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I russi cercano di impossessarsi del petrolio iraniano
STOCCOLMA - Gli sforzi sovietici per entrare in possesso delle concessioni petrolifere nel nord dell’ Iran vengono considerati dal giornale londinese Observer come azione preliminare per creare, nel dopoguerra, una Russia esportatrice di petro. lìo sul mercato mondiale. Il giornale dichiara, inoltre, che le ragioni economiche, che vorrebbero giustificare questa nuova presa di posizione sovietica, non consistente in una accresciuta penuria di petrolio in Russia, lasciano intravedere l’intenzione del Governo di Mosca di esportare il petrolio. L’ Iran deve quindi attendersi, conclude il giornale, nuove richieste di concessioni petrolifere, non soltanto da parte dell’Unione sovietica, ma anche da parte degli Statunitensi che sono interessati ai giacimenti di petrolio esistenti nelle regioni sud-orientali- dell’Iran. (Corriere della sera del 17 ottobre)
Mercoledì 25 ottobre 1944
Eden in Egitto e poi in Iran a caccia di petrolio
Lasciata Mosca, il ministro britannico degli Esteri Eden ha fatto una sosta al Cairo dove ha avuto colloqui con re Faruk, con il nuovo Presidente del Consiglio egiziano e ministro degli Esteri, nonché con il residente britannico del Medio Oriente, Lord Moyne. L’agenzia britannica di informazioni aggiunge che il Ministro degli Esteri inglese ha discusso con le personalità egiziane questioni inerenti alle relazioni anglo-egiziane. Ahmed Maher Pascià avrebbe di nuovo assicurato che l’Egitto si assumerà la parte che spetta a questo Paese nella lotta contro il Giappone. Si apprende che Eden si recherà prossimamente a Teheran, per convincere il Governo dell’ Iran a concedere alla Russia un più ampio sfruttamento delle sorgenti petrolifere, finora sotto il controllo britannico.
Lunedì 30 ottobre 1944
In Iran i russi cercano di far cadere il governo Saedy
LISBONA - A quanto comunica il servizio delle Informazioni di Mosca, a Teheran sarebbe avvenuta una dimostrazione con la partecipazione di circa 20.000 persone di ogni ceto, nel corso della quale sarebbero state ripetutamente chieste le dimissioni del Presidente dei Ministri Saedy. Secondo la stessa fonte il lavoro è stato sospeso dalla maggior parte delle industrie dell’armamento. Il giornale londinese Observer, in un suo articolo, lascia comprendere che tale movimento ostile al Governo di Saedy è sobillato da Mosca. Scrive, infatti, il giornale Observer: «il rifiuto da parte del Governo iranico di assicurare concessioni di petrolio all’Inghilterra, alla Russia e agli Stati Uniti per la durata della guerra pare debba essere seguito dalla caduta dell’attuale regime iranico. Un’incessante campagna contro il Governo e contro il Primo ministro Saedy viene condotta da Mosca tanto all’estero quanto all’interno dell’Iran. Mosca ha accusato il Governo di Teheran di aver sabotato il transito dei rifornimenti inviati dall’America alla Russia in base alla legge «affitti e prestiti». (Dal Corriere della Sera del 31 ottobre)
Lunedì 4 dicembre 1944
Il Parlamento iraniano vieta ogni concessione petrolifera
LISBONA - Un dispaccio da Teheran, diffuso dall’agenzia A.F.I., informa che l’Assemblea nazionale iraniana ha approvato una legge che vieta al Governo iraniano di concludere qualsiasi accordo riguardante concessioni petrolifere (Corriere della Sera)
Venerdì 5 aprile 1946
Accordo raggiunto tra Urss e Iran
L’Associated Press riceve da Teheran che il governo iranico ha annunziato oggi che il Primo ministro Quavam es Sultaneh e l’ambasciatore sovietico hanno firmato un accordo in forza del quale le truppe russe sgombreranno l’ Iran incondizionatamente entro sei settimane a partire dal 21 marzo. I, ’accordo, firmato alle ore 4 del mattino, tempo di Teheran, prevede inoltre che entro sette mesi verrà presentata al Parlamento dell’ Iran una proposta per la costituzione di una compagnia petrolifera russo-persiana. Quanto al problema dell’Azerbaijan, la Russia dichiara di riconoscerne il carattere puramente interno. Negli ambienti competenti di Teheran si prevede che, immediatiimente dopo la conclusionie di questo accordo per i petroli settentrionali, gli Stati Uniti chiederanno la formazione di analoghe società nell’Iran meridionale.
Mercoledì 20 agosto 1947
Gli Stati Uniti, la Turchia e la penisola arabica
Che politica vogliono seguire in Medio Oriente gli americani? Leggi qui l’articolo di Alfio Russo
Venerdì 24 ottobre 1947
Il parlamento iraniano boccia l’accordo con l’Urss sul petrolio
Giunge notizia da Teheran che il Primo ministro persiano Sultaneh svolgendo al Parlamento l’attesa relazione sugli avvenimenti che portarono all’accordo petrolifero russo-persiano del 1946, ha detto tra l’altro: «Ricoprivo la carica di Primo ministro in quei tempi venturosi, quando Teheran era minacciata di accerchiamento. Per salvare il nostro popolo e il nostro Paese io firmai le lettere scambiate con l’ambasciatore sovietico. Qualsiasi patriota al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa». Il Parlamento ha quindi approvato la legge con la quale si dichiara nullo e inesistente l’accordo petrolifero russo-persiano. Negli ambienti bene informati di Londra si teme l’imminente ripresa di una nuova offensiva politica russa contro l’Iran in seguito al rifiuto del Parlamento persiano di approvare l’accordo petrolifero. Tale azione potrebbe essere combinata con movimenti di truppe di confine tendenti a far rinascere l’influenza comunista nella provincia settentrionale dell’Azerbaigian. Anche a Whitehall si nutrono molte preoccupazioni circa la reazione sovietica a questo «sbatacchiare la porta in faccia ai Russi».
Sabato 14 agosto 1948
Le furbizie di Qavvam Saltané
«II destino dell’Azerbaijan si chiama petrolio del nord. È un destino che si svolge molto meno in Azerbaijan che altrove sin dal primo trattato di amicizia asiatica tra Russia e Inghilterra firmato a Pietroburgo il 31 agosto 1907. Russia e Inghilterra si dividevano allora la Persia in due definite zone di influenza commerciale: il petrolio era sgorgato nel maggio di quell’anno dal pozzo numero uno dei pietrosi campi di Masjid I Suleiman, non lontano dalle rovine di un altare del fuoco. Era proprietà inglese, petrolio del sud, e gli inglesi intendevano salvaguardarlo da ogni ingerenza straniera. In compenso i Russi si prendevano la loro contropartita, non per sfruttare al momento la zona, ma per impedire che altri la sfruttassero: alle frontiere della Persia il petrolio fluiva ancora abbondante dai pozzi di Baku e chiamava gente d’oltre confine, poveracci pagati a prezzi di fame...»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Sabato 17 dicembre 1949
In Russia si estrae la metà del petrolio previsto dal piano quinquennale
La pubblicazione a Mosca della relazione ufficiale sull’andamento del piano quinquennale relativo all’ultimo trimestre del 1949 mostra un rallentamento generale della produzione industriale e un miglioramento di quella agricola. La Pravda fa anche sapere che la produzione di petrolio greggio è molto lontana dai 35 milioni di tonnellate previsti dal piano quinquennale, forse neanche la metà dei 60 milioni che Stalin aveva chiesto nel suo discorso elettorale « per assicurare posizioni di difesa ». La Pravda accusa il Ministero dell’Industria del petrolio, i cui sistemi tecnici di ricerche e di sfruttamento sono « detestabili », e invoca una vigorosa epurazione dei responsabili. Ma nessun appunto può essere in verità mosso al ministro dell’Industria del petrolio, Nikolai Baibakov, di recente nomina, che nella sua relazione al Praesidium del Soviet Supremo aveva chiaramente spiegato che l’Urss non può attendersi una produzione di greggio nella quantità fissata nei piani, non tanto perché lo sfruttamento dei giacimenti di Baku, nel Caucaso, sia difettoso o manchino i carri-cisterna, ma perché le riserve dei pozzi non sono più quelle di una volta. La Russia, che si classificava, prima della rivoluzione, alla pari con gli Stati Uniti, segue oggi il Venezuela con una produzione di circa un ottavo di quella degli Stati Uniti. Eppure migliaia di tecnici hanno sondato il deserto tra il lago di Arai e il mar Caspio; in Asia centrale presso Kokand; in Oriente nella Kamtchatka; si è esplorato in Carelia, trivellato tutta la zona intorno a Poltava, in Ucraina, dove durante la guerra, mentre i Tedeschi avanzavano, una sorgente scaturiva improvvisa e impetuosa nel villaggio di Romny. Tra il Medio Volga e gli Urali veniva rintracciato un immenso bacino, subito battezzato « la seconda Baku », che però si esauriva dopo la estrazione di 2 milioni di tonnellate. Questi immensi sforzi hanno richiesto l’impiego di miliardi di rubli, ma il risultato è che la produzione segna una ulteriore diminuzione del 16 per cento nel confronto dell’anno scorso. (L. Crucillà sul Corriere della Sera)
L’Urss minaccia l’Iran per il petrolio
«Secondo buone informazioni. l’Urss si preparava ad avanzare al Governo di Teheran proposte tendenti a farla partecipare allo sfruttamento delle risorse del Paese con un accordo di amicizia e di collaborazione, ad impedire che il territorio persiano venga utilizzato dalle Potenze occidentali e ad ottenere per la Russia uno sbocco nell’Oceano Indiano. Queste proposte il Governo di Teheran le ha prevenute col preferire un accordo con le Potenze occidentali che, secondo la stessa fonte sovietica, viene perfezionato in questi giorni a Washington L’Urss si mostra sospettosa per il viaggio dello Scià di Persia a Washington dove, secondo Mosca, si svolgono conferenze per « lasciare mano libera agli imperialisti d’impadronirsi del Medio Oriente », e sfoga il suo dispetto di essere stata « lesa nei suoi vitali interessi », esercitando una forte pressione militare sui duemila chilometri di frontiera. Secondo Mosca l’Urss ha diritto a partecipare allo sfruttamento delle risorse naturali del Medio Oriente e avverte tanto l’Iran quanto l’Iraq che, se mostrassero l’intenzione di trasformarsi in basi strategiche occidentali, l’Armata Rossa, ammassata sul Mar Caspio, potrebbe occupare in 24 ore «per ragioni di sicurezza» i distretti petroliferi. Lo ha fatto dire alla radio di Baku dal «partito della libera Persia». In Persia l’atmosfera è arroventata dallo scorso novembre in seguito all’assassinio dell’ex-Primo ministro Abdul Hussein Hazihr, e il Governo fatica a tenere l’opposizione, mentre alle frontiere l’U.R.S.S. solleva sanguinosi incidenti mostrandosi irascibile e litigiosa. Ha allestito a Krasnovodki un gran numero di basì militari e i soldati rossi sconfinano con azioni aggressive oltre il fiume Atrek. Nel deserto del Karakum un esercito di centinaia di migliaia di operai « è impegnato in lavori di grande portata alla frontiera persiana. Si tratta principalmente — precisano i due giornali — della costruzione di grandi camionali ». E appunto queste strade che dal deserto avanzano verso la frontiera sono un segno che l’Urss ha deciso che l’ Iran debba entrare nella zona d’influenza sovietica» (L.Crucillà sul Corriere della Sera)
Venerdì 30 dicembre 1949
Aiuti americani all’Iran
Il presidente Truman e lo Scià dell’Iran, hanno diramato ieri un comunicato collettivo, nel quale gli Stati Uniti riaffermano la loro precisa intenzione di dare alla Persia assistenza economica e di disporre altresì un « certo contributo militare » allo scopo di rafforzare la sicurezza del Paese. Il comunicato è stato emanato in occasione della partenza dello Scià, dopo la sua visita agli Stati Uniti protrattasi per sei settimane. Washington appoggerà le richieste iraniane di prestiti presso la Banca mondiale e provvederà all’assistenza del Paese in base al quarto punto del programma Truman. Ieri mattina lo Scià, prima di salire a bordo di un apparecchio della Compagnia olandese Klm per far ritorno in Patria, ha dichiarato che si recherà a Roma con la sorella, la principessa Fatima, e ripartirà per Teheran il 2 gennaio. Il monarca persiano ha messo in evidenza la grande utilità dei contatti avuti fra lui e Truman. Egli ha aggiunto che vedrebbe con estremo interesse investimenti di capitali americani nel suo Paese. (Corriere della Sera)
Giovedì 8 marzo 1951
C’è la questione del rinnovo della concessione all’Anglo Iranian dietro l’assassinio del primo ministro persiano Ali Razmara
