• Gli ambasciatori inglesi e sovietici a Teheran presentano un ultimatum al governo iraniano, ingiungendogli di accettare la “protezione” degli Alleati. Quasi contemporaneamente truppe sovietiche e inglesi irrompono nel paese: i sovietici, da nord, puntano direttamente sulla capitale, mentre gli inglesi, provenendo dal Golfo Persico e dall’Iraq, occupano il centro petrolifero di Abadan. Lo scià Reza Pahlevi denuncia l’aggressione. Il gesto degli Alleati ha, tra le altre conseguenze, quella di rafforzare la neutralità della Turchia. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
• In Iran, viene formato un nuovo governo che chiede l’armistizio agli Alleati. L’atto, in base al quale gli anglo-sovietici presidieranno i punti strategici del paese a eccezione della capitale, verrà sottoscritto l’indomani. Con questa occupazione gli Alleati hanno inteso premunirsi contro una possibile manovra a tenaglia da parte delle forze dell’Asse attraverso l’Egitto e la Siria. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
• Iran. Gran Bretagna e URSS firmano con l’Iran un trattato di alleanza in base al quale l’Iran si impegna a rimanere neutrale; le truppe inglesi e sovietiche saranno ritirate dal paese sei mesi dopo la fine del conflitto con le potenze dell’Asse. Il “corridoio persiano” diventerà una delle principali vie di rifornimento degli Alleati occidentali all’URSS. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
• Gli Stati Uniti si assumono la responsabilità diretta del controllo degli aiuti inviati all’URSS attraverso l’Iran. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
• Iran. L’aviazione americana assume la responsabilità, finora affidata a un’impresa privata, di una grossa officina, situata ad Abadan, per il montaggio degli aerei che gli USA forniscono all’Unione Sovietica. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Sotto il titolo «Inghilterra, Stati Uniti e Unione sovietica si dividono l’Afganistan» il giornale Duma pubblica la seguente notizia da Istanbul: «Si apprende da fonte autorizzata che l’Inghilterra, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno deciso alla Conferenza di Teheran di dirigere all’Afghanistan una richiesta comune, allo scopo dl ottenere una garanzia dei loro interessi e delle loro concessioni, analogamente a quella conseguita nell’ Iran. Gli Stati Uniti pretenderebbero le concessioni petrolifere nonché i relativi mercati, l’Unione sovietica le restanti materie prime e prodotti, mentre l’Inghilterra esigerebbe la concessione del controllo su tutto il movimento postale e telegrafico dell’Afghanistan. Mentre l’Inghilterra si interessa vivamente ai confini settentrionali dell’India e alla loro sicurezza, pretende in pari tempo il monopolio dl tutte le vie e mezzi di comunicazione dell’Afghanistan. Quale contropartita per queste richieste l’Inghilterra, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica si dichiarano disposti a riconoscere l’odierno Governo afgano e a garantirgli piena indipendenza in tutte le questioni inerenti all’esercito, all’economia e alla finanza. «Nel sottoporre queste richieste le tre Nazioni dirameranno una dichiarazione comune circa l’indipendenza dell’Afghanistan analoga a quella dell’Iran, dato che esse intenderebbero metter piede su larga scala nell’Afghanistan nei primi giorni di quest’anno» (dal Corriere della Sera).
SI apprende dal Cairo che la controversia diplomatica irano-saudiana sta prendendo una svolta inattesa. Il ministro dell’Iran nella capitale egiziana ha presentato al locale rappresentante dell’Arabia saudiana una nota con la quale il suo Governo chiede che le città sante della Mecca e di Medina siano amministrate da una commissione internazionale islamica. Secondo la proposta dal Governo iranico, in quella commissione dovrebbero figurare, oltre ai rappresentanti di tutti i paesi islamici, anche rappresentanti delle Repubbliche sovietiche le cui popolazioni siano prevalentemente islamiche. La nota iranica è stata notificata a tutti i Paesi maomettani interessati. Il ministro dell’U.R.S.S. nella capitale egiziana, ha dichiarato davanti ai rappresentanti della stampa estera che, in seguito alla nuova costituzione sovietica, tutte le Repubbliche sovietiche di religione maomettana nomineranno rappresentanti diplomatici presso tutti i Paesi islamici. Il Presidente dei ministri egiziano Nahas Pascià è stato ricevuto da re Faruk il quale si è interessato circa l’andamento della vertenza irano-saudiana
ANKARA - Nell’ Iran si sono verificati conflitti fra truppe sovietiche d’occupazione e la popolazione. In una strada di Tabriz la folla inferocita ha aggredito un gruppo di ufficiali sovietici ferendone alcuni gravemete. La polizia ha operato centinaia di arresti II coprifuoco e stato ordinato in tutto il paese. (Corriere della Sera)
Nell’ Iran si sono verificati, secondo informazioni da Teheran, scontri tra marinai sovietici e cittadini iraniani. I marinai russi hanno aperto il fuoco contro un folto gruppo di persone radunate per una manifestazione. Numerosi sono i morti e i feriti (Corriere della Sera)
LISBONA - Secondo una ordinanza delle autorità bolsceviche di occupazione nell’ Iran settentrionale d’ora innanzi sarà permessa la proiezione soltanto di pellicole sovietiche. L’ordinanza precisa che, in particolare, sono vietati tutti i film nordamericani, inglesi, francesi e arabi. (dal Corriere della Sera)
Gli Stati Uniti pongono improvvisamente fine al programma di aiuti previsto dalla Legge Affitti e prestiti (Lend-Lease) varata nel 1941. Un totale di 50,1 miliardi di dollari in materiale fu fornito agli Alleati.•11,3 miliardi all’Unione Sovietica; • 3,2 miliardi alla Francia; • 1,6 miliardi alla Cina. Alla Gran Bretagna fu venduto materiale al 10% del valore, con un interesse del 2% pagabile in 50 anni. Il debito inglese per questo ammontava inizialmente 1.075 milioni di sterline, ridotte poi a 42,5 milioni pagabili entro l’anno 2006. Secondo gli accordi con l’URSS per il Lend-Lease, tutti i sistemi di armamento dovevano essere restituiti agli USA alla fine delle ostilità, oppure distrutti sotto supervisione statunitense. Un gran numero di aeromobili fu così distrutto. Numerosi mezzi navali furono invece restituiti agli Stati Uniti negli ultimi anni quaranta. I rimanenti materiali bellici e i debiti residui del Lend-Lease pesano tuttora sulle relazioni Russo-Americane.
STOCCOLMA - Gli sforzi sovietici per entrare in possesso delle concessioni petrolifere nel nord dell’ Iran vengono considerati dal giornale londinese Observer come azione preliminare per creare, nel dopoguerra, una Russia esportatrice di petro. lìo sul mercato mondiale. Il giornale dichiara, inoltre, che le ragioni economiche, che vorrebbero giustificare questa nuova presa di posizione sovietica, non consistente in una accresciuta penuria di petrolio in Russia, lasciano intravedere l’intenzione del Governo di Mosca di esportare il petrolio. L’ Iran deve quindi attendersi, conclude il giornale, nuove richieste di concessioni petrolifere, non soltanto da parte dell’Unione sovietica, ma anche da parte degli Statunitensi che sono interessati ai giacimenti di petrolio esistenti nelle regioni sud-orientali- dell’Iran. (Corriere della sera del 17 ottobre)
LISBONA - A quanto comunica il servizio delle Informazioni di Mosca, a Teheran sarebbe avvenuta una dimostrazione con la partecipazione di circa 20.000 persone di ogni ceto, nel corso della quale sarebbero state ripetutamente chieste le dimissioni del Presidente dei Ministri Saedy. Secondo la stessa fonte il lavoro è stato sospeso dalla maggior parte delle industrie dell’armamento. Il giornale londinese Observer, in un suo articolo, lascia comprendere che tale movimento ostile al Governo di Saedy è sobillato da Mosca. Scrive, infatti, il giornale Observer: «il rifiuto da parte del Governo iranico di assicurare concessioni di petrolio all’Inghilterra, alla Russia e agli Stati Uniti per la durata della guerra pare debba essere seguito dalla caduta dell’attuale regime iranico. Un’incessante campagna contro il Governo e contro il Primo ministro Saedy viene condotta da Mosca tanto all’estero quanto all’interno dell’Iran. Mosca ha accusato il Governo di Teheran di aver sabotato il transito dei rifornimenti inviati dall’America alla Russia in base alla legge «affitti e prestiti». (Dal Corriere della Sera del 31 ottobre)
STOCCOLMA - Il vice-Commissario sovietico agli Affari esteri ha reso noto — secondo un’emittente «alleata» — che sono state interrotte le trattative iniziate fra l’Unione Sovietica e l’Iran sulla questione del petrolio, in seguito all’atteggiamento che il vice-Commissario agli Esteri sovietico definisce « sleale » da parte del Governo iraniano.
Stoccolma 21 novembre. Secondo una comunicazione dell’Associated Press, Tito si trova nuovamente a Mosca. I colloqui con Stalin tratteranno la forma provvisoria di governo della Serbia. Nelle trattative preliminari fra Tito, il Governoesiliato di Londra e lo stesso re Pietro, si sarebbe deciso di creare un Consiglio di reggenza che dovrebbe amministrare il Paese fino all’àttuazione di un plebiscito sulla futura costituzione. Tito dovrebbe essere Presidente dei ministri e Subasic membro del Consiglio di reggenza.La Tas ha comunicato che il Primo ministro del Governo jugoslavo Subasic è gunto ieri a Mosca; fanno parte del suo seguito anche il vice presidente del cosiddet:o comitato di liberazione nazionale jugoslavo, il ministro a Mosca, il rappresentante del comitato di liberazione di Londra e numerosi membri della missione militare sovietica in Jugoslavia. Poco dopo il suo arrivo, Subasic ha avuto un colloquio con Molotof. Il viaggio a Mosca dell’ambasciatore sovietico ad Ankara viene messo in relazione con le trattative delle cosiddette Nazioni unite, dirette a influire sulla Turchia per indurla ad accondiscendere all’apertura degli Stretti (da Il Pomeriggio - Corriere della Sera)
Lisbona 23 novembre. Radio-Mosca annuncia che Stalin ha ricevuto Subasic, Capo dei Governo jugoslavo di re Pietro, il quale, com’è noto, ha concluso recentemente un accordo con Tito (dal Pomeriggio - Corriere della Sera)
La crisi jugoslava si è improvvisamente aggravata in seguito a un nuovo colpo di testa di re Pietro. Dopo avere, alcuni giorni fa, all’insaputa dello stesso Governo inglese, diramato un comunicato in cui prendeva recisamente posizione contro l’istituzione di un Consiglio di reggenza in Jugoslavia, contemplata dall’accordo Tito-Subasic, al quale pure egli aveva precedentemente dichiarato di aderire, il sovrano ha ora «dimissionato» lo stesso Subasic. Questi però ha fatto subito sapere di ritenere illegale l’atto dl re Pietro e di considerarsi tuttora in carica a onta della contraria volontà del sovrano. [...] Secondo la Reuter, Subasic non accetterà la decisione sovrana per due ragioni: perché ritiene falsa l’interpretazione data da re Pietro al messaggio dl Tito e perché giudica anticostituzionale il fatto che il sovrano abbia rinnegato l’accordo del 16 giugno fra Tito e Subasic, che egli aveva precedentemente accettato. L’agenzia inglese aggiunge che il licenziamento del dott. Subasic è interpretato a Londra come un rifiuto del re ad accettare l’accordo Tito-Subasic. Si suppone che Tito procederà ora all’esecuzione delle condizioni dell’accordo, « il consenso del re essendo presunto », come ha detto Churchill alla Camera dei Comuni. Si prevede anche che Subasic voglia raggiungere Tito a Belgrado per aiutarlo a costituire un nuovo Governo e un consiglio di reggenza sul posto. Se il re costituirà a sua volta un Governo a Londra, si presume che tale Governo verrà ignorato da Tito.
WASHINGTON - Le truppe americane che controllavano il passaggio di milioni di tonnellate di rifornimenti bellici diretti all’Unione Sovietica attraverso l’ Iran, ricco di petrolio, abbandoneranno questo paese entro novembre, lasciandolo al controllo russo e britannico
Secondo circoli londinesi bene informati le truppe britanniche e sovietiche non evacueranno l’ Iran. Nessuna decisione è stata presa circa il ritiro delle truppe richiesto dal Governo iraniano, né si ritiene che la questione venga discussa a Potsdam, dato che gli Stati Uniti sono estranei al fatto avendo già ritirato le loro truppe. Notizie da Damasco informano che il Primo ministro siriano, Fayez el Khoury ha dichiarato oggi a un corrispondente che fino a quando truppe straniere rimarranno in Siria e nel Libano per scopi che non siano quelli del proseguimento della guerra in Estremo Oriente esse costituiranno una minaccia per i due Paesi. Il ministro ha aggiunto di sperare che le truppe straniere, ad eccezione di quelle necessarie per la guerra nel Pacifico, saranno ritirate entro la fine dell’estate.
Un comunicato ufficiale diramato oggi dal governo di Teheran annunzia che aspri combattimenti fra guarnigioni regolari iraniche e reparti di insorti sono in corso nell’Azerbaijan, presso la città di Mianeh. Il Governo di Teheran ha inviato due battaglioni di rinforzo alle guarnigioni iraniche dell’Azerbaijan per arrestare le unità ribelli che si dirigono verso la capitale. Il comunicato governativo informa che i due battaglioni, giunti a Kazvin, sono stati arrestati dalle forze sovietiche le quali hanno ordinato a quelle persiane di ritornare a Teheran. Nei circoli diplomatici persiani di Londra la situazione viene considerata particolarmente critica. La responsabilità del movimento autonomista dell’Azerbaijan viene fatta risalire, nei medesimi ambienti, alle truppe sovietiche di stanza nella regione. A proposito di queste notizie il giornale russo Izvestia accusa gli organi di informazione britannici di voler a tutti i costi inventare di sana pianta disordini nelle zone poste sotto il controllo sovietico allo scopo di stornare l’attenzione mondiale dalla rivoluzione, effettivamente in atto, nelle Indie Olandesi. Secondo le Izvestia la situazione nel nord della Persia è soltanto tesa a causa degli incidenti provocati dagli emissari del movimento reazionario Gebdarme, sovvenzionato dai proprietari terrieri della regione. Le Izvestia respingono poi con viva indignazione l’accusa fatta all’Armata rossa di appoggiare con armi e mezzi corazzati l’insurrezione separatista. Il ministro dell’Iran a Washington, Hassain Ala, ha però dichiarato oggi che il suo Governo ha rimesso a quello sovietico una nota, la quale lamenta che l’interferenza russa nei disordini verificatisi nell’ Iran settentrionale, costituisce una minaccia alla integrità persiana.
