varie, 21 febbraio 2002
DཿAMATO Antonio
D’AMATO Antonio Napoli 16 giugno 1957. Industriale. Presidente della società di packaging Finseda. Ex presidente di Confindustria (2000-2004) • «Guida un gruppo industriale leader in Europa nel settore dell’imballaggio per alimenti. Il suo quartier generale è ad Arzano, nel napoletano» (Guido Gentili, ”Corriere della Sera” 4/2/2001). «Antonio D’Amato è un uomo che nasconde un’insospettata allegria. Non che si fidi subito, anzi trattiene a lungo la voglia di lasciarsi andare. [...] imprenditore ricchissimo [...] presidente della Confindustria, è soprattutto un napoletano. Di quelli che, sia pure travestiti dal potere, restano esuberanti e frontali, prendono gusto alla conversazione e soffrono se per prudenza devono tenersi in gola una battuta o una confidenza. Scoppiano allora in sonore risate con le quali chiamano l’interlocutore alla complicità, quasi a chiedergli scusa se non gli apriranno del tutto il cuore. [...] ”[...] La Confindustria, sotto la mia presidenza, è sempre restata autonoma dalla politica, attenta solo a privilegiare ciò che rende più competitivo, più forte, e di conseguenza più equo, il Paese. [...] all’assise della Confindustria di Parma del 2001, dove proposi un serie di riforme molto apprezzate anche da Rutelli. Berlusconi dimostrò il suo entusiasmo con qualche frase scherzosa. Ma non sempre è riuscito a dar seguito a quell’entusiasmo [...] Io sono un uomo del Sud e le mie passioni civili non possono che nascere dalla realtà sociale che conosco fin dalla nascita. Al Sud c’è gente che vive l’intera esistenza in quartieri degradati e abusivi, si lava e si illumina prendendo abusivamente l’acqua e la luce, evade l’obbligo della scuola, fa lavoro nero in scantinati invivibili. E contribuisce a formare quella quota patologica di prodotto proveniente dal lavoro sommerso che è una piaga tutta italiana. Ecco, io sogno un Paese dove tutto ciò non esista più [...] La mia è una cultura industriale che vuole un capitalismo più aperto e democratico e uno sviluppo che, creando ricchezza e competizione, elimini questi degradi. Sono e resto liberale. Lo ero fin da ragazzo quando, al ginnasio, dirsi tali significava essere guardati come alieni”. Cosa ne sapeva a 15 anni del liberalismo economico e politico? ”Quasi niente, ma ero cresciuto in una famiglia dove si respiravano questi princípi e se ne discuteva anche spesso. Pensi che una volta, a 16 anni, tenni pubblicamente testa anche a Francesco Compagna sostenendo che al Sud c’erano imprenditori che avevano voglia di cambiare le cose. Certo, a scuola, fu difficile mantenere il punto. Erano gli anni degli scontri tra fascisti e comunisti con teste rotte quasi ogni giorno. Io stavo proprio in mezzo e litigavo con tutti e due”. Posizione difficile a quei tempi. Non prese mai botte? ”Spesso, da entrambi i gruppi. Ma ero tostariello e resistevo. In seguito ho capito che quegli anni, con quella testarda scelta di campo controcorrente, mi hanno fatto da palestra, aiutandomi a tenere la rotta dritta anche più tardi, quando mi sono trovato alla guida di organizzazioni complesse come l’Associazione industriali o la Confindustria. Certi risultati, come la riforma del mercato del lavoro da noi sostenuta, si ottengono solo se si dimostra rigore e libertà”. [...] davvero si sente libero dal potere politico? ”Completamente. Lo sono sempre stato. Quando, alla fine degli anni Ottanta, ero a capo dei giovani industriali, ho condotto assieme a loro aperte battaglie proprio contro l’intreccio di imprese, partiti e istituzioni. Erano gli anni precedenti a Tangentopoli e noi denunciavamo già una situazione insostenibile. Ma sa quali sono i tre requisiti di questa mia libertà? [...] La possibilità di essere autonomi nella testa, autonomi nella tasca e autonomi nel cuore. La testa l’abbiamo vista. La tasca non è un problema perché sono ricco e, con molte aziende e molti clienti all’estero, non dipendo da nessuno”. E sul cuore come si fa? Non mi dica che sa comandare anche alle passioni. ”Forse non so comandarle ma so indirizzarle. Su questo punto mi tengo al grande insegnamento di mio padre, che ha trasmesso a me e a mio fratello il valore indispensabile del rispetto di se stessi”. Che tipo era suo padre? ”Un uomo dal carisma straordinario. Quando è scomparso, nel 1991, non ho perso solo un padre, ma un maestro e un mentore, quelli che in genere si trovano più tardi, fuori dalla famiglia. Con lui invece ho condiviso tutto: l’affetto e l’impegno quotidiano, il confronto e lo scontro, insieme all’intensità del lavoro. Pensi che quando avevo appena 21 anni decise che ero pronto a dare la mia prima prova e mi spedì a risanare, da solo, una fabbrica in Veneto. Ricordo che era il mese del rapimento di Moro [...] Superai la prova brillantemente. Del resto, già a 14 anni avevo cominciato a stare in fabbrica almeno un mese all’anno, lavorando sulle macchine a rotocalco. Più tardi sono andato in giro con i venditori, a vedere come si fa. Insomma, sono cresciuto in azienda, sotto gli occhi di mio padre”. Lui come aveva cominciato? ”Dal nulla. Proveniva da una famiglia della media borghesia, ma era rimasto orfano quando aveva appena sei mesi, nel 1930. La famiglia aveva vissuto di quello che aveva fino alla guerra, dove poi perse tutto. Papà cominciò a lavorare che aveva appena 15 o 16 anni. Fece molti mestieri finché non provò a vendere bicchieri di carta fabbricati da una piccola azienda napoletana. Era un prodotto nuovo su un mercato che si apriva e fu la chiave di volta del suo successo. A 34 anni aveva la sua prima fabbrica di contenitori di carta [...] Io vivo tanto intensamente le mie giornate che quando vengo chiamato [...] a ripercorrere la mia vita, sono assalito da un senso di estraneità. Mi sembra di assistere al film su un altro [...] Leggo come un pazzo anche tre libri al giorno. Quando ho bisogno di trovare una soluzione a un problema riesco a rilassarmi solo in una libreria o davanti a una biblioteca. Divoro saggi di storia, politica, economia e poi la sera, per pulirmi la testa, leggo libri gialli [...] I napoletani hanno grandi passioni, ma sono rimasti profondamente illuministi. un vantaggio, ma è anche un limite quando diventa pretesa di guidare i popoli attraverso la ragione degli eletti. Io cerco però di fare un uso moderato e limitato a me stesso di questo spirito razionale [...] Gli faccio fare da arbitro ai miei istinti, non sempre addomesticabili. [...]”» (Stefania Rossini, ”L’Espresso” 18/9/2003).