«[a proposito dell’attentato che è costato la vita al premier iraniano Ali Ramzara] da quanto sembra i sovietici hanno favorito i sentimenti nazionalisti dei musulmani dell’Iran contro gli interessi inglesi nelle industrie petrolifere persiane, con quelle promesse sulla cui natura non è necessario pronunciarsi. Il Senato persiano deve decidere sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere già votata dal Parlamento. Il Governo britannico inviò nei giorni scorsi una nota al Governo di Teheran per far presente la illegalità del provvedimento e per consigliare un accordo con la Anglo Iranian Oil Co. In attesa degli eventi Londra ha deciso di non fare più pressioni sull’Iran prima di aver esaminato il rapporto dell’ambasciatore britannico a Teheran. Il Gabinetto inglese tuttavia segue con ansiosa attenzione la situazione persiana sovrattutto per le ripercussioni che essa può avere nel Medio Oriente e specialmente nell’Iraq dove si sta sviluppando un vivo malcontento per la « ingerenza » britannica nelle industrie del petrolio di quel Paese» (Corriere d’Informazione)
La politica di moderazione di Razmara
Il gen. Razmara, che aveva 49 anni, fu chiamato al Governo dallo Scià ventiquattro ore dopo lo scoppio della guerra in Corea. Era l’uomo delle situazioni gravi. Allievo di Saint-Cyr, di educazione e di tendenze occidentali, la sua energia rappresentava la risorsa estrema del sovrano e del Paese. Subito, l’atteggiamento politico di Razmara fece capire che l’orientamento della Persia cambiava. Il generale, che aveva garantito l’Azerbaijan persiano contro le tendenze di separatismo, cioè di annessione alla Russia, prese l’iniziativa di una distensione verso l’Urss. Un accordo commerciale fu concluso con Mosca: i termini rimasero piuttosto oscuri, e non s’era ancora potuto accertare se Teheran lasciasse ai Sovietici l’assoluta libertà di commercio, e perciò di influenza politica nelle regioni settentrionali, o se i traffici dovessero avvenire soltanto attraverso gli uffici competenti persiani. Contemporaneamente la Persia rifiutava di lasciar ritrasmettere la «Voce dell’America» dal suo territorio, e non consentiva alle compagnie petrolifere americane di far ricerche nelle regioni del Nord, ai confini russi. Questo indicava una oscillazione della Persia, non verso la Russia, ma verso una politica più elastica e cauta, consigliata dagli avvenimenti di Corea. L’oscillazione non spostava sostanzialmente la politica persiana. All’Onu e in tutte le altre occasioni i rappresentanti diplomatici della Persia continuavano a seguire la linea occidentale. E nella complicata vertenza sulle concessioni alla Anglo-Iranian Oil Company, che produce quasi 32 milioni di tonnellate di petrolio all’anno ed è di proprietà del Governo britannico, Razmara prendeva un atteggiamento favorevole all’Inghilterra, resistendo alle pressioni dei nazionalisti. Ma la maggioranza del Parlamento, sotto l’influenza aperta dei patriottardi e coperta della Russia, non accettava quella politica di moderazione e di rispetto degli interessi occidentali. L’assassinio avviene su questo sfondo di intrighi e di passioni, dominato da immensi interessi politici ed economici. Il Tudeh o partito di massa di ispirazione e disciplina comuniste, è stato sciolto già qualche anno fa, ma è noto che esso vive e agisce ancora in tutta la Persia. Questo partito, secondo gli osservatori londinesi, potrebbe preparare il terreno a un colpo di mano sovietico (Domenico Bartoli sul Corriere della Sera)
Mercoledì 21 marzo 1951
Il parlamento di Teheran vota a favore della nazionalizzazione del petrolio
Il Parlamento iraniano ha votato per la nazionalizzazione degli impianti petroliferi, oggi in possesso della Anglo Iranian Oil Company. Manca ancora, per l’entrata in vigore del provvedimento, la sanzione dello Scià.Leggi qui l’articolo di Domenico Bartoli
Lunedì 26 marzo 1951
Iran. Legge marziale in sette centri petroliferi
La situazione persiana si è aggravata. Il Governo ha proclamato questa sera la legge marziale in sette località situate nelle zone petrolifere dell’Iran meridionale, compreso l’importante centro di Abadan dove sorgono alcune tra le principali raffinerie del Paese. Il provvedimento è stato preso per il diffondersi del movimento di sciopero iniziatosi presso le installazioni della Anglo-Iranian Oil Company. Gli operai degli impianti della Compagnia angloiraniana a Bandar Mashur, un porto sul Golfo Persico, e gli operai delle raffinerie di Aghajari si sono messi in sciopero da sabato scorso per ottenere un aumento salariale. All’agitazione si sono uniti ieri gli apprendisti e gli studenti che seguono i corsi della compagnia petrolifera nel centro di Abadan. Il Governo ha dato disposizioni alla polizia della provincia di Khuzistan di procedere all’arresto di tre istigatori, appartenenti all’Associazione comunista per la « lotta contro la Anglo-Iranian Oil Company », che erano stati inviati colà da Teheran per organizzare disordini. Per tutto il giorno gli scioperanti hanno gridato: « Buttate a mare i pirati ... morte agli imperialisti ... dateci il nostro petrolio ». Il governatore militare di Teheran ha inoltre ordinato l’arresto di nove persone considerate ostili alla corte imperiale. Si fanno i nomi dei giornalisti Varzani e Karimpur, quest’ultimo direttore del giornale Chureche, che in questi ultimi tempi ha indirizzato violenti attacchi ai membri della famiglia dello Scià. Gli altri arrestati sono membri della setta dei «Fratelli dell’Islam», la stessa a cui appartenevano gli attentatori alla vita del Primo ministro Ali Razmara e del vice-rettore dell’università di Teheran, AbduI Hamld Zanganeh. Questi ultimi arresti sono stati determinati dalla scoperta di un complotto per assassinare il governatore militare di Teheran, gen. Abdul Hussein Hejazi Gli arrestati sono stati trovati tutti in possesso di armi. La polizia ha dichiarato che nel loro nascondiglio è stata rinvenuta una lista di 40 persone da uccidere, fra le quali figuravano alti funzionari di Corte ed alcuni ministri del Governo Razmara. La polizia ha effettuato un’incursione anche in un’altra abitazione, alla ricerca del capo dei terroristi, Navab Safavi, ma costui era riuscito a darsi alla fuga pochi minuti prima dell’arrivo degli agenti.
Sabato 31 marzo 1951
Continuano gli scioperi contro l’Anglo-Iranian
Negli ambienti dell’Anglo-Iranian Oil Company il numero degli scioperanti viene fatto ascendere a 16.000. Gli scioperanti hanno inviato un messaggio al Parlamento per chiedere l’invio sul posto di una commissione incaricata di indagare sulla fondatezza delle loro richieste. Da fonte autorizzata giunge notizia che il Governo esercita pressioni sulla « Anglo-Iranian» perchè quest’ultima ripristini talune indennità la cui soppressione, in data 22 marzo, sarebbe all’origine del movimento di sciopero. Secondo notizie giunte questa sera gli scioperi si sarebbero estesi all’importante centro petrolierò di Masdjed Soleiman dove ottomila lavoratori avrebbero abbandonato le raffinerie. A Teheran regna la calma ma gli arresti continuano sia tra i seguaci della setta dei « Fratelli dell’Islam » sia fra quelli del partito Tudeh.
Domenica 1 aprile 1951
Perché è stato ucciso Razmara
«[...] Razmara — dice Ayatoullah —, pur di rimanere al potere, ha tentato di offrire grosse concessioni agli Inglesi e agli Americani, a spese del popolo iraniano. Razmara ha concluso un accordo con l’Urss che dava al Russi dieci e zero all’Iran. Razmara ha rinunciato ad otto tonnellate d’oro in favore dei Russi, oro depositato dopo la guerra, per conto dell’Iran, in una banca sovietica. Razmara facilitò l’evasione di dieci capi del partito comunista Tudeh, detenuti, in attesa di giudizio, nelle carceri di Teheran: questi leaders, rifugiatisi nell’Europa orientale, fondarono d’urgenza un nuovo partito comunista dell’Iran. Ecco, in sintesi, le ragioni dell’uccisione di Razmara, colpevole, oltre tutto, di fronte a tutto il Parlamento, di essere stato designato Capo dello Stato, dallo Scià, senza l’approvazione del Parlamento stesso. Ma per dimostrare l’eccessivo fervore nazionalistico di Ayatoullah, basterà ricordare quello che Ayatoullah non ricorda nel suo libro d’accuse contro Razmara e cioè che Razmara era riuscito a raggiungere un accordo con gli Inglesi, per cui l’Iran avrebbe incassato invece di quattro scellini sei scellini per tonnellata estratta, mentre un altro progetto, avviato quasi alla conclusione, prevedeva parità di diritti, nella Società da parte dell’Iran e dell’Inghilterra, e la divisione al cinquanta per cento degli utili. I termini del contratto erano stati, quindi, profondamente modificati e soltanto in favore dell’Iran. Nulla di tutto questo raccontano Ayatoullah e i nazionalisti ad oltranza. L’opinione del Medio Oriente (l’opinione, intendo, dei nazionalisti saggi, chè sano ben rari i non nazionalisti) è di conseguenza che otto grammi di polvere estremista abbiano fatto il gioco dei comunisti e dell’Unione Sovietica, e si ritiene certo che le Potenze occidentali non rimarranno impassibili di fronte alla imprevista minaccia che grava sulle loro risorse petrolifere, sui loro interessi economici e sulle loro posizioni strategiche nel Medio Oriente». (da un articolo dal Cairo di Manuer Lualdi per il Corriere della Sera).
Sabato 14 aprile 1951
Iran, continuano gli scioperi dei lavoratori del petrolio
Il Senato di Teheran ha approvato oggi la proclamazione della legge marziale nella provincia del Khuzistan, ricca di . giacimenti petroliferi, il cui governatore generale è stato destituito ieri. Spetta ora alla Camera di pronunciarsi sull’argomento. Un comunicato ufficiale pubblicato oggi smentisce la voce di uno sbarco di truppe inglesi nell’ Iran meridionale, come pure quella di una penetratone in Persia di membri della tribù dei Barzani, provenienti dalla frontièra sovietica. Il Parlamento ha stabilito di prorogare la legge marziale per due mesi dopo che il ministro degli Interni, generale Fazlollah Zahedi, aveva riferito che un lavoratore e un poliziotto erano rimasti uccisi ad Isfahan durante una dimostrazione di solidarietà con gli scioperanti del Khuzistan. Nelle zone petrolifere il movimento di sciopero si va estendendo. La direzione della « Anglo-Iranian » ha segnalato, che picchetti di scioperanti hanno formato una «catena urnana » tutt’ attorno agli stabilimenti delle raffinerie di Abadan, e che solo 3000 dei 12.000 dipendenti hanno potuto recarsi normalmente al lavoro. Intorno alla fabbrica continuano a verificarsi episodi di intolleranza e disordini. La produzione di petrolio della zona è scesa dai 18 milioni di galloni al giorno a nemmeno 10 milioni. Negli altri impianti di proprietà della compagnia, a Bandar Manshur ed Aghajari, il lavoro continua invece normalmente.
Domenica 29 aprile 1951
La nazionalizzazione del petrolio in Iran fa solo il gioco di Mosca
[...] «nazionalizzazione» significherebbe espropriazione. Negli impianti della Anglo-Iranian è investito capitale inglese per circa trecentocinquanta milioni di sterline. Il Governo persiano non ha denaro per pagare regolarmente i suoi funzionari; come potrebbe pagare quella somma? Quindi, per nazionalizzare, dovrebbe o impossessarsi degli impianti senza pagare un soldo, o prendere un prestito da un Governo straniero per pagare la Anglo-Iranian. Al quesito «quali sarebbero gli effetti della nazionalizzazione» si può rispondere con le parole del defunto Primo ministro Ali Razmara: l’effetto sicuro e immediato sarebbe la perdita per il Tesoro persiano dei quattro quinti delle sue entrate. È fuori dubbio che i Persiani non sarebbero capaci — per lo meno per decenni — di far funzionare una organizzazione industriale e commerciale cosi gigantesca e complessa come la Anglo-Iranian. Infine: perchè tutti, in Persia, vogliono la «nazionalizzazione», cioè un provvedimento che sconvolgerebbe l’economia e la finanza del Paese e che farebbe sorgere i più gravi pericoli per la sua indipendenza? Risposta: la vogliono i comunisti perchè sono comunisti, e, come tali, vogliono che non solo il petrolio persiano, ma essa stessa cada nelle mani del comunismo sovietico. La vogliono i nazionalisti per quell’odio torvo per lo straniero che cova in tutto l’Oriente musulmano. La vogliono le classi abbienti, il Majlis, perchè hanno bisogno di un capro espiatorio su cui riversare le loro responsabilità, e lo hanno trovato nella Anglo-Iranian. Le masse persiane sono in una miseria che supera ogni immaginazione. 1 capi nazionalisti, i latifondisti, i ricchi mercanti, che dominano il Majlis, attaccando la Anglo-Iranian, distraggono l’attenzione del volgo dal loro fallimento, e si danno le arie di combattere per liberare il Paese dalla miseria di cui sono la causa principale La risposta a questi quesiti cambierebbe completamente se il Governo persiano si rivolgesse all’estero per averne aiuto di capitali e di tecnici. Vi è un solo Governo che avrebbe forse la capacità e certamente l’interesse di fornirgli un tale aiuto: il Governo sovietico. E, anzi, già da parecchio tempo glielo ha offerto in modo esplicito. (da un articolo di Augusto Guerriero sul Corriere della Sera)
Mossadeq primo ministro?
