Danilo Mainardi, Corriere della Sera, 14/7/2002 pagina 25., 14 luglio 2002
Alcuni animali, ad esempio l’aringa, depongono decine di migliaia di uova e subito dopo le abbandonano al loro destino (per mantenere l’equilibrio della specie basta che crescano un paio di esemplari)
Alcuni animali, ad esempio l’aringa, depongono decine di migliaia di uova e subito dopo le abbandonano al loro destino (per mantenere l’equilibrio della specie basta che crescano un paio di esemplari). Anche la falena delle farine (Ephestia kuhniella) non si prende cura dei figli, tuttavia ha l’accortezza di deporre le uova in un luogo ricco di amidi (castagne, granturco o frumento), necessari alle larve per trasformarsi in farfalle. Già tra gli invertebrati esistono cure materne molto più raffinate: i piccoli dello scorpione, appena nati, si arrampicano uno dopo l’altro sulle chele della madre, raggiungono il dorso e lì se ne stanno aggrappati. Se uno cade, lei porge una chela per aiutarlo a risalire. La gatta (e, con varianti, altri felini) insegna ai cuccioli come predare con una serie di lezioni istintivamente programmate: il primo giorno porta un topo o un uccello morto e lo mangia davanti ai figli; più in là consente loro di partecipare al banchetto e di giocare con la preda; infine gli offre una preda viva, seppur tramortita. Tra gli scimpanzé esiste una popolazione dove si pescano termiti con un bastoncino appositamente preparato. I giovani osservano gli adulti che infilano il bastoncino nel termitaio, aspettano un poco e poi lo ritraggono pieno di termiti. I giovani si esercitano e, un poco alla volta, imparano.