Varie, 21 febbraio 2002
DALLA
DALLA Lucio Bologna 4 marzo 1943. Cantante. Autore • «I primi passi nel mondo della musica li muove suonando dapprima la fisarmonica, quindi il clarinetto, che resterà anche in seguito il suo grande amore musicale. Con questo strumento si esibisce in alcune formazioni di jazz tradizionale, prima di scoprirsi cantante e di esordire in questa veste su disco nel 1964, complice Gino Paoli che lo nota e lo introduce nell’ambiente discografico. Nel 1966 e nell’anno seguente tenta la carta del Festival di Sanremo, dove però viene oscurato dalla fama dei partners con i quali condivide le canzoni, vale a dire The Yardbirds (Pafff... bum) e The Rokes (Bisogna saper perdere). Nel frattempo matura come interprete e compositore (Il Cielo, 1967; Occhi di ragazza, 1970, portata al successo da Gianni Morandi), tanto che quando nel 1971 si ripresenta a Sanremo con la sua 4/3/1943 il riscontro di critica e di pubblico non tarda ad arrivare. La popolarità così conquistata viene consolidata l’anno successivo, sempre grazie a un’apparizione sul palcoscenico sanremese dove presenta Piazza Grande, che lo consacra cantante di successo e apre la strada alle ottime vendite discografiche di canzoni come Il gigante e la bambina (1971) e Itaca (1972). Non pago di questi successi, opera una decisa svolta nella sua produzione e, in collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi, dà vita a tre album discografici di capitale importanza per la sua carriera: Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976). I disegni melodici meno orecchiabili e dall’andamento spesso bizzarro e originale, lo spessore poetico dei testi, l’accuratezza degli arrangiamenti e la qualità dell’interpretazione vocale, giocata su frequenti cambi di registro e sul gusto per l’improvvisazione di provenienza jazzistica, definiscono un mondo musicale nuovo e autonomo rispetto alle mode e alle tendenze di quegli anni. Questi lavori, attorno ai quali costruisce anche alcuni spettacoli teatrali di esplicito impegno politico, lo allontanano per qualche tempo dal gusto e dall’attenzione del grande pubblico; in compenso però contribuiscono a fare di lui una delle figure più nuove e stimolanti del nostro panorama musicale. D’altra parte si tratta di una fase transitoria di maturazione che ci restituisce un interprete e un autore sicuro dei propri mezzi e all’apice della capacità creativa. Infatti già nel 1977 riconquista le vette delle vendite discografiche con l’album Come è profondo il mare, in cui debutta anche come autore dei testi delle proprie canzoni. In questa fase, aprendosi a una più distesa cantabilità, senza con questo rinunciare all’eleganza e persino al gusto della provocazione, ottiene numerosi successi (Ma come fanno i marinai, 1978; L’anno che verrà, 1979; Balla balla ballerino e Futura, 1980). Sempre a questi anni risale la trionfale tournée, denominata Banana Republic, effettuata insieme a Francesco De Gregori, in qualche modo replicata nel 1988 da un lungo e seguitissimo tour a fianco dell’amico Gianni Morandi (da cui l’album Dalla/Morandi) che ha l’esplicito obiettivo di avvicinare pubblici diversi. Nel frattempo viene pubblicata la canzone destinata a diventare rapidamente la sua creazione più nota e ammirata, ossia Caruso (1986), che gli vale riconoscimenti anche al di fuori dei confini nazionali e che conosce numerose interpretazioni di altri affermati cantanti. Nel 1990 è la volta dell’album Cambio (comprendente Attenti al lupo), il cui titolo programmatico non nasconde il desiderio di ridefinire ancora una volta la sua immagine, anche a prezzo di mitigare l’originalità della proposta. Questo ”nuovo corso”, non necessariamente più commerciale, ma semplicemente meno ispirato nella pur piacevole scorrevolezza e nell’indubbia professionalità, è riaffermato dalle successive prove discografiche, da Henna (1994) a Canzoni (1996, comprendente Ayrton e Canzone). Da ricordare infine le sue attività parallele, è molto presente infatti anche come produttore e compositore di musiche per film e per televisione» (Augusto Pasquali, Dizionario della Musica Italiana - La Canzone, Newton&Compton 19997). «Quando cominciai a suonare non avrei mai pensato di fare il cantante. Ero come un invasato, il jazz mi aveva preso: suonare per me era sacro e quando mi accadde di trovarmi al fianco di Chet Baker o Bud Powell mi sembrò d’impazzire di gioia [...] Sono un trasgressivo. Vado a istinto, uso il clarinetto in modo anomalo, per suonarlo davvero bisogna saper fare i concerti in mi bemolle di Mozart» (Vittorio Franchini, ”Corriere della Sera” 16/6/2001). «Piazza Grande è solo una canzone. Io