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 2002  marzo 18 Lunedì calendario

Verdelli Corrado

• Lodi 30 settembre 1963. Ex calciatore, campione d’Italia con l’Inter nel 1988/89. Diventato allenatore, ha guidato la primavera nerazzurra alla vittoria nel torneo di Viareggio 2002 • «’In Borsa non si gioca, si gioca al Casinò. Ecco perché la gente butta i soldi. In Borsa si investe: questa è la prima cosa che mi hanno insegnato”. Corrado Verdelli ”investe” ancora in azioni, ma soprattutto investe in giovani, quelli dell’Inter, con cui questo ex giocatore di buona tecnica e di pensieri alti ha riportato in bacheca, dopo 16 anni, il trofeo che premia il vincitore del torneo di Viareggio. Questa è la sua storia, la storia di un ragazzo della Bassa, una specie di Torricelli in anticipo. ”Sono arrivato in serie A direttamente dall’Interregionale, proprio come lui”. Al contrario dei suoi assistiti, cresciuti con gli occhi dell’Inter addosso, alcuni fin dai primi calci al pallone, Verdelli cominciò a Lodi, la sua città natale, nel mitico Fanfulla. Da lì passò all’Oltrepò. ”Due anni straordinari: fummo promossi dalla Promozione all’Interregionale”. Come per Torricelli, falegname in un mobilificio, anche per Verdelli il calcio non era il primo mestiere. ”Ho lavorato due anni presso un agente di cambio. Ero uno di quei tizi scatenati che si vedevano nei filmati o nei film dell’era pre- telematica, quelli che si agitano e urlano con un foglietto in mano”. Passa dall’Oltrepò all’Inter grazie a Giovanni Trapattoni, che butta l’occhio in provincia e si accorge di questo difensore centrale, anzi, un libero, uno degli ultimi specialisti del settore nell’era pre-sacchiana. Campionato 1986-87: serie A, nell’Inter. Verdelli però non esordisce, ma passa la stagione a curarsi dalla pubalgia. Passa al Monza in C1 l’anno dopo, ma torna alla casa madre giusto in tempo per collezionare 20 presenze nella squadra che vince lo scudetto dei record (1988-89). Sono 27 un anno dopo, poi c’è l’addio all’Inter e la lunga militanza, sette anni, con la Cremonese. ”Da professionista ho finito lì, poi, circolarità del calcio, sono ritornato al Fanfulla. Un anno da giocatore e poi in panchina: alle giovanili, quindi con la prima squadra. Risultati: nella prima stagione la salvezza, poi il secondo posto in campionato e la finale di Coppa Italia. ”Abbiamo perso col Todi. Ci ho pensato alla vigilia della partita con il Torino, temevo il presentarsi della sindrome da finale”. Lo ha chiamato Beppe Baresi quando ha deciso di abbandonare la panchina della primavera per assumere la responsabilità di tutto il settore giovanile. Verdelli è tornato dalla campagna toscana con il suo primo trofeo. ”E’ importante, un segno di risveglio, darà un po’ di linfa a tutto l’ambiente nerazzurro”. Si considera un allenatore ”adattista”. «In questo senso: dall’alto c’è stata, giustamente, una precisa richiesta sul modulo (4-4-2, vedi Cuper, n.d.r .), che è anche quello che, personalmente, prediligo. Io però cerco di adattarmi ai giocatori che ho, cambio”. Già, i giocatori. Parliamone, perché qui il popolo nerazzurro vuole sapere chi è quell’uno su mille che ce la fa. ”Un tecnico non fa volentieri questi discorsi. Innanzitutto sottolineo che i ragazzi hanno dato l’anima, non c’è solo il valore tecnico, ma anche il valore morale, perché altrimenti non si va avanti. Glielo dico sempre: studiate, siate seri. Se non possedessero questi puntelli non avrebbero retto lo sforzo incredibile a cui sono stati sottoposti: 7 partite in 13 giorni. Abbiamo giocato gli ottavi il mercoledì e i quarti il giovedì» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 13/2/2002).