidezza del mondo della stampa girato dall’inglese Mackendricks, in cui Tony Curtis, ormai ufficialmente tale, rivelò che era veramente un attore, che la sua bellezza un po’ volgare, il ciuffo nero, la sua aria perennemente rampante potevano dare un perfetto ritratto di americano senza scrupoli, senza vergogne, sempre all’erta, teso solo al successo, costi quello che costi - preferibilmente agli altri. Sidney Falco (questo il suo nome nel film) è un prototipo umano, oltre che una grande, geniale interpretazione. Che restò insuperata, nella carriera di Curtis, nonostante la sua presenza in alcuni più o meno ambiziosi film storici (da I Vichinghi di Fleischer a Spartacus di Kubrick a Taras Bulba di Lee Thompson) fino al trionfo di A qualcuno piace caldo, dove il donnaiolo, il seduttore, il marito a ripetizione sfidò con insospettabile finezza e ironia tutte le ambiguità del travestitismo - e visse il dolore, mai negato, di essersi visto sfuggire un Oscar, che andò al suo partner Jack Lemmon (mentre di Marilyn Monroe disse la celebre battuta: “Bacia come Hitler” e ammette ora, con qualche disinvoltura, di essere stato suo amante, e che lei “era giusto una delle tante”. Be’, direbbe Osgood Fielding III, “Nessuno è perfetto”. [...] Il suo terzo trionfo come attore - e grande attore - , dopo una serie di film buoni e meno buoni (da Operazione sottoveste a dimenticabili imprese italiane) fu ancora una volta, nel 1969, con un film drammatico, Lo strangolatore di Boston di Richard Fleischer, dove Curtis, nel ruolo di un assassino amnesiaco e quindi incapace di confessare, trova una forza espressiva straordinaria. Mano a mano che il lavoro (o il lavoro interessante) andava diradandosi, fin dai primi anni ’60, Tony Curtis scopriva però il gusto per dipingere. [...] li vende anche, a quanto pare, i suoi quadri postimpressionisti e le sue “scatole”, ad alberghi e ristoranti di Las Vegas e di L. A., uno perfino al sindaco di Budapest, città di cui dopo tutto è alla lontana un cittadino…) [...] È abbastanza autocritico da dichiarare: “Sono così vanitoso da pensare che il mondo è stato fatto per me”. Certamente abbastanza fiero di sé da farsi fotografare in occasione dei suoi ottant’anni nudo, nel “central spread” di “Vanity Fair” America, con un’unica protezione al suo pudore: i suoi due cagnolini Yorkshire che ha chiamato, estremo vezzo, Daphne e Josephine, come le due jazziste “en travesti” di A qualcuno piace caldo» (Irene Bignardi, “la Repubblica” 3/6/2005). «Il cinema è tutta la mia vita. Sono stato davanti ai riflettori per cinquant’anni, realizzando un sogno di quando avevo cinque anni. A quell’età, infatti, cominciai ad andare al cinema. Guardavo i film sognando che un giorno sarei diventato attore, e oggi continuo a vedere film con la stessa intensità e con lo stesso piacere. Sono un uomo di celluloide”.Disinvolto, estroverso e divertito[…] si sente ancora un giovanotto, si gode la vita e i premi “alla carriera” che ha ricevuto, come quello recentemente vinto al Festival del Cinema della Catalogna: “Me lo sono meritato” dice ridendo. “Ho vissuto e vivo nel cinema. Molti colleghi che avevano cominciato con me, non ci sono più. Se io sono ancora qui, deve pur esserci un motivo”.Gli attribuiscono la frase: “Baciare Marilyn Monroe era come baciare Hitler”.Lo pensava davvero? “Non ho mai pronunciato una frase simile. In realtà, io e Marilyn eravamo stati amanti circa dieci anni prima di interpretare insieme A qualcuno piace caldo, quando lei aveva 19 anni e io 22. E ricordo che durante la lavorazione del film di Billy Wilder, Marilyn non stava bene, arrivava in ritardo sul set, non ricordava la parte e i produttori pensavano di licenziarla. Credo che tentò di prendersi una piccola rivincita quando nella scena sul sofà, nella quale ero vestito da donna e dovevo abbracciarla, lei non ebbe pietà e fece di tutto affinché io avessi un’erezione. E ci riuscì. Per questo dissi allora che baciare Marilyn era come scoparla, e chiedo scusa per l’espressione”. Cosa ricorda di Billy Wilder e della lavorazione di A qualcuno piace caldo? “Billy Wilder è rimasto fino alla fine di una lucidità sorprendente. Siamo sempre stati in contatto. Era un personaggio arguto che sosteneva brillantemente lunghe conversazioni. Del film ricordo la singolare ricerca del vestito femminile che avrei dovuto indossare. Mentre quelli di Marilyn Monroe erano stati ordinati a un sarto famoso, specializzato in vestiti per il cinema, il mio lo cercarono nel deposito di vestiti della Warner. Tentarono di adattarmi un vestito di Loretta Young, poi uno di Debbie Reynolds e di altri di attrici famose, ma nessuno era della mia misura. Alla fine si chiese allo stesso sarto di Marilyn di prepararne uno per me. E il giorno che mi prese le misure, passò anche da lei. Rilevandole le proporzioni del sedere le disse che il mio culo era più bello del suo. Lei reagì furiosa, si sbottonò la blusa e mostrando il petto, esclamò: ‘Però non ha un paio di tette come queste!’”. La sua parte di Josephine è una figura mitica. Cosa pensa del personaggio? “Mi è sempre piaciuto interpretare personaggi completamente diversi da me. Da allora sono venerato da tutti i gay del mondo e sono contento di aver interpretato la prima drag queen della storia del cinema”.Un’altra sua performance leggendaria fu in Spartacus di Stanley Kubrick “Io e Kubrick avevamo la stessa età. Ambedue di New York, eravamo i più giovani della troupe e avevamo le stesse idee. Ricordo che l’abbiamo vissuta molto bene. Anche se in principio mi aveva contattato per la parte di uno schiavo per una durata di cinque settimane di lavorazione e poi mi trattenne sul set per nove mesi. Tuttavia ci furono scene riposanti, come quelle dei bagni dove io e Laurence Olivier trascorrevamo il tempo strofinandoci a vicenda le spalle”.Cosa pensa del cinema attuale? “Il cinema di oggi è completamente diverso da quello che facevo io, da Lo strangolatore di Boston a Il mago Houdini e a tante commedie girate negli anni 50. Oggi le persone quasi non si conoscono più. Allora, invece, era un cinema di persone, di individui che lottavano per realizzare un progetto. Oggi si tratta in larga parte di compagnie senza anima che si occupano soprattutto del lato commerciale del film e si preoccupano degli incassi. L’industria del cinema è completamente dominata dalla televisione, anche se a Hollywood operano ancora alcune persone interessanti, ma si tratta appunto di alcune persone”» (Renzo Fegatelli, “la Repubblica” 6/1/2003).