non sono di quelli che hanno bisogno di sentirsi definire poeti, la canzoni non hanno a che vedere con la poesia, hanno una loro autonomia, sono frutto di un percorso loro, di una ricerca che ha una sua dignità e un suo posto nell’immaginario collettivo, nella memoria di tutti, credo che sia stato riconosciuto anche questo. La scrissi alle isole Tremiti nel ’71, poi la portai a San Remo, è stata una canzone che ha avuto sempre più successo col tempo, è stata cantata da Morandi e da Ron, l’argomento era aggregante al di là della forma musicale, si prestava ad una fruizione popolare [...] Quando feci la canzone era un luogo d’incontro e di dibattito, si discuteva di politica e di sport, c’erano i capannelli, un mondo scomparso che oggi potrebbe interessare gli antropologi. La piazza è sempre stata importante per Bologna che è una citta medievale ma tanti percorsi si sono persi. Oggi ci trovi i turisti, è un luogo di passaggio non è più un punto di riferimento [...] Ho studiato fino al primo liceo, ma a scuola andavo male, preferivo andare in giro a suonare. A 17 anni ero già a Roma a fare musica» (Marina Cavallieri, ”la Repubblica” 21/6/2001). Sul fenomeno delle ”canzoni estive”: « sempre una questione di marketing, anche quando vai al gabinetto ormai. Una parte degli autori e dei discografici decidono che le cose debbono andare in un certo modo e così vanno: un tempo, il fenomeno della marchetta estiva dava invece luogo a veri capolavori, anche se va detto che la canzone dell’estate deve essere dignitosamente stupida. E non è mica facile: spesso le canzoni che debbono esser stupide non le sono, prenda Vamos a la Playa, o la superestiva Un’estate al mare di Giuni Russo, e anche il tormentone più recente Mambo N.5 di Lou Bega [...] Il tutto nasce per essere chewing-gommoso. Anch’io ho scritto tante canzoni cretine, che afferrassero la gente per il colletto e gli facessero ascoltare il resto del disco, come Attenti al lupo o Ciao, presa per una canzone cretina mentre non lo era [...] D’estate bisogna smettere di essere critici: siamo al mare, mica si mangia il capriolo. Se vai a Milano Marittima e fai 7 chilometri sulla spiaggia, senti in un botto tutti i successi della stagione. Invece Sapore di sale la sceglievi, ti abituavi all’ascolto e alla selezione qua litativa della vita [...] Non ascolto mai la radio, ma certo il meccanismo radiofonico è perverso, si abbassa la soglia critica, i network hanno sempre grande bisogno di qualcosa di particolarmente stupido. La scelta dell’utente però c’è ancora: se arrivano tante telefonate ai network, dovranno pur tenerne conto» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 15/8/2001). «Sono stato un pioniere del telefono da portarsi appresso, avevo una centralina montata su un gippone, tanti anni fa, con la quale potevi comunicare ma solo con certe grandi città, Roma, Bologna, Milano, Firenze, Torino; era un oggetto come un meteorite [...] Le mani intorno alla bocca sono un primitivo mezzo meccanico per aumentare il volume della voce, una prima forma semantica della tecnologia. E poi il continuo inventare e perfezionare macchine è una prova della superiore fiducia dell’uomo in se stesso. In un certo cinema americano, che non è di sperimentazione pura, l’uomo vince sempre sulla macchina che ha creato. E invece la lotta tra l’uomo e la macchina ha aspetti molti più ambigui: la macchina può vincere assai facilmente. Non pensiamo a Kubrick e al mirabile Odissea nello spazio, in quel caso l’autore è ancora troppo scopertamente dalla parte dell’uomo. Pensiamo a Matrix. La tragedia greca, il mito, si fondano su questa stessa lotta. Come Prometeo... Matrix del resto è pieno di allusioni al mito greco perfino nei nomi, Morpheus, Neos... [...] Io sono eccitato da questo mondo, da questo brusio indistinto che sale dalla strada [...] La tv è come un caminetto con il pubblico che ci si mette di fronte e gli attori, o chiunque vada davanti alle camere, diventano come i ceppi che bruciano nel camino» (Alvise Sapori, ”la Repubblica” 10/10/2001). «Balla ballerino e Futura sono nate come racconti. L’idea di Futura mi è venuta su una panchina a Berlino, al check point Charlie, dove mi feci lasciare dal taxi ispirato dall’atmosfera del luogo. Avevo suonato all’Università, e stavo andando al concerto dei Genesis. Dopo un po’ da un taxi scese Phil Collins. Si sedette su una panchina che era di fronte alla mia» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 19/1/2002). «Mi si ruppe la barca, ero tra Sorrento e Capri, mi ospitarono degli amici proprietari dell’albergo dove morì il grande tenore Enrico Caruso. Per tre giorni sentii raccontare