varie, 21 febbraio 2002
D‡?øALEMA
D’ALEMA Massimo Roma 20 aprile 1949. Politico. Deputato dal 1987 (prima del Pci, poi di Pds, Ds e Pd), direttore de l‚ÄôUnit√† (1988-90), segretario nazionale del Pds (1994-98), presidente della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (1997-98), presidente del Consiglio (1998-2000), presidente dei ds (dal 2000 al 2007), parlamentare europeo (2004-2006). Vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri dal 2006 al 2008. Presidente del Copasir (l’organo parlamentare di controllo sui servizi, eletto il 26 gennaio 2010), presidente della Fondazione dei progressisti europei (Feps, eletto il 30 giugno 2010) ‚Ä¢ ¬´Anche i sassi lo sanno: Massimo D‚ÄôAlema √® nato figlio d‚Äôarte, sulle orme di Giuseppe, segretario mancato della Fgci, poi deputato e dirigente del Pci. Il primo passo della carriera del fanciullo: mazzo di fiori a Togliatti con fazzoletto rosso al collo. Il Migliore dopo il discorso (pare) che disse: ‚ÄùQuesto non √® un bimbo, ma un nano!‚Äù. D‚ÄôAlema diventa segretario della Fgci nel pieno della contestazione: memorabile spezzone di tv con lui impassibile al fianco dell‚Äôindiano metropolitano Gandalf che lo sfotte (1977). Romanzo di formazione in Puglia, da segretario regionale: non ha un soldo, non mette mai i jeans, gioca a Risiko con i compagni e fatica ad affermarsi sui babbioni. Poi il salto all‚Äôorganizzazione del Pci. Poi la direzione de l‚ÄôUnit√†, dove giocava a Tetris nello stanzone dei caporedattori. Quindi numero due di Occhetto a Botteghe Oscure (fino a fargli le scarpe). Quindi duellante di Walter Veltroni nel 1994 (e per altri 15 anni), anche se entrambi dicono il contrario. Quindi organizzatore di ‚Äùdalemoni‚Äù (Sabina Guzzanti) e siluratore di Prodi (anche se lui giura che non ci fu ‚Äùcomplotto‚Äù). Non gli √® riuscito di diventare ministro europeo: la cosa ha rattristato sia i fan che i detrattori (che speravano di vederlo fuori dall‚ÄôItalia)¬ª (‚Äôil Fatto Quotidiano‚Äù 31/12/2009) ‚Ä¢ ¬´Normalista incompiuto. Tale per non aver concluso gli studi universitari a Pisa. Tale per non aver realizzatto un paese normale. Al suo esordio declama un comizio al cospetto di Palmiro Togliatti. Mazzo di fiori rossi per ‚Äùil migliore‚Äù e fazzoletto da pioniere al collo, aveva nove anni. Prima intervista a dieci anni: vince un concorso Aci, foto di copertina sull‚Äô‚ÄôAutomobile‚Äù e prime riflessioni da ‚Äùenfant prodige‚Äù: ‚ÄùFossi ministro darei pene pi√π severe‚Äù.Figlio d‚Äôarte, il padre Giuseppe fu deputato comunista e rivale di Enrico Berlinguer nella Fgci. Uniformandosi al celebre adagio pajettiano, ‚Äùstudia da segretario‚Äù, diventa capo dei giovani comunisti per decreto di partito. Oggi accredita l‚Äôimmagine di una giovent√π scapigliata con bombe molotov alla ‚ÄùBussola‚Äù, e svastiche disegnate sui carriarmati sovietici a Praga, nel 1968. Sostanzialmente Lui √® una scoperta di Vincino, che lo parodiava gi√† allora come un freddo burocrate (‚ÄôL‚Äôho scoperto io‚Äù, ghigna). Sicuramente fu vicino al ‚ÄùManifesto‚Äù anche dopo la radiazione. Fu funzionario a Pisa e poi leader comunista ortodosso ma goliardico, con comparsate al festival della giovent√π cubana all’Avana e zingarate alla ‚Äùcompagni miei‚Äù insieme agli inseparabili, Fabio Mussi e Claudio Velardi. Nell‚Äô80 √® spedito a farsi le ossa in Puglia, dove impara a giocare a Risiko. Torna a Roma come un Montecristo