WASHINGTON - Gli Stati Uniti, in una nota rimessa oggi all’Unione Sovietica, hanno suggerito a questa di ritirare dall’ Iran le sue truppe, per permettere al Governo iranico di sedare la rivolta scoppiata nelle legioni settentrionali. La nota propone che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in maniera analoga, ritirino le proprie truppe. Il Governo americano chic de inoltre che al Governo del l’ Iran sia data piena libertà, senza interferenze di autorità militari o civili russe, inglesi od americane, di spostare attraverso il Paese le proprie forze armate, per la conservazione della propria autorità. Nella nota si prospetta la possibilità che i comandanti delle truppe sovietiche nell’ Iran intralcino, senza autorizzazione da parte del loro Governo, i movimenti delle forze iraniche e si richiede che in tal caso il Governo di Mosca dirami istruzioni conformi alle dichiarazioni di Teheran. La stessa nota è stata rivolta anche al Governo di Londra, in quanto reparti sparsi di truppe inglesi si trovano ancora nell’ Iran. Il documento infine constata che l’Iran ha informato gli Stati Uniti della situazione verificatasi in seguito al divieto opposto dalle truppe sovietiche all’ingresso di quelle iraniche nella zona settentrionale per soffocare l’insurrezione. Si apprende anche da Londra che l’ambasciatore britannico a Mosca, Clark Kerr, ha richiamato l’attenzione del commissario sovietico agli Esteri, Molotov, sui recenti disordini in Persia, in relazione al trattato anglo-sovietico che riguarda l’Iran. È stato comunicato a Londra che il passo di Kerr ha avuto luogo dietro istruzioni del Governo britannico.
In risposta alla richiesta dell’ Iran per l’invio di truppe contro gli insorti avanzanti verso Teheran, il Governo sovietico ha mandato a quello persiano una nota che sarebbe redatta in termini molto amichevoli respingendo però tutte le richieste. Si ritiene che tale nota verrà presentata domani al Parlamento. Da notizie ufficiali si apprende che gli insorti hanno oltrepassato Kazvin dirigendosi non già verso Teheran ma a nord-est della capitale.
Si annuncia ufficialmente che tutte le truppe russe rimaste a Teheran sono state ritirate dalla stazione ferroviaria, dai centri di comunicazione e dagli alloggiamenti. Il principale accampamento russo si trova ora a sei chilometri e mezzo a nord della città. A Teheran corre voce che le truppe britanniche e americane si stanno trincerando nel sud e che quelle persiane si dirigono verso il nord, nonostante il rifiuto russo. La guarnigione di Teheran è stata rinforzata con cavalleria e fanteria persiana e anche con forze corazzate provenienti da sud. Secondo il corrispondente della Reuter si ha sempre l’impressione che il Governo sovietico gradirebbe negoziare direttamente con le altre Potenze interessate. Dopo il ritiro delle truppe russe dalla capitale il Primo ministro iranico ha invitato il sindaco di Teheran e altri alti funzionari a dimettersi in conformità ai desideri espressi in proposito dai Russi. Si crede che essi verranno sostituiti con elementi filo-sovietici. I motivi del rifiuto opposto dal Governo di Mosca al passaggio delle truppe governative traverso la zona d’occupazione sovietica sono esposti dall’ agenzia Tass in un dispaccio trasmesso da radio Mosca che dice: «La necessità di impedire che il transito di rinforzi governativi attraverso la zona d’occupazione sovietica nell’Iran provochi degli incidenti dannosi sia al Governo di Mosca sia a quello di Teheran rende per il momento inaccettabile la richiesta del Governo iranico». «Il Governo di Mosca — prosegue la Tass — ha fatto presente, nella risposta alla nota di protesta persiana, che le accuse contro la Russia non hanno alcun fondamento».
II Ministero degli Esteri degli Stati Uniti ha reso noto, ieri, il testo della nota ricevuta dal Foreign Office in cui il Governo britannico dichiara di condividere il punto di vista degli Stati Uniti, secondo cui la Persia dovrebbe poter usare le sue forze dovunque e in qualunque maniera sia necessario per mantenere l’autorità e la sicurezza dello Stato, ma contrariamente alle proposte americane conferma che le truppe britanniche non possono essere ritirate senza un’analoga decisione sovietica. La nota ricorda che il ministro degli Esteri britannico Bevin propose, alle riunioni dei cinque ministri degli Esteri a Londra, che la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica decidessero, di comune accordo, di ritirare per la metà di dicembre le rispettive forze dall’ Iran. La Gran Bretagna si è uniformata agli accordi suggeriti nella sua proposta al Governo sovietico e fatta eccezione per piccoli reparti amministrativi, le truppe britanniche che tuttora sono in Persia sono «state ritirate verso sud con la maggior celerità possibile e sono state concentrate nell’estrema parte sudoccidentale del Paese. Dopo aver dichiarato che il punto di vista britannico era che le truppe alleate dovessero stazionare in Persia soltanto per necessità belliche. la nota continua: «Perciò, dopo aver ricevuto la proposta degli Stati Uniti, secondo cui le truppe alleate avrebbero dovuto essere ritirate dalla Persia il 1° gennaio 1946, la Gran Bretagna, considerandola una questione urgente, ha subito preso in esame le possibilità pratiche del ritiro delle sue forze per quella data; avendo però il Governo sovietico reso noto agli Stati Uniti di non essere disposto ad accedere alla proposta di Washington, le autorità militari britanniche non hanno proseguito lo studio dei particolari per il ritiro. Per il primo gennaio 1946 è detto testualmente che «l’adempimento delle assicurazioni contenute nella dichiarazione di Teheran del dicembre 1943 esige che il Governo dell’Iran abbia piena libertà di spostare le sue forze armate in qualsiasi modo esso ritenga necessarlo per preservare la propria autorità e mantenere la sicurezza».
Un portavoce ufficiale del Foreign Office ha dichiarato oggi che fintanto che le truppe sovietiche non verranno ritirate dal territorio persiano non si potrà, da parte britannica, prendere in considerazione l’eventualità di una internazionalizzazione dei campi petroliferi dell’ Iran. In merito alla proposta dì sottoporre i piani per una internazionalizzazione dei giacimenti di petrolio persiani al Consiglio dj sicurezza dell’O.N.U., il funzionario del Ministero degli Esteri britannico ha aggiunto: « La discussione della proposta favorevole a un controllo internazionale dei campi petroliferi iranici, non può aver luogo in un momento nel qua-j le le truppe sovietiche con la j loro permanenza in territorio! persiano violano apertamente le clausole del trattato anglosovietico-americano». «La chiave di tutto il problema — ha aggiunto il portavoce del Foreign Office — sta appunto in questo mancato rispetto, da parte sovietica, dei termini dell’accordo: se l’intera questione persiana verrà portata dinanzi al Consiglio di sicurezza dell’O.N.U., è proprio da tale punto di vista che una soluzione andrà ricercata da tutte le parti interessate ». Il funzionario britannico ha proseguito affermando che in base alla legge iranica non si potrà procedere in Persia all’istituzione di una nuova legislatura (Majlis), fintanto che truppe straniere rimarranno nel territorio nazionale. La precisazione del Foreign Office britannico ha la sua importanza, dal momento che finche non sarà formato il nuovo Majlis, non potrà venire votata la legge relativa alla concessione di campi petroliferi. Ciò significa che il Gabinetto britannico fonderà su ampie giustificazioni il proprio rifiuto a discutere la proposta per un’ internazionalizzazione dei giacimenti di petrolio persiani.
Si è conclusa la prima Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita fin dal 10 gennaio. Viscinski, «il giurista», si è opposto a che la questione iranica fosse sottoposta all’O. N. U. dichiarando la incompetenza dell’ assemblea, perché le parti (Russia ed Iran) non avevano ancora concluso le trattative dirette (negoziati, inchieste, mediazioni, conciliazioni, arbitrati e chi più ne ha più metta) previste dall’art. 33 di quel documento tortuoso che è la Carta di San Francisco. Ma il problema era di vedere se la situazione dell’Azerbaijian, se l’accusa mossa dal rappresentante iranico alla Russia, di aver violato i trattati tra i due Paesi e di aver sobillato il movimento separatista dell’Azerbaijan, fosse da considerare una controversia suscettibile di accomodamento per trattative dirette o. piuttosto, porne una situazione pericolosa e come tale da sottoporsi all’O. N. U. secondo quanto previsto dall’art. 33. A parte ciò, sta di fatto che la competenza dell’O. N. U. è indiscutibile, poichè in ogni caso provvede l’art. 34 della Carta col quale è riconosciuta facoltà al Consiglio di sicurezza di « fare indagini su qualsiasi controversia o qualsiasi situazione che possa condurre ad attriti internazionali. Dopo un vivace dibattito tra Bevin e Viscinski, la questione iranica è stata tolta dall’ordine del giorno, considerato il fatto che erano state iniziate trattative dirette fra Mosca e Teheran. Il tutto agevolato dal mutamento ^di Governo a Teheran: il nuovo Primo ministro è persona gradita a Mosca.
In Iran gli esigui reparti militari britannici che ancora si trovano in quel territorio lasceranno il Paese, secondo quanto apprende la United Press da fonti ufficiali del Foreign Office, entro oggi. I militari britannici, che occupano attualmente alcune località dell’ Iran meridionale, passeranno nell’Irak dove resteranno in attesa di smobilitazione. Il Governo di Londra non ha ricevuto da Mosca alcuna dichiarazione ufficiale in merito all’intenzione del Cremlino di non rispettare l’accordo anglorusso-americano che fissava per il 2 marzo lo sgombero di tutte le truppe alleate d’occupazione dal’ territorio persiano.
Un comunicato diramato a Mosca annunzia che le truppe russe hanno iniziato ieri lo sgombero dell’Iran. Il ritiro delle truppe dall’intero Paese durerà da 5 a 6 settimane, «purché non intervengano nel frattempo imprevisti di sorta». Un portavoce dell’Ambasciata persiana a Washington ha dichiarato ieri sera che nonostante l’annuncio di radio-Mosca l’ambasciatore persiano Hussein Ala darà corso alla protesta presentata al Consiglio di sicurezza. Nessuna nuova istruzione è giunta da Teheran all’ambasciatore. Per il redattore diplomatico del «Times» la notizia del ritiro delle truppe sovietiche dalla Persia è «una gradita sorpresa e il primo raggio di speranza».
L’Associated Press riceve da Teheran che il governo iranico ha annunziato oggi che il Primo ministro Quavam es Sultaneh e l’ambasciatore sovietico hanno firmato un accordo in forza del quale le truppe russe sgombreranno l’ Iran incondizionatamente entro sei settimane a partire dal 21 marzo. I, ’accordo, firmato alle ore 4 del mattino, tempo di Teheran, prevede inoltre che entro sette mesi verrà presentata al Parlamento dell’ Iran una proposta per la costituzione di una compagnia petrolifera russo-persiana. Quanto al problema dell’Azerbaijan, la Russia dichiara di riconoscerne il carattere puramente interno. Negli ambienti competenti di Teheran si prevede che, immediatiimente dopo la conclusionie di questo accordo per i petroli settentrionali, gli Stati Uniti chiederanno la formazione di analoghe società nell’Iran meridionale.
LONDRA - Secondo un comunicato di stamane dello Stato maggiore, avanguardie iraniche sono penetrate ieri sera a Mianek, 180 chilometri a sud di Tabriz. Altre unità hanno superato le alture di Ghaflankon discendendo stamane verso Mianek. Secondo un comunicato ufficiale le truppe del Governo di Teheran si recano nell’Azerbaijan — come fu già annunciato — al solo scopo di sorvegliare lo svolgimento delle elezioni. Circa una settimana fa, il Capo del Governo autonomo dell’Azerbaijan, Jafaar Pishevari, aveva dal canto suo affermato che le popolazioni avrebbero difeso con le armi la la libertà del Paese. Ieri sera la radio di Tabriz ha diffuso un appello di Pishevari per la resistenza di tutti contro le forze governative. Il giornale del mattino Atesh pubblica che 1’ambasciatore sovietico a Teheran, Sadcikov, ha presentato ieri una violenta protesta al Governo centrale accusandolo di aver rotto i patti con l’inviare truppe nell’interno dell’Azerbaijan e per tale fatto di mettere in pericolo le frontiere russe. Il giornale aggiunge che il Primo ministro Ghavam Es Sultaneh si trova sotto la costante pressione dell’Unione Sovietica. Le notizie dell’ultima ora trasmesse dall’United Press sono in contrasto con quelle precedenti: il ministro della Guerra dell’Iran, infatti, avrebbe ricevuto un telegramma, a firma Piskevari, nel quale lo si informa che le truppe democratiche dell’Arzebaijan hanno ricevuto l’ordine di deporre le armi. Da Teheran si apprende che Tabriz si è arresa alle forze imperiali persiane.
Giunge notizia da Teheran che il Primo ministro persiano Sultaneh svolgendo al Parlamento l’attesa relazione sugli avvenimenti che portarono all’accordo petrolifero russo-persiano del 1946, ha detto tra l’altro: «Ricoprivo la carica di Primo ministro in quei tempi venturosi, quando Teheran era minacciata di accerchiamento. Per salvare il nostro popolo e il nostro Paese io firmai le lettere scambiate con l’ambasciatore sovietico. Qualsiasi patriota al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa». Il Parlamento ha quindi approvato la legge con la quale si dichiara nullo e inesistente l’accordo petrolifero russo-persiano. Negli ambienti bene informati di Londra si teme l’imminente ripresa di una nuova offensiva politica russa contro l’Iran in seguito al rifiuto del Parlamento persiano di approvare l’accordo petrolifero. Tale azione potrebbe essere combinata con movimenti di truppe di confine tendenti a far rinascere l’influenza comunista nella provincia settentrionale dell’Azerbaigian. Anche a Whitehall si nutrono molte preoccupazioni circa la reazione sovietica a questo «sbatacchiare la porta in faccia ai Russi».
Londra. Il redattore diplomatico del Manchester Guardian scrive oggi che, secondo notizie pervenute a Londra, si sarebbero manifestate divergenze fra il Maresciallo Tito e le autorità sovietiche. Il giornale liberale afferma che il Maresciallo Tolbukhin si troverebbe attualmente a Belgrado, allo scopo dì risolvere la crisi. Il Maresciallo Tito avrebbe perduto i favori di Mosca a causa del suo atteggiamento, da qualche tempo troppo indipendente. Corrono inoltre voci che affermano che, nell’Europa sudorientale, non si sa con precisione dove il Capo della Jugoslavia si trovi attualmente. Tito, si dice, ha offeso l’Unione sovietica trascurando di affrontare decisamente il problema di Trieste, il che ha permesso agli alleati occidentali di prendere l’iniziativa relativa ad una restituzione del « territorio libero » all’Italia. Da Budapest si rilevano ulteriori sintomi dell’esistenza della crisi jugoslava. Un solo giornale ungherese si è ricordato del compleanno di Tito, scrivendo una breve nota di occasione. Esso è un giornale di opposizione. Probabilmente ignorava quanto bolle in pencola nel vicino Paese. Un telegramma augurale inviato dal Primo ministro ungherese (non comunista) a Tito è stato fermato, e. in seguito, ritirato dai bollettini radiotelegrafici. Nessun rappresentante jugoslavo è intervenuto al recente congresso per la fusione dei partiti comunista e socialista ungheresi. Il Manchester Guardian dà inoltre notizia che il processo per sabotaggio di tre membri influenti del partito comunista, gli ex-ministri Zhujovic, Hebrang e Velebit, ex-capo della missione di Tito a Londra, avrà inizio lunedi prossimo a Belgrado. Infine lo stesso giornale af- ’ ferma che la situazione jugoslava sarebbe stata all’ordine del giorno alla recente conferenza di Varsavia.