Il «Majlis» persiano, riunitosi stamane in seduta segreta, ha proposto allo Scià di nominare Primo ministro in sostituzione del dimissionario Ala Hussein il dott. Mohammed Mossadeq che capeggia il gruppo nazionalista al quale si attribuisce l’organizzazione dei sanguinosi disordini di Abadan. La proposta del Parlamento, approvata da 79 deputati su 91, dovrà essere confermata dallo Scià. Stasera, poi, il Majlis, dopo una seduta durata sette ore e mezzo, ciò che costituisce un record nella storia parlamentare persiana, ha approvato all’unanimità il progetto di legge per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, invitando il Governo ad espropriare senz’altro la Compagnia Anglo-Iranian, controllata dal Governo di Londra. È stata inoltre proposta la creazione di una commissione mista governativa e parlamentare per esaminare gli eventuali reclami di altri Governi o delle compagnie petrolifere. Si afferma a Teheran che lo Scià è furente per la decisione del Majlis tendente ad imporgli di nominare Primo ministro il più accanito nazionalista del Paese. Vi è persino chi assicura che il sovrano potrebbe invocare i suoi poteri costituzionali per sciogliere il Majlis col proposito di instaurare un Governo stabile. Oggi Mossadeq, a nome del suo gruppo, ha precisato che intende dissociarsi dal partito comunista Tudeh messo al bando, al quale solo spetterebbe la responsabilità di aver fomentato i torbidi di Abadan e Isfahan. Oggi il Parlamento ha anche bocciato una mozione che prevedeva la vendita del petrolio nazionalizzato al maggior offerente (la Russia?) e ha stabilito che il petrolio deve essere venduto ai clienti precedenti in base ai prezzi internazionali. L’Anglo-Iranian Oil Company, dal suo canto, ha protestato già oggi contro le decisioni prese a suo danno dal Parlamento persiano. Viene riferito che in una nota inviata al Governo di Teheran l’Inghilterra si oppone risolutamente alla «possibilità di una simile infrazione all’accordo esistente tra il Governo imperiale (persiano) e la Compagnia». Si aggiunge che l’Inghilterra ha intenzione di inviare sul posto alcune cannoniere, che si trovano a non più di 48 ore di navigazione dai principali porti persiani, a protezione delle vite e dei beni britannici. Un portavoce del Foreign Office ha precisato che la Anglo-Iranian ha alle sue dipendenze in Persia circa 3.500 impiegati britannici.
Lunedì 30 aprile 1951
Viva preoccupazione a Londra per il petrolio iraniano
Questa mattina, con carattere di grande urgenza, il Gabinetto britannico si riunisce per esaminare la decisione presa dal Parlamento di Teheran di dar corso immediatamente alla nazionalizzazione delle industrie petrolifere britanniche nell’ Iran. Nel pomeriggio di oggi il ministro degli Esteri Morrison farà delle dichiarazioni in proposito alla Camera dei Comuni. A Londra la situazione è giudicata molto seria ed è fonte di gravi preoccupazioni soprattutto di carattere internazionale. Infatti, se il Governo inglese dovesse decidere di sbarcare delle truppe nel porto di Abadan per proteggere la vita dei cittadini britannici e le proprietà della Anglo-Iranian Oil Company, le truppe sovietiche potrebbero invadere la provincia dell’Azerbaijan persiano, secondo le informazioni fornite all’ambasciatore inglese a Teheran dall’ex-Primo ministro iranico Hussein Ala dimessosi venerdì scorso. Le concessioni dell’Anglo-Iranian avrebbero dovuto scadere il 31 dicembre dei 1993. Il Daily Telegraph rileva stamane, in un suo editoriale, la gravità dell’improvvisa votazione della legge sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere iraniane. «La Persia non ha né la capacità tecnica né le risorse finanziarie per sfruttare la ricchezza del suo sottosuolo. Ogni suo tentativo di far funzionare le industrie petrolifere della Anglo-Iranian, senza la collaborazione straniera, significherebbe rovinare gli impianti già esistenti e distruggere le basi sulle quali si regge la intera economia del Paese » Il giornale, dopo aver sottolineato il pericolo non solo per la Gran Bretagna, ma anche per altre Nazioni del mondo libero se dovesse venir meno il petrolio dell’ Iran, aggiunge: «Solo il comunismo, i cui agitatori hanno diretto, prima nascostamente e poi apertamente, la campagna antibritannica per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere persiane, può essere avvantaggiato dal collasso della economia dell’ Iran e dal divieto che il petrolio persiano arrivi nei Paesi dell’Occidente. Il Governo britannico sarebbe pienamente giustificato, anche se dovesse difendere con le misure più drastiche i suoi diritti, ma ciò potrebbe causare l’intervento dell’Unione Sovietica ».
Mercoledì 2 maggio 1951
Lo Scia firma la legge che nazionalizza il petrolio iraniano
La radio governativa persiana ha annunciato che nel tardo pomeriggio di oggi lo Scià ha firmato la legge che dispone la nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi. Essa diviene, cosi, costituzionalmente esecutiva. Mentre lo Scià firmava la legge, una nuova nota di protesta gli perveniva dal Governo inglese in merito alla decisione «unilaterale» di violare gli accordi esistenti tra Inghilterra e Persia per lo sfruttamento delle risorse petrolifere iraniane. Subito dopo l’annuncio dell’avvenuta firma, gli ambasciatori a Teheran dell’Inghilterra e dell’America si sono recati a conferire col Primo ministro. L’ambasciatore inglese Shepherd veniva in Seguito ricevuto anche dallo Scià. La nota del Foreign Office odierna avrebbe ribadito il principio (già espresso ai Comuni da Morrison) che il procedere da parte dell’ Iran alla progettata nazionalizzazione « nonostante » gli avvertimenti inglesi potrebbe comportare « assai serie conseguenze per l’avvenire ». Quanto al colloquio col Premier dell’ambasciatore americano Henry F. Grady — benché nulla sia stato ufficialmente precisato al riguardo — si ritiene che esso sia in connessione con l’affermazione fatta ieri da un portavoce che nella vendita libera del petrolio l’Iran avrebbe « favorito i vecchi clienti»: l’America appare preoccupata all’idea che il petrolio iraniano sia ora ceduto anche alla Russia. Com’è noto, ieri anche l’ambasciatore russo a Teheran Sadchilov si era recato a visitare il Primo ministro. Oggi nel pomeriggio il leader nazionalista ha visitato il sovrano per sottoporgli la lista dei componenti il nuovo Gabinetto che comprende quattro ministri già in carica col precedente Governo.
Venerdì 18 maggio 1951
Mossadeq, nuovo premier iraniano, sviene di continuo
«La sorte del petrolio persiano non è più dubbia: esso sarà nazionalizzato» Il dott. Mohamed Mossadeq si batte da decenni per la nazionalizzazione del petrolio, è andato al potere con questo programma, e non c’è ombra di dubbio che lo attuerà a qualunque costo. Quando ha prresentato il suo Governo al Majlis, ha detto: «Questo Governo, senza fare promesse a lontana scadenza, e considerando l’attuale situazione del Paese, limita il suo programma ai seguenti punti: 1) L’attuazione della legge del 30 aprile per la nazionalizzazione e l’assegnazione dei profitti al rafforzamento dell’economia del Paese e alla creazione dei mezzi di comfort e di agiatezza per il pubblico. 2) Il perfezionamento della legge elettorale». E, dopo aver fatto questo breve discorso, Mossadeq è svenuto. Sviene spesso. È un abile oratore, ma ogni volta che fa un discorso in Parlamento, sviene. Gli si apprestano cure, ed egli rinviene, . finisce il discorso, e, poi, sviene di nuovo, ed è portato via di peso. Probabilmente, continuerà a far cosi anche ora che è Presidente del Consiglio: a far discorsi e a svenire, e, fra uno svenimento e l’altro, « nazionalizzerà » il petrolio.
Martedì 12 giugno 1951
Mossadeq garantisce a Truman: «Continueremo a vendere il petrolio ai vecchi clienti»
Il Primo ministro Mohammed Mossadeq, a quanto si apprende, oggi ha assicurato al Presidente Truman che la Persia darà la precedenza agli attuali clienti quando assumerà il controllo della Iranian Oil Company. È stato rivelato oggi il testo della risposta inviata ieri da Mossadeq tramite l’ambasciatore americano a Teheran alla recente lettera di Truman che esortava a comporre la vertenza mediante negoziati. La risposta oltre a dare le assicurazioni di cui sopra circa la vendita del petrolio rinnova anche l’accusa che agenti segreti della Anglo-Iranian hanno esercitato pressioni economiche sulla Persia per impedire un miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Mossadeq dice che l’ Iran non ha altra scelta che nazionalizzare la compagnia ma vuole rimanere amico della Gran Bretagna.
Mercoledì 20 giugno 1951
Requisita e occupata l’Anglo Iranian
II portavoce ufficiale persiano ha annunciato alle 15 (ora locale) che il Governo di Teheran ha ordinato la requisizione e l’occupazione totale di tutte le installazioni petrolifere della Anglo-Iranian Company. Ciò è stato deciso durante una riunione straordinaria di Gabinetto, durata sei ore, presieduta da Mossadeq, e tenuta nella camera da letto del Premier, oggi febbricitante. Il Gabinetto persiano ha inoltre nominato i suoi rappresentanti incaricati di prendere in consegna le installazioni e gli uffici vendite dell’AIOC. L’ufficio informazioni della Compagnia potrà venire chiuso immediatamente e, in base all’ordine governativo il nome della compagnia stessa dovrà venire cambiato in quello di Compagnia nazionale dei petroli iraniani. I profitti della Compagnia dovranno venire depositati in un conto bancario al nome della Compagnia nazionale. D’ora innanzi, in seguito a tali decisioni, ogni ordine dell’ufficio dei direttori della Anglo-Iranian Oil Company o del direttore centrale non saranno validi se non saranno controfirmati dal consiglio provvisorio d’amministrazione della Compagnia petrolifera nazionale dell’ Iran. Da Abadan giunge intanto notizia che stamane migliaia di lavoratori persiani hanno inscenato una vibrante manifestazione quando il vice-Primo ministro, Makki, ha alzato la bandiera dell’ Iran sulla sede della Anglo-Iranian Oil Company. Makki ha dichiarato che alzare la bandiera iraniana significava l’avvenuto inizio della gestione degli impianti della Compagnia da parte della Persia. I lavoratori si sono poi allontanati quando li ministro li ha invitati a ritornare al lavoro. Makki ha poi dichiarato che il Consiglio provvisorio di amministrazione sta attendendo di minuto in minuto ordini dalla capitale. La produzione per ora continua normalmente. Frattanto l’ambasciatore inglese ha dichiarato di essere ancora in attesa di istruzioni da Londra. Sir Francis Shepherd ha inoltre reso noto d’aver comunicato al console generale a Khorran Shahr, dove si trova la sede centrale della Anglo-Iranian Oil Company, di avvisare le mogli e i bambini dei dipendenti inglesi della Compagnia di essere prudenti e di partire appena possibile. Al massimo dovrebbero rimanere colà 100 dipendenti britannici.
Giovedì 28 giugno 1951
Desolazione ad Abadan
«Abadan ci apparve già agonizzante tre giorni or sono, quando l’aeroplano ci lasciò all’aeroporto civile sul quale tre quadrimotori attendevano di caricare le ultime donne e gli ultimi bambini inglesi. Le donne e i bambini inglesi partivano dopo aver sprangato le porte e chiuso le persiane delle case in cui avevano abitato per tanti anni circondati dal conforto che la potenza finanziaria dell’Anglo - Iranian Oil Company poteva abbondantemente elargire alle donne e ai bambini inglesi. Ora con occhiate alle porte e alle finestre spente, anche le case di Abadan, tutte case a un solo piano, larghe e spaziose, sembrano accompagnare l’agonia delle strade deserte e degli uffici vuoti. All’ingresso del Gimkana Club, un lussuoso palazzotto lucidato al cromo, era stata posta una lavagna su cui si leggeva: “I trattenimenti danzanti di oggi e domani sono stati rinviati a data da stabilirsi”» (da un articolo di Max David sul Corriere della Sera)
Domenica 8 luglio 1951
In Iran gli inglesi si rifiutano di lavorare, dimezzata la produzione di petrolio
Le autorità persiane hanno ingiunto stamane al personale britannico della Anglo Iranian Oil Company di restare in servizio per un mese almeno, a partire dal 27 giugno. Ciò allo scopo di impedire l’interruzione della produzione nei campi petroliferi. Giova tener presente che, in una lettera in data 27 giugno, indirizzata alle autorità iraniane da un comitato rappresentante tutte le sezioni del personale inglese, si dichiarava esplicitamente che non si voleva né si poteva lavorare per conto della Compagnia nazionalizzata. Nella risposta persiana si accusano ora i britannici di aver preso l’iniziativa di dimettersi, e si ricorda che «qualsiasi arresto o riduzione della produzione nelle raffinerie e qualsiasi perdita o danno subito dalla Persia o da altri Paesi liberi del mondo, consumatori del petrolio iraniano, ricadrebbero interamente sui dipendenti dell’AIOC». Le raffinerie di Abadan hanno tuttavia iniziato stamane a lavorare al 50 per cento delle loro capacità produttive. L’ordine di ridurre della metà l’attività produttiva è stato dato ieri dal direttore delle raffinerie, Kenneth Ross, allo scopo di mantenere in funzione gli impianti il più a lungo possibile. Tuttavia anche così fra venti giorni i serbatoi saranno pieni e tutto dovrà fermarsi, se nel frattempo non si sarà verificato qualche fatto nuovo. La riduzione porterà la produzione da 15 milioni e 100 mila galloni di petrolio grezzo al giorno a otto milioni e 300 mila. Le autorità persiane hanno infine interrotto oggi il flusso del petrolio nel solo oleodotto che unisce Abadan con la provincia di Bassora nell’Irak.
