Varie, 21 febbraio 2002
D’ALATRI
D’ALATRI Alessandro Roma 24 febbraio 1955. Regista • «[...] autore di molti spot ma anche di Senza pelle, I giardini dell’Eden, Casomai [...]» (Simonetta Robiony, ”La Stampa” 31/3/2005) • «Occhi azzurri, di un azzurro innocente. Dentro c’è la luce dell’intelligenza. Se gli piaci, è fatta: hai una persona generosamente battagliera su cui poter contare, ed è capace di travolgerti con la sua carica di quotidiana umanità. In caso contrario, l’azzurro si fa ghiaccio duro, in grado di respingerti con cortese fermezza come se il pensiero fosse rivolto altrove, perso in terre irraggiungibili. Ogni tanto lo si vede con la barba, ogni tanto con i baffi o il pizzo, oppure torna improvvisamente più giovane, col mento nudo, il volto difeso solo dagli occhiali con la montatura di metallo. Ecco, gli occhiali sono il suo scudo, l’argine agli assalti del mondo, il filtro di ogni immagine che giunge da fuori. Perché Alessandro D’Alatri con le immagini ci lavora e sono il suo pane quotidiano sin da quando era piccolo. [...] nato a Roma, grazie al lavoro della madre entra a otto anni nel mondo dello spettacolo come attore. Al Piccolo Teatro di Milano recita con Giorgio Strehler, a Roma lo dirige Luchino Visconti, in televisione lavora con Sandro Bolchi, al cinema lo sceglie Vittorio De Sica per Il giardino dei Finzi Contini. Curiosamente, molti anni dopo, nel 1998, riceverà proprio dalle mani di Maria Mercader il premio De Sica per I giardini dell’Eden. Alessandro crede ai segni: segni del destino, segni divini. Coincidenze le chiamano in tanti. Ma più che coincidenze, si tratta di veri e propri viatici, semafori che scattano, luci che si accendono. E non c’è niente di casuale in tutto questo. Il bambino prodigio che calca le scene è passato. Alessandro viene su con una voglia di vivere a largo raggio, apprezzando la città, ma amando molto di più la campagna dove è cresciuto circondato da nonne e zie, assaporando gli odori delle stagioni, amando la vita degli animali da cortile e il senso di infinita pace che danno i campi selvatici e i tramonti. Parlando di nonna Italia, è facile che gli vengano le lacrime agli occhi. Da adolescente, si fa crescere i capelli, contesta il potere costituito, dorme da irregolare e viaggia per il mondo da vero beat, fumacchiando e sballando. Ma i genitori premono perché si dia da fare, e la sua natura anarchica accetta la sospensiva di una tregua. Così Alessandro, partito dalle poche parole pronunciate in palcoscenico, finisce per rimanere intrappolato dalle immagini. Diventa assistente di registi di pubblicità. Impara lo straordinario mestiere di realizzare brevissimi film. [...] a Roma il suo studio di piazza Mazzini è pieno di statuette dorate, premi e attestati che impressionano per quantità. Hanno avuto fortuna gli spot per Telecom, quelli con Massimo Lopez legionario in perenne stato di fucilazione, e per Lavazza quello con Tullio Solenghi stranito in Paradiso. dal 1984 che Alessandro gira film pubblicitari, è annoverato fra i più bravi, uno dei pochi di livello internazionale. Ma Alessandro ama da sempre il cinema, e questi minuscoli film concentrati in qualche secondo lo lasciano alla fine affamato. questione di profondità: se il respiro è lungo, si arriva a cantare tutta l’opera. A D’Alatri, fa onore il non essersi fermato al successo della pubblicità, pane necessario in un paese dove l’arte te la devi quasi pagare tu, oppure la fanno pagare a te, e cara. Dice Alessandro: ” sempre stato un paese tragicamente superficiale il nostro, e ora che pesa sempre di più il numero, l’audience, gli spettatori del biglietto d’oro e le copie dei best seller, l’anima se ne è scappata via lasciando posto libero alla svolazzante volgarità. Allora chi conta se ne va piano piano da un’altra parte, lascia la scena a chi urla di più”. pensando a questo che, pur non abbandonando la pubblicità che è infine anche una palestra di aggiornamento senza pari, alla fine Alessandro decide di affrontare i racconti e i tempi lunghi, i personaggi e le loro storie. Insomma il cinema e la tragicommedia umana. Così è nato, nel 1990, Americano rosso, un debutto di rara maturità in Italia, e poi nel ’94 Senza pelle, ancora soddisfazioni e premi. un momento chiave, per Alessandro. Dopo gli anni dei legami ondivaghi con belle ragazze come Sabrina Ferilli o Livia Azzariti (che si è tenuta tutta la sua biblioteca), nella sua vita entra Cristiana, la bella e solida Cristiana. il momento di sposarsi. Ed è il momento di provare insieme a fare un film in America. Vanno a Los Angeles, hanno un progetto. Poi nasce la prima figlia, subentrano complicazioni di salute, ingarbugliamenti sul progetto, liti con il produttore. E la famiglia D’Alatri torna in Italia, presto benedetta dalla nascita di un’altra figlia, Carolina. [...] non ha avuto paura di fermarsi quando ha creduto che fosse necessario. Era tornato a lavorare per la pubblicità, ma si era innamorato poco a poco dell’idea di un film diverso dal solito su Gesù. Era il 1996. [...] I giardini dell’Eden, che poi ha girato nel ’97 in Marocco con Kim Rossi Stuart, un bravissimo Yeoshua, un Gesù tornato alle sue radici ebraiche. [...] a Venezia, nell’indigestione filmica di quei giorni, la critica (ma il pubblico no) sembrò guardare con un occhio distratto solo al lato formale del film, trascurandone in pieno il significato. Alessandro, che non è tipo da fermarsi alla superficie, e che aveva pensato al suo film come uno strumento ”contro l’asfissia spirituale del nostro tempo” all’epoca dell’uscita del film si lanciò contro l’indifferenza dei critici. Ancora adesso, se ci pensa, si infuria. Si è rifatto con altra pubblicità e altri premi. [...] Dice che sarebbe capace di rinunciare al grande budget, di girare un film a bassissimo costo, magari in digitale, pur di sperimentare qualcosa di più autentico e nuovo. La ricerca spirituale di questi ultimi anni e la morte di suo padre lo hanno segnato, gli hanno regalato una profondità tutta sua, da ribelle che si intestardisce ancora per cercare di capire perché il mondo va così. Difetti? A voler trovargliene uno, talvolta, se ve n’è l’occasione, diventa lamentoso. O addirittura antipatico e cupo quando è di cattivo umore, come se dovesse reggere il peso del mondo intero. [...]» (Miro Silvera, ”Il Foglio” 4/3/2001).