Una notizia giunta da Teheran getta luce sulla situazione persiana, che accentrava in questi giorni l’attenzione mondiale. Il ministro degli Esteri iraniano ha notificato alla Russia che qualsiasi tentativo di mandare truppe nell’ Iran, col pretesto che l’aiuto americano costituisce un intervento armato, verrà considerato un atto di aggressione. In un dispaccio inviato da Teheran per conto detto scià Mohamed Reza Pahlavi direttamente all’I.N.S il ministro Ali Ashgar Kohmat ha negato decisamente che il suo Paese stia diventando una base militare per gli alleati occidentali. Egli ha quindi aggiunto: «Non permetteremo mai che ci si serva dell’ Iran per scopi aggressivi contro l’Unione Sovietica ». Il ministro ha quindi precisato che nel Paese non si sono verificati incidenti che possano giustificare l’applicazione da parte russa dell’art 6 del suo trattato di mutua assistenza con l’Iran. In base a questo articolo la Russia ha diritto di inviare truppe nell’ Iran nei caso che una terza Potenza cerchi di arrivare a un intervento armato in Persia, oppure si serva del territorio del Paese come base militare per attaccare la Russia. D’altra parte anche il segretario di Stato Acheson ha smentito recisamente a Washington le accuse russe secondo le quali gli Stati Uniti starebbero apprestando basi militari nell’ Iran e ha fatto un chiaro riferimento a una intensiflcata pressione da parte dei propagandisti russi nel Paese. La Nazione del Medio Oriente, ricchissima di giacimenti petroliferi, che divide con la Russia un confine lungo mille miglia, è stata fonte — e lo continua ad essere di molte apprensioni da parte delle Cancellerie alleate, le quali ritengono ancora possibile che una mossa sovietica di reazione al patto atlantico si verifichi verso quel settore.
Il Governo della Russia sovietica ha ordinato il ritiro delle autorità consolari sovietiche dall’ Iran, quale protesta contro l’atteggiamento « non amichevole » del Governo di Teheran. Nel contempo hà disposto che il personale dei Consolati iraniani lasci il territorio della Unione Sovietica. Il Governo iraniano aveva da vari giorni impedito che si desse intempestiva pubblicità a tale passo sovietico.
Le truppe i russe sono avanzate di 30 chilometri oltre il fiume Aras, che segna il confine con la Persia, e brigate corazzate e di fanteria si sono accampate nella provincia di Karakeschet. Teheran, ove la legge marziale è stata proclamata oggi in seguito all’attentato d’un fanatico maomettano che ha ferito gravemente a colpi di rivoltella l’ex Primo ministro Abdul Hossein Hagir, cerca di calmare gli animi col dire che Mosca si preoccupa soltanto di difendere gli stabilimenti atomici che sorgono nel Caucaso.
La pubblicazione a Mosca della relazione ufficiale sull’andamento del piano quinquennale relativo all’ultimo trimestre del 1949 mostra un rallentamento generale della produzione industriale e un miglioramento di quella agricola. La Pravda fa anche sapere che la produzione di petrolio greggio è molto lontana dai 35 milioni di tonnellate previsti dal piano quinquennale, forse neanche la metà dei 60 milioni che Stalin aveva chiesto nel suo discorso elettorale « per assicurare posizioni di difesa ». La Pravda accusa il Ministero dell’Industria del petrolio, i cui sistemi tecnici di ricerche e di sfruttamento sono « detestabili », e invoca una vigorosa epurazione dei responsabili. Ma nessun appunto può essere in verità mosso al ministro dell’Industria del petrolio, Nikolai Baibakov, di recente nomina, che nella sua relazione al Praesidium del Soviet Supremo aveva chiaramente spiegato che l’Urss non può attendersi una produzione di greggio nella quantità fissata nei piani, non tanto perché lo sfruttamento dei giacimenti di Baku, nel Caucaso, sia difettoso o manchino i carri-cisterna, ma perché le riserve dei pozzi non sono più quelle di una volta. La Russia, che si classificava, prima della rivoluzione, alla pari con gli Stati Uniti, segue oggi il Venezuela con una produzione di circa un ottavo di quella degli Stati Uniti. Eppure migliaia di tecnici hanno sondato il deserto tra il lago di Arai e il mar Caspio; in Asia centrale presso Kokand; in Oriente nella Kamtchatka; si è esplorato in Carelia, trivellato tutta la zona intorno a Poltava, in Ucraina, dove durante la guerra, mentre i Tedeschi avanzavano, una sorgente scaturiva improvvisa e impetuosa nel villaggio di Romny. Tra il Medio Volga e gli Urali veniva rintracciato un immenso bacino, subito battezzato « la seconda Baku », che però si esauriva dopo la estrazione di 2 milioni di tonnellate. Questi immensi sforzi hanno richiesto l’impiego di miliardi di rubli, ma il risultato è che la produzione segna una ulteriore diminuzione del 16 per cento nel confronto dell’anno scorso. (L. Crucillà sul Corriere della Sera)
«Secondo buone informazioni. l’Urss si preparava ad avanzare al Governo di Teheran proposte tendenti a farla partecipare allo sfruttamento delle risorse del Paese con un accordo di amicizia e di collaborazione, ad impedire che il territorio persiano venga utilizzato dalle Potenze occidentali e ad ottenere per la Russia uno sbocco nell’Oceano Indiano. Queste proposte il Governo di Teheran le ha prevenute col preferire un accordo con le Potenze occidentali che, secondo la stessa fonte sovietica, viene perfezionato in questi giorni a Washington L’Urss si mostra sospettosa per il viaggio dello Scià di Persia a Washington dove, secondo Mosca, si svolgono conferenze per « lasciare mano libera agli imperialisti d’impadronirsi del Medio Oriente », e sfoga il suo dispetto di essere stata « lesa nei suoi vitali interessi », esercitando una forte pressione militare sui duemila chilometri di frontiera. Secondo Mosca l’Urss ha diritto a partecipare allo sfruttamento delle risorse naturali del Medio Oriente e avverte tanto l’Iran quanto l’Iraq che, se mostrassero l’intenzione di trasformarsi in basi strategiche occidentali, l’Armata Rossa, ammassata sul Mar Caspio, potrebbe occupare in 24 ore «per ragioni di sicurezza» i distretti petroliferi. Lo ha fatto dire alla radio di Baku dal «partito della libera Persia». In Persia l’atmosfera è arroventata dallo scorso novembre in seguito all’assassinio dell’ex-Primo ministro Abdul Hussein Hazihr, e il Governo fatica a tenere l’opposizione, mentre alle frontiere l’U.R.S.S. solleva sanguinosi incidenti mostrandosi irascibile e litigiosa. Ha allestito a Krasnovodki un gran numero di basì militari e i soldati rossi sconfinano con azioni aggressive oltre il fiume Atrek. Nel deserto del Karakum un esercito di centinaia di migliaia di operai « è impegnato in lavori di grande portata alla frontiera persiana. Si tratta principalmente — precisano i due giornali — della costruzione di grandi camionali ». E appunto queste strade che dal deserto avanzano verso la frontiera sono un segno che l’Urss ha deciso che l’ Iran debba entrare nella zona d’influenza sovietica» (L.Crucillà sul Corriere della Sera)
[...] «nazionalizzazione» significherebbe espropriazione. Negli impianti della Anglo-Iranian è investito capitale inglese per circa trecentocinquanta milioni di sterline. Il Governo persiano non ha denaro per pagare regolarmente i suoi funzionari; come potrebbe pagare quella somma? Quindi, per nazionalizzare, dovrebbe o impossessarsi degli impianti senza pagare un soldo, o prendere un prestito da un Governo straniero per pagare la Anglo-Iranian. Al quesito «quali sarebbero gli effetti della nazionalizzazione» si può rispondere con le parole del defunto Primo ministro Ali Razmara: l’effetto sicuro e immediato sarebbe la perdita per il Tesoro persiano dei quattro quinti delle sue entrate. È fuori dubbio che i Persiani non sarebbero capaci — per lo meno per decenni — di far funzionare una organizzazione industriale e commerciale cosi gigantesca e complessa come la Anglo-Iranian. Infine: perchè tutti, in Persia, vogliono la «nazionalizzazione», cioè un provvedimento che sconvolgerebbe l’economia e la finanza del Paese e che farebbe sorgere i più gravi pericoli per la sua indipendenza? Risposta: la vogliono i comunisti perchè sono comunisti, e, come tali, vogliono che non solo il petrolio persiano, ma essa stessa cada nelle mani del comunismo sovietico. La vogliono i nazionalisti per quell’odio torvo per lo straniero che cova in tutto l’Oriente musulmano. La vogliono le classi abbienti, il Majlis, perchè hanno bisogno di un capro espiatorio su cui riversare le loro responsabilità, e lo hanno trovato nella Anglo-Iranian. Le masse persiane sono in una miseria che supera ogni immaginazione. 1 capi nazionalisti, i latifondisti, i ricchi mercanti, che dominano il Majlis, attaccando la Anglo-Iranian, distraggono l’attenzione del volgo dal loro fallimento, e si danno le arie di combattere per liberare il Paese dalla miseria di cui sono la causa principale La risposta a questi quesiti cambierebbe completamente se il Governo persiano si rivolgesse all’estero per averne aiuto di capitali e di tecnici. Vi è un solo Governo che avrebbe forse la capacità e certamente l’interesse di fornirgli un tale aiuto: il Governo sovietico. E, anzi, già da parecchio tempo glielo ha offerto in modo esplicito. (da un articolo di Augusto Guerriero sul Corriere della Sera)
Stamane Averell Harriman ha avuto un’ora di colloquio col Primo ministro Mossadeq, colloquio concretatosi in una «discussione generale» sulla controversia del petrolio. Mossadeq si trovava a letto. La conversazione ha avuto luogo in «un’atmosfera cordiale», secondo la definizione ufficiale. Harriman dovrebbe incontrarsi nel tardo pomeriggio con i membri della Commissione persiana per il petrolio M.L.M. Vasiliev, un ex-funzionario sovietico che l’anno scorso si trovava a Teheran come addetto alla missione commerciale russa, ha confermato la notizia che anticipammo lunedì scorso, relativa ad alcuni membri influenti del partito nazionalista che sarebbero stati « comprati » dall’Unione Sovietica La corruzione di alcuni membri del partito nazionalista persiano da parte dei sovietici rappresenta un palese mutamento della politica russa in Persia. Infatti Mosca, in un primo tempo, si servì del partito comunista persiano, il Tudeh, per penetrare nell’ Iran, ma dopo aver oscillato a lungo cambiò tattica e circuì ì membri più influenti dell’opposizione nazionalista. Tra le otto personalità del partito del dott. Mossadeq, tutte conosciute, che sono al soldo sovietico, vi è anche il deputato M. Makki, il portavoce della commissione persiana per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere.
In un articolo sulla rivista Bolscevik, Stalin profetizza la guerra tra paesi capitalistici. «Oggi la base teoretica dell’azione russa diviene in maniera sempre più evidente la tesi delle «contraddizioni interne del blocco occidentale e del dissidio di interessi tra i componenti di esso, America da un lato, i suoi alleati europei dall’altro». E l’interlocutore a cui Mosca spera di fare pervenire la sua voce non è Washington, ma l’Europa occidentale. Questo fatto porta a un cambiamento di tattica notevole nei confronti dell’Europa e possibilmente nell’impostazione generale della guerra fredda. Finora l’obiettivo russo era stato quello di impedire la coalizione dell’Occidente. A ciò erano servite in un primo tempo la tattica della pressione dall’interno dei partiti comunisti contro il piano Marshall, in un secondo tempo la minaccia di una guerra se si inseriva la Germania nell’Occidente. Oggi, in sostanza, la Russia ha incassato senza reagire il rovesciamento delle alleanze operato dagli Stati Uniti mediante V inserimento della Germania e del Giappone e ha deciso di attendere che i contrasti di interesse che questo fattore introduce nella coalizione dell’Occidente si sviluppino. La tecnica, quindi, che Washington si attende da parte di Mosca in Europa è l’incoraggiamento alla politica dei « fronti popolari » o persino dei « fronti nazionali » con la parola d’ordine dell’accentuazione dei motivi nazionalistici in ciascun Paese. Nei confronti degli Stati Uniti la tecnica russa appare quella di creare una stabilizzazione di fatto della situazione attuale. Il Cremlino non si proporrebbe né di spingere le cose più a fondo, né di concludere accordi difensivi. Lo stato attuale “né pace, né guerra”. apparirebbe il più adatto a fomentare le contraddizioni interne dell’Occidente» (da un articolo di Ugo Stille sul Corriere della Sera).
La Tass ha annunciato stamane che l’Unione Sovietica e l’ Iran si sono accordati per l’istituzione di una commissione russo-persiana per la soluzione di «ogni divergenza» esistente tra i due Paesi. La Tass ha poi precisato che l’obiettivo della commissione è quello di «rafforzare le amichevoli relazioni tra l’Unione Sovietica e l’Iran e di risolvere i problemi finanziari, le questioni di frontiera, e altre, tra le due Nazioni». Un comunicato analogo è stato pubblicato a Teheran. La decisione di costituire questa commissione — secondo quanto si sostiene a Londra — potrebbe anzitutto essere interpretata come un tentativo del Presidente del Consiglio iraniano Mossadeq di esercitare nuove pressioni sui Paesi occidentali e di avere mano libera nell’utilizzazione degli impianti ora nazionalizzati dell’Anglo-Iranian. specialmente per quanto riguarda la vendita del petrolio sui mercati mondiali. Il Cremlino dal canto suo ha fatto poi il primo passo per intervenire nella questione del petrolio persiano. Questa è opinione comune degli osservatori. L’annuncio di Mosca è senza précédenti perché parla di una commissione sovietica da costituirsi a Teheran, in territorio persiano. D’altra parte tale passo è stato preannunciato da Malenkov, sabato, il quale disse che l’Iran era uno dei vicini dell’Urss coi quali Mosca voleva mantenere buone relazioni. Il momento dell’inizio dei negoziati è stato indubbiamente scelto bene. La Russia è rappresentata a Teheran da uno dei suoi migliori diplomatici, Anatoli Lavrentiev, l’ex-inviato a Praga e a Bucarest, nominato da pochi giorni. L’ambasciatore russo che era a Teheran da otto anni, Ivan Sadchikov, è stato richiamato pochi giorni dopo la caduta di Beria e ciò ha coinciso con la caduta in disgrazia di Mir Giaffer Baghirov, Premier della Repubblica sovietica dell’Azerbaijan. Baghirov, uno dei principali capi comunisti caucasici, sarebbe stato l’uomo che dirigeva il movimento filocomunista nella provincia dell’Azerbaijan persiano. La sua destituzione, tre settimane fa, viene considerata una singolare coincidenza con .’a nuova presa di posizione del Cremlino verso la Persia.