comunista, berlingueriano e anticraxiano (sale per√≤ sul camper a Rimini). Ammalatosi il segretario del Pci, Natta, si allea con Occhetto (armate rosse) nel cosiddetto ‚Äùpatto del garage‚Äù (quello di Botteghe Oscure): ‚ÄùStavolta tocca a te, la prossima a me‚Äù.Occhetto, cauto, lo esilia prima all‚Äô‚ÄôUnit√†‚Äù (dove fa un giornale aggressivo e grandi partite a Tetris) poi a Montecitorio, capogruppo. Dalla Camera col fido Claudio Velardi (ministro dell’immagine) inizia la lunga marcia su Botteghe Oscure: passa dai vestiti Oviesse al sarto napoletano, dal lessico postmarxista all‚Äôideologia paeso-normalista. Accoltella Occhetto da sinistra e lo sorpassa a destra. Perde il referendum per la segreteria contro Walter Veltroni ma rovescia il tabellone e si fa eleggere lo stesso. Fa il ribaltone con Umberto Bossi (armate blu), governa con Lamberto Dini (armate nere). Mette Romano Prodi a capo di una coalizione che gli serve ma non ama (Ulivo), inizia a sognare Palazzo Chigi. Diventa presidente della Bicamerale per le riforme. Berlusconi, che voleva ‚ÄùIn miseria, a mendicare in esilio‚Äù (’‚Äô94), diventa l‚Äôinterlocutore principe, ‚ÄùUno di cui mi fido‚Äù (’96). Ma la grande riforma non riesce. Ha rivelato un vezzo: ama ripetere la battaglia di Waterloo nei giochi di ruolo. Ma vuole vincere sempre. La moglie, molto di sinistra, lo costringe a perseguire posizioni irriducibilmente postmarxiste. Fosse per lui, invece, metterebbe in soffitta Bobbio, Schr√∂der e pure Blair. Praticamente farebbe meglio di Berlusconi. Sogna ancora Palazzo Chigi e un‚Äôamante piuttosto calda¬ª (Pietrangelo Buttafuoco, ‚ÄùDizionario dei nuovi italiani illustri e meschini‚Äù, 10/10/1998). ¬´Allorch√© fu candidato (o si autocandid√≤, non √® chiaro) portavoce unico dell‚ÄôUlivo, Rina Gagliardi su ‚ÄùLiberazione‚Äù ironizz√≤: ‚ÄùSpeaker unico? Non sarebbe meglio dire skipper unico?‚Äù. Sempre sul giornale bertinottiano il micidiale corsivista Don Pancrazio scrisse: ‚ÄùSi ignora se D‚ÄôAlema abbia mai provato a governare una barca da solo o a dispetto dei compagni di viaggio; un governo, quello s√¨; e si sa come √® andata a finire‚Äù. Massimo Cacciari lo definisce il ‚Äùsolito noto‚Äù e domanda: ‚ÄùCome pu√≤ una persona che non ne ha indovinata mezza continuare a ritenersi necessaria?‚Äù . Quasi sempre l‚Äôattacco √® insaporito da riferimenti alla sua guida della Bicamerale. ‚ÄùNella funesta Bicamerale ‚Äì scrive su ‚ÄùRepubblica‚Äù Franco Cordero ‚Äì lievita una filosofia berlusconiana codificata dall‚Äôultimo centrosinistra‚Äù. Spesso, come si √® gi√† visto, l‚Äôaffondo prende di mira la sua imbarcazione da diciotto metri. Michele Serra non esita a un malizioso accostamento e parla di ‚Äùquelli che non possono farsi non dico le ville di Berlusconi, ma tampoco la barca di D‚ÄôAlema o la vasca di aragoste di Previti‚Äù. Sull‚Äô‚ÄôUnit√†‚Äù Piero Sansonetti scrive che ‚Äùnessun altro leader √® odiato come D‚ÄôAlema da una parte della sinistra‚Äù; Bruno Gravagnuolo gli imputa di aver promesso un partito di massa e di aver cambiato idea; Paolo Flores e Gianni Vattimo definiscono ‚Äùincresciosa‚Äù la sua partecipazione alla santificazione del fondatore dell‚ÄôOpus Dei (e D‚ÄôAlema, in replica, definisce ‚Äùsconcertante‚Äù la loro lettera); Pietro Folena sostiene che il suo √® uno stile ‚ÄùMosca 1938‚Äù, in riferimento all‚Äôet√† pi√π buia dello stalinismo. ‚ÄùIl primo istinto, ammettiamolo, √® prendere