la storia del maestro e di quella ragazzina a cui dava lezione di canto e di cui era innamorato. Mi raccontavano di come, in punto di morte, gli fosse tornata una voce così potente che anche i pescatori di lampare la udirono e tornarono nel porto per ascoltarla. Caruso è nata così [...] I veri poeti sono come i bastardi, tutti li accarezzano, ma nessuno li vuole in casa [...] Da Roversi ho imparato tutto, a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra casa l’emozione pura. Perché quello esprimeva Roversi nonostante volesse consegnare al pubblico italiano una canzone civile. Ogni volta che scrivo qualcosa vado da lui e mi basta il fuoco o la noia che vedo nei suoi occhi per capire se ho fatto bene o male» (Cristina Taglietti, ”Corriere della Sera” 18/4/2002). Su 4/3/1943: «Non aveva sedici anni quel giorno la mia mamma, ma più di quaranta. Il babbo non ”veniva dal mare” ma dall’entroterra [...] Oggi non si può pensare di essere solo un cantante, nella vita il fatto che si canti è saltuario, è un fenomeno isolato, sono le allodole che cantano sempre. Così ogni mio progetto va oltre la musica. [...] Ho sentito sempre una distanza ogni volta che lavoravo insieme a un giovane cantante. Cosa che, del resto, è capitata molto spesso. Quanto alla possibilità di considerare qualcuno il mio successore, no, non trovo nessuno. E poi io non sono di facile riproducibilità (ride). Cambio continuamente, cambio troppo spesso. Probabilmente perché ho sempre fatto la mia strada senza pormi ostacoli né limiti. Ho sempre avuto, ho e avrò voglia di cambiare» (Alvise Sapori, ”la Repubblica” 28/2/2003). «Io non ho il mito dei ricordi, ma credo nella memoria. Che per me è un misto di memoria storica e memoria liscia. Una sorta di nebulosa che interroga e poi ti risponde da zone misteriose, forse dalla coscienza. Questa memoria mi manda segnali, mi raddrizza, mi mette in tensione. sempre stato così. Nella mia produzione non c’è mai il presente, ma sempre una specie di commistione tra passato e futuro. Le mie canzoni L’anno che verrà, Telefona tra vent’anni, Il motore del Duemila, Futura sono questo. [...] Non voglio vedere significati trascendentali a tutti i costi, ma di fatto è come se esistesse un mondo parallelo che mi consente di entrare ed uscire e di spaziare tra passato e futuro. come con la musica, se si pensa che io non conosco neanche una nota. [...] Fin da prima della guerra mia madre, sarta a Bologna, veniva spesso alle Tremiti, in Molise, in Puglia. Aveva una vasta clientela. Qui non c’erano negozi di moda e mia madre portava le novità dal nord, i modelli più recenti. Quando avevo quasi dieci anni, nel ’53, una cliente pagò mia madre con una casa alle Tremiti. Cominciai a passare qui tutte le estati. Ricordo quando mi dettero una maschera subacquea; ero un bambinetto e vidi per la prima volta il mondo del mare. Piante, coralli, rocce. Che grandissima emozione; fu come un pugno in faccia, come il primo bacio. Non l’ho mai dimenticato. Anzi, cominciò così il mio grande amore per il mare. Molti anni dopo, pescando nella mia nebulosa, scrissi Come è profondo il mare. Le isole Tremiti favoriscono il mio modo visionario di raccontare il mondo. Ma io amo molto anche la Sicilia; ho una casa a Milo, me la fece comprare Franco Battiato qualche anno fa e ne sono felice. La Sicilia, per me appassionato di arte tedesca e europea, è una terra meravigliosa, estetizzante, che connette le tante culture che l’hanno attraversata, tramite gli artisti viaggiatori che l’hanno percorsa. Ma se la Sicilia è il luogo delle culture, le isole Tremiti sono il mio luogo vitale. Qui vivo a Cala Matàna. La mia casa l’ho comprata alcuni anni fa e l’ho ristrutturata per istallarci uno studio di registrazione completo. Dal mio studio si vede il convento e, più giù il mare e la cala tra i pini. Quando c’è la luna non esiste persiana che possa avere ragione della luce che c’è. E allora Cala Matàna diventa talmente bella, bella in modo così imbarazzante che anche le cicale smettono di cantare [...] Adoro il cinema americano e adoro Matrix, uno e due. Il primo l’ho visto 19 volte, penso sia la sceneggiatura più perfetta degli ultimi vent’anni. Un film così visionario...come me [...] Sono un nomade dell’anima, certo. La mia anima non sta mai ferma. E la mia forza motrice è la curiosità. Io non rivedo mai quello che faccio. Finita una cosa, perdo ogni interesse e guardo avanti. Un prodotto concluso è come una pastiglia che s’ingoia. Non si torna indietro. La prova per me è che, le poche volte che ho provato a rivedere qualche cosa, non mi è piaciuto» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 15/7/2003).