La conferenza della «N.A.T.O. rossa» a Varsavia si è chiusa oggi con la cerimonia solenne della firma del patto di mutua assistenza fra l’U.R. S.S. e gli altri sette Paesi satelliti e del protocollo che dispone l’unione delle varie forze militari sotto un unico comando. Il comando in capo, che avrà sede a Mosca, sarà affidato al maresciallo sovietico Ivan Koniev. II trattato, valido per 25 anni, prevede anche la costituzione di un Comitato consultivo politico. La cerimonia si è svolta nella sala delle colonne del Consiglio di Stato. I documenti sono stati firmati dai Primi ministri degli otto Paesi (Russia, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Albania e Germania Est), alla presenza di circa duecento giornalisti. Il Primo ministro sovietico Maresciallo Bulganin, che indossava un abito doppio petto scuro, era in testa alla fila dei delegati delle varie Nazioni, che si sono fatti avanti tra due ali di giornalisti. Ha parlato anche il ministro della Difesa cinese Peng Telilumi, che funge da osservatore per il suo Paese. Egli si è detto solidale con le Nazioni del patto, affermando che esso è « un segno di forza che non va ignorato ». Ultimo a prendere la parola è stato il premier polacco Cyrankeewicz che ha dichiarato chiusa la conferenza.
LONDRA - L’Egitto ha informato oggi la Gran Bretagna che ha accettato l’offerta dei russi per un rifornimento di armi ed equipaggiamenti militari. L’annuncio è stato dato da un portavoce del Foreign Office, il quale ha precisato che il Governo egiziano ne aveva dato comunicazione ieri all’ambasciatore britannico al Cairo, senza tuttavia specificare l’entità del contratto concluso tra i due Paesi. Il portavoce hu dichiaralo d’altra parte: 1) Nessuna fornitura d’armi all’Egitto viene effettuata in questo momento da alcuna delle tre Potenze occidentali. 2) Nessuna discussione ha attualmente luogo fra queste tre Potenze circa la fornitura di armi ai Paesi arabi. 3) Le tre Potenze si consultano ogni volta che una di esse riceve una richiesta di fornitura di anni da uno Stato arabo. Il portavoce ha aggiunto che tali consultazioni hanno lo scopo di mantenere l’equilibrio degli armamenti fra Israele e gli Stati arabi, in conformità con la dichiarazione tripartita del 1950.Intanto, parlando alla radio egiziana in occasione di un’esposizione militare da lui inaugurata, il Primo ministro egiziano Gamal Abdel Nasser ha dichiarato che il suo Governo ha firmato la settimana scorsa un «accordo commerciale» con la Cecoslovacchia per la fornitura di armi all’Egitto. L’Egitto, ha detto Nasser, ha preso questa decisione dopo il ripetuto fallimento dei suoi tentativi di ottenere armi dall’Occidente, « non per la guerra ma per la pace ». Si apprende questa sera da Tel Aviv che Moshe Sharret, Primo ministro e ministro degli Esteri di Israele, ha chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di fargli visita domani. Il colloquio avrebbe per argomento la questione della consegna di armi all’Egitto. Il Governo egiziano ha frattanto richiamato le forze di riserva dell’esercito » per un addestramento supplementare.). È questa la prima volta dopo la rivoluzione del 23 luglio 1952 che viene presa unn misura del genere.
LONDRA - Il governo britannico ha ordinato all’ambasciatore al Cairo di esprimere al colonnello Nasser il proprio allarme per l’accettazione, da parte dell’Egitto, delle forniture d’armi cecoslovacca e sovietica. La decisione di fornire armi all’Egitto, che rimane in stato di guerra con Israele ed è irritato per l’accordo militare turco-anglo-iracheno, ha lo scopo di far penetrare l’influenza sovietica in una parte del mondo, dove essa finora aveva trovato le porte chiuse: anche il tentativo d’infiltrazione in Persia fallì, come tutti ricorderanno, dopo la caduta di Mossadeq. L’influenza dì Mosca si manifesta come un elemento di spostamento dell’equilibrio esistente: avvelena le relazioni fra l’Egitto e gli Occidentali, disturba il rapporto di forze fra Egiziani ed Ebrei faticosamente mantenuto dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti con ben dosate forniture di armi agli uni e agli altri in modo da evitare un nuovo scoppio di ostilità. I fini più lontani della mossa russa sono ancora più grandiosi. Tutte le popolazioni di colore sono assai vulnerabili dalla penetrazione comunista: la miseria degli strati più bassi della popolazione e l’odio per le classi dominanti tradizionali si combinano col risentimento verso gli Europei occidentali, formando un ambiente favorevolissimo alla diffusione del comunismo. L’influenza sovietica porterà probabilmente a un rafforzamento in tutto il Medio Oriente delle correnti sovvertitrici, alla superficie, o in clandestinità. Se è vero, come si prevede, che Mosca manderà una missione al Cairo, questa potrà diventare una centrale di azione irresistibile. Nasser, che reprime il comunismo, e ha eliminato, almeno esternamente, l’influenza della Fratellanza musulmana, dove i comunisti avevano messo piede, si crede naturalmente sicuro del proprio dominio intemo.
Oggi il rappresentante diplomatico sovietico ha avuto un colloquio di oltre un’ora col Capo del Governo siriano, nel corso del quale avrebbe detto che l’U.R.S.S. è disposta a fornire armi anche alla Siria. Ma anche la medievale Arabia Saudita, dove gli Stati Uniti hanno un’importante base strategica, viene coltivata dai Russi. Questi hanno recentemente mandato in pellegrinaggio alla Mecca un gruppo di musulmani sovietici per accreditare le proprie affermazioni di tolleranza religiosa.
La Persia, secondo notizie pubblicate dai giornali, vuole aderire al patto difensivo fra Turchia, Iraq e Pakistan. Il Governo sovietico ha subito deciso di reagire. Esso ha fatto sapere a quello persiano che un tale passo, qualora fosse preso, sarebbe « molto grave ». L’adesione al patto è incompatibile con gli interessi della pace e compromette le relazioni di buon vicinato, esistenti fra la Persia e l’Urss, violando il trattato di amicizia. L’alleanza a tre, dicono i Sovietici, è lo strumento « di circoli aggressivi » i quali non hanno alcun desiderio di mantenere e di rafforzare la pace. Il Governo di Mosca tocca poi un tasto molto sensibile per i persiani; esso dice che il patto tripartito vuole mantenere il Medio Oriente in condizioni di servitù coloniale. A riprova di ciò, ricorda che l’Inghilterra se ne fa garante. Le fiere lotte antibritanniche di Mossadeq sono troppo recenti perché simili argomenti rimangano senza eco. La comunicazione sovietica afferma dunque che la pace e la tranquillità del Medio e del Vicino Oriente sono minacciate dalla alleanza. Essa è stata fatta all’Ambasciata persiana di Mosca; ed è stata resa pubblica dalla « Tass ». È bene osservare che non si tratta, in linguaggio diplomatico, di una «nota»: l’odierno passo è meno impegnativo. (da un articolo di Piero Ottone per il Corriere della Sera).
L’estensione del patto di Bagdad sarà un fatto grave per l’Urss. La diplomazia sovietica ha intrapreso la politica di Ginevra (politica del sorriso) soprattutto con uno scopo: essa spera nella dissoluzione delle alleanze occidentali. Bulganin lo disse chiaramente lo scorso luglio. Egli dichiarò che « gruppi militari », come risultato della distensione, dovranno essere sciolti. Adesso la Persia annuncia la intenzione di aderire al gruppo, già esistente, della Turchia, dell’Irak e del Pakistan. Le alleanze dell’Occidente, invece di disintegrarsi, stanno dunque allargandosi. L’adesione dell’Iran al patto di Bagdad, se avverrà, non sarà di per sé una grande catastrofe per l’Urss: i Persiani non hanno oggi un peso sufficiente per spostare nel mondo l’equilibrio delle forze. È piuttosto il valore simbolico dell’avvenimento che irrita, innervosisce e, vorremmo quasi dire, infuria i Russi. (da un articolo di Piero Ottone sul Corriere della Sera)
Lo scioglimento del Cominform e la promessa russa di contribuire al mantenimento della pace nel Vicino Oriente sono definiti a Bonn dei regalucci con i quali Bulganin e Kruscev hanno voluto tar precedere il loro arrivo In Inghilterra. Il Coininform non aveva più alcuna Importanza da quando esiste il patto di Varsavia e forse il suo scioglimento sarà un efficace contributo all’Insidiosa infiltrazione comunista nei Paesi dell’Occidente secondo le ultime regole della politica moscovita. Quanto alla dichiarazione relativa alla tensione nel Medio Oriente. il regalUcclo è stato offerto piuttosto agli Stati Uniti favorevoli a un azione pacifica, che non alla Gran Bretagna che protendeva per una dimostrazione di forza. Co Comunque, una volta di più. i sovietici sono stati abili e tempestivi. A Bonn lo si riconosce apertamente, ma di fronte alla nuova mossa sovietica si citano le parole pronunciate a Strasburgo da Von Brentano, secondo le quali le speranze suscitate nel luglio scorso a Ginevra sono andate deluse obbligando il mondo occidentale a stare sempre all’erta Pur non escludendo che il cambiamento di tattica del Cremlino abbia ad aprire nuove possibilità, il Governo tedesco è sempre persuaso che 1 fini politici della Russia non siano cambiati
Crescente antagonismo fra Nasser e i comunisti. Le ostilità sono state aperte dai comunisti. Essi avevano una posizione assai forte in Siria, prima dell’unione fra quel Paese e l’Egitto. Quando ambedue si fusero nella Repubblica Araba, Kruscev provò disappunto. Egli fece tuttavia buon viso a cattiva sorte. Adesso gli entusiasmi dei siriani verso i fratelli egiziani sono alquanto raffreddati, l’economia nazionale è in declino, il valore della moneta è in ribasso; e Nasser non è più considerato, a Damasco, un nuovo profeta. Khalid Bikdash, il capo dei comunisti siriani, all’inizio della settimana ha pubblicato un manifesto per chiedere maggiore autonomia per la Siria e libere elezioni. Ciò equivale a una aperta sfida contro i poteri dittatoriali di Nasser. Mosca, attraverso i suoi seguaci, cerca di annacquare l’Unione egizio-siriana. La situazione è aggravata da quello che sta succedendo nell’Irak. E’ opinione diffusa, in questa capitale, che i comunisti stiano facendo rapidi progressi a Bagdad. Il Governo del gen. Kassem non ha tentato di impedire le violente dimostrazioni contro un uomo di Governo americano, Rountree, quando egli è andato a conferire col Primo ministro. Di fronte a questi avvenimenti, Nasser è costretto a contrattaccare. Secondo il « News Chronicle » egli ha ordinato l’arresto di numerosi comunisti in Siria e il suo braccio destro, il col. Serrai, è andato a dirigere di persona le operazioni di polizia. Nello stesso tempo, la radio e la stampa di Damasco hanno lanciato una campagna propagandistica contro il comunismo, definendolo « il nuovo imperialismo ». Ci si chiede ora con grande interesse, se il Presidente egiziano spingerà il suo ardimento al punto di arrestare lo stesso Khalid Bikdash, ritenuto l’agente più importante di Mosca nel Levante. In Inghilterra, i laboristi e i liberali (che assumono spesso un atteggiamento di sinistra) pensano che sia ora il momento opportuno per ristabilire i rapporti con il Cairo. Il Governo ha tentato di concludere un accordo negli scorsi mesi con l’Egitto sulle questioni finanziarie che dividono i due Paesi: gli inglesi vogliono l’indennizzo delle proprietà sequestrate dagli egiziani, e questi ultimi vogliono un indennizzo per le distruzioni causate dall’intervento di Suez.
In Russia lo scrittore Viktor Erofeev, colpevole di aver editato l’almanacco letterario Metropol, è espulso dall’Unione degli scrittori.
«Che cosa sono Vietnam, Laos, Cambogia se non i Balcani del nostro tempo?»: con tutta l’arbitrarietà di simili accostamenti storici e insieme con una certa forza di rappresentazione, la frase ricorre sovente. Essa è anche un segno che per fortuna la vera penisola balcanica ha cessato di essere quel focolaio di attriti e di conflitti delle generazioni passate. Con tutto ciò l’invasione per interposto Vietnam lanciata da Mosca in Cambogia suona oggi come monito potente a Belgrado e a Bucarest. Non è certo un caso che, a differenza dei governi «satelliti» vecchi e nuovi (Afghanistan compreso) che si sono affrettati a riconoscere il regime installato a Phnom Penh, la Romania abbia duramente preso posizione contro l’intervento vietnamita in Cambogia» (Dino Frescobaldi sul Corriere della Sera).
Nel gennaio 1979 il tetro ministro degli Esteri sovietico, Andrej Gromyko, noto come «Mr. Niet» per i continui "no" che oppone alle richieste internazionali, è invitato a Roma dal governo italiano. Il giorno 24, privatamente, vede il Papa polacco. Il suo primo incontro con Wojtyla. Per la riunione, la televisione di Mosca chiede l´eccezionale permesso di poter filmare il potentissimo rappresentante del Cremlino mentre entra nella Segreteria di Stato vaticana passando nel cortile di San Damaso. Al suo arrivo Gromyko «appariva teso e dava l´impressione di aspettarsi un incontro polemico». Il rapporto nota in seguito che il ministro, «più tardi, quando ha visto che il Papa era cortese e affabile, è diventato più rilassato». Wojtyla dice a Gromyko di non volere un conflitto fra la Santa Sede e l´Unione Sovietica, ma di «desiderare libertà per i figli della Chiesa». Nel colloquio non si parla né di Polonia né del desiderio di Giovanni Paolo II di visitare il proprio Paese. Per Gromyko, farne un semplice accenno potrebbe risultare imbarazzante senza rivelare le limitazioni alla sovranità polacca. La valutazione delle fonti vaticane è comunque che «l´Unione Sovietica non si opporrebbe al viaggio: farlo significherebbe un formidabile errore». Al Foreign Office è ora sufficientemente chiaro che il nuovo Papa non vuole provocare una rottura nei rapporti fra Vaticano e Paesi comunisti e non intende adottare una linea dura: «Non vuole crociate e sollevazioni violente. La Chiesa, dice, deve rimanere aperta al dialogo e non deve cercare il confronto diretto».