le sue difese‚Äù conclude velenosa Giovanna Pajetta sul ‚ÄùManifesto‚Äù.Nel campo avverso c‚Äô√® pi√π disponibilit√† (talvolta stima e affetto) nei confronti di D‚ÄôAlema. Il che ‚Äì assieme alla benevolenza verso di lui esibita dai tre della tv, Maurizio Costanzo, Bruno Vespa ed Emilio Fede ‚Äì induce i suoi a guardarlo ancor pi√π in cagnesco come, per analoghi motivi, √® guardato dalla parte opposta il vicepresidente del Senato Domenico Fisichella, sempre pronto a far valere la ragion critica. Qualcuno per√≤, anche nel mondo berlusconiano, non √® pi√π disposto a dirsi filodalemiano. E in genere si tratta ( come del resto a sinistra) di persone che in passato avevano un debole per lui. Giuliano Ferrara lo ha paragonato a quel reverendo Moon che plagi√≤ Milingo. Un lettore del ‚ÄùFoglio‚Äù lo ha corretto: meglio far riferimento al reverendo Jones che nel 1978 in Guyana si avvelen√≤ con novecento seguaci. Sandro Bondi, ex comunista come Ferrara, gli d√† del tracotante. Arturo Diaconale, direttore de ‚ÄùL‚ÄôOpinione‚Äù , sostiene che ‚Äùtentenna e cincischia‚Äù.‚ÄôUn bel giorno ci innamorammo di lui come capo del governo‚Äù, lo sfotte sul ‚ÄùFoglio‚Äù Andrea Marcenaro, ‚Äù poi la cosa fin√¨ come fin√¨‚Äù.Per lui, in generale, tira una brutta aria. [...] Ha scritto tempo fa Giorgio Ruffolo: ‚ÄùNel rigetto del dalemismo da parte di uno strato significativo del partito, c‚Äô√® molto pi√π della reazione a uno stile personale sprezzante; c‚Äô√® il fondo antico di ripugnanza a una politica riformista che, come tutte le politiche riformiste, comporta dei compromessi; c‚Äô√® la tentazione dello sdegno sistematico e della contestazione permanente, espressionistica e rivendicativa, che si sottrae al calcolo della reazioni, delle conseguenze non volute, dei costi, come a pericolosi scivoli verso il tradimento‚Äù [...]¬ª (Paolo Mieli, ‚ÄùCorriere della Sera‚Äù 12/10/2002). ¬´Qual √® il giorno in cui un giovane comunista, nato e allevato per diventare un leader, anzi un dirigente del Partito comunista italiano, subisce il battesimo del realismo? Qual √® il momento in cui perde l‚Äôingenuit√†? Il ‚Äùpioniere‚Äù Massimo D¬¥Alema, il ragazzino che esordisce pubblicamente con un discorso formidabilmente socialista davanti a Palmiro Togliatti (‚ÄôMa quello non √® un bambino, quello √® un nano‚Äù), il predestinato D‚ÄôAlema vede forse svanire le illusioni quando il partito lo manda al funerale di Jurij Andropov con il segretario del Pci Enrico Berlinguer. Berlinguer lo prende da parte, dopo un modesto incidente logistico o diplomatico, riguardante la corona di fiori del Pci, e gli dice: ‚ÄùVedi, questa √® la prima legge generale del socialismo reale. I dirigenti mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario. La seconda √® che l‚Äôagricoltura non funziona. Mai, in nessuno di questi paesi. La terza, facci caso, √® che le caramelle hanno sempre la carta attaccata‚Äù. Nel suo libro L‚Äôultima volta a Mosca. Enrico Berlinguer e il 1984, D‚ÄôAlema confessa di essere stato colto da ‚Äùun singulto di riso‚Äù, mentre vedeva Berlinguer fingere di liberarsi le dita dalla carta appiccicosa delle caramelle sovietiche. In quel momento di ilarit√† anticomunista si pu√≤ far cominciare la carriera di un leader secolarizzato, disincantato, ateo in politica e in religione, che conosce tutte le tecniche della manipolazione politica, gli automatismi del centralismo