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 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DE BORTOLI Ferruccio Milano 20 maggio 1953. Giornalista. Dal marzo 2009 direttore del Corriere della Sera, carica già ricoperta dal 1997 al 2003

DE BORTOLI Ferruccio Milano 20 maggio 1953. Giornalista. Dal marzo 2009 direttore del Corriere della Sera, carica già ricoperta dal 1997 al 2003. Dal 2004 al 2009 direttore de ”Il Sole-24 Ore” • Laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano. Nel ”73 ha cominciato a lavorare per il ”Corriere dei Ragazzi”, dove è rimasto come praticante per un paio d’anni, per passare quindi al ”Corriere dell’Informazione” dove è stato articolista fino al ”78. Nel 1979 l’approdo al Corriere, occupandosi soprattutto di economia, sindacale e attualità politica. Successivamente è stato caporedattore dell’’Europeo” e dello stesso ”Sole 24 Ore”. Tornato al ”Corriere” nel 1987, con la qualifica di caporedattore dell’economia e commentatore economico, è stato nominato vice direttore nel dicembre del ”93. Poco più di tre anni dopo, la nomina al vertice giornalistico del quotidiano di via Solferino che ha lasciato nel maggio del 2003. La sua direzione al Corriere è stata una delle più lunghe degli ultimi decenni: una longevità che secondo molti è stata possibile per il rapporto costruito con l’Avvocato Agnelli. Alla guida del ”Sole” lo ha voluto con determinazione il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. «Ferruccio de Bortoli (con ”d” nobiliare, come da firma) ha sdoganato ogni possibile direttore del ”Corriere della Sera”. Nel senso che dopo di lui chiunque potrà essere nominato senza scandalo. Eppure, Ferruccio de Bortoli è stato ed è un grande direttore del Corriere della Sera. presto e forse esagerato dirlo; ma è anche possibile che venga ricordato un giorno come uno dei più grandi. Carriera interna. Quando lo nominarono, non lo conosceva nessuno. Né i lettori, né gli addetti ai lavori. Alzi la mano chi ricordasse un articolo, un’intervista, un libro, una corrispondenza che recasse la sua firma. Capo dell’economia - posizione storicamente redditizia in via Solferino - vicedirettore di Mieli, stimato da Romiti. Queste erano le sue credenziali. In sei anni, de Bortoli ha retto l’assalto di ”Repubblica", irrobustito il carattere nazionale della testata (che da sempre vende oltre tre quarti delle copie in Lombardia) aprendo dorsi locali ben fatti e ben diretti, guidato con fermezza la redazione senza provocare un giorno di sciopero. Fermo con Berlusconi. stato corretto ma fermo con la proprietà come con il cdr. Soprattutto, è stato fermo con Berlusconi, senza snaturare il giornale, senza portarlo a sinistra (cosa non difficilissima, basta chiedere di tanto in tanto un fondo a Galli della Loggia). [...] Nobile o galantuomo? Del centinaio di assunzioni, non ce ne viene in mente una, a parte il passaggio di Giuseppe D’Avanzo. Non ha lanciato nuove firme. Ha riprodotto il felice schema di Mieli: opinionisti moderati ma autonomi, spazio a irregolari di sinistra, Mo in trincea, Vaccari (finché c’è stato) alla Borsa di Singapore, Folli in rubrica, Stella e Merlo in prima. Ha perso una giornalista animata da un coraggio forse troppo assecondato, l’ha nominata inviata in morte, l’ha pianta in pubblico ma sinceramente. Ha rivolto la sua attenzione a temi trascurati da altri giornali eppure cruciali: ad esempio la strage per incidenti stradali» (’Il Riformista” 29/5/2003). «Tra tutti coloro che si sono avvicendati alla testa del Corriere negli ultimi anni, De Bortoli è stato il più decisamente ”corrierista” (si chiamano così, tra loro, i giornalisti della testata milanese, a significare un’appartenenza, una specificità e in molti casi la convinzione di essere la migliore espressione del giornalismo nazionale): era entrato in Solferino che aveva ancora le brache corte, poi era tornato, dopo una breve esperienza esterna, come caporedattore dell’economia e poi vicedirettore, ed era stato scelto come successore da Paolo Mieli. Il peggio – la vicenda P2, il superamento in edicola da parte di Repubblica, la faticosa rincorsa per recuperare il gap d’immagine e di copie – appariva alle spalle. De Bortoli - per tutti in redazione ”Ferruccio", com’è inevitabile con chi è cresciuto in casa - scelse il low profile. Non era una bandiera come il vecchio Stille, non appariva (forse non voleva apparire) come l’uomo forte capace di governare una redazione dipinta come riottosa e difficile, non vantava trascorsi da intellettuale. Doveva fare i conti con una proprietà che dalla Fiat all’Hdp di Romiti, da Mediobanca a Banca Intesa e al Credito Italiano, da Pirelli a Lucchini rappresenta gran parte del potere economico italiano, con interessi spesso divergenti. E si trovava a fronteggiare il mondo della politica, deciso a riaffermare il proprio primato, dopo lo sconvolgimento di Mani pulite. In mezzo a tante spinte contrapposte, De Bortoli ha praticato una linea di onesto galantomismo e ha mostrato piglio ed equilibrio. [...] In sostanza, ha fatto il suo mestiere di giornalista. Con prudenza e con stile: come è tradizione di un giornale che non vuole apparire di parte ma rispecchia i potentati nazionali e che, un po’ per nobilitarlo e un po’ per devitalizzarlo, viene definito un’istituzione. Con determinazione e onestà intellettuale. Non a caso è finito sotto il tiro di poteri forti od oscuri, non a caso si è scontrato con D’Alema ed è da tempo al centro del mirino di Berlusconi, che sembra considerarlo un pericoloso estremista e addirittura ha finto, il 28 marzo a San Giuliano di Puglia, di scambiarlo col direttore del ”Manifesto”.Per indole, De Bortoli è stato un direttore «di macchina», nel senso migliore del termine: attento all’artigianato, alla fattura delle pagine, alla vivacità cronistica di un giornale che deve stimolare gli intellettuali e piacere anche ai commercianti e ai taxisti, soprattutto a Milano. Ma spesso ha scritto, lasciando il segno: come quando, con un suo fondo, ha schierato il Corriere contro la guerra in Iraq. Senza teorizzarlo, De Bortoli è stato un ”terzista", com’è di moda dire per indicare chi non ama intrupparsi in uno schieramento, di sinistra o di destra. Ma non si è nascosto l’evidenza e non ha evitato di criticare gli aspetti più macroscopici del conflitto di interessi e della politica giudiziaria del centrodestra» (Giulio Anselmi, ”la Repubblica” 30/5/2003).