Mercoledì 28 novembre 1951
Gli inglesi erano pronti a dividere con i persioni 50-50 i profitti del petrolio
Il segreto dell’errore commesso dal Governo laborista nella vertenza anglo-persiana dei petroli e le ragioni della ostinata intransigenza del Governo di Teheran nelle trattative coi rappresentanti britannici potrebbero essere spiegati dal bilancio della Anglo-Iranian Oil Company e dal rapporto aggiuntivo del suo presidente, che sono stati pubblicati questa mattina. La Compagnia petrolifera ha annunciato che nella gestione dello scorso anno i suoi profitti ammontarono alla favolosa cifra di 115.495.994 sterline, pari a circa 200 miliardi di lire italiane. Da questo totale devono tuttavia detrarsi 34 milioni di sterline per usura degli impianti fissi e 24 milioni spesi per i sondaggi di nuove zone petrolifere. L’Anglo-Iranian quindi ha incassato dalla vendita del petrolio 81 milioni di sterline, cioè il doppio dell’anno precedente. Il Governo britannico ha guadagnato con le sue tasse oltre 50 milioni di sterline lasciando cioè alla Compagnia petrolifera un netto di 33 milioni di sterline (35 miliardi di lire italiane) di cui 26 accantonati come capitale e sette distribuiti agli azionisti. Che cosa è toccato ai Persiani nel 1950? Sedici milioni di sterline; se i Persiani avessero ratificato gli accordi supplementari del 1949 avrebbero potuto guadagnarne 33 milioni, perché l’Anglo-Iranian, immediatamente dopo i contratti firmati tra una compagnia petrolifera americana e il Governo dell’Arabia Saudita sulla base della spartizione in parti eguali dei profitti, fece nel gennaio scorso una analoga offerta al Governo persiano che è rimasta segreta fino a oggi. Nel rapporto firmato dal presidente della Anglo-Iranian a illustrazione delle cifre del bilancio è detto che l’ Iran con l’incasso per i suoi diritti di dogana e altre tasse avrebbe potuto ricevere complessivamente circa 50 milioni di sterline all’anno.
Venerdì 13 giugno 1952
Piccola petroliera italiana piena di petrolio iraniano naviga lungo il Canale di Suez
Un portavoce del Foreign Office ha dichiarato oggi che il Governo italiano non concederà alcun permesso di importazione di petrolio proveniente dalle industrie del Golfo Persico, già gestite dagli inglesi e l’anno scorso nazionalizzate dal Governo dell’Iran. Il portavoce ha fatto questa dichiarazione in risposta a una richiesta di informazioni sui passi che il Governo britannico avrebbe fatto in seguito alla notizia che una piccola petroliera battente bandiera dell’Honduras e denominata Rose Mary aveva imbarcato mille tonnellate di petrolio a Bandar Mashur. Il petrolio, secondo la stessa notizia, sarebbe stato venduto alla Compagnia Ente Petroli Italia-Medio Oriente, che lo trasporterebbe in Italia per farlo raffinare, e metterlo quindi a disposizione della Bubenberg Petroleum Co. per la consegna alla Svizzera. Il portavoce ha dichiarato testualmente: «Il Governo italiano ha risposto assicurando il Governo di S. M. di non aver dato alcuna approvazione a tale transazione, alla quale peraltro è completamente contrario, e assicurandolo inoltre che nelle attuali circostanze non sarà rilasciata alcuna licenza di importazione per l’inoltro attraverso le dogane italiane di qualsiasi quantitativo di petrolio iraniano». Il portavoce ha aggiunto che invece dalla Svizzera non è stata ricevuta alcuna risposta. È presumibile che la petroliera Rose Mary transiti per il Canale di Suez in rotta per l’Italia. Fonti competenti inglesi non sono tuttavia in grado di precisare l’esatto punto in cui ora la petroliera si trovi. A Berna un portavoce della Legazione britannica in Svizzera ha dichiarato oggi che la Gran Bretagna non ha presentato alcuna protesta presso il Governo elvetico per impedire l’importazione di petrolio persiano. Il portavoce ha detto di essere al corrente che qualche importatore svizzero di petrolio stava considerando la possibilità di acquistare petrolio raffinato proveniente come grezzo dalla Persia, ed ha aggiunto che la Legazione britannica non avrebbe protestato contro tali acquisti. « Noi non richiederemmo alcuna azione da parte del Governo svizzero — ha detto il portavoce — che sappiamo in anticipo andrebbe al di là dei poteri costituzionali del Governo stesso ». (Non esiste in Svizzera alcuna raffineria in grado di trattare grossi quantitativi di grezzo.)
Scheda sulla petroliera Rose Mary
In merito alle vicende della petroliera Rose Mary (questo è il nome esatto della nave), che ha caricato mille tonnellate di petrolio grezzo nel porto persiano di Bandar Mashur, l’Ansa ha attinto a fonte competente le seguenti precisazioni. La Rose Mary, inscritta al n. 24.675 del Lloyd’s Register of Shipping, è una piccola petroliera di 632 tonn. s.1., costruita negli S.U. nel 1944, ed è di proprietà della Compania de Navigacion Teresita con sede a Panama. Tuttavia la nave batte bandiera dell’Honduras essendo iscritta nel porto di Puerto Cortes. Sembra che fra gli azionisti della suddetta vi siano cittadini svizzeri residenti a Ginevra. Fino al 15 aprile u. s. la nave era appoggiata ai fratelli Cosulich di Genova, nella loro qualità di agenti generali, ed ha compiuto, con equipaggio in gran parte italiano, vari viaggi con carico di petrolio grezzo. Alla suddetta data la Compagnia armatrice ha concluso un contratto di noleggio a tempo (Time Carter) direttamente con la Bubenberg Petroleum Co. che ha attualmente la disponibilità della nave.
Lunedì 23 giugno 1952
Gli italiani dell’Epim continueranno a comprare petrolio iraniano
I rappresentanti a Teheran della Compagnia « Epim » hanno dichiarato in una lettera aperta che « decine di petroliere seguiranno l’esempio del « Rosa Maria » ed esporteranno petrolio dall’ Iran. La lettera si erge con violenza contro le «manovre inglesi sfociate nel sequestro del Rosa Maria che trasportava 800 tonnellate di petrolio grezzi dall’ Iran, dopo che gli Inglesi si furono assicurati la complicità del proprietario della petroliera ». La lettera sottolinea inoltre come il capitano della « Rosa Maria » sia stato ripetutamente sollecitato dagli Inglesi a comprare petrolio nell’emirato di Kuwait, protettorato inglese, invece di recarsi ad Abadan. I rappresentanti dell’Epim assicurano pertanto l’opinione pubblica iraniana « che questa esperienza non scoraggerà l’Epim la quale continuerà i suoi acquisti di petrolio iraniano ».
Venerdì 4 luglio 1952
Nave pakistana urta e danneggia la Rose Mary
Si apprende che domenica scorsa la petroliera Rose Mary, di 632 tonnellate, è rimasta leggermente danneggiata in seguito ad una collisione con il cacciatorpediniere pakistano Tippu Sultan. La petroliera ha riportato qualche danno alle attrezzature del ponte. La società italiana « Ente petrolifero del Medio Oriente», che aveva noleggiato la petroliera, ha incaricato due avvocati del Cairo di patrocinare la propria causa ed opporsi alla confisca del carico della Rose Mary preteso dall’Anglo-Iranian Oli Company e su cui la Corte di Aden il 16 luglio prossimo dovrà pronunciarsi. E’ noto che la Rose Mary si trova attualmente all’ancora ad Aden in attesa della decisione di quella magistratura. I due avvocati dell’Ente petrolifero, Constantine Zarrls e Onig Madjarian, hanno dichiarato oggi di avere ottenuto i visti per recarsi nel protettorato britannico. Hanno aggiunto che intendono presentarsi alternativamente di fronte alla Corte fino alla conclusione della vertenza.
Martedì 7 ottobre 1952
In Iran da 18 mesi non si vende più petrolio
In Iran «[...] da diciotto mesi petrolio non se ne vende; nessun carico di petrolio è partito, tolto quello del Rose Mary, che è ferino ad Aden. L’anno scorso il petrolio ha dato alla Persia sedici milioni di sterline. Ora quel danaro non scorre più; e in Persia non s’è pensato che la vendita del petrolio poteva avere un’interruzione, che in qualche modo, per qualche tempo bisognava provvedere a sopperire alla chiusura del rubinetto del petrolio. Ora, invece d’incassare per il petrolio, lo Stato persiano deve spendere per il petrolio; darà cento milioni di rial (circa un miliardo di lire nostre) alla compagnia nazionale del petrolio (quella che con la nazionalizzazione ha preso il posto della Anglo-Iranian, degli Inglesi), e quel danaro servirà specialmente a pagare impiegali e operai del petrolio, il loro forzato ozio. Che c’è da fare ora? Non c’è che ricorrere all’inflazione e alle tasse. L’inflazione l’ha consigliata Schaclit quando è stato qui, lui gira l’Oriente consigliando inflazioni; ma la Bank Melli’ Iran o banca nazionale dell’Iràn era contraria. L’inflazione farà aumentare i prezzi delle cose, anche quelli delle poche cose che servono ai poveri; allora anche i poveri si accorgeranno che qualcosa anche loro li tocca. E mettere le tasse non basta; bisogna che qualcuno le paghi. I ricchi finora hanno pagato pochissimo; nei Paesi orientali il danaro pubblico si fa su soprattutto con le dogane; cosi paga la moltitudine, e non si accorge di pagare tasse. Ma i ricchi non vogliono pagare più tasse, loro contavano sul petrolio; e adesso il petrolio gli fa paura, e non e solo paura di pagare altre tasse. Le masse finora sono state deviate dal pensare alla loro miserabile condizione. Quella che si chiama la questione sociale, qui è stata assorbita dal nazionalismo [...]» (da un articolo di Vittorio G. Rossi sul Corriere della Sera)
Mercoledì 10 dicembre 1952
Processo alla Rose Mary
Si è aperto oggi, sotto la presidenza del giudice Campbell. il procedimento promosso dalla società inglese Anglo-Iranian nei confronti dei proprietari della petroliera Rose Mary, fermata mentre transitava con un carico di petrolio proveniente dall’Iran. La Corte dovrà decidere se è corretto l’assunto secondo cui il petrolio della Rose Mary deve intendersi di proprietà inglese e quindi passibile di sequestro, sebbene sia stato acquistato (e pagato) in trattative dirette con i persiani. Responsabile della Rose Mary, che era al comando del capitano Jaffrati. è il conte italiano Della Zonca. Rappresenta la proprietaria della nave Compania de Navegacion Teresita, Panama il sig. Martinelli. Il giudice ha riconosciuto, dopo le prime schermaglie, validità alla richiesta dell’accusa che il dibattito si svolga sulla questione se fu oppure non fu violato l’accordo tra l’Anglo-Iranian e l’Iran del 1933 per lo sfruttamento del petrolio persiano. Limitato a ciò, il dibattito sembrerebbe volgere a favore degli Inglesi. La difesa aveva viceversa affermato che il Tribunale di Aden non era competente a decidere su un accordo « non avente validità internazionale né validità ad Aden perché qui non registrato ». L’Anglo-Iranian è rappresentata da sir Hartley Shawcross, che fu accusatore al processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti. Egli ha detto, tra l’altro, che nel corso del processo verranno citati elementi «che faranno da schermo a un personaggio italiano sulla cui posizione potranno rendersi necessarie indagini». Shawcross ha poi negato che la RAF sia Intervenuta per costringere la Rosé Mary a entrare nel porto di Aden.
Giovedì 11 dicembre 1952
Il processo alla Rose Mary
ADEN - È proseguito oggi a Aden il processo, intentato dalla società Anglo Iranian nei confronti dei proprietari della petroliera Rose Mary. Durante l’udienza antimeridiana, l’avv. slr Hartley Shawcross ha dichiarato: « Come risulta dai registri di bordo, la petroliera aveva subito un guasto alle macchine prima di entrare nel porto di Aden ed è stato per tale motivo e non per una coercizione, come sostengono invece il capitano e i noleggiatori, che la Rose Mary si è ormeggiata a Aden ». Shawcross ha parlato oggi per tre ore e ha prodotto una serie di telegrammi scambiati fra gli armatori, i noleggiatori e il capitano della nave. In uno di essi, la compagnia Budenberg invitava il capitano a non far scalo a Aden, usando un linguaggio cordialissimo e riferendogli i favorevoli commenti pubblicati per l’occasione dalla stampa italiana. Secondo l’avvocato inglese l’aereo della RAF che individuò la petroliera, il 17 giugno, non avrebbe costretto il capitano a modificare la rotta. L’agente degli armatori, A. Martinelli, noleggiò allora un rimorchiatore per incontrarsi col capitano al largo di Aden, ma in seguito, come ha precisato ancora l’avvocato inglese, la petroliera è entrata in porto. Shawcross ha rilevato che la legge persiana sulla nazionalizzazione è incompatibile col diritto internazionale ed è quindi inaccettabile. Poiché nel territorio di Aden vige la legge inglese — ha proseguito il legale — il Tribunale locale ha, logicamente, giurisdizione sulla vertenza.