Alla vigilia del viaggio di Deng Xiaoping a Washington, Breznev ha avvertito i governi occidentali che sarebbe pericoloso per tutti armare la Cina allo scopo di contenere la potenza sovietica. Ma oggi gli americani, come i tedeschi, non vendono armi alla Cina. Gli inglesi concedono solo aerei a decollo verticale Harrier, i francesi elicotteri e missili anticarro. Invece i cinesi moltiplicano inviti ed appelli con l’argomento che il loro paese, vincolando 45 divisioni sovietiche sui confini orientali, è di fatto «il sedicesimo membro della NATO». I senatori americani guidati da Sam Nunn, in visita a Pechino qualche settimana fa, non potevano credere all’interprete che traduceva esortazioni a una maggior presenza militare degli Stati Uniti in Estremo Oriente, offrendo persino l’ospitalità dei porti cinesi alla flotta del Pacifico. Ma per ora la Cina rimane con il suo primitivo esercito tradizionale, tre milioni e mezzo di uomini, con armi arretrate di vent’anni rispetto alle macchine militari delle superpotenze, con i bombardieri TU 16 del 1954, con missili che non superano il medio raggio.Secondo una tesi sostenuta anche dal Karol sul Nouvel Observateur, «l’URSS è decisa a impedire con tutti i mezzi che la Cina esca dal sottosviluppo», perché l’industrializzazione prima o poi comporterebbe comunque la parità sul terreno militare. L’URSS può ottenere dagli occidentali e dal Giappone crediti a lungo termine, interi complessi meccanici e chimici, tecnologia elettronica e colossali oleodotti o gasdotti persino con vantaggio strategico, ma se gli occidentali e il Giappone stipulano accordi simili con la Cina «accerchiano l’URSS».Non si può «occupare la Cina». A differenza degli «han» in Cina, i «grandi russi» sono appena il 53,5 per cento della popolazione sovietica (censimento 1970), un mosaico di settanta etnie. Nella stessa federazione russa, la maggiore delle quindici repubbliche sovietiche, convivono con i russi sedici gruppi etnici diversi, dai baschiri ai burlati, dai calmucchi ai ciuvasci.Arnold Toynbee: «Se guardate una mappa cinese degli anni intorno al 1850, voi vedete che gran parte dell’odierno Estremo Est sovietico era dentro i confini dell’impero Manchu. 1 cinesi non lo dimenticano. Essi furono assolutamente umiliati»
I capi dell’opposizione musulmana al regime filosovietico dell’Afghanistan negano da aver sequestrato l’ambasciatore americano a Kabul Adolph Dubs. Negano qualunque coinvolgimento anche i sovietici, a cui gli americani hanno invece presentato una nota di protesta. «A Kabul intanto regna la più assoluta confusione sulle conseguenze che l’assassinio avrà per il regime afgano. Il maggior numero di congetture ha come tema le richieste fatte dai sequestratori per acconsentire al rilascio dell’ostaggio. Dall’aprile del 1978, data del colpo di Stato, l «consiglieri» dell’URSS hanno assunto il comando di quasi tutti i reparti della polizia e dell’amministrazione civile. "Ormai — mi ha detto un diplomatico accreditato a Kabul — in Afghanistan non si prende alcuna decisione senza il nullaosta sovietico. Ma la partecipazione dei russi agli avvenimenti culminati nella morte dell’ambasciatore americano è stata più scoperta del solito». I sovietici stanziatisi in Afghanistan con l’avvento del regime di Taraki sono parecchie migliaia (si parla di 5.000 secondo informazioni di fonte occidentale su una popolazione complessiva dt 17 milioni). Di recente, forze insurrezionali musulmane hanno dichiarato di essere state "aggredite da reparti dell’armata rossa» e di aver ucciso cinque ufficiali sovietici. Questo "intervento fraterno" di truppe regolari russe in territorio afghano, in realtà, può avere avuto luogo con la copertura giuridica del "Trattato di amicizia e cooperazione» concluso di recente da Taraki con Mosca, che di fatto ha trasformato l’Afghanistan in un virtuale protettorato dell’URSS» (Bruce Loudon, Daily Telegraph e Corriere della Sera del 16 febbraio)
Tensione al confine tra Iran e Afghanistan. Ieri il governo iraniano ha chiuso la frontiera per arrestare l’afflusso di rifugiati che fuggono dalle regioni afghane, dove si intensificano scontri tra i ribelli musulmani e le truppe del governo marxista. Il governo di Teheran, con una nota del ministero degli Esteri, ha categoricamente smentito che suoi soldati siano illegalmente entrati in Afghanistan. La stampa sovietica accusa gli iraniani, il Pakistan, nonché i servizi segreti inglesi e americani e la Cina di soffiare sul fuoco della rivolta afgana.
l ribelli afgani stanno impegnando le forze del presidente Taraki in ben otto provincie del Paese. Lo ha affermato ieri Mujaddadi, presidente del Fronte di liberazione nazionale che riunisce i gruppi della dissidenza musulmana afghana, in una conferenza stampa tenuta a Islamabad. Il governo filosovietico di Kabul ha annullato le festività del capodanno afghano in programma dal 21 al 23 marzo. Mujaddadi ha detto che i ribelli stanno attaccando la città di Chagha Serai da tre lati. Da questa città si controlla l’accesso alla provincia di Kunar che confina col Pakistan. Da Chagha Serai si potrebbe attaccare Jalalabad. Affermando quindi che centinaia di aderenti al Fronte nazionale vengono arrestati ogni giorno dal governo Taraki, Mujaddadi ha parlato di carceri piene e di torture inflitte ai detenuti. A suo dire al governo Taraki obbedisce meno dell’un per cento della popolazione, e cioè i soli comunisti. Mujaddadi ha negato che il Fronte riceva armi da paesi stranieri. In molti casi, secondo il presidente del Fronte, i ribelli si battono con armi rudimentali, bastoni, sassi, bottiglie molotov. Quanto al Pakistan, Mujaddadi ha detto che ha fornito una certa assistenza ai profughi afghani, che sono circa 40.000, ma questa gente manca di molte cose e bisognerebbe che altri Paesi intervenissero per ragioni umanitarie. Il governo di Kabul ha già accusato l’Iran di avere infiltrato in Afghanistan ben quattromila uomini col compito di sostenere e fomentare la rivolta musulmana. Nella vicenda ha un ruolo di primo piano anche l’URSS. Proprio ieri l’organo del PCUS Pravda ha rinnovato le accuse al Pakistan di prestare aiuto ai ribelli musulmani. Il giornale afferma inoltre che Stati Uniti, Cina, Inghilterra, Germania Ovest, Egitto e altri Paesi arabi stanno intensificando la propaganda contro l’ Afghanistan nel quadro di un piano comune inteso a incoraggiare i ribelli afghani.
Il ministro degli esteri cinese Huang Hua ha comunicato all’ambasciatore sovietico a Pechino, Scerbakov, la decisione della Cina di denunciare il trattato di amicizia, alleanza e reciproca assistenza con l’URSS. Lo ha annunciato l’agenzia «Nuova Cina», confermando le indiscrezioni che erano filtrate già lunedì • I cinesi hanno firmato un trattato di pace col Giappone e questo rendeva impossibile il rinnovo del Trattato d’amicizia con l’Urss (1950), nel quale si specifica che Cina e Urss hanno nel Giappone un nemico comune. Urss e Giappone non hanno ancora firmato un trattato di pace per via della controversia intorno alle quattro isole Kurili, occupate dai russi alla fine della guerra • «L’Armata Orientale, schierata contro la Cina, è ormai la seconda fra le voci di spese militari sovietiche, dopo 1 missili balistici. Dal 1969 ad oggi il numero delle divisioni schierate fra la Mongolia e l’Estremo Oriente è salito da 15 ad almeno 45, secondo le stime fatte in Occidente e mai smentite a Mosca, di cui 7 corazzate, ad effettivi pieni e coi mezzi migliori. CI sono più di 800.000 soldati messi di sentinella contro «gli automi di Mao» con 700 bombardieri a breve e medio raggio («Tupolev 16» e «Hyuscin 400»). Contro i quali 1 cinesi sono un milione e mezzo, armati con mezzi come 1 missili «SAM—2» che 1 russi dettero loro nel ’57, quasi nella preistoria della tecnologia militare contemporanea. Ma i generali sovietici ammettono che la loro schiacciante superiorità tecnica potrebbe non essere risolutiva in una guerra convenzionale contro la Cina, che ha dimostrato in Vietnam di non temere le perdite umane» (Vittorio Zucconi sul Corriere del 4 aprile)
KABUL Alcuni diplomatici occidentali a Kabul hanno raccontato particolari sui disordini e sulle uccisioni di sovietici nell’Afghanistan, di cui si è parlato nei giorni scorsi. Questi diplomatici hanno detto che l’URSS ha preso alcune misure urgenti per proteggere i suoi cittadini nell’Afghanistan, dopo l’uccisione di decine di «consiglieri» sovietici ad opera di guerrieri di tribù afghane musulmane, contrarie all’attuale governo filocomunista di Kabul. Tra l’altro, è stato deciso di far rimpatriare donne e bambini di famiglie sovietiche, mentre a Kabul le centinaia di sovietici entrati in Afghanistan dopo il colpo di stato del presidente Nur Mohammed Taraki lo scorso anno, hanno lasciato gli appartamenti che abitavano nella capitale, sistemandosi alla meglio entro il recinto dell’ambasciata dell’URSS. Almeno sessanta sovietici sarebbero stati massacrati nella città di Herat, 1600 chilometri da Kabul. A quanto riferito da alcuni testimoni, sono stati visti guerrieri di tribù afghane fare metodicamente a pezzi un russo preso prigioniero sino a che, del corpo, non è rimasto che il tronco, esposto poi per due giorni in una pubblica piazza, quale «avvertimento».
Si conclude il viaggio in Polonia di papa Giovanni Paolo II. il Papa, in questo viaggio, «non si precluse nessuno strumento nel suo impegno per la liberazione dei popoli dell’est Europa: la via diplomatica e i risultati che ne potevano venire, e lo scontro suo personale con l’ideologia comunista spostato dal campo della politica a quello della coscienza e della cultura. Fu questo il leitmotiv dei nove giorni del giugno 1979 in Polonia, durante i quali, nonostante la gigantesca operazione di boicottaggio messa in piedi dai servizi (480 agenti mobilitati solo a Cracovia), lui “si mosse come se il regime della Repubblica popolare polacca semplicemente non contasse (…) accendendo la scintilla di una rivoluzione morale, Giovanni Paolo II diede alla sua gente la chiave per la liberazione: la chiave di coscienze riaccese”. Parlava a folle oceaniche rivolgendosi personalmente a ciascun presente: a Jasna Gora durante la sua omelia un minatore provò a dire qualcosa al suo vicino, che lo gelò: “Non chiacchierare quando il Papa sta parlando con me!”. Poi iniziò a definirsi non solo un Papa polacco ma un “Papa slavo” e il Politburo del Pcus ne dedusse che la chiesa aveva dato inizio a “una guerra ideologica contro i paesi socialisti”. (Ubaldo Casotto) • «...una manifestazione impressionante di rifiuto dell’ideologia di Stato, di distacco irrimediabile tra governati e governanti, insomma di rottura politica. Milioni di polacchi cadevano in ginocchio alla vista del corteo papale, gridando in coro ”Viva il papa” oppure ”Resta con noi, resta con noi”. E già al secondo giorno, superata ogni paura, i polacchi presero a scandire insieme ai ”Viva il papa”, ”Demo-kra-cja, de-mo-kra-cja”» (Sandro Viola).
In un comunicato la Santa Sede sostiene che la visita del Papa in Polonia «ha rappresentato un confronto tra due ideologie, bisogna vedere se i sovietici hanno capito la lezione: e cioè che la religione non è il frutto superstizioso di una situazione sociale, e che persino in un sistema comunista bisogna permettere libertà religiosa. Se capiranno ciò, tutto bene. Se invece daranno un giro di vite, confermeranno quanto il loro sistema sia fragile».