democratico, i segreti delle manovre di corridoio, ma che ha gi√† visto disgregarsi la cattedrale della fede. Agli occhi dei militanti, della base che lo accoglie con entusiasmo unanime in ogni festa dell‚ÄôUnit√†, D‚ÄôAlema √® il depositario della tecnica di partito, cio√® di un modo di agire e di essere. Approvano, infatti, i ‚Äùcompagni‚Äù, quando Baffino sospira di fronte all‚Äôennesima svolta di Achille Occhetto: ‚ÄùAnche oggi abbiamo fatto la solita pulcinellata‚Äù. Troppo eccentrico un segretario come Akel, il movimentista, l‚Äôingraiano: uno che fa la sua Bad Godesberg alla Bolognina, con trent‚Äôanni di ritardo rispetto ai socialisti tedeschi ma con l‚Äôaria trafelata di chi sta fuggendo per non prendersi in testa i mattoni del Muro. I militanti pi√π tosti sono convinti che D‚ÄôAlema non avrebbe mai permesso che la metamorfosi del Pci coincidesse con la scissione di Rifondazione comunista. Nella psicologia politica e nella mentalit√† organizzativa del comandante Massimo non c‚Äôera spazio per una trasformazione cos√¨ violenta da spezzare in due il partito. Anche nell‚Äôimmaginario dei militanti D‚ÄôAlema √® il realismo. La sua forza √® la Realpolitik, cio√® la convinzione che la politica va guardata senza illusioni e senza ipocrisie. Quindi lui non si stupisce troppo quando la ‚Äùgioiosa macchina da guerra‚Äù messa insieme da Occhetto viene battuta dall‚Äôoutsider Berlusconi. Affronta il bipolarismo con radicalit√†, accettandone tutte le implicazioni. Si rende conto che lo schema dell‚Äôalternanza pu√≤ favorire l‚ÄôItalia moderata che si rifugia sotto l‚Äôombrello di Forza Italia, ma nello stesso tempo capisce che il sistema maggioritario sdogana anche l‚Äôex Pci, lo trasforma in forza di governo. D‚ÄôAlema pu√≤ concedersi frivolezze come ‚Äùsono un vecchio bolscevico‚Äù, e confessare di avere tirato una bottiglia molotov negli anni duri. Ma in realt√† √® la figura che riassume la vocazione governativa del vecchio Pci. Di fronte alle incertezze o alle divagazioni di Romano Prodi si sente autorizzato a sbattergli in faccia tutta la sua collera, l‚Äôorrore del politico davanti agli errori del dilettante. Ci litiga orribilmente, nel marzo 1995: eppure il giorno dopo, in un cinema del centro di Roma, la Sala Umberto, fa un numero cosmico, senza salire sul palco, con un‚Äôesibizione di forza implicita, che non ha bisogno n√© di gonfiare i muscoli n√© di ricercare liturgie sofisticate: ‚ÄùLei √® il leader. Noi le conferiamo la nostra forza‚Äù. Il realismo diventa disprezzo quando a suo giudizio l‚ÄôUlivo inclina alla retorica. Baffino smentir√† mille volte di avere classificato Prodi e Veltroni come ‚Äùi due flaccidi imbroglioni di Palazzo Chigi‚Äù, tuttavia quella gelida sentenza sintetizza in modo perfetto la distanza fra il superprofessionista e gli usurpatori del ruolo che dovrebbe competergli. Se non √® vera, √® antropologicamente pi√π vera del vero. Quindi non c‚Äô√® da stupirsi se alla caduta di Prodi, dopo la crisi dell‚Äôottobre 1998, Baffino gli succede a Palazzo Chigi. E dire che solo poche ore prima, con la solita franchezza, ha dichiarato che agli eredi del Pci √® precluso il governo perch√© ‚Äùsiamo figli di un dio minore‚Äù. Ma D‚ÄôAlema non √® soltanto un postcomunista convinto che manda l‚Äôaviazione a bombardare la Serbia. un capo di governo che ha in testa un disegno politico, un profilo di societ√†, un quadro economico. Sa che l‚Äôinsediamento