Sabato 13 dicembre 1952
Parla il capitano della Rose Mary
ADEN - Il capitano della petroliera Rose Mary (che caricò petrolio iraniano e venne fermata mesi or sono dagli Inglesi) ha deposto oggi davanti ai giudici del tribunale cui toccherà decidere se il petrolio della nave possa riprendere il viaggio o debba venir confiscato perché venduto « abusivamente ». Il capitano della Rose-Mary, Giuseppe Jaffrate, ha dichiarato che l’ordine di procedere per Bandar-Manshur, presso Abadan, per caricarvi il petrolio persiano, era contenuto in una lettera consegnatagli personalmente dal conte Ettore Dalla Zonca e di cui egli apprese il tenore solo dopo essere giunto a Porto Said, nella zona del Canale. Gli ordini impartiti allo Jaffrate dai proprietari della nave, la compagnia panamense di navigazione Teresita, erano di non entrare pel porto di Abadan: ma poiché d’altra parte, sempre per gli ordini della Teresita, egli doveva considerarsi a disposizione dei noleggiatori del piroscafo (il conte Dalla Zonca), il capitano decise di penetrare nel porto, dove in data 26 maggio la Rose Mary fece il pieno di petrolio. Il primo giugno il capitano ricevette quattro telegrammi in cui i proprietari della nave gli ordinavano di non tenere più fede agli impegni del contratto di noleggio. La Teresita disponeva che la nave dovesse dirottare su Aden, e Jaffrate cablò ai proprietari che avrebbe eseguito questa disposizione. In realtà il capitano vi disobbedì e fece procedere la Rose Mary per Suez, in ossequio agli ordini dei noleggiatori. Successivamente a Jaffrate giunse un ordine della compagnia panamense, tramite un’unità navale inglese, di entrare ad Aden pena sanzioni disciplinari e arresto. Temendo di venire arrestato in alto mare, con conseguenze gravi per la nave ed il carico, il comandante della Rose Mary cedette e fece rotta su Aden.
Venerdì 9 gennaio 1953
Il petrolio della Rose Mary deve andare agli inglesi
Il tribunale di Aden ha convalidato il sequestro del carico di petrolio rinvenuto a bordo della Rose Mary e ne ha ordinato la consegna alla «Anglo Iranian Oli Company»
La petroliera italiana Miriella naviga con cinquemila tonnellate di petrolio iraniano
La Mirella, che batte bandiera italiana, ha salpato da Abadan ieri sera con 5000 tonnellate di petrolio grezzo. A quanto è stato riferito, il petrolio è stato fornito dalla Compagnia petroliera iraniana contro cessione di tessili e di macchinari agricoli. Funzionari persiani hanno dichiarato di nutrire fiducia che la petroliera non subirà la stessa sorte della Rose Mary il cui carico, com’è noto, fu bloccato dagli Inglesi ad Aden, lo scorso giugno. Le autorità italiane avrebbero assicurato quelle inglesi che il carico della Mirella non verrebbe sbarcato in Italia. Ma che cosa avverrebbe se la petroliera si recasse in un porto franco quale Trieste? In base a quale legge sarebbe giustificata un’eventuale azione del Governo italiano? Da altre fonti si apprende che il gruppo petroliero italiano Supor avrebbe stipulato con le pertinenti autorità persiane un contratto per l’acquisto di 2 milioni di tonnellate di petrolio grezzo e 500 tonnellate di prodotti finiti. La Supor si incaricherebbe dell’intero trasporto del prezioso minerale. Settantamila sterline sarebbero già state depositate presso la Banca Nazionale persiana, a garanzia dei termini concordati. Quale itinerario seguirà ora la Mirella? Secondo informazioni non confermate, le 5000 tonnellate di petrolio da essa caricate sarebbero destinate alla Polonia in ossequio a un recente accordo commerciale italopolacco. Vengono oggi sottolineate le seguenti dichiarazioni di un esponente della Supor: «Abbiamo imparata una buona lezione dal caso della Rose Mary e la nostra nave ha sufficiente combustibile per restare al largo lungo tempo». L’attesa è viva, soprattutto per il lato avventuroso dell’impresa della petroliera italiana.
Venerdì 13 febbraio 1953
La Miriella in arrivo a Venezia
La Miriella, la petroliera di cui tanto si è parlato durante il suo viaggio da Abadan all’Italia (e che un giornale inglese ha definito «lurida petroliera italiana che si fa beffe della Gran Bretagna»), entrerà domani mattina all’alba nel porto di Venezia (non può entrare prima perché di notte alle petroliere non è concessa l’entrata nel porto) e attraccherà a Marghera, in punto franco. Essa reca a bordo 4.500 tonnellate di petrolio grezzo, ed è in navigazione da venticinque giorni. Il dott. Francesco Mortillaro, consigliere delegato della Supor, la società armatrice, è giunto stasera a Venezia per attendere la petroliera. Egli ha voluto precisare che si tratta di una normale transazione commerciale per la quale il gruppo che egli rappresenta è specializzato. Si tratta infatti dello stesso gruppo che ha effettuato compensazioni contro combustibili solidi e liquidi da vari Paesi europei, specialmente da Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Russia. « L’operazione — ha aggiunto il dott. Mortlllaro - è stata iniziata quando era già nota la sentenza della Corte internazionale dell’Aia che dichiarò la propria incompetenza a giudicare nella vertenza fra uno Stato, l’ Iran, e una società privata, l’Anglo Iranian Oil Company. In quanto a un eventuale sequestro sono pronto ad affrontare la situazione». Uno dei maggiori esponenti della Supor era il duca Mario Badoglio, morto l’altro giorno a San Vito al Tagliamento per un attacco di angina pectoris. Dal punto di vista giuridico si crede di sapere che l’Anglo-Iranian avrebbe dato incarico ad un avvocato di Roma di svolgere le pratiche per ottenere il sequestro del carico. Vertenza tutt’altro che semplice: da una parte l’Anglo Iranian sostiene che in base al contratto col Governo persiano tutto il petrolio prodotto nell’ Iran è di sua proprietà, dall’altra il Governo iraniano obietta che, dopo la nazionalizzazione delle riserve e degli impianti esistenti nel Paese, il contratto con l’Anglo Iranian è decaduto.
Sabato 14 febbraio 1953
La Miriella scarica il suo petrolio a Venezia
Il lungo viaggio della Miriella è felicemente terminato. Dopo quarantotto giorni dalla sua partenza da Genova, e dopo aver percorso circa novemila miglia alla media di otto nodi e mezzo all’ora, la petroliera è giunta a Venezia e ha attraccato alla banchina Azoto di Porto Marghera. Il nero e lucido olio combustibile sta fluendo attraverso grossi tubi nei serbatoi di una . compagnia petrolifera, noleggiati per conto della Supor di Roma, la società proprietaria del carico; e domani la Miriella galleggerà vuota. L’Anglo Iranian Oil Company ha chiesto il sequestro giudiziario del carico.La Miriella era giunta a tre miglia dal Lido poco prima delle cinque di stamane e lì, dato fondo alle ancore, aveva sostato fino alle nove, ora in cui, trainata dal rimorchiatore Titanus, aveva ripreso a muoversi verso Porto Marghera. Un’ora ci volle, dalla punta del semaforo del Lido alla banchina Azoto di Porto Marghera. La Miriella, tutta verniciata di fresco in nero e rosso ed il gran pavese alzato, con le bandierine italiana e iraniana vicine, raggiunse il bacino di San Marco; l’attraversò, sotto una sottile pioggerella, e imboccò il Canale della Giudecca. Greve di peso, immersa al massiìno, la pirocisterna piena del petrolio dei pozzi della lontana Abadan veniva avanti lentamente, seguita da un nugolo di motoscafi; sul ponte il comandante Amilcare Mazzeo, gli ufficiali e i marinai agitavano braccia e berretti.Alle 10, la Miriella attraccò. Montarono svelti a bordo commissari e poliziotti, montarono a bordo ufficiali e guardie di Finanza, montò a bordo un medico. La bandiera gialla della quarantena fu presto calata, grossi tubi di gomma furono gettati sulla coperta della cisterna, le bandierine del gran pavese vennero anch’esse ammainate. Giunse un gruppo di automobili, ne scese una trentina di persone, fra cui un gruppo di signore in pellicce di persiano, una di queste era la signora Kagenuri, moglie dell’ambasciatore dell’ Iran a Roma, attualmente indisposto; la bambina che le camminava a fianco con un mazzo di rose da offrire al comandante della Miriella era la sua figliola Derasciandè che in persiano vuol dire «Brillante». Gli altri erano funzionari dell’Ambasciata e del Consolato dell’Iran in Italia o rappresentanti delle colonie iraniane in Italia (dall’articolo di Egisto Corradi per il Corriere della Sera).
Giovedì 19 febbraio 1953
Altre petroliere italiane andranno a comprare greggio ad Abadan
Il direttore dell’ufficio vendite della Compagnia nazionale persiana del petrolio ha dichiarato di aver appreso che la Compagnia italiana « Supor » intende inviare ad Abadan altre petroliere, senza attendere le decisioni del tribunale incaricato di trattare il caso della Miriella Il funzionario ha dichiarato che, conformemente ad un accordo che impegna la Compagnia italiana ad acquistare ogni anno ad Abadan un milione di tonnellate di oli minerali, altre petroliere si recheranno ad Abadan. Egli ha pure annunciato che sono giunti in Persia, per acquisti di petrolio, uomini d’affari giapponesi e di altri Paesi.
Mercoledì 11 marzo 1953
Il caso della Miriella e del petrolio iraniano. Il giudice dà ragione agli italiani e torto agli inglesi
VENEZIA - Alle 11 di stamane il presidente del Tribunale, dott. Mastrobuono, ha consegnato alla Cancelleria, per la trascrizione, il dispositivo della sua ordinanza con cui si respinge la richiesta di sequestro delle 4.600 tonnellate di petrolio della Miriella presentata dall’Anglo Iranian. L’Anglo Iranian ha reso noto che ricorrerà immediatamente al Tribunale di Roma, dove ha sede la Compagnia «Supor» acquirente del petrolio trasportato dalla Miriella. L’ordinanza che ha dato ragione agli italiani contro gli inglesi recita tra l’altro: «Il petrolio oggetto della controversia fu preso in Persia dallo Stato persiano, in attuazione della legge di nazionalizzazione, e in Persia fu disposto di esso a favore della Supor, in conseguenza di contratto di compravendita. Tutto questo avvenne in conformità all’ordinamento giuridico dello Stato persiano: col che, si esclude la necessità di procedere ad alcuna valutazione della legge di nazionalizzazione, alla stregua dell’ordine pubblico. Tenuto conto che indubbiamente è un principio di ordine pubblico quello che la proprietà non può essere tolta senza indennizzo, si tratta ora di vedere se la legge di nazionalizzazione persiana contrasti o meno con tale principio. Ma dall’esame degli articoli 2 e 3 di tale legge e dall’impegno preso dal Governo persiano, di depositare presso la Banca Milli-Iran o presso qualsiasi altra banca fino al 25 per cento dei proventi normali derivanti dal petrolio, si deduce come la legge di nazionalizzazione non escluda l’attribuzione all’A.I.O.C. di un Indennizzo; non solo, ma contiene il non equivoco riconoscimento del diritto relativo». Il comm. Arnaldo Bennati, principale esponente della Supor, ci ha dichiarato che due petroliere, la Miriella e l’Alba, di 11 mila tonnellate quest’ultima, giungeranno tra breve ad Abadan, per caricare petrolio persiano. Il petrolio — anche quello sequestrato a Venezia, e che si trova attualmente In punto franco — verrà ceduto alle industrie italiane in compensazione con quanto le industrie stesse invieranno in Persia.
Giovedì 12 marzo 1953
L’Iran vende all’Italia petrolio a metà prezzo
Un comunicato governativo informa oggi che l’ Iran intende offrire alla Compagnia italiana « Supor » petrolio a metà prezzo rispetto a quello che viene praticato sui mercati mondiali in segno di gratitudine per la vittoria conseguita di fronte al Tribunale di Venezia contro la Anglo Iranian Oil Company nel caso della Miriella. Il comunicato aggiunge che la « Supor » potrà comprare per sei mesi tanto petrolio quanto ne potrà caricare a questa condizione di favore
Martedì 24 marzo 1953
L’Anglo Iranian minaccia l’Agip e l’Italia
Dopo la decisione del Tribunale di Venezia sul caso della nave cisterna Miriella, che in tutta la stampa britannica sollevò un coro di indignate proteste, l’Anglo Iranian Oil Company avrebbe predisposto le sue prime rappresaglie allo scopo di impedire che nevi mercantili italiane trasportino anche nelle zone franche dei nostri porti il petrolio persiano. La compagnia britannica — secondo quanto pubblica il conservatore The Scotman, minaccia di sospendere le « prospettazioni » petrolifere in Sicilia, se il Governo italiano non assume un diverso atteggiamento di fronte alla questione dei petroli iraniani. L’Anglo Iranian, che possiede il 50 per cento delle azioni dell’Agip italiana, sta effettuando delle ricerche nelle zone di Ragusa, Vittoria e Priolo. Poiché i risultati dei primi sondaggi sono stati finora soddisfacenti, la Compagnia ha informato le autorità italiane che procederà alle perforazioni soltanto sotto determinate condizioni. Una di queste comporterebbe il rifiuto da parte del Governo italiano di consentire la vendita del petrolio persiano all’interno del nostro Paese.