«Nel giugno 1979 ero andato in Polonia, per il primo formidabile ritorno di Karol Wojtyla da Papa. Tornando mi fermai a Vienna e mi procurai un biglietto per l’Opera. In onore dell’incontro, il primo, fra il presidente americano Jimmy Carter e il presidente sovietico Leonid Breznev vi si rappresentava “Il ratto del serraglio”, con la direzione del leggendario Karl Böhm. Breznev aveva 72 anni ed era al lumicino (durò comunque altri tre anni). Le cronache infierirono sulla sua ebetudine. Lo vidi entrare nel palco imperiale: era mummificato, e guardava verso la parete del palco. I suoi lo voltarono verso la scena come avrebbero fatto con un manichino. Quanto a Mozart, Breznev era sordo. La scena si ripeté alla fine del primo atto, poi i due granduomini lasciarono: Breznev non era semovente, il giorno dopo doveva firmare il Salt II, e dopo pochi mesi avrebbe ordinato l’invasione dell’Afghanistan. Gli applausi erano stati educati per i due ospiti, furono scroscianti per l’opera. Böhm, che di anni ne aveva 85, fu richiamato non so quante volte, e sembrò anche lui un po’ traballante. Ma era allegro e spiritoso, si inchinava al pubblico aggrappandosi al sipario calato, e quasi volteggiava. Era stato nazista. L’anno dopo morì». (Adriano Sofri)
«È di questi giorni la notizia che l’URSS avrebbe proposto all’Italia una straordinaria «joint venture». Costruire insieme centrali nucleari in territorio sovietico, magari ai confini con l’Ungheria e la Cecoslovacchia, per fornire energia elettrica all’Italia attraverso una linea di 700-800 chilometri. L’URSS infatti è ricca non solo di gas naturale, che già fornisce all’Italia con un metanodotto, e di petrolio, che potrebbe fornire con un oleodotto, ma può costruire quante centrali nucleari vuole il suo governo senza incontrare proteste di movimenti ecologici e consigli comunali. La notizia è interessante, se non altro come prefigurazione d’un avvenire di rubinetti energetici in mani altrui, custoditi in qualche profondità della steppa. Qualcosa di simile fu già pronosticato da Andrej Sacharov, come fisico nucleare e come dissidente sovietico, in una lettera del 1977 a Le Monde, quando rivolgendosi in genere agli europei sollevò la questione dell’indipendenza energetica, economica e politica «per i vostri figli e nipoti». Non rimane che perseverare nel luna-park, vezzeggiare ancora il quattordicenne-massa con «diritto allo scooter», e ci giochiamo anche l’indipendenza. Per i figli e i nipoti, o forse anche prima» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
In Afghanistan la guerriglia islamica contro il governo filosovietico del presidente Mohamed Taraki si sta facendo sempre più dura ed accanita e minaccia di aprire un nuovo punto di scontro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Dopo il discorso di giovedì sera del consigliere presidenziale Zbigniew Brzezinski che aveva lanciato un avvertimento all’URSS e a Cuba, il dipartimento di Stato ha avvertito a sua volta venerdì sera l’URSS che gli Stati Uniti considereranno come una «questione seria» ogni interferenza sovietica negli affari interni dell’Afghanistan. Il portavoce del dipartimento, Hodding Carter, alludendo apertamente all’URSS, ha affermato: «Ci attendiamo che il principio di non interferenza sia rispettato da tutte le parti nella zona, compresa l’Unione Sovietica. Come abbiamo già detto, considereremo come una seria questione un intervento esterno nei problemi interni dell’Afghanistan». Le ripetute prese di posizione americane sembrano collegate alle notizie di un concentramento di diverse centinaia di «consiglieri militari» sovietici nei pressi dell’aeroporto di Kabul. Gli esperti americani ritengono infatti che questo raggruppamento non preluda ad un ritorno in URSS dei «consiglieri», ma piuttosto alla preparazione di un’offensiva su larga scala diretta a stroncare l’attività della guerriglia. Benché le maggiori città dell’Afghanistan siano controllate dalle truppe governative, nelle ultime settimane, infatti, le bande guerrigliere sono riuscite ad estendere la loro presenza nell’entroterra, compiendo spesso colpi di mano sulle strade, grazie anche alla grande quantità di armi, compresa artiglieria pesante e cannoni contraerei, di cui sono riuscite ad impadronirsi. Gli Stati Uniti temono anche che, se il governo Taraki dovesse essere spazzato via, l’Unione Sovietica starebbe preparandosi a manovrare tra le varie fazioni della guerriglia, che non sono unite da un comando riconosciuto, per trovare altri sostenitori tra gli stessi esponenti della guerriglia (dal Corriere della Sera)
ISLAMABAD — Kabul è stata teatro del più grave episodio di rivolta avvenuto nell’Afghanistan da quando il governo filosovietico capeggiato dal presidente Taraki si è installato al potere col cruento colpo di Stato dell’aprile 1978. Secondo le informazioni raccolte dagli ambienti diplomatici di Islamabad, nella rivolta sono state coinvolte unità dell’esercito. La sollevazione è stata stroncata. I combattimenti, che hanno avuto un’eccezionale violenza, sono cominciati verso mezzogiorno nel centro di Kabul e si sono poi rapidamente estesi ad altre zone della capitale afghana. Mentre l’aeroporto internazionale veniva chiuso al traffico, si levavano in volo elicotteri e caccia che sorvolavano la città facendo uso delle armi di bordo. Gli scontri più aspri sono avvenuti attorno al forte di Baia Hissar, dove erano acquartierate le truppe in rivolta. Sono stati impiegati razzi di fabbricazione sovietica e mezzi corazzati. Dopo quattro ore gli scontri sono cessati. La rivolta è stata confermata dall’agenzia sovietica «TASS», la quale riferisce che il «tentativo è fallito grazie alla collaborazione della popolazione» (dal Corriere della Sera del 6 agosto)
KABUL — Le truppe fedeli al presidente Nur Mohammed Taraki hanno ripreso il totale controllo della capitale dell’Afghanistan dopo i sanguinosi scontri dl domenica scorsa. La sparatoria che ha caratterizzato la domenica, in seguito all’ammutinamento di una parte della guarnigione della capitale, si è conclusa al calar della notte. Il coprifuoco è stato imposto nella capitale afghana dalle 8 di sera alle 4 del mattino. Stamattina la circolazione nelle vie della capitale è quasi normale: solo il quartiere di «Baia Hissar», dove sono avvenuti gli scontri, è vietato alla popolazione. Il governo ha fatto distribuire dei manifesti nei quali si afferma che «gli agenti della reazione sostenuti dal Pakistan e dell’Iran sono stati sconfitti», mentre automobili con altoparlanti percorrevano le vie della città per rassicurare la popolazione affermando che il governo aveva il totale controllo della situazione. Non è ancora possibile fare un bilancio delle vittime - si parla di 3-400 morti da una parte e dall’altra - degli scontri .di domenica. Nella sparatoria sono stati impiegati da parte governativa carri armati Testimoni degli scontri affermano di aver visto elicotteri MI-24 dl fabbricazione sovietica prendere di mira soldati in uniforme che tentavano di scavalcare i muri della caserma di «Bala Hissar» per cercare di rifugiarsi nelle vicine montagne: secondo altre testimonianze parte della caserma sarebbe stata rasa al suolo. Anche le vie del sobborgo dl Bala Hissar portano le tracce dei colpi esplosi dai carri armati che sono passati per le strade a tutta velocità per soffocare la ribellione. La ribellione di domenica è, secondo gli osservatori, la più seria alla quale abbia dovuto far fronte il regime marxista di Taraki dall’aprile dello scorso anno, quando si è impadronito del potere, più grave di quello di Herat del marzo scorso. Questo ammutinamento anche se ha potuto essere rapidamente soffocato, non potrà non avere ripercussioni nell’esercito afghano duramente impegnato a soffocare la ribellione islamica.
La notizia di una ribellione (o ammutinamento) nel forte di Bal Hissar non dovrebbe meravigliare: non è la prima. La France-Press, molto attenta agli avvenimenti afghani, ricorda le rivolte, fra i militari governativi, nelle città di Herat e di Gialal Abad in marzo e aprile: e in tempi più recenti brigate corazzate sono passate, nelle province meridionali del Paese, alle formazioni dei guerriglieri. Ma Bala-Hissar è nelle vicinanze di Kabul, la capitale: ed è questo che deve preoccupare il governo del presidente Taraki. Significa che la guerra santa sta espandendosi in ogni direzione e che, probabilmente, si sta stringendo intorno al cuore stesso del PaeseLa capitale è fortemente presidiata. I carri armati (made in URSS) sono piazzati ovunque: nei recinti dei ministeri, attorno alla sede della televisione, sulla strada che conduce all’aeroporto, agli sbocchi delle principali arterie. Gli elicotteri sono sempre pronti al decollo. Alle undici di sera, quando scatta il coprifuoco, i riflettori illuminano a giorno i profili brulli delle montagne e la fatiscente periferia. Una ribellione militare alle porte di Kabul vuol dire che l’influenza dei guerriglieri islamici ha ormai una grande — forse irresistibile — forza di penetrazione: e che tra le file dell’esercito governativo si sta facendo strada quello stesso massiccio sentimento di rivolta — provocato da una comune fede religiosa — che consenti a Khomeìni. nell’Iran, di vincere praticamente inerme i quattrocentomila soldati pluriarmati dello sciàAnche a Herat c’era stata, nel marzo scorso, una ribellione. Finì nel sangue. Arrivarono gli aerei governativi e fecero un massacro. Secondo una stima mai completamente smentita, i morti furono quindicimila. Durante un colloquio avvenuto il mese scorso a Kabul, il primo ministro e ministro degli esteri, Hafizullah Amln, mi disse che quella di Herat non era stata affatto una ribellione, essendo la popolazione locale fedele al governo: ma che si trattava di «migliaia e migliaia di infiltrati iraniani». Sarà difficile sostenere ora che Bala-Hissar fosse occupata da migliaia di infiltrati stranieri. (Ettore Mo sul Corriere della Sera)
• Dopo aver trascorso ben 175 giorni a bordo della stazione orbitale “Salyut 6”, rientrano sulla Terra i due cosmonauti russi Vladimir Lyakhov e Valeri Ryumin, protagonisti del più lungo volo spaziale della storia: erano stati lanciati in orbita, con la Soyuz 32, il 25 febbraio.
il Papa parla all’Onu. Il cardinale Casartoli gli ha eliminato dal discorso i passaggi che possono suonare offensivi alle orecchie dei sovietici, ma lui li ha reintrodotti e difende a gran voce i diritti umani inalienabili.
«Fino a pochi anni fa, le operazioni della superpotenza sovietica oltre i confini della sua sfera d’influenza venivano giùstificate con la necessità di contrastare l’imperialismo americano, il «gendarme del mondo». Ma Jimmy Carter è il primo i presidente degli Stati Uniti, dai i tempi di Herbert Hoover, che possa dire di non aver impegnato all’estero un solo soldato americano. Fra i suoi atti si ricordano invece la mediazione sul trattato di pace egizio - israeliano e il trattato di Panama, l’incontro di Vienna con Breznev e quel Salt 2 che riconosce ai sovietici la parità strategica o anche più della parità, mentre l’ambasciatore Anatolij Dobrynin è stato in questi anni il cittadino straniero più influente e persino più vezzeggiato a Washington. Il presidente «battista e predicatore» può essere stato molesto ai governanti sovietici con la sua campagna sui diritti umani nell’URSS, ma non ha minacciato mai un’eccezione al suo codice del non intervento militare, da quando una flotta russa prendeva fissa dimora nel porto di Luanda fino a quando i rivolgimenti dell’Iran hanno innescato la seconda crisi energetica. Non sarà stato solo per volontà soggettiva di Carter, poiché dopo il Vietnam qualsiasi intervento americano era poco verosimile, ma così è stato. E tuttavia i sovietici, in questo periodo, sono intervenuti dovunque in ogni occasione propizia (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera. Sugli interventi sovietici nel mondo vedi notizia successiva)
«L’intervento russo - cubano dall’Angola all’Etiopia, con i 50 mila «soldati di ventura ideologica» offerti da Fidel Castro, è divenuto un’intrusione militare permanente nel cuore dell’Africa. Un generale sovietico, Vassilij Petrov, ha diretto prima il ponte aereo nella guerra di Menghistu contro la Somalia per l’Ogaden e poi le offensive contro l’Eritrea. Dall’Angola sono partite le incursioni dei ribelli zairesi nella provincia di Kolwezi, dove si produce gran parte del cobalto utilizzato dalla tecnologia aerospaziale degli Stati Uniti. Nel Sahara è stata equipaggiata con armi sovietiche e algerine la guerriglia del Polisario, indirizzata fra l’altro al sabotaggio della produzione di fosfati che il Marocco esporta in Occidente. Lungo la «via del petrolio» i sovietici hanno proceduto alla satellizzazione del Sud Yemen, collocando le loro navi nel golfo di Aden, e poi anche dell’Afghanistan, insediando dieci compagnie del loro esercito tra Kabul e Bagram a garanzia del regime di Hafizullah Amin. Nel Sud Est asiatico hanno fornito al «sub-imperialismo» di Hanoi i carri armati T53, T54, T59, i Mig, i missili Sam per invadere la Cambogia e opporsi alla rappresaglia cinese, ma non le risorse di cui si dice che il Vietnam ha bisogno per sopravvivere e fermare l’ondata degli espatri» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera).
Sono già schierati verso l’Europa occidentale un centinaio di SS 20, e se ne costruisce ancora uno ogni sei giorni per sostituire i settecento SS 4 e SS 5 installati fra il 1959 e il 1961. Questo accade malgrado la rinuncia di Carter alla famosa «bomba al neutrone», malgrado la prudenza degli occidentali dinanzi alle richieste cinesi di armi, malgrado l’accordo sul trattato SALT 2, che attraverso la parità «strategica» dell’URSS e degli Stati Uniti può indebolire la garanzia nucleare americana all’Europa. Difficile negare che un equilibrio delle forze in Europa è stato alterato, come ripete Helmut Schmidt, il quale peraltro è favorevole a esplorare tutte le possibilità d’un negoziato con i sovietici (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
LONDRA — Citando «una fonte diplomatica ad alto livello» a Kabul, il giornale britannico «Daily Telegraph» scrive che l’URSS ha spedito d’urgenza venti battaglioni in Afghanistan par proteggere le sue basi da un attacco dei ribelli musulmani (dal Corriere della Sera del 4 novembre).
Nel corso della prima metà del mese un certo numero di truppe da combattimento sovietiche inizia ad affluire in Afghanistan, ufficialmente per accogliere le richieste d’aiuto di Kabul e nel rispetto del trattato di amicizia firmato l’anno prima (wikipedia).
Tra il 7 dicembre e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a sessanta chilometri da Kabul, un battaglione sovietico della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia.
Tra ieri e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a pochi chilometri dalla capitale, un altro battaglione sovietico, stavolta appartenente alla 104ª Divisione aviotrasportata della Guardia. Col battaglione della 103ª, trasferito lo scorso 9 dicembre, si crede così di aver meglio garantito la protezione dello scalo. Contemporaneamente i consiglieri sovietici iniziano la loro opera di neutralizzazione delle forze afghane, facendo ritirare i mezzi blindati nelle rimesse per "riparazioni" e "svernamento", e organizzando "inventari" delle scorte di armi e munizioni presenti nei depositi; gli stessi consiglieri convincono Amin ad abbandonare la residenza presidenziale nel centro di Kabul per trasferirsi nel più isolato palazzo Tajbeg, separandolo così da gran parte delle truppe a lui fedeli presenti nella capitale (wikipedia)
L’Urss invade l’Afghanistan per sostenere il governo comunista del Partito Democratico del Popolo Afgano contro i ribelli Mujaheddin, sostenuti dagli integralisti islamici (leggi qui l’analisi di Guido Rampoldi e Enrico Franceschini) • «La sera del 24 dicembre le forze sovietiche diedero il via all’invasione (operazione Štorm 333): mentre i primi reparti della 40ª Armata attraversarono il confine lungo il fiume Amu Darya, i paracadutisti sovietici della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia già stanziati a Bagram si impossessarono della base quasi senza combattere; seguì un lungo ponte aereo per portare a Bagram dalla loro base a Fergana gli elementi principali della 105ª Divisione aviotrasportata, a cui furono aggregati per l’occasione specialisti del KGB e un contingente di truppe scelte del Gruppo Alpha.[48] A sera i reparti della 108ª Divisione motorizzata attraversarono per primi l’Amu Darya» (wikipedia).
I reparti della 108ª Divisione motorizzata sovietica, attraversato l’Amu Darya la sera del 24 dicembre, occupano oggi nel pomeriggio Baghlan, Konduz e Pol-e Khomri nel nord-est (wikipedia). A Kabul, i russi invasori giustiziano il presidente Hafizullah Amin e mettono al suo posto Babrak Karmal, 50 anni, marxista e filosovietico, fondatore del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, leader della fazione moderata Parcham, poi esiliato come ambasciatore a Praga dalla fazione rivale Khalq. Radio-Kabul ha trasmesso un messaggio indirizzato al popolo afghano da Babrak Karmal. Il nuovo capo dello Stato ha promesso «libertà democratiche per tutte le masse, la scarcerazione di tutti i detenuti politici e la creazione di posti di lavoro per i disoccupati. Vogliamo annunciare che le ultime catene dell’imperialismo, del fascismo e della dittatura nel cuore dell’Asia sono state spezzate e che viene issata la bandiera di un Afghanistan libero e Indipendente». Il nuovo regime permetterà la proprietà privata. Saranno puniti i delitti dei fedeli di Amin. Il consiglio rivoluzionarlo che fiancheggia il governo si è impegnato a «risolvere il problema della rivolta nelle provincie per via politica». Forse il colpo di Stato sottolinea drammaticamente le difficoltà di reprimere la «guerriglia santa» dei ribelli musulmani contro i regimi comunisti sostenuti da Mosca. Poco dopo l’annuncio del colpo di Stato le comunicazioni telefoniche tra l’Afghanistan e l’Iran sono state interrotte (Corriere della Sera). • Contemporaneamente alla presa di Kabul e del nord-est dell’Afghanistan la 40ª Armata si assicurò il resto del paese: muovendo dalla Repubblica Turkmena, la 5ª Divisione motorizzata entrò nell’Afghanistan occidentale il 27 dicembre avanzando rapidamente, ed entro il giorno successivo si impossessò di Herat e Shindand, espandendo poi la sua area di controllo fino a Farah e Kandahar (wikipedia).
