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 2002  giugno 11 Martedì calendario

Scalfaro Marianna

• Novara 27 novembre 1944. I genitori avevano scelto per lei il nome di Gianna Rosa: un nome che Oscar Luigi Scalfaro volle presto cambiare in Marianna, per onorare la moglie morta 17 giorni dopo il parto, e che si chiamava appunto così. Quel lutto, l’ex presidente l’ha elaborato decidendo di non risposarsi, mentre per la figlia ha significato un’infanzia vissuta tra le zie e gli studi al collegio del Sacro Cuore di Novara e un istituto in Valsesia. Verso i 15 anni ha cominciato un pendolarismo con Roma, mentre si laureava prima in psicologia e poi in teologia. Si è a lungo occupata di assistenza e volontariato, malati di Aids e giovani carcerati. Un’attività che non ha mai interrotto, pur affiancando il padre, prima al Quirinale e ora al Senato. "Ha sempre cercato di rendersi invisibile, soprattutto da quel 25 maggio 1992, quando entrò al Quirinale come ”first miss” al fianco del padre presidente. Fu subito assediata dalla curiosità, eppure non ha mai rilasciato una dichiarazione o un’intervista. Per sette anni. E quando nel ’99 è rientrata ”in clandestinità”, fedele a se stessa, ha continuato a proteggersi con il silenzio. Magrissima e minuta, ”la signorina di ferro”, come la chiamavano sul Colle, somiglia al padre non soltanto nel profilo, negli occhi chiari, nella erre blesa, ma anche nel carattere: intransigente. Vive ancora accanto a lui, tra Palazzo Giustiniani, dove l’ex capo dello Stato ha lo studio di senatore a vita, e una palazzina della periferia romana, a Forte Bravetta: un appartamento pieno di libri e ricordi, vecchi dipinti e mobili di famiglia, e una raccolta di icone. Parla di sé, Marianna, nata come Gianna Rosa e ribattezzata dopo 17 giorni con il nome della madre appena morta. Spiega tante cose, sia pur sorvegliandosi e tenendosi borderline se il discorso scivola su approdi troppo polemici e diretti. Racconta di quand’era considerata ”una ragazza difficile” proprio perché orfana troppo precocemente, dell’impegno fra gli handicappati, del periodo ”a Palazzo”, con il rischio di essere ”schiacciata” nella camicia di forza del protocollo o relegata a funzioni decorative mentre invece il suo ruolo, lì dentro, cresceva. Descrive le ansie di quella stagione, quando anche lei fu sotto attacco (con certe ”imboscate fotografiche” e con le minacce della Falange Armata). Confida le sue convinzioni di ”single tenace” e le speranze di allora e di oggi, alimentate anche da una forte sensibilità religiosa. [...] ”Avevo deciso di essere, in pubblico, silenziosa. Come ha detto qualcuno, ’la Costituzione non contempla la figura della figlia del presidente della Repubblica"’ e io volevo preservare la mia sfera privata. Ero però, per usare una formula di moda, ’silente ma non assente’, perché credo d’essere da sempre attenta alle tendenze sociali e partecipe dei problemi. E con un approccio da anticonformista, essendolo per natura e convinzione: cerco infatti di riflettere e agire ’sentendo’ il mondo al di là di ogni schema, al di là di ogni ’ringhiera’ avrebbe detto la Arendt [...] Ho fatto studi di psicologia. E poi di teologia. Ma sono stati importanti per me anche il teatro, il cinema, certi dibattiti: mi hanno allenata a capire il sentimento del tempo, a sintonizzarmi con gli altri [...] Tra i libri più letti in gioventù, quelli di Tolstoj, Pavese e Calvino. Mi ha segnato La gioia di credere di Madeleine Delbrel, con la sua fede nutrita dalla strada. Ho trovato denso e attuale Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt. Conosco bene Borges. Mi piace Magris. E mi appassiona la storia dell’arte[...] Trovo delicato Benigni, che ho conosciuto e che mi ha dedicato un divertente siparietto alla consegna dei David di Donatello, scherzando così: ’Mica male, Marianna, la sposerei. La bigamia, per il fatto che sono già sposato? Basterebbe un decreto del presidente per risolvere il problema’ [...] Tra i 15 e i 16 anni, quando ero giudicata una ragazza difficile perché senza mamma, ho vissuto un po’ negli Stati Uniti e, più tardi, a Londra. E ho subìto il fascino dell’Oriente, dell’Asia profonda. Viaggiavo per conoscere altre culture, allargare la mia visione delle cose. Forse a causa di queste esperienze, tutto mi è sembrato troppo presto vecchio, già vissuto[...] Lezioni più forti mi sono state date da persone con problemi e difficoltà di vita. Sono contenta d’averne date anch’io qualcuna a loro, dicendo ad esempio: ”Badate che avete i vostri diritti, e sono molti. Pretendete che siano attuati”. Insieme cercavamo di creare condizioni per un’esistenza più dignitosa, persino più bella. L’attenzione ai minori in difficoltà e ai disabili l’ho mantenuta in ogni momento. Non dimenticherò mai la descrizione del ricamo di una tovaglia fatta da una ragazza cieca e sorda [...] Al Quirinale capii subito che avrei rischiato d’essere schiacciata dai formalismi. Mi sentivo ripetere di continuo: ’Si è sempre fatto così’. Lì dentro erano pezzi storici perfino i tovaglioli rammendati e i centrotavola cui mancava solo il nastro per il caro estinto. Si può immaginare com’è stata la mia prima colazione con papà, quel giorno di fine maggio. All’inizio di quell’esperienza mi sono posta tante domande, ho cercato motivazioni per viverla. Mi sono detta: ’Non puoi soccombere’, per cui ho tirato fuori tutta me stessa [...] Per fortuna mio padre volle che il palazzo fosse ’aperto’, e migliaia di italiani ne hanno varcato le porte. Così, ho conosciuto donne e uomini semplici e splendidi. E lo stesso posso dire di molte organizzazioni solidaristiche. Non di tutte, però [...] Di fronte a tante realtà disumane, a volte mi sono ritrovata a chiedermi se certe organizzazioni servivano ai poveri o agli addetti ai lavori. Mi venne spontaneo coniare un motto: ’I poveri sono fonte di sussistenza e benessere per i ricchi’ [...] Ricordo la finezza di stile e la cultura dell’imperatrice del Giappone, in visita al Quirinale con l’imperatore. A Tokio, papà e io fummo invitati a colazione nella loro residenza privata. L’imperatrice mi raccontò vari episodi della sua vita di normale cittadina, quando frequentava l’università, e il vertiginoso passaggio alla corte imperiale. Mi presentò la figlia più giovane, nubile, con un ’ecco la mia Marianna’. ’Capisco questa presentazione’, risposi. ’Sono anch’io una single di profonda convinzione’ [...] Mi colpì la familiarità di Giovanni Paolo II. Mi chiese, intrattenendosi con me: ’Ha le stesse idee di suo padre?’. ’Non siamo omologati, Santità’[...] I viaggi con mio padre erano faticosi. Li si affrontava pensando al Paese, perché erano occasioni di conoscenza e amicizia fra Nazioni diverse, rinsaldavano legami o ne stringevano di nuovi, aprivano percorsi culturali o vie commerciali”" (Marzio Breda, ”Corriere della Sera” 26/5/2002).