Mercoledì 16 settembre 1953
Sul petrolio iraniano anche il tribunale di Roma dà ragione agli italiani contro gli inglesi
Il Tribunale di Roma ha emanato stamane la sentenza nella causa intentata dalla Anglo Iranian Oil Company (Aioc) contro la società Supor, che ha per prima importato in Italia il petrolio iraniano dopo la nazionalizzazione, iniziandone il trasporto con la famosa nave Miriella. La sentenza rigetta la domanda di rivendica di proprietà del petrolio proposta dall’Aioc contro la Supor e condanna l’Aioc stessa alle spese di giudizio. Gli antefatti della causa sono noti. Come si ricorderà, in seguito alla legge per la nazionalizzazione dell’industria del petrolio in tutto il territorio della Persia, la società italiana Supor raggiungeva un accordo con la National Iran Oil Company per l’acquisto di petrolio nazionalizzato, senza esborso di valuta estera, mediante compensazione con i prodotti dell’industria italiana. I prelevamenti di tale petrolio furono iniziati con la nave Miriella. L’Aioc, che non aveva accettato la legge di nazionalizzazione e che pertanto si riteneva proprietaria del petrolio venduto alla Supor, prima mediante la richiesta di un sequestro giudiziario (che fu respinta dal Tribunale di Venezia) poi con l’instaurazione di tanti processi per ogni carico di petrolio persiano trasportato, chiese alle autorità giudiziarie italiane il riconoscimento del proprio diritto di proprietà sul petrolio. La sentenza riconosce invece il pieno diritto di proprietà del petrolio in contestazione alla Supor per averlo essa acquistato legittimamente.
Giovedì 5 agosto 1954
Americani, inglesi, francesi, olandesi: un consorzio occidentale firma con l’Iran l’accordo sul petrolio
A Teheran e a Londra è stato annunziato simultaneamente stamane che il consorzio di otto aziende petrolifere occidentali e il Governo iraniano hanno finalmente raggiunto un accordo su larga base per far rinascere l’industria del petrolio nell’ Iran inattiva da tre anni. L’accordo dispone che la grande raffineria di Abadan e i campi petroliferi adiacenti saranno gestiti dal consorzio. La produzione sarà consegnata al Governo iraniano dal quale il consorzio la comprerà e la venderà poi all’estero. Campi e raffineria apparterranno all’ Iran. Si spera di poter riprendere le operazioni di esportazione fra due mesi. L’annunzio dell’accordo è stato dato a Teheran dal ministro delle Finanze, Ali Amini, e da Howard Pgage, rappresentante della « Standard Oil », il quale ha diretto i negoziati. L’accordo avrà una durata di 25 anni, prorogabile per altri cinque, se le parti lo vorranno. Benché l’annunzio non lo specifichi, si crede che l’accordo disponga il versamento del 50 per cento all’ Iran del reddito di produzione, ossia la stessa percentuale in uso in altri Paesi petroliferi del Medio Oriente. Si calcola che l’Iran introiterà 420 milioni di dollari nel primo triennio dell’accordo. Il consorzio è formato dall’Anglo Iranian, che ha sfruttato da sola l’industria petrolifera iraniana fino alla legge di nazionalizzazione di Mossadeq (1951), dalle aziende americane « Standard Oil » del New Jersey, «Standard Oil» della California. « Texas Company », « Gulf Oil » e « Socony Vacuum », dall’azienda olandese « Royal Dutch » e dalla « Compagnie française des pétroles »
Decisivo il ruolo degli americani nell’accordo sul petrolio con Teheran
È opinione concorde dei tecnici del petrolio e di funzionari e diplomatici americani che il contributo privato e governativo degli Stati Uniti ha avuto parte essenziale nella soluzione della vertenza anglo-iraniana. L’osservazione è basata non soltanto sul fatto che delle otto società aderenti al consorzio internazionale dei petroli iraniani cinque sono americane — la Standard of New Jersey, la Standard of California, la Texas Company, la Gulf Oil Company e la Socony Vacuum — ma anche e soprattutto sulla importanza dell’intervento governativo americano che servì a superare la complessa congiuntura economica e politica causata dall’insorgere della crisi fra la Persia e la Gran Bretagna. La conclusione dell’accordo dei petroli, a parte il vantaggio di carattere economico che rappresenta per il blocco occidentale, va interpretata come una significativa vittoria di carattere politico (sull’Urss - ndr). L’Iran si trova in un punto nevralgico del sistema difensivo ai margini della cortina di ferro e fino a circa un anno fa era considerato uno degli anelli più deboli della catena di alleati anti-comunisti. L’invio di aiuti americani ha avuto aiich’esso una parte preponderante per consentire al Governo Zahedi di fronteggiare la pesante eredità ricevuta la scorsa estate dalla amministrazione Mossadeq. L’azione di Washington non si fermò qui. Quando furono avviate le trattative fra le otto società del costituendo consorzio e il Governo iraniano da una parte e quello inglese dall’altra, l’opera delle autorità americane non fu meno efficace: Herbert Hoover junior, inviato straordinario del Dipartimento di Stato, attraversò l’Atlantico 14 volte per contribuire al buon esito delle laboriose trattative, svoltesi a Teheran, Londra e Washington. Per quanto manchino ancora precisazioni ufficiali, le cinque società americane saranno interessate per il 40 per cento al nuovo consorzio. Medesima aliquota avrà l’Anglo-Iranian Oil Co.; il 14 per cento avrà la società olandese Royal Dutch Shell ed il 6 per cento la Compagnie Frangaise des Petroles. Da parte ufficiosa americana si stima che occorreranno da cinquanta a sessanta milioni di dollari per riattivare gli impianti petroliferi iraniani. L’impresa si calcola che potrà dare i suoi primi frutti col primo gennaio 1955.
Venerdì 13 agosto 1954
Non sarà semplice riportare sul mercato il petrolio iraniano
Al ritorno del petrolio persiano sui mercati mondiali si oppongono varie difficoltà, che le Potenze occidentali, in special modo gli Stati Uniti, dovrebbero essere tuttavia in grado di superare. Sul piano economico è da notare che quando la vertenza fra Londra e Teheran portò alla chiusura delle raffinerie di Abadan, le industrie petrolifere degli altri Paesi del Medio Oriente intensificarono , notevolmente la loro produzione. Gli impianti di Kuwait producono ora 930 mila barili al giorno invece dei 350 mila che producevano quando ogni attività cessò ad Abadan; la produzione dell’Iraq è salita da 136 mila barili a 600 mila, e quella dell’Arabia Saudita è aumentata del 60 per cento e tocca ora i 955 mila barili. Nonostante manchino informazioni ufficiali, si stima che occorreranno da cinquanta a sessanta milioni di dollari per riattivare gli impianti iraniani entro il 1954. Inoltre, occorrerà o affrontare la concorrenza delle altre fonti di petrolio del Medio Oriente oppure ottenere che esse riducano la loro produzione. Questo complesso di cose rende economico il ritorno sul mercato del petrolio iraniano? A prima vista si direbbe di no. Sul piano politico l’opposizione al Governo Zahedi ha intanto cominciato a osteggiare l’accordo definendolo contrario alla legge sulla nazionalizzazione.
Sabato 12 maggio 1956
Kruscev e Bulganin a Londra
[...] Tutti sono d’accordo, a Londra, nello stimare che discorrere con Malenkov, Bulganin e Kruscev è tutt’altra cosa da quelle che furono, a suo tempo, le conversazioni con Molotov. Il dialogo sembra sia andato bene, nel senso che fu un dialogo spassionato e oggettivo. Il linguaggio usato fu quello di una politica positiva, un linguaggio semplice e nudo: si parlò di alleanze, di basi, di petrolio, di bombardieri, di missili, di acciaio e di navi. In simili termini si discussero liberamente le condizioni, non diremo di un’amicizia, ma di una coesistenza. Se non vi fu un vero accordo, tuttavia qualche progresso sembra sia stato realizzato verso un’intesa circa il Medio Oriente. Vi è motivo di ritenere che tale risultato venne preparato durante la visita di esplorazione fatta da Malenkov. Gli fu detto nel modo più chiaro, in ispecie dai capi laboristi, che l’esistenza dello Stato d’Israele e il mantenimento dei rifornimenti di petrolio dal Medio Oriente all’Europa occidentale erano due capitoli su cui non si poteva transigere. [...] I visitatori russi — stando a quanto mi è stato riferito — dissero francamente che avrebbero suscitato agitazioni nelle zone petrolifere per demolire il patto di Bagdad, che secondo loro è un accordo militare inteso a stabilire l’aviazione strategica americana con le sue basi nell’Irak e nell’Iran. Fu loro assicurato che si tratta di un patto puramente difensivo; ma non è probabile che i sovietici abbiano prestato fede a tali assicurazioni.Leggi qui tutto l’articolo di Walter Lippmann
Sabato 23 agosto 1958
Riaperte le frontiere tra Siria e Libano
Per la prima volta dalla metà di maggio la frontiera tra il Libano e la Siria è stata riaperta al trasporto dei prodotti petroliferi. Non si sa ancora quando le prime autocisterne cariche di benzina raffinata nel Libano varcheranno la frontiera, ma si ritiene che ciò avverrà quanto prima.
Domenica 11 febbraio 1979
Petrolio sul mercato libero a 20 dollari
KUWAIT — Se l’attuale blocco della produzione iraniana dovesse continuare, il prezzo del greggio potrebbe essere triplicato a partire dall’aprile prossimo. Un giornale del Kuwait, citando fonti bene informate, scrive che alcuni Stati del Golfo stanno già vendendo sul mercato libero il petrolio a 20 dollari al barile (contro i 14 attuali)
Venerdì 16 febbraio 1979
Emirati e Qatar aumentano del 7% il prezzo del loro petrolio
Il primo, chiaro segno che siamo entrati in una nuova crisi petrolifera è venuto ieri: Abu Dhabi e Qatar hanno aumentato con effetto immediato il prezzo del loro greggio del 7,2%. L’Arabia Saudita dovrebbe allinearsi a questa decisione nei prossimi giorni. Il rincaro viene applicato in aggiunta a quello varato dall’OPEC nel dicembre scorso, quando furono stabiliti quattro scatti trimestrali per il 1979 (del 5% il 1° gennaio e successivamente del 3,809%, del 2,294% e del 2,691%). Quella decisione avrebbe comportato un rialzo del prezzo di riferimento del petrolio del 14,5% entro la fine di quest’anno. Ora, dato che Abu Dhabi e Qatar hanno annunciato di voler applicare la «sovratassa» sul nuovo prezzo che entrerà in vigore in ognuno dei tre restanti trimestri dell’anno, il rincaro del loro greggio risulterà alla fine del 23% circa. La decisione era prevedibile, ma suscita non poche preoccupazioni. Il nuovo rincaro si è reso necessario per allineare i prezzi di listino del greggio più leggero e più pregiato (come quello prodotto da Abu Dhabi e Qatar) alle quotazioni del mercato libero in vorticosa ascesa nelle ultime settimane a causa della mancata produzione iraniana. Questi prezzi hanno già superato abbondantemente i 20 dollari per barile. Il greggio dei due produttori Opec sale oggi da 14,10 dollari a 15,20 dollari per barile. Alla fine del 1970 raggiungerà i 16 dollari (Paolo Glisentiper il Corriere della Sera)
Mercoledì 21 febbraio 1979
La produzione iraniana di petrolio destinata a ridursi ancora
La radio di Teheran negli ultimi giorni ha persino annunciato che ia produzione sarà ridotta dai 5 milioni di barili il giorno a 330 mila: «Lo Scià avrebbe esaurito le riserve in vent’anni, invece il petrolio iraniano potrà durare sette secoli».
Venerdì 23 febbraio 1979
La Libia aumenta del 5% il prezzo del suo petrolio
«La Libia ha aumentato il prezzo del suo petrolio del 5 per cento. Sono così ormai nove i paesi produttori dell’Opec che hanno già ritoccato le quotazioni. A dare l’annuncio è stato ieri un portavoce della Occidental Petroleum Corp., una delle maggiori acquirenti statunitensi di petrolio libico, precisando che il rincaro è stato pari a circa 68 centesimi di dollaro per barile. La decisione della Libia segue di pochi giorni quella dell’Abu Dhabi e del Qatar, che avevano stabilito un rialzo del 7 per cento. La tensione che si sta verificando sul fronte delle quotazioni del petrolio (nonostante l’annuncio dato ieri dall’Iran di un’imminente ripresa delle esportazioni di greggio), è il segno concreto di una manovra che vari paesi produttori di grezzo stanno conducendo nei confronti dell’Arabia Saudita. Obiettivo di queste pressioni sarebbe quello di convincere l’Arabia Saudita, che è il maggiore produttore mondiale di petrolio, a convenire sull’opportunità di un ulteriore aumento del prezzo ufficiale del greggio. L’aumento del prezzo del petrolio deciso dalla Libia ha suscitato ieri preoccupazioni negli ambienti petroliferi italiani. Infatti, se l’aumento stabilito dall’Abu Dhabi e dal Qatar non provocava problemi all’Italia, dal momento che le nostre importazioni da quei paesi ammontano al solo 3 per cento del fabbisogno nazionale, nel caso della Libia la questione è più grave. La Libia, infatti, fornisce all’Italia circa 14 milioni di tonnellate annue di greggio, pari a circa il 13 per cento dei nostri approvvigionamenti. Tuttavia è ancora presto per lare stime precise. Non si sa ancora se l’aumento deciso dalla Libia sarà generalizzato oppure limitato alle «eccedenze». L’ipotesi meno favorevole di questi aumenti del petrolio libico (che è di qualità leggera, molto richiesta) farebbe ascendere a circa 70 miliardi di lire l’anno (5,5 miliardi al mese) il maggior costo cui andrebbe incontro il nostro paese» (Corriere della Sera).
