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Sale sul trono dell’Iran lo scià Reza Shah Pahlavi
Reza Pahlavi, primo ministro dal 1923, avendo deposto Ahmad Qajar, ultimo scià della dinastia Qajar, che ha lasciato il paese per l’Europa, è eletto dal Majles dell’Iran, riunito come assemblea costituente, nuovo Scià di Persia col nome di Reza Shah.
Giovedì 16 marzo 1939
Matrimonio tra la principessa sunnita Fawzia, egiziana, e il principe sciita Reza Pahlavi, sciita
La Principessa dell’Egitto Fawzia sposa al Cairo il giovane Principe Ereditario d’Iran, Mohammad Reza Pahlavi. Dopo la luna di miele, la cerimonia nuziale sarà ripetuta a Teheran.
Lunedì 25 agosto 1941
Invasione sovietica e inglese dell’Iran
• Gli ambasciatori inglesi e sovietici a Teheran presentano un ultimatum al governo iraniano, ingiungendogli di accettare la “protezione” degli Alleati. Quasi contemporaneamente truppe sovietiche e inglesi irrompono nel paese: i sovietici, da nord, puntano direttamente sulla capitale, mentre gli inglesi, provenendo dal Golfo Persico e dall’Iraq, occupano il centro petrolifero di Abadan. Lo scià Reza Pahlevi denuncia l’aggressione. Il gesto degli Alleati ha, tra le altre conseguenze, quella di rafforzare la neutralità della Turchia. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Mercoledì 27 agosto 1941
Formazione di un nuovo governo in Iran
• In Iran, viene formato un nuovo governo che chiede l’armistizio agli Alleati. L’atto, in base al quale gli anglo-sovietici presidieranno i punti strategici del paese a eccezione della capitale, verrà sottoscritto l’indomani. Con questa occupazione gli Alleati hanno inteso premunirsi contro una possibile manovra a tenaglia da parte delle forze dell’Asse attraverso l’Egitto e la Siria. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Martedì 16 settembre 1941
Gli Alleati non rispettano gli accordi e occupano Teheran
• Iran. Contravvenendo agli accordi armistiziali, gli Alleati occupano la capitale Teheran. Per protesta, lo scià abdica a favore del figlio Mohammed Reza Khan. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Giovedì 29 gennaio 1942
Trattato di alleanza fra Gran Bretagna, URSS e Iran
• Iran. Gran Bretagna e URSS firmano con l’Iran un trattato di alleanza in base al quale l’Iran si impegna a rimanere neutrale; le truppe inglesi e sovietiche saranno ritirate dal paese sei mesi dopo la fine del conflitto con le potenze dell’Asse. Il “corridoio persiano” diventerà una delle principali vie di rifornimento degli Alleati occidentali all’URSS. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Martedì 10 marzo 1942
Estensione della legge “Affitti e prestiti” all’Iran
• Il governo USA dichiara che i benefici della legge “Affitti e prestiti” possono essere estesi all’Iran. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Lunedì 21 settembre 1942
Diretto controllo USA degli aiuti diretti all’URSS via Iran
• Gli Stati Uniti si assumono la responsabilità diretta del controllo degli aiuti inviati all’URSS attraverso l’Iran. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Giovedì 1 aprile 1943
L’aviazione USA assume il controllo dell’officina di Abadan
• Iran. L’aviazione americana assume la responsabilità, finora affidata a un’impresa privata, di una grossa officina, situata ad Abadan, per il montaggio degli aerei che gli USA forniscono all’Unione Sovietica. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Giovedì 9 settembre 1943
Dichiarazione di guerra dell’Iran ai paesi del Tripartito
• L’Iran dichiara la guerra alle potenze del Tripartito. Aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Germania e l’Italia il 16 settembre 1941. [Salmaggi e Pallavisini] (Salmaggi e Pallavisini)
Giovedì 10 febbraio 1944
Gli iraniani vogliono togliere la Mecca e Medina ai sauditi