della sinistra √® precario, che l‚Äôestablishment diffida del suo partito, che Prodi ha urlato i suoi tre no, a Bologna, con Veltroni che gli teneva bordone, e poi ha fondato i Democratici annunciando con aspra ironia ‚Äùcompetition is competition‚Äù. Ma chi meglio di Massimo D¬¥Alema pu√≤ rivoltare la societ√† italiana come un guanto? Non √® mai stato un socialdemocratico, e quindi si permette di guardare con scetticismo allo stato sociale. Se si deve sbaraccare, non c‚Äô√® posto per i rimpianti. Va a Londra, e in un incontro alla City annuncia che in Italia si assister√† a una ‚Äùrivoluzione liberale‚Äù. Attacca con durezza Sergio Cofferati e la Cgil, dicendo che il sindacato √® ‚Äùsordo‚Äù alle necessit√† di modernizzazione del sistema italiano. Ma soprattutto ha un¬¥ambizione. Se l‚Äôestablishment economico del paese non ama la sinistra, se il capitalismo italiano diffida dei ‚Äùcomunisti‚Äù, tanto vale cambiare il capitalismo. Va letta cos√¨ la polemica contro ‚Äùquelli dell‚Äôuno e mezzo per cento‚Äù, la vecchia √©lite, a partire dalla Fiat, convinta di poter comandare senza rischiare nulla. La battuta di Guido Rossi ‚ÄùPalazzo Chigi √® l‚Äôunica merchant bank in cui non si parla inglese‚Äù √® un colpo di talento nel genere sarcastico ma √® anche riduttiva: con l‚Äôoperazione Telecom, con i ‚Äùcapitani coraggiosi‚Äù come Roberto Colaninno, D¬¥Alema e Pier Luigi Bersani immaginano una ‚Äùnuova classe‚Äù imprenditoriale che sostituisca quella vecchia, un establishment esausto e incapace di rischiare. Fallisce, tutto questo, perch√© anche il realismo ha le sue crepe. Perch√© la scuola di partito non aveva previsto la societ√† dell‚Äôindividualismo. Perch√© l¬¥Italia non ha voglia di shock. Andava bene la bonomia rassicurante di Prodi, andr√† benissimo il sorriso a quaranta denti di Berlusconi: ma il gelido efficientismo politico di D¬¥Alema si infrange su un incidente politico mischiato con un errore di valutazione (favorito da sondaggi troppo ottimisti). D‚ÄôAlema impegna il suo prestigio nella campagna per le elezioni regionali del 2000, crede di vincerle in bellezza, le perde malamente, e si sente obbligato, conme dicevano i vecchi comunisti, ‚Äùa trarne le conseguenze‚Äù. Non glielo imporrebbe nessuno. Da allora in avanti D‚ÄôAlema √® l‚Äôuomo migliore che ha perso la partita della vita. Il suo progetto di un ‚Äùpaese normale‚Äù, il programma intellettuale e politico condiviso con Giuliano Amato nella rivista Italiani-Europei, l‚Äôidea di un riformismo gestito con mano ferma, finisce in una impasse apparentemente priva di sbocchi. Vince praticamente tutto, dopo: riconquista il suo collegio da ‚Äùdeputato di Gallipoli‚Äù, come si √® sempre definito quando non aveva incarichi di vertice ma tutti lo guardavano come il capo effettivo; conduce una furibonda campagna alle europee, buttandosi dentro gli elettorati di partito, miscelandoli e ottenendo in cambio un plebiscito. Tutti sanno che √® davvero lui il ‚Äùl√≠der m√°ximo‚Äù, il simbolo della sinistra che governa, eppure tutti riconoscono nello stesso tempo che √® inutilizzabile, che il suo tempo √® passato o verr√†, se verr√†, in un tempo indistinto. Perch√© il centrosinistra abbia bisogno del realismo del grande cinico, dovranno venire tempi eccezionali, tempi straordinari: e si sa che i tempi interessanti sono quelli in cui scoppiano i problemi¬ª (Edmondo Berselli, ‚Äùla Repubblica‚Äù 1/2/2005).