Martedì 27 febbraio 1979
Rincara anche il petrolio del Venezuela
Il prezzo del petrolio venezuelano (il 5,1% di tutto il greggio prodotto dall’OPEC) rincarerà del 15% a partire dal primo marzo. Gli aumenti vanno da 2,10 a 2,51 dollari per barile e riguardano per ora soltanto le esportazioni di prodotti raffinati che coprono comunque più della metà delle vendite all’estero del Venezuela, il rincaro più forte viene applicato sul greggio a basso contenuto di zolfo, destinato soprattutto al consumo finale di benzina, che passerà da 16,49 a 19 dollari per barile mentre il petrolio ’pesante’ (utilizzato per alimentare le centrali termoelettriche, per i consumi di nafta e gasolio) sale da 11,40 a 13,50 dollari. E’ stato ieri confermato che anche la Libia ha rincarato tutti i tipi di greggio del 5% fino al 31 marzo. Ahmed Zaki Yamani, il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, calcola che con l’interruzione di 90 giorni della produzione petrolifera iraniana il mondo abbia perso 400 milioni di barili di greggio e che i prezzi sul mercato Spot siano saliti del 49% rispetto ai livelli fissati dall’Opec.
Sabato 3 marzo 1979
I paesi membri dell’Aie impegnati a diminuire del 5% la domanda di petrolio
Parigi. Il consiglio di direzione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia ha annunciato che i venti paesi membri dell’organizzazione (l’Australia si è aggregata ora agli altri) ridurranno volontariamente la loro domanda di petrolio nella misura del 5% nel corso del 1979. La riduzione volontaria prevista corrisponde grosso modo al deficit che rischiano di dover affrontare i paesi consumatori: 2.300.000 barili consegnati in meno al giorno. Richard Cooper, sottosegretario per gli affari economici che rappresentava gli Stati Uniti alla riunione, ha annunciato che il suo paese ridurrà di un milione di barili al giorno il consumo di petrolio nazionale. È proprio il 5% auspicato dall’agenzia. Egli ha precisato che le misure di economia, non ancora fissate, saranno progressive ed essenzialmente volontarie. «Ma siamo pronti a prendere anche misure obbligatorie», ha aggiunto, annunciando che il presidente Carter farà quanto prima una dichiarazione in questo senso
Venerdì 9 marzo 1979
Ulteriore aumento del prezzo del petrolio deciso dall’Irak
L’Irak ha deciso di aumentare i prezzi del petrolio greggio dl 1,20 dollari al barile, cioè del 9% circa, con decorrenza retroattiva dal 1° marzo. Lo ha annunciato la giapponese Mitsubishi OiL. La decisione segue quelle dl altri paesi esportatori di petrolio (Kuwait, Emirati Arabi, Qatar, Libia, Algeria). In dicembre la conferenza ministeriale dell’Opec aveva stabilito per l’anno in corso un aumento del 14,5% dei prezzi del petrolio, da attuarsi in quattro stadi; l’aumento medio dei prezzi al termine del 1979 avrebbe dovuto risultare del 10%. Il GAO (General Accounting Office del Congresso americano) prevede, invece, che l’aumento reale sarà del 17%, in quanto i produttori di.petrolio stanno alzando i prezzi per trarre vantaggio dall’attuale minore disponibilità di greggio. L’Arabia Saudita ha intanto fatto sapere di non considerare necessario un aumento produttivo del suo greggio éntro il 1985, tenendo conto dell’evoluzione della domanda. Lo ha dichiarato il vice ministro delle risorse minerarie e petrolifere, Abdul Aziz Al Turki nel corso della riunione dei paesi dell’OPEC ad Abu Dhabi controbattendo un rapporto del «New York Timés» in base al quale la produzione dei pozzi petroliferi sauditi è ostacolata da difficoltà tecniche a causa delle quali se il paese fosse costretto a produrre 14-16 milioni di barili al giorno non potrebbe mantenere tale livello per più di 10 anni.
Mercoledì 28 marzo 1979
Barili di petrolio a 19 dollari
GINEVRA — Petrolio sempre più caro e in quantità insufficiente per alcuni mesi ancora a soddisfare i consumi dell’Occidente. Questo è il preoccupante panorama che si presenta all’indomani della conferenza straordinaria dell’OPEC tenutasi a Ginevra. A partire dal 1° aprile e per il solo secondo trimestre, il rincaro effettivo rispetto alla fine del 1978 salirà infatti al 23,5 per cento dal 14,5 per cento che costituiva il rialzo dei prezzi previsto per tutto il 1979 in base alle decisioni che l’OPEC prese nel dicembre scorso in Abu Dabi. Rialzi fino al 40 per cento saranno possibili, invece, per i greggi nordafricani e iracheni di cui l’Italia è forte acquirente. Ciò significa che invece di salire da 13,33 a 13,84 dollari per barile, come previsto, il prezzo di riferimento passerà, ufficialmente, a 14,54 dollari — con uno scatto dell’8,7 per cento sui primi tre mesi dell’anno — e di fatto a 15,75 dollari con un balzo inaspettato di oltre il 16 per cento rispetto ad ora. Un calcolo definitivo non è ancora possibile in quanto l’Arabia Saudita non ha fatto sapere a quanto del suo petrolio applicherà anche il sovrapprezzo, ma alcune stime giudicano che prevedibilmente un barile di petrolio prodotto dalla Libia e dall’Algeria potrebbe essere quotato fino a 19 dollari.
Mercoledì 4 aprile 1979
Tutto il greggio iraniano passa per il mercato libero
«Sul mercato libero - dove Iraq, Nigeria, Libia, Qatar e Emirati vendono tutto il petrolio prodotto in eccesso ai livelli precedenti la rivoluzione di Khomeini — i prezzi restano sensibilmente superiori a quelli ufficiali. Su questo mercato passa tra l’altro tutto il greggio iraniano attualmente esportato (1,8 milioni di barili al giorno) dato che Teheran non ha ancora stipulato i nuovi contratti con le compagnie. I sovrapprezzi annunciati dalla maggioranza dei paesi Opec, oscillanti tra 1,14 e 5 dollari a barile, stanno inoltre provocando un rialzo quasi proporzionale del prezzo per il petrolio prodotto nel Mare del Nord, in Alaska e in Messico, il greggio britannico e norvegese è già salito a 18-19 dollari per barile, in linea con le quotazioni dei greggi nordafricani, quello messicano rincarerà intorno ai 16,50 dollari, quello dell’Alaska era già tra i più cari in assoluto. Il Canada ha fatto sapere che il suo petrolio leggero salirà a 18,41 dollari. Infine, è di ieri la notizia che l’Iran intende stipulare contratti a lungo termine con le compagnie nipponiche ad un prezzo rincarato del 32% rispetto al 1978 per il petrolio leggero e del 28% per quello mediopesante. Il prezzo medio predominante sul mercato mondiale si sta dunque avvicinando ai 17 dollari per barile contro poco meno di 13 dollari che costituivano la quotazione base soltanto alcuni mesi fa» (Corriere della Sera)
La produzione mondiale di petrolio nel 1978
Produzione in milioni di barili al giorno nel 1978: Arabia saudita 8,5 Iran 5,2 Iraq 2,6 Venezuela 2,2 Kuwait 2,1 Libia 2,0 Nigeria 1,9 Emirati 1,8 Indonesia 1,6 Algeria 1,2 Qatar 0,5 Gabon 0,3 Ecuador 0,2.
Mercoledì 18 aprile 1979
I paesi arabi tolgono il petrolio all’Egitto, colpevole di aver fatto pace con Israele
Mentre l’Oapec prende una serie di misure drastiche contro l’Egitto, reo di aver firmato la pace con Israele, e l’Opec annuncia che riprenderà in esame il problema dei prezzi petroliferi alla prossima riunione di giugno, il governo iraniano dichiara di voler nazionalizzare tutto il settore petrolchimico acquistando le proprietà in mano agli stranieri. Intanto si susseguono voci e smentite su un imminente rimpasto del governo saudita per le tensioni in seno alla famiglia reale. Al termine di una riunione di emergenza del consiglio dell’Oapec, i paesi arabi produttori di petrolio hanno deciso di espellere dalla loro organizzazione l’Egitto e di applicare nei suoi confronti un embargo petrolifero totale. Fonti dell’industria petrolifera affermano che, nonostante l’Egitto goda di una produzione petrolifera propria, nel 1978 è stato costretto ad importare greggio dall’Arabia Saudita per un valore di 159 milioni di dollari. Secondo M. Ramzy El Leissy, presidente dell’organizzazione petrolifera egiziana, le misure prese dall’Oapec non avranno alcuna influenza sui progetti del governo egiziano in campo petrolifero, né sul transito del petrolio arabo attraverso il canale di Suez e l’oleodotto SuezAlessandria. «L’Egitto», hanno confermato fonti governative del Cairo, «intende diventare un grande esportatore di petrolio e punta ad una produzione di un milione di barili al giorno entro tre anni». La produzione attuale egiziana è di 25 milioni di tonnellate di greggio di cui una eccedenza (pari al valore di 800 milioni di dollari) viene esportata in cambio di petrolio raffinato. Da parte sua il presidente Sadat aveva annunciato lunedì che il recupero dei pozzi del Sinai e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi a ovest del canale di Suez consentiranno al suo paese di aderire nel 1982 all’Opec, l’otganizzazione dei paesi esportatori di petrolio (per aderire alla quale è necessario esportare petrolio per una cifra pari all’1% del prodotto nazionale lordo). Attualmente una cinquantina di compagnie petrolifere straniere, per la maggior parte americane ed europee, partecipano alle prospezioni di petrolio egiziano con accordi che, dal 1974 in poi, superano il miliardo di dollari.
Giovedì 26 aprile 1979
Carter vuole tassare le compagnie petrolifere e i loro immensi profitti
WASHINGTON — Con un attacco di inconsueta violenza, che ha provocato immediate polemiche perché sospettato di essere diretto contro il congresso, il presidente Carter ha bollato a fuoco i tentativi di «annacquare» la sua proposta di imporre una tassa del 50 per cento sui profitti eccedenti goduti dalle società petrolifere dopo la recente revoca dei controlli sul prezzo del petrolio. A 955 milioni di dollari per la Exxon e 349,1 milioni di dollari per la Standard Oil sono ammontati gli utili nel primo trimestre del 1979. Le cifre confermano quanto appariva scontato soprattutto alla luce del blocco della produzione determinato in Iran dalla rivoluzione contro lo Scià; la «stretta» nelle disponibilità di petrolio e benzina si è tradotta in vera e propria manna per i giganti internazionali che controllano il mercato del greggio. Le stesse Exxon e Standard hanno del resto ammesso di aver largamente beneficiato della «carestia» petrolifera precipitata dagli eventi iraniani.
Domenica 20 maggio 1979
Khomeini ha sottratto ai mercati due milioni di barili al giorno
«Anzitutto l’Iran islamista, per decreto di Khomeini, ha sottratto agli scambi 2 milioni di barili al giorno, il 4 per cento delle forniture nel mondo. Inoltre i governanti islamici dell’Arabia Saudita, dopo l’arbitrato di Carter per la “pace separata” fra Egitto e Israele, non manifestano alcuna propensione a colmare il vuoto e “dilapidare la propria ricchezza al ritmo delle esigenze occidentali”». (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera) • La bolletta Opec aumenta già quest’anno di duemila miliardi.