SI apprende dal Cairo che la controversia diplomatica irano-saudiana sta prendendo una svolta inattesa. Il ministro dell’Iran nella capitale egiziana ha presentato al locale rappresentante dell’Arabia saudiana una nota con la quale il suo Governo chiede che le città sante della Mecca e di Medina siano amministrate da una commissione internazionale islamica. Secondo la proposta dal Governo iranico, in quella commissione dovrebbero figurare, oltre ai rappresentanti di tutti i paesi islamici, anche rappresentanti delle Repubbliche sovietiche le cui popolazioni siano prevalentemente islamiche. La nota iranica è stata notificata a tutti i Paesi maomettani interessati. Il ministro dell’U.R.S.S. nella capitale egiziana, ha dichiarato davanti ai rappresentanti della stampa estera che, in seguito alla nuova costituzione sovietica, tutte le Repubbliche sovietiche di religione maomettana nomineranno rappresentanti diplomatici presso tutti i Paesi islamici. Il Presidente dei ministri egiziano Nahas Pascià è stato ricevuto da re Faruk il quale si è interessato circa l’andamento della vertenza irano-saudiana
Martedì 25 aprile 1944
Sanguinosi conflitti nelle città dell’ Iran fra la popolazione e i sovietici
ANKARA - Nell’ Iran si sono verificati conflitti fra truppe sovietiche d’occupazione e la popolazione. In una strada di Tabriz la folla inferocita ha aggredito un gruppo di ufficiali sovietici ferendone alcuni gravemete. La polizia ha operato centinaia di arresti II coprifuoco e stato ordinato in tutto il paese. (Corriere della Sera)
Lunedì 24 luglio 1944
Scontri a Teheran tra russi e iraniani
Nell’ Iran si sono verificati, secondo informazioni da Teheran, scontri tra marinai sovietici e cittadini iraniani. I marinai russi hanno aperto il fuoco contro un folto gruppo di persone radunate per una manifestazione. Numerosi sono i morti e i feriti (Corriere della Sera)
Giovedì 27 luglio 1944
Morte dell’ex scià Reza Pahlevi
Si ha da Johannesburg (Sud Africa) che l’ex-Sclà, dell’Iran Reza Pahlavi, deposto e internato dagli Anglo-Americani, è morto ieri dopo breve malattia. Era salito al trono il 17 dicembre 1925 e aveva portato il suo Paese a un grado di eccezionale floridezza che veniva interrotta solo nel 1941 in seguito all’irruzione degli «alleati» nell’ Iran (dal Corriere della Sera)
Mercoledì 25 ottobre 1944
Eden in Egitto e poi in Iran a caccia di petrolio
Lasciata Mosca, il ministro britannico degli Esteri Eden ha fatto una sosta al Cairo dove ha avuto colloqui con re Faruk, con il nuovo Presidente del Consiglio egiziano e ministro degli Esteri, nonché con il residente britannico del Medio Oriente, Lord Moyne. L’agenzia britannica di informazioni aggiunge che il Ministro degli Esteri inglese ha discusso con le personalità egiziane questioni inerenti alle relazioni anglo-egiziane. Ahmed Maher Pascià avrebbe di nuovo assicurato che l’Egitto si assumerà la parte che spetta a questo Paese nella lotta contro il Giappone. Si apprende che Eden si recherà prossimamente a Teheran, per convincere il Governo dell’ Iran a concedere alla Russia un più ampio sfruttamento delle sorgenti petrolifere, finora sotto il controllo britannico.
Lunedì 4 dicembre 1944
Il Parlamento iraniano vieta ogni concessione petrolifera
LISBONA - Un dispaccio da Teheran, diffuso dall’agenzia A.F.I., informa che l’Assemblea nazionale iraniana ha approvato una legge che vieta al Governo iraniano di concludere qualsiasi accordo riguardante concessioni petrolifere (Corriere della Sera)
1945
Fawzia divorzia dallo scià di Persia
Dopo la nascita dalla coppia di una figlia femmina (la principessa Shahnaz Pahlavi) la regina Fawzia (il titolo di imperatrice non è ancora in uso allora in Iran) ottiene la separazione legale dal marito da parte del governo egiziano nel 1945. Il divorzio non è però concesso in Iran.