KABUL — Secondo informazioni americane, combattimenti sono in corso in parecchi punti, fra cui le vicinanze del palazzo presidenziale, a Kabul: soldati sovietici sarebbero intervenuti negli scontri. Il colpo di Stato è avvenuto subito dopo l’arrivo di un altro forte contingente di soldati russi, con un ponte aereo di circa 200 voli: grossi apparecchi sovietici hanno trasportato forse cinquemila militari, che vengono ad aggiungersi alle forze sovietiche già impegnate ad aiutare il governo afghano contro gli insorti. Secondo le ultime notizie da Kabul la resistenza al colpo di Stato sarebbe più forte del previsto. Alle ore 21 (ora locale) mentre la radio continua ad affermare che il regime di Amin è stato rovesciato, i combattimenti proseguono: sulla strada che conduce all’aeroporto di Kabul carri armati hanno aperto il fuoco. Si sente anche il rombo delle artiglierie e intense raffiche di mitraglia (Corriere della Sera).
BELGRADO — La Jugoslavia è «sorpresa e profondamente preoccupata per l’evolversi della situazione in Afghanistan, ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri a Belgrado. Questa presa di posizione della Jugoslavia, attesa con molto interesse dopo il messaggio inviato sabato dal presidente Carter al maresciallo Tito, è apparsa molto cauta con l’evidente sforzo di evitare di assumere posizioni. È stato notato che nel testo della dichiarazione jugoslava non si fa alcuna menzione dell’Unione Sovietica. Belgrado — ha detto ancora il portavoce — esprime «profonda preoccupazione per le gravi conseguenze che possono derivare dall’evolversi della situazione, non soltanto per un peggioramento nella regione ma anche per i rapporti internazionali in generale».
PECHINO — Il governo cinese, in una dichiarazione ufficiale diramata nelle prime ore di ieri, che fa seguito a due prese di posizione del «Quotidiano del popolo» e dell’agenzia «Nuova Cina», condanna decisamente l’azione sovietica nei confronti dell’ Afghanistan e chiede che Mosca ritiri tutte le sue truppe da quel Paese. La dichiarazione afferma: «L’Unione Sovietica ha di recente attuato una massiccia invasione militare dell’Afghanistan, interferendo grossolanamente negli affari interni di quel paese. Questo intervento armato viola sfacciatamente tutte le norme che reggono i rapporti internazionali; non soltanto esso usurpa la sovranità e l’indipendenza nazionale dell’Afghanistan, ma pone anche una grave minaccia alla pace e alla sicurezza in Asia e nel mondo intero. Il governo cinese condanna vigorosamente questa azione egemonistica dell’Unione Sovietica e chiede decisamente la fine di quest’aggressione e di questo Intervento nell’Afghanistan e il ritiro dl tutte le forze dell’URSS. Il documento cinese prosegue affermando che Mosca ha da tempo pianificato l’azione e rileva in proposito che essa «rappresenta un grave passo per la penetrazione verso sud allo scopo di giungere all’oceano Indiano e controllare le vie marittime. Essa è anche una parte importante della strategia sovietica per impossessarsi delle zone produttrici di petrolio e aggirare l’Europa in modo da assicurarsi l’egemonia mondiale». Dopo aver rilevato che i sovietici «hanno allargato l’applicazione della ’teoria della sovranità limitata’ dalla loro ’comunità di nazioni’ a un paese non allineato e islamico del Terzo mondo», la dichiarazione di Pechino continua osservando che è assurdo pretendere, come fa l’URSS, che la sua azione sia stata Intrapresa «per aderire a quanto previsto dal trattato dl amicizia con l’Afghanistan e su richiesta del governo afghano». «Questa logica degli aggressori non può ingannare alcuno, pur se merita di essere attentamente valutata. Con le sue azioni l’Unione Sovietica dimostra di essere pronta a invadere e occupare qualsiasi paese» (dal Corriere della Sera)
VIENNA — Il presidente romeno Nicolas Ceausescu si è dissociato dall’intervento sovietico in Afghanistan e ha riaffermato la validità dei principi della non ingerenza e del non ricorso alla forza come criteri fondamentali delle relazioni internazionali. In un discorso al corpo diplomatico straniero accreditato a Bucarest, Ceausescu non ha menzionato esplicitamente l’Afghanistan, ma l’allusione è stata capita da tutti quando ha affermato: «Ci auguriamo che in tutte le regioni del mondo si adotti una politica di moderatezza, e che finisca ovunque il ricorso alla forza e agli interventi militari in modo che venga finalmente rispettato il diritto dei popoli all’indipendenza». Ceausescu ha detto che se si facesse un sondaggio demoscopico su scala mondiale, «più dell’ottanta per cento» della popolazione del pianeta si pronuncerebbe per il disarmo, per la non ingerenza e per la pace. Ceausescu non ha imitato i suoi colleghi degli altri stati del patto di Varsavia che hanno inviato telegrammi di felicitazioni al nuovo leader afghano Karmal. Lo hanno fatto il magiaro Kadar e il bulgaro Zivkov e i loro giornali hanno elogiato «l’aiuto internazionalistico» dei sovietici. Altro linguaggio è usato dal giornale di Tirana «Zeri i Popullit», che ha definito l’impresa sovietica «un atto aggressivo e fascista dei socialimperialisti dell’URSS». Il giornale del PC albanese ha scritto che «anche i popoli dell’Iran e di tutto il medio oriente devono stare in guardia davanti alle azioni e ai trucchi dell’imperialismo americano e del socialimperialismo sovietico»
ISLAMABAD — L’intervento militare sovietico in Afghanistan è motivo di «gravissima» preoccupazione per il governo del Pakistan il quale in un comunicato rilasciato ieri sottolinea le ripercussioni che la presenza dei soldati russi potrà avere sulla pace internazionale. Il documento chiede altresì a Mosca di ritirare immediatamente le sue truppe. «Il governo del Pakistan considera con la più grave preoccupazione i recenti sviluppi afghani e ritiene che l’intervento sovietico nel vicino paese costituisca una grave violazione delle norme della coesistenza pacifica». Dopo aver ricordato i tre colpì dl Stato succedutisi in Afghanistan negli ultimi due anni la nota aggiunge: «Il governo del Pakistan considera questo sviluppo con la più grave preoccupazione, preoccupazione che è tanto più profonda dal momento che il Paese soggetto all’intervento militare è un paese Islamico, un nostro vicino immediato, un paese che fa parte della conferenza islamica e del movimento dai non-allineati» «L’ingresso di truppe straniere allo scopo dl determinare l’esito dell’attuale crisi interna afghana costituisce un ulteriore aggravamento della situazione ed è destinato a prolungare l’agonia del popolo afghano al quale il Pakistan è unito da legami indissolubili di storia, fede e cultura».
Entro la metà del gennaio 1980 i centri principali dell’Afghanistan erano in mani sovietiche: l’esercito afghano oppose una resistenza debole e disorganizzata, e la 40ª Armata, cresciuta fino a 81.800 unità, registrò perdite irrisorie; a Kabul il neo presidente Karmal, portato in volo nella capitale dai sovietici, proclamò la caduta del regime di Amin e la formazione di un nuovo governo. (wikipedia)
Una divisione dei «berretti azzurri» (10 mila uomini), le forze speciali dell’URSS, ha sferrato un’offensiva contro le principali roccaforti dei guerriglieri musulmani che si oppongono al regime marxista dell’Afghanistan. Le truppe sovietiche attaccano appoggiate da mezzi corazzati e dai modernissimi elicotteri da combattimento «MI 21», l’equivalente dei «Cobra» americani. Sanguinosi scontri sono in corso in tutto II Paese e le testimonianze di quanti sono riusciti a lasciare Kabul sono drammatiche: i morti sono già migliala. Soltanto nelle prime 48 ore dopo il colpo di stato che ha portato al potere Barbak Karmal, sono stati uccisi tremila sostenitori del presidente Amin, deposto e giustiziato.Mentre le truppe sovietiche stanno soffocando le sacche di resistenza dei guerriglieri islamici afghani, e in tutto il mondo crescono le apprensioni suscitate da questo massiccio intervento militare, nell’Iran è stato scoperto e sventato ieri pomeriggio un complotto contro il segretario delle nazioni Unite Kurt Waldheim, che è a Teheran per cercare di risolvere la vicenda degli ostaggi americani. L’annuncio è stato dato dallo stesso ministro degli esteri Iiraniano Gotzadeh, il quale ha in tal modo spiegato perché era stato improvvisamente sovvertito tutto il programma di incontri di Waldheim, che nel pomeriggio era rimasto in albergo «per motivi di sicurezza». Contro il segretario dell’ONU c’era stata anche una manifestazione ostile di un migliaio di studenti (dal Corriere della Sera del 3 gennaio).
Mentre in Afghanistan l’offensiva delle truppe sovietiche contro i guerriglieri islamici incontra più resistenze del previsto, il presidente americano Carter ha annunciato le sue prime misure di replica. Dopo aver richiamato a Washington per consultazioni il suo ambasciatore a Mosca Watson, ha chiesto al Senato di rinviare la decisione sulla ratifica dell’accorde SALT 2 per la limitazione delle armi nucleari strategiche. Gli Stati Uniti inoltre appoggiano una iniziativa dei Paesi islamici che chiederanno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di condannare l’intervento sovietico. In una prima replica alla decisione americana, l’agenzia sovietica TASS ha accusato ieri «l’amministrazione Carter e gli ambienti reazionari» di voler «intensificare la corsa agli armamenti nucleari» sottolineando che «gli USA hanno bisogno quanto l’URSS del SALT 2». La TASS poi ha condannato il proposito americano di rafforzare la difesa del Pakistan perché ciò «potrebbe accrescere la tensione e suscitare scontri pericolosi».Le «Izvestia», giornale del governo sovietico, accusano invece Washington di voler sfruttare la situazione per allargare la zona di influenza della NATO. Sul piano politico, una condanna eplicita dell’intervento sovietico è venuta, dopo iniziali cautele, dal partito comunista spagnolo, che si richiama ai principi di sovranità e indipendenza. Dal teatro degli scontri, dove i giornalisti occidentali non sono ancora stati ammessi, sembra che in alcune zone sia in atto una controffensiva di guerriglieri islamici, ai quali si i sarebbero uniti fedeli del deposto e ucciso presidente Amin che hanno disertato dalle forze regolari afghane.
PECHINO — Cina e Stati Uniti sono pronti ad attuare una vasta cooperazione militare che comporterà non solo un intervento statunitense per ammodernare le forze armate di questo Paese, ma anche, se se ne desse l’occasione, un reciproco appoggio nel settore della difesa per garantire i rispettivi interessi minacciati da una terza potenza. Questo è il primo risultato degli incontri che il segretario americano alla difesa, Harold Brown, ha avuto slnora con alcuni dei maggiori esponenti cinesi.Giunto sabato a Pechino, Brown ha avuto ieri ben sette ore di colloqui con una delegazione cinese guidata dal vicepremier Geng Biao. Al termine di questa «maratona» di consultazioni, un portavoce del ministero della difesa ha dichiarato che i due Paesi continueranno anche in futuro le discussioni sugli effetti delle azioni sovietiche nella regione asiatica e si consulteranno ulteriormente sulle appropriate risposte da dare ad esse. La stessa fonte ha precisato che nel corso di due riunioni tenute una in mattinata ed una nel pomeriggio — intramezzate da un pranzo di lavoro offerto all’ospite dal ministro degli esteri Huang Hua — è stata discussa la situazione mondiale ed in particolare quella creatasi dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nonché i modi per sviluppare i contatti tra i ministeri della difesa dei due Paesi.Le due parti si sono trovate d’accordo nell’affermare che «le azioni dell’URSS pongono direttamente in pericolo la pace mondiale e la sicurezza di tutti i Paesi e rappresentano una sfida per la comunità internazionale. Pertanto — ha proseguito la fonte cinese — le due parti si sono trovate d’accordo sul fatto che la resistenza e l’opposizione all’aggressione militare e alle ambizioni espansionistiche dell’URSS, rappresentano ora un problema molto urgente (dal Corriere della Sera dell’8 gennaio)
PARIGI — «Solo Londra sostiene Carter, le altre capitali non s’impegnano». Con questo titolo l’Herald Tribune assume l’atteggiamento degli alleati europei al dopo-Kabul e alla decisione americana di "punire" con varie sanzioni l’URSS per l’invasione dell’Afghanistan. Soprattutto dopo il risultato delle elezioni indiane (che viene interpretato come un altro punto in favore di Mosca nel grande poker asiatico: lo spoglio è in corso ma Indira sta vincendo nettamente) gli americani scrutano infatti con attenzione se dall’Europa giungano segni di appoggio alla «politica di svolta» impressa da Carter ai rapporti Est-Ovest. Ma le fonti ufficiali Usa sono molto scettiche sulle «consultazioni ad alto livello» che dovrebbero tenersi tra i vari governi europei e la CEE sul «come e quando» cooperare con la linea Carter. Del resto, le risposte principali sono già state date e appaiono «negative o sfuggenti».Soprattutto la posizione assunta dalla Francia è indicativa del «clima generale di disimpegno», dopo le dichiarazioni rese pubbliche domenica dal ministro degli esteri François-Poncet. «Noi escludiamo ogni rappresaglia verso l’URSS — ha detto il ministro — e semmai intendiamo aprire consultazioni con Mosca per ritrovare il modo di salvare la distensione». Per il governo di Parigi le spiegazioni fornite dall’URSS sull’occupazione militare di Kabul restano sempre «discordanti con la realtà». Pertanto va sempre sostenuta all’ONU la richiesta di ritiro delle truppe russe, «ma tra questo e associarsi a una politica di ritorsione il passo è talmente grande che la Francia non intende compierlo». La tesi francese s’attesta quindi su questa logica: proprio perché l’evento afghano ha significato un’altra minaccia per la distensione globale, la Francia intende perseguire il dialogo con l’URSS al fine di salvarla: se possibile su scala mondiale, altrimenti su scala europea (Alberto Cavallari sul Corriere della Sera).