L’origine della crisi: l’Iran, gli organizzatori arabi della penuria e i massimizzatori di profitto delle compagnie petrolifere
Dopo l’embargo petrolifero del ’73 e l’avvento della petrolcrazia con la quadruplicazione del «posted price», la nuova crisi è dovuta a due circostanze. Anzitutto l’Iran islamista, per decreto di Khomeini, ha sottratto agli scambi 2 milioni di barili al giorno, il 4 per cento delle forniture nel mondo. Inoltre i governanti islamici dell’Arabia Saudita, dopo l’arbitrato di Carter per la «pace separata» fra Egitto e Israele, non manifestano alcuna propensione a colmare il vuoto e «dilapidare la propria ricchezza al ritmo delle esigenze occidentali». Il deficit del 4 per cento non sarebbe molto in sé, ma come sempre, secondo il detto arabo, «è l’ultimo filo di paglia che spezza la schiena del cammello». Infatti è abbastanza per innescare una spirale di azioni e reazioni (aumento del prezzo, accumulazione speculativa delle scorte che prevede o provoca nuovi aumenti ecc.), dilatando il divario tra domanda e offerta fino al 20 o 30 per cento. Nella spirale perversa congiurano insieme quegli «organizzatori della penuria» che sono i venditori del cartello OPEC e i massimizzatori di profitto delle compagnie petrolifere, i governi irresoluti o maldestri e i consumatori inesausti. Almeno gli Stati Uniti sono ricchi di carbone, non devono importare tutto il petrolio che consumano, posseggono risorse come l’immenso «surplus» dei cereali e potranno ricordare ai governi dell’OPEC che sia il petrolio sia il grano si misurano a barili. Per le economie di semplice trasformazione, le prospettive sono peggiori. «Gli esperti sembrano unanimi, non siamo che agli inizi della grande penuria», annuncia a Parigi il Nouvel Observateur. E in condizioni di scarsità, altri incidenti sono possibili dopo la vicenda dell’Iran (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
Mercoledì 6 giugno 1979
Fissati i prezzi del petrolio in vigore dal 1° luglio
GINEVRA — A mezzogiorno di ieri, dopo due giorni e mezzo di burrascose riunioni, i ministri del petrolio del tredici Paesi dell’OPEC hanno annunciato di aver raggiunto un’Intesa sull’aumento del prezzo del greggio. Ecco di che si tratta: la 55a conferenza dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countrles) ha portato da 14,55 a 18 dollari (un dollaro vale attualmente 832,50 lire) il prezzo di un barile (litri 158,98) di petrolio greggio del tipo «arabico leggero». I Paesi dell’OPEC sono autorizzati ad aggiungere al prezzo del loro greggio un ulteriore aumento di due dollari, se le condizioni del mercato lo richiedono, arrivando cosi a 20 dollari il barile. Tenendo conto di altri oneri e della qualità del greggio, è concesso applicare un ulteriore aumento. Il prezzo massimo non potrà superare i 23 dollari e mezzo al barile. II nuovo listino andrà in vigore domenica prossima 1° luglio. L’accordo raggiunto sarà riesaminato fra tre mesi. La prossima conferenza normale dell’OPEC è però prevista per il 17 dicembre a Caracas. Un altro motivo d’inquietudine è espresso dai Paesi dell’OPEC nel loro comunicato. Riguarda le oscillazioni del dollaro, la cui perdita di valore «erode il prezzo reale del petrolio». La conferenza ha deciso di convocare una riunione straordinaria se tali movimenti dovessero tradursi in un nuovo ridimensionamento del valore effettivo dei redditi dell’OPEC. La riunione avrebbe principalmente lo scopo di decidere «l’elaborazione di un paniere monetario» sostitutivo del dollaro come mezzo di pagamento del petrolio
Venerdì 22 giugno 1979
Le proposte di Nicolazzi per risparmiare petrolio
Ecco le proposte di Nicolazzi per il risparmio di petrolio a breve termine: 1) Impiego di maggiori quantità di carbone nelle centrali elettriche e nei cementifici (risparmio di 1.300.000 tonnellate annue di olio combustibile); 2) Riduzione dei limiti di velocità sulle autostrade a 120 chilometri orari per le auto e a 80 chilometri per gli autotreni (risparmio benzina, 200 mila tonnellate annue; gasolio, 110.000 tonnellate annue); 3) Limitazione del gasolio nei serbatoi degli autocarri (200 litri) e delle auto diesel (30 litri) alla frontiera. Nicolazzi ha firmato mercoledì sera il decreto (risparmio 60.000 tonnellate annue di gasolio); 4) Rigorosa limitazione di parcheggio nei centri storici; 5) Anticipo dell’obbligo di applicazione dei termoregolatori per riscaldamento nelle vecchie abitazioni, rigoroso controllo del limite di 20 gradi e fissazione di una temperatura minima per l’aria condizionate; 6) Estensione del periodo dell’ora legale che durerà dal primo aprile al 31 ottobre (risparmio 90 mila tonnellate di olio combustibile); 7) Sospensione delle agevolazioni sui consumi ai dipendenti delle aziende elettriche (risparmio 80 mila tonnellate di olio combustibile). L’attuale beneficio sarà tradotto in termini salariali; 8) Allungamento delle vacanze natalizie nelle scuole; 9) Introduzione della settimana corta nel settore pubblico e nelle scuole (diminuzione del 15-30 per cento dei consumi annuali); 10) Abolizione, dal 1980, del servizio buoni benzina per stranie
Giovedì 28 giugno 1979
L’Opec ha deciso: il prezzo del petrolio può arrivare a 23 dollari al barile
GINEVRA — A mezzogiorno, dopo due giorni e mezzo di burrascose riunioni, i ministri del petrolio del tredici Paesi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countrles), riuniti nella 55a conferenza dell’organizzazione, hanno annunciato di aver raggiunto un’intesa sull’aumento del prezzo del greggio. Ecco di che si tratta: il prezzo di un barile (litri 158,98) di petrolio greggio del tipo «arabico leggero» è stato portato da 14,55 a 18 dollari (un dollaro vale attualmente 832,50 lire) . I Paesi dell’OPEC sono autorizzati ad aggiungere al prezzo del loro greggio un ulteriore aumento di due dollari, se le condizioni del mercato lo richiedono, arrivando cosi a 20 dollari il barile. Tenendo conto di altri oneri e della qualità del greggio, è concesso applicare un ulteriore aumento. Il prezzo massimo non potrà superare i 23 dollari e mezzo al barile. II nuovo listino andrà in vigore domenica prossima 1° luglio. L’accordo raggiunto sarà riesaminato fra tre mesi. La prossima conferenza normale dell’OPEC è prevista per il 17 dicembre a Caracas. Un altro motivo d’inquietudine è espresso dai Paesi dell’OPEC nel loro comunicato. Riguarda le oscillazioni del dollaro, la cui perdita di valore «erode il prezzo reale del petrolio». La conferenza ha deciso di convocare una riunione straordinaria se tali movimenti dovessero tradursi in un nuovo ridimensionamento del valore effettivo dei redditi dell’OPEC. La riunione avrebbe principalmente lo scopo di decidere «l’elaborazione di un paniere monetario» sostitutivo del dollaro come mezzo di pagamento del petrolio. (dal Corriere della Sera del 29 giugno)
Domenica 1 luglio 1979
L’ansia collettiva americana, e lo stato di indifferenza italiano
«I giornali americani descrivono da mesi lo stato di ansia collettiva che s’è propagato prima in California, poi a Nuova York e sull’intera costa atlantica, dinanzi alle erratiche apparizioni della carestia petrolifera: “Molti — segnala Robert Sincr sulla Herald Tribune — non dormono più, angosciati dal pensiero di prender posto in fila davanti a un distributore. Molti non si muovono più, timorosi di non poter tornare a casa. Altri fumano di più, bevono di più, mangiano di più ... ”. Le cronache segnalano anche fenomeni di tensione violenta, come i casi estremi di “pazzia da impedimento”: i duelli a mano annata fra le pompe di Brooklyn, la sommossa di Levittown in Pennsylvania. [...] La prospettiva è specialmente grave per un’economia di trasformazione come quella dell’Italia, la quale non produce come gli Stati Uniti oltre metà del greggio che consuma, né ha costruito o costruisce centrali nucleari in proporzione, ma nello stesso tempo non compensa l’importazione di petrolio (tremila miliardi in più nel 1979 dopo le decisioni dell’OPEC a Ginevra) con esportazioni paragonabili a quelle dell’industria di trasformazione giapponese o tedesca. Qui dunque si presenta il caso d’una società povera di risorse naturali e tecnologiche, la quale accresce tuttora il consumo di combustibili al ritmo del 10 per cento l’anno e compete nello sperpero con le società ricche, mentre i governanti somigliano sempre più a quei capi tribù del regno di Melchiorre, studiati dall’antropologo Lienhardt, che invitati a operare e decidere “accampavano scuse e parlavano d’altro, come se fosse stato detto qualcosa d’indecente”» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
Martedì 13 novembre 1979
Carter ordina di non comprare più petrolio iraniano
WASHINGHTON - Con una impennata d’orgoglio, l’America comincia a ribellarsi concretamente al ricatto di Teheran, dove dal 4 novembre un centinaio di persone, tra cui una sessantina di cittadini statunitensi, sono prigioniere di fanatici seguaci dell’ayatollah Khomeini. Con un breve, risoluto annuncio, Carter ha ordinato ieri sera il blocco degli acquisti di petrolio iraniano da parte degli Stati Uniti. Il capo della Casa Bianca ha inoltre reso noto che sono in corso consultazioni con gli alleati degli Stati Uniti su altre misure eventuali. Queste misure, ha detto Carter, riguardano «altre azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il consumo e le importazioni di petrolio». La situazione è grave — ha detto il presidente americano. — Noi continuiamo a fronteggiarla». Ha definito «inaccettabili» le richieste iraniane di consegnare lo Scià, che è degente in un ospedale di Nuova York, dove ha subito un’operazione per cancro
Giovedì 6 dicembre 1979
Per via dello scandalo Eni-Petromin, gli arabi ci tolgono il petrolio
ROMA — «In riferimento al nostro incorro dei giorni scorsi a Londra e alle affermazioni pubblicate sui giornali italiani e riprese da vari organi d’informazione in tutto il mondo ... le comunichiamo che in accordo alle istruzioni ricevute dalle autorità responsabili, le forniture di petrolio in base al contratto Petromin-Agip sono sospese con effetto da oggi e fino a nuova comunicazione». Con questo telex di poche righe in inglese, Indirizzato al presidente dell’ENI Giorgio Mazzanti, la Petromin, ente petrolifero di Stato dell’Arabia Saudita, è intervenuta ieri ufficialmente nella vicenda delle tangenti ENI annunciando una decisione che rischia di avere pesanti conseguenze per il nostro paese. Saltano cosi, a meno di un ripensamento del governo di Riad (presso il quale il presidente del consiglio Cossiga si sta muovendo a livello diplomatico), dieci milioni di tonnellate di greggio che sarebbero dovute arrivare in Italia nel giro di due anni: 5 milioni l’anno prossimo e 5 milioni nel 1981. Dopo la decisione dell’Arabia Saudita il nostro «buco» per il 1980 passa automaticamente a 28 milioni di tonnellate, quasi un terzo del fabbisogno.
Venerdì 21 dicembre 1979
L’Opec rinuncia a fissare il prezzo del petrolio. «Deciderà il mercato»
CARACAS — L’anarchia più completa dominerà d’ora in avanti il mercato petrolifero mondiale. Per la prima volta nella sua storia più recente l’OPEC ha infatti deciso di lasciare ad ogni Paese produttore assoluta libertà individuale nel decidere sia i prezzi sia i livelli di produzione. Non sono stati fissati né limiti minimi oltre i quali le quotazioni del petrolio dovranno muoversi. «Sarà semplicemente l’andamento del mercato, — ha detto il ministro venezuelano Calderón Berti al termine della conferenza di Caracas —, a stabilire il movimento dei prezzi». Al termine della conferenza il ministro venezuelano ha detto che il suo Paese attenderà gli sviluppi della situazione e le decisioni degli altri produttori prima di fissare il nuovo prezzo che dovrà entrare in vigore il 1° gennaio. Su questa posizione si sono schierati quasi tutti i Paesi considerati «moderati», ma soltanto l’Arabia Saudita ha ribadito che manterrà inalterato il prezzo di 24 dollari a barile che fu deciso giovedì scorso con un rincaro del 30 per cento. paolo glisenti
Mercoledì 2 gennaio 1980
Balza il prezzo dell’oro, corsa all’acquisto delle materie prime
Il vulcano in attività che covava sotto le ceneri del 1979 è esploso proprio tra San Silvestro e le prime ore di oggi: il prezzo dell’oro è letteralmente «schizzato» verso l’alto, con un balzo del 12 per cento, passando dai 509 dollari di venerdì 28 dicembre ai 569 dollari per oncia alla riapertura dei mercati dopo i due giorni di festa, il che è equivalso in Italia ad un prezzo di 14.600 lire al grammo. L’argento non è stato da meno: 12 mesi fa veniva venduto a 5 dollari per oncia (circa 140 mila lire al chilo) e oggi è balzato ieri 39 dollari (1 milione e 30 mila lire al chilo). Che cosa è dunque accaduto di cosi drammatico nelle 48 ore a cavallo tra l’anno vecchio e quello nuovo da far saltare i sismografi della finanza internazionale? Sostanzialmente sono tre 1 fatti nuovi: uno politico-militare, uno economico e uno finanziario. 1 - La situazione sullo scacchiere intemazionale è peggiorata precipitosamente proprio nella regione — quella che va dalle frontiere iraniane alla penisola araba — considerata più critica per lo sviluppo dell’economia internazionale: è qui che si trova il 65 per cento del petrolio disponibile nel mondo non comunista. 2 - Il prezzo medio del barile di petrolio prodotto dall’OPEC è salito di oltre il 25 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 1979 in virtù dei forti rincari che Nigeria, Algeria, Libia, Kuwait, Irak, Iran e Venezuela hanno applicato con decorrenza 1 gennaio 1980. I greggi più pregiati saranno venduti a 35 dollari per barile, il che equivale ad un prezzo rincarato del 145 per cento rispetto alla fine del 1978. Sono aumenti suscettibili di ulteriori variazioni senza preavviso 3 - L’Iran ha trasferito segretamente dalle banche europee verso banche di altri Paesi (in particolare, sembra, verso Libia e Algeria, cioè le roccaforti musulmane più oltranziste) buona parte dei fondi — ammontanti a circa 13 miliardi di dollari — detenuti all’estero. Teheran ha voluto cosi mettersi al riparo da eventuali sanzioni economiche che gli alleati occidentali potrebbero varare nei prossimi giorni (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera)