Varie, 21 febbraio 2002
DANIELE
DANIELE Pino Napoli 19 marzo 1955. Cantante. Autore. Chitarrista autodidatta ha caratterizzato il proprio stile per la fusione fra blues e melodia napoletane che, con il tempo, si è aperto alle contaminazioni con la world music. Fra le collaborazioni di maggior rilievo quelle con Wayne Shorter, Richie Heavans, Chick Corea, Pat Metheny, Salif Keita. Dischi: Terra mia (1977), Pino Daniele (1979), Vai mo’ (1981), Bella ”mbriana (1982), Musicante (1984), Le vie del signore sono finite (1988), Mascalzone latino (1989), Un uomo in blues (1991), Sotto o’ sole (1991), Che dio ti benedica (1993), Non calpestare i fiori nel deserto (1995), Come un gelato all’equatore (1999) ecc • «Faccio tutto da me, quattro lavori insieme, il chitarrista, l’autore, l’arrangiatore, il produttore, qualche volta addirittura il discografico, così io sono finalmente libero. [...] Quello che mi interessa è fare una ricerca perché amo la musica. La musica è arte, non solo intrattenimento o pubblicità: la musica sta subendo, come tutto del resto, l’invasione del mercato, tutto diventa mercato e non va bene. Gli artisti che possono fare arte hanno il dovere di farla, non per fare un singolo di successo, o vendere l’album, andare tv, o per sentirsi acclamati. Ai ragazzi gli fanno sognare che saranno famosi, il successo facile, la notorietà immediata dei reality show, nulla che sia vero e solido. Allora io cerco di fare cose diverse, cerco di restare attaccato ai miei punti fermi. Un punto fermo è Paolo Conte, è Fossati, è stato Sinopoli, lo sono Muti, Eduardo, Django Reinhardt [...] Dopo trent’anni di messaggi, dal ”77 a oggi, dopo tutte le Feste dell’Unità, i dischi incazzati, la rabbia contro quello che non andava e che ancora non va, tutto quelli che ora devi fare è lanciare un messaggio di pace. Non serve prendere le armi, anche se si vedono cose che fanno schifo. Con la musica ho trovato il modo di comunicare con tante culture e popoli diversi e ho capito soprattutto una cosa: che alle persone devi dare amore e cultura. Con le parole che dico nelle canzoni cerco di trovare una speranza per andare avanti» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 21/4/2004). «Il mio pubblico è fatto di persone che hanno ancora voglia di ascoltare, gente che non trattano la musica come fosse un abito da considerare bello perché di moda […] La gente ha perso il culto per l’oggetto disco, quella che provavamo noi giovani degli anni Settanta quando esisteva il vinile. E ha anche molto meno tempo per dedicarsi all’ascolto, occupata com’è tra playstation e computer. La musica è ridotta a intrattenimento, a sottofondo. La crisi scopre le responsabilità di una classe dirigente che, sia a destra sia a sinistra, preferisce fermarsi alle apparenze, all’estetica ed evita l’approfondimento. un momento molto difficile perché se non si vende si finisce per non investire e così la creatività musica non gira ma si ferma» (Gloria Pozzi, ”Corriere della Sera” 11/4/2002).