Martedì 17 luglio 1945
Gli americani se ne vanno dall’Iran
WASHINGTON - Le truppe americane che controllavano il passaggio di milioni di tonnellate di rifornimenti bellici diretti all’Unione Sovietica attraverso l’ Iran, ricco di petrolio, abbandoneranno questo paese entro novembre, lasciandolo al controllo russo e britannico
Venerdì 20 luglio 1945
Siria e Iran chiedono il ritiro delle truppe inglesi e russe
Secondo circoli londinesi bene informati le truppe britanniche e sovietiche non evacueranno l’ Iran. Nessuna decisione è stata presa circa il ritiro delle truppe richiesto dal Governo iraniano, né si ritiene che la questione venga discussa a Potsdam, dato che gli Stati Uniti sono estranei al fatto avendo già ritirato le loro truppe. Notizie da Damasco informano che il Primo ministro siriano, Fayez el Khoury ha dichiarato oggi a un corrispondente che fino a quando truppe straniere rimarranno in Siria e nel Libano per scopi che non siano quelli del proseguimento della guerra in Estremo Oriente esse costituiranno una minaccia per i due Paesi. Il ministro ha aggiunto di sperare che le truppe straniere, ad eccezione di quelle necessarie per la guerra nel Pacifico, saranno ritirate entro la fine dell’estate.
Martedì 7 agosto 1945
L’Unione degli stati arabi chiede lo sgombero delle truppe straniere. Pressioni degli ebrei sugli Stati Uniti per una migrazione illimitata in Palestina
ANKARA - Nelle discussioni fra i «tre grandi» per l’assetto mondiale, il Vicino Oriente non sembra aver avuto una gran parte. Eppure diversi problemi si agitano in questo settore. L’unione degli Stati arabi, costituitasi in marzo, comprende Egitto, Iran, Transgiordania, Arabia Saudita, Siria, Libano e Yemen, Paesi che nell’insieme raggruppano 80 milioni di aspiranti alla completa indipendenza. I recenti incidenti in Siria, contro la dominazione francese, possono costituire ia scintilla per un più vasto movimento xenofobo. Sintomatica a questo proposito la notizia qui giunta dal Cairo questa sera, secondo la quale il Primo ministro egiziano Nekrashy pascià ha chiesto al Senato l’autorizzazione di negoziare col Governo britannico la revisione del trattato di alleanza del 1936. La questione della Palestina non è meno delicata e urgente delle altre, giacché gli ebrei fanno forti pressioni specialmente in America perché sia riaperta illimitatamente l’immigrazione ebraica in quel Paese.
Martedì 20 novembre 1945
C’è l’Urss dietro la rivolta separatista dell’Azerbaijan
Un comunicato ufficiale diramato oggi dal governo di Teheran annunzia che aspri combattimenti fra guarnigioni regolari iraniche e reparti di insorti sono in corso nell’Azerbaijan, presso la città di Mianeh. Il Governo di Teheran ha inviato due battaglioni di rinforzo alle guarnigioni iraniche dell’Azerbaijan per arrestare le unità ribelli che si dirigono verso la capitale. Il comunicato governativo informa che i due battaglioni, giunti a Kazvin, sono stati arrestati dalle forze sovietiche le quali hanno ordinato a quelle persiane di ritornare a Teheran. Nei circoli diplomatici persiani di Londra la situazione viene considerata particolarmente critica. La responsabilità del movimento autonomista dell’Azerbaijan viene fatta risalire, nei medesimi ambienti, alle truppe sovietiche di stanza nella regione. A proposito di queste notizie il giornale russo Izvestia accusa gli organi di informazione britannici di voler a tutti i costi inventare di sana pianta disordini nelle zone poste sotto il controllo sovietico allo scopo di stornare l’attenzione mondiale dalla rivoluzione, effettivamente in atto, nelle Indie Olandesi. Secondo le Izvestia la situazione nel nord della Persia è soltanto tesa a causa degli incidenti provocati dagli emissari del movimento reazionario Gebdarme, sovvenzionato dai proprietari terrieri della regione. Le Izvestia respingono poi con viva indignazione l’accusa fatta all’Armata rossa di appoggiare con armi e mezzi corazzati l’insurrezione separatista. Il ministro dell’Iran a Washington, Hassain Ala, ha però dichiarato oggi che il suo Governo ha rimesso a quello sovietico una nota, la quale lamenta che l’interferenza russa nei disordini verificatisi nell’ Iran settentrionale, costituisce una minaccia alla integrità persiana.
Mercoledì 21 novembre 1945
I problemi della pace
«[...] Noi evitiamo sempre, di proposito, ogni allarmismo, ma non possiamo a meno di constatare ora che dopo il fallimento della conferenza di Londra le cose hanno preso una brutta piega. La guerra continua in Cina, nelle Indie Orientali, nell’Iran e gli interessi degli alleati sono ovunque in urto. Forse anche per questo le attività che dovevano dare al mondo la pace soffrono di una battuta di arresto [...]» (dall’editoriale di M.B. sul Corriere della Sera)
Lunedì 26 novembre 1945
Gli Stati Uniti propongono a russi e inglesi di andarsene dall’Iran
WASHINGTON - Gli Stati Uniti, in una nota rimessa oggi all’Unione Sovietica, hanno suggerito a questa di ritirare dall’ Iran le sue truppe, per permettere al Governo iranico di sedare la rivolta scoppiata nelle legioni settentrionali. La nota propone che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in maniera analoga, ritirino le proprie truppe. Il Governo americano chic de inoltre che al Governo del l’ Iran sia data piena libertà, senza interferenze di autorità militari o civili russe, inglesi od americane, di spostare attraverso il Paese le proprie forze armate, per la conservazione della propria autorità. Nella nota si prospetta la possibilità che i comandanti delle truppe sovietiche nell’ Iran intralcino, senza autorizzazione da parte del loro Governo, i movimenti delle forze iraniche e si richiede che in tal caso il Governo di Mosca dirami istruzioni conformi alle dichiarazioni di Teheran. La stessa nota è stata rivolta anche al Governo di Londra, in quanto reparti sparsi di truppe inglesi si trovano ancora nell’ Iran. Il documento infine constata che l’Iran ha informato gli Stati Uniti della situazione verificatasi in seguito al divieto opposto dalle truppe sovietiche all’ingresso di quelle iraniche nella zona settentrionale per soffocare l’insurrezione. Si apprende anche da Londra che l’ambasciatore britannico a Mosca, Clark Kerr, ha richiamato l’attenzione del commissario sovietico agli Esteri, Molotov, sui recenti disordini in Persia, in relazione al trattato anglo-sovietico che riguarda l’Iran. È stato comunicato a Londra che il passo di Kerr ha avuto luogo dietro istruzioni del Governo britannico.
Mercoledì 28 novembre 1945
Rivolta in Iran contro gli stranieri
I disordini scoppiati nelle regioni nord-occidentali dell’Iran sono sfociati ora in una vera rivolta contro il Governo. Reparti in armi sono giunti a 150 chilometri dalla capitale. Nell’Azerbaijan la cosiddetta assemblea di tutti i popoli ha recentemente diramato una dichiarazione chiedendo l’autonomia della regione che dovrebbe però continuare a far parte dell’ Iran, minacciando di ricorrere alle armi se non fosse stata accolta tale richiesta. Mentre secondo le Izvestia i Russi si mantengono neutrali in una lotta che si considera di carattere puramente interno, viene annunciato che il Primo ministro dell’Iran si è incontrato oggi con l’incaricato d’affari sovietico a Teheran. Si apprende infine che il segretario di Stato J. Byrnes ha dichiarato oggi alla conferenza della stampa che né Londra né Mosca hanno ancora risposto alla proposta degli Stati Uniti circa l’allontanamento delle truppe alleate.
Giovedì 29 novembre 1945
I russi negano agli iraniani il passaggio delle truppe
In risposta alla richiesta dell’ Iran per l’invio di truppe contro gli insorti avanzanti verso Teheran, il Governo sovietico ha mandato a quello persiano una nota che sarebbe redatta in termini molto amichevoli respingendo però tutte le richieste. Si ritiene che tale nota verrà presentata domani al Parlamento. Da notizie ufficiali si apprende che gli insorti hanno oltrepassato Kazvin dirigendosi non già verso Teheran ma a nord-est della capitale.
Sabato 15 dicembre 1945
Gli inglesi non lasceranno l’Iran fino a che non faranno altrettanto i russi
II Ministero degli Esteri degli Stati Uniti ha reso noto, ieri, il testo della nota ricevuta dal Foreign Office in cui il Governo britannico dichiara di condividere il punto di vista degli Stati Uniti, secondo cui la Persia dovrebbe poter usare le sue forze dovunque e in qualunque maniera sia necessario per mantenere l’autorità e la sicurezza dello Stato, ma contrariamente alle proposte americane conferma che le truppe britanniche non possono