Poiché Carter combatte i sovietici negando loro il grano promesso, potrebbe formarsi, nel mondo, un cartello del grano simile al cartello del petrolio dei Paesi dell’Opec? Però il petrolio è un prodotto naturale che può essere conservato sotto terra senza limiti di tempo e di quantità. Mentre il grano è un bene prodotto, che può essere conservato solo per qualche tempo e poi deve essere venduto. Impossibile per i produttori di grano dedicarsi all’organizzazione mondiale della penuria nella speranza di dettare il prezzo del grano (oggi quattro dollari a bushel) così come l’Opec impone il prezzo del petrolio (oggi 35 dollari al barrel). Inoltre: se la quantità di grano non venduta ai sovietici venisse riversata sul mercato deprimerebbe i prezzi in modo grave. Il prezzo del grano infatti è già crollato, e Carter ha dovuto sospenderne le quotazioni alle borse di Chicago, Kansas City e Minneapolis. Gli americani possono vendere ai russi senza autorizzazioni del governo fino a un massimo di 8 milioni di tonnellate (accordo del 1975). Quest’anno, prima dell’Afghanistan, Carter aveva concesso ai russi 25 milioni di tonnellate. Si tratta dunque di un surplus di 17 milioni di tonnellate, parte delle quali saranno vendute alla Cina (ne ha parlato con Pechino il ministro della Difesa Harold Brown durante il suo ultimo viaggio). Un’altra quota, comprata dal governo, andrà a beneficio dei paesi poveri. Un’altra ancora servirà alla produzione di carburanti. L’agricoltura americana - industria ad alta tecnologia e investimenti giganteschi - occupa meno del 4% della popolazione e esporta per 35 miliardi di dollari. Gli agricoltori protestano contro l’embargo (il candidato alle presidenziali George Bush: «Colpisce più noi dei russi), ma l’Afghanistan è l’ottava nazione caduta in cinque anni sotto il controllo sovietico, dopo Angola, Mozambico, Etiopia, Benin, Yemen del Sud, Laos, Cambogia. Adesso i sovietici sono a meno di 500 miglia dallo stretto di Hormuz e il vuoto di potere dell’Iran può suscitare sull’Urss un’attrazione crescente (abstract dell’editoriale di Alberto Ronchey).
I russi hanno fatto sapere che, in Consiglio di sicurezza dell’Onu, porranno il veto a qualunque sanzione verso l’Iran, messa sotto accusa dagli Stati Uniti per il sequestro degli ostaggi nell’ambasciata americana di Teheran. È la risposta di Mosca all’embargo sul grano deciso da Carter dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Gira voce - forse messa in giro ad arte dagli stessi russi - che l’invasione sia stata decisa da Kirilenko, Suslov, Ustinov e Gromiko, i quali avrebbero messo in minoranza un Breznev sempre più malandato in salute (da un articolo di Ugo Stille).
ISLAMABAD — Coi suoi 15 o 17 milioni di abitanti, l’Afghanistan è un paese molto povero, non ha petrolio e vanta uno dei redditi pro capite tra i più miserabili del mondo. L’intervento dell’Unione Sovietica, ha dichiarato in una recente intervista a Newsweek il presidente del Pakistan, generale Zia ul-Haq, non può quindi essere motivato dal «desiderio di nuove risorse». Ma — ha detto Zia — l’Afghanistan è strategicamente molto importante. E c’è molto petrolio in Iran. L’Afghanistan e il Pakistan costituiscono la porta secondaria sul Golfo e l’accesso diretto all’oceano Indiano. Ho cercato di richiamare l’attenzione di Washington su questo fatto sin dal primo colpo di Stato marxista nell’aprile del ’78. Senza troppo successo, potrei aggiungere. Il chiodo che regge la ruota è il Pakistan. Ciò non significa che noi abbiamo paura. In realtà siamo abbastanza sicuri. Ma data la nuova equazione di potere nel mondo, la fiducia in se stessi rappresenta la chiave alla nostra sopravvivenza come nazione. Il Pakistan è ora un’isola di stabilità e intendiamo mantenerlo tale»A Islamabad, la capitale, città dei ministeri, della burocrazia, delle ambasciate, una colata di palazzi, villini bianchi e giardini, sorta dal nulla e quasi senza rapporto fisico con la storia e la civiltà del paese, la crisi afghana sembra un fenomeno remoto; ma a Peshawar, che ricorda Kipling, o lungo l’intero arco della frontiera tribale dove sono ammassati i 400 mila profughi afghani, il dramma del vicino paese ha una sua greve, quotidiana incombenza. (Ettore Mo sul Corriere della Sera)
In una intervista televisiva il segretario di Stato Vance non ha escluso il blocco navale del Golfo Persico. A Teheran, il ministro iraniano del commercio, Reza Sadr, ha dichiarato che ciò potrebbe significare la guerra nel Golfo Arabico. Ha però aggiunto di ritenere improbabile un blocco, «perché il petrolio nel mondo passa per questa regione e i Paesi occidentali non sopporterebbero le conseguenze di tale misura». È circolata anche la voce che l’Iran taglierebbe le forniture di petrolio ai Paesi che, nella votazione all’ONU, aderissero alle sanzioni. Fanno parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Cina, Francia, Gran Bretagna, URSS, Stati Uniti, Bangladesh, Filippine, Germania Orientale, Giamaica, Norvegia, Portogallo, Niger, Messico, Tunisia e Zambia.A Bruxelles i 9 Paesi, fra cui l’Italia, della Comunità economica europea hanno deciso di sospendere la vendita di cereali all’URSS per appoggiare l’azione americana di rappresaglia per l’invasione dell’Afghanistan. La tensione internazionale si ripercuote in misura particolare in Jugoslavia, dove la presidenza dalla Repubblica e la presidenza della Lega dei comunisti hanno diffuso un appello alla «vigilanza nazionale».In Afghanistan, dove prosegue la resistenza islamica contro i sovietici nonostante i tentativi del presidente Karmal per giustificare l’intervento, la folla ha preso ieri d’assalto il carcere nei pressi di Kabul protestando contro la mancata liberazione di molti detenuti politici. Negli scontri hanno perso la vita un manifestante e un soldato afghano. A Mosca, Breznev avrebbe rivelato a Marchais che l’URSS è intervenuta a Kabul perché il regime di Amin minacciava di portare il Paese nell’orbita cinese
La resistenza dei guerriglieri islamici in Afghanistan continua, soprattutto nelle zone vicine alla frontiera con il Pakistan. Lanci di paracadutisti russi sono segnalati a Baricot, dove la guarnigione sovietica è assediata da qualche giorno. Il comando avrebbe deciso l’invio del «parà» per alleggerire la pressione. Secondo fonti dei ribelli, negli scontri sarebbero caduti un centinaio di sovietici. Si combatte anche a Jalalabad. Mosca ha dato notizia della morte di un generale: non si sa se sia caduto in combattimento In Afghanistan. DI fronte al deteriorarsi della situazione internazionale, le Casa Bianca ha annunciato che il presidente Carter sta preparando «un importante discorso» nel quale definirà nuove prospettive della politica estera americana: si prevede un notevole irrigidimento degli USA. Oggi torna in Europa il segretario di Stato aggiunto Warren Christopher.Ieri il presidente del Pakistan, generale Zia, ha rinnovato le accuse all’Unione Sovietica. Oggi giunge a Islamabad — nuova tappe della missione che lo ha portato in Turchia, nell’Oman e in Arabia Saudita — il ministro degli esteri inglese, Lord Carrington. Venerdì sarà la volta del ministro degli esteri cinese Huang Hua (la Cina ha studiato con gli USA un piano di aiuti al Pakistan). Alle Nazioni Unite, l’Assemblea generale conclude oggi la discussione sull’intervento sovietico in Afghanistan, mentre il Consiglio di sicurezza è impegnato dalla richiesta americana di sanzioni contro l’Iran: all’esame ci sono le nuove proposte di Teheran per gli ostaggi. L’Unione Sovietica, che ha preannunclato il suo veto e ogni sanzione, ha ieri affermato di essere pronta a fornire aiuto «anche militare» all’Iran.
Breznev s’è fatto intervistare dalla Pravda (otto colonne di giornale) e ha giustificato così l’invasione dell’Afghanistan: «Decine di migliaia di insorti, intere unità militari, aiutati e addestrati all’estero stavano infiltrandosi in Afghanistan. Questi insorti avrebbero messo in serio pericolo il fianco meridionale dello Stato sovietico, e le conquiste della rivoluzione afghana. La decisione di inviare contingenti in Afghanistan è stata non semplice, ma presa dal Comitato Centrale del PCUS e dal governo in piena coscienza delle proprie responsabilità e dopo aver esaminato tutte le circostanze». Quanto all’Europa e alle pressioni di Carter perché non venda cereali ai sovietici, Breznev ha detto: «Gli Stati Uniti danno l’impressione di essere un partner assolutamente inaffidabile, capace in ogni momento di violare gli obblighi e cancellare i trattati». Ora Washington «vorrebbe rovinare anche le relazioni delle nazioni europee con l’URSS e "metterle sotto"». «Ma l’interesse cardinale dei popoli europei è fermamente collegato con la distensione perché essi — ha ricordato Breznev con un’ombra di minaccia — abitano un continente già più volte segnato da guerre devastatrici e non sono pronti ad imbarcarsi lungo una strada di avventure solo per seguire gli ordini dei politicanti d’oltre oceano. E’ impossibile credere che ci possano essere Stati che in Europa desiderano gettare i frutti della distensione sotto i piedi di chi li vuole calpestare».
L’assemblea dell’ONU ha approvato una risoluzione che condanna l’intervento sovietico in Afghanistan e chiede il ritiro delle truppe «straniere» da quel Paese. La risoluzione non ha alcun valore pratico, ma acquista un grande significato politico. A parere degli osservatori è stata una delle più gravi sconfitte di Mosca all’ONU. Sono stati Infatti ben 104 i Paesi (tra cui Iran e Jugoslavia) che hanno votato a favore della risoluzione; appena 18 i contrari e altrettanti gli astenuti. Romania e Libia figurano tra I Paesi che non hanno partecipato al voto. Ieri l’URSS ha posto il veto alle sanzioni chieste da Washington contro l’Iran. Nonostante il veto, gli USA sono decisi ad applicare le sanzioni. Corrono voci di un possibile blocco navale e del minamento del Golfo Persico. Questi sviluppi si intrecciano con inquietanti notizie dai vari scacchieri della crisi. Secondo informazioni, ancora contraddittorie, una divisione sovietica sarebbe schierata In prossimità del confine afghano-iraniano. Inoltre il primo ministro israeliano ha denunciato il presunto pericolo di un attacco siriano. (dal Corriere della Sera del 16 gennaio)
È con l’oro (ieri a 18 mila lire il grammo) che Mosca raccoglie abitualmente valuta estera per finanziare buona parte dell’importazione di derrate alimentari dall’Occidente. Ma è ormai su tutta la gamma dei metalli di cui l’Urss è tra i maggiori produttori mondiali che si manifestano crescenti tensioni. Il palladio, per esempio, è salito tra lunedì e ieri ad un nuovo massimo storico di 216-220 dollari sul mercato libero di Londra; prezzi in forte ascesa anche per nichel, titanio, tungsteno, manganese, cromo e per i due metalli preziosi — argento e platino — di cui si fa ampio uso industriale. L’Urss, dicono gli csperti, sarebbe in grado di «tagliare» queste vendite mettendo in difficoltà alcuni comparti strategici della produzione in Occidente poiché ha raggiunto un grado di autosufficenza di gran lunga superiore persino a quello degli Stati Uniti. Sulla possibilità di affamare davvero l’Urss con il taglio alla vendita di grano: attenti alle triangolazioni. La Francia vende abitualmente frumento alla Somalia e parte di queste forniture vengono poi ritrasferite verso l’Urss. Resta il fatto che i 13 paesi interessati produttori di cereali (13 come i membri i dell’OPEC, fa notare qualcuno) hanno deciso di «congelare» 163 milioni di tonnellate di cereali assegnate quest’anno per l’esportazione, circa il 90 per cento di quel che sarebbe stato messo in commercio in tutto fl mondo nel 1979. L’Argentina da sola avrebbe immesso sul mercato 13,7 milioni di tonnellate, un quantitativo sufficiente a «coprire» il «buco» sovietico ed evitare all’economia russa un periodo di grave i crisi soprattutto per quanto riguarda il settore zootecnico e quindi la disponibilità di carne.
MOSCA — Ieri pomeriggio, in una città improvvisamente addolcita dal sole, e dalla voglia di primavera, gli agenti del KGB hanno arrestato nella via Shkalova, in centro, il premio Nobel per la pace Andrei Sacharov mentre, in automobile, stava andando a una riunione della Accademia delle scienze, di cui è membro. Poche ore dopo, la polizia segreta ha arrestato anche la moglie, Elena Bonner, mentre rincasava. I Sacharov abitano al settimo piano della bella palazzina di via Shkalova riservata agli accademici delle scienze. Alle sei del pomeriggio, dopo una secca comunicazione del procuratore generale, Sacharov e la moglie venivano portati all’aeroporto, caricati su un aereo e trasportati nella città di Gorki, sul Volga, a circa 400 chilometri da Mosca, dove dovranno vivere d’ora in poi in domicilio coatto. Il procuratore ha informato Sacharov che gli erano stati tolti tutti i titoli e gli onori conseguiti per il suo straordinario lavoro di fisico nucleare, grazie al quale 30 anni fa l’URSS ebbe la sua prima bomba all’idrogeno. L’accusa, secondo la Tass: attività sovversiva. Le notizie sulla sorte di Sacharov sono venute dalla suocera, Ruth Bonner, dopo ore di assoluto mistero. Ruth Bonner, che viveva con lo scienziato e la figlia nell’appartamentino della via Shkalova, ha potuto rientrare e, solo a tarda sera e raccontare finalmente la verità. La casa di via Shkalova è presidiata in forze. Due agenti sul pianerottolo, altri per le scale, un poliziotto in divisa alla porta, gruppetti di «cekisti» in borghese (il vecchio nome staliniano rimasto appiccicato a quelli del KGB) agli angoli del palazzo, nel cortile, fermi in auto parcheggiate. Si è visto un furgone verde, senza segni distintivi, fermarsi nel cortile, scendere quattro uomini, salire nel palazzo assediato, tornarvi dopo pochi minuti con fasci di carte, e ripartire, forse con le «prove» schiaccianti dei crimini di Sacharov. Il fatto certo è la conferma del ritorno ai fulgori staliniani dell’apparato poliziesco, di una svolta a destra che è arrivata a Kabul e sulla via Shkalova, a toccare l’«intoccabile» Sacharov, confermando purtroppo le indicazioni di un «giro di vite» registrate nei giorni scorsi.
MOSCA - Dimissioni di Vladimir Kirillin, personaggio politico e scientifico di rilievo. Presidente del comitato scienza e tecnica dell’URSS e vice-primo ministro, era uno dei protagonisti del dialogo tecnologico ed economico con l’Occidente. Era stato protagonista di tutte le trattative, a fianco di Kossighln, il primo ministro scomparso, per malattia, ormai da mesi. Anche nel negoziato con la FIAT, per Togliattigrad, Kirillin aveva avuto un ruolo importante. Il suo siluramento, perché tale è giudicato a Mosca unanimemente, è un altro segno grave di crisi del gruppo moderato e filo-occidentale in seno al vertice e del ritomo in forze dei sostenitori dei carri armati e della polizia segreta. Il futuro, con le prospettive di boicottagglo olimpico accresciute dallo schiaffo dato a Carter arrestando proprio Sacharov cui il presidente neo-eletto scrisse personalmente nel 1977, è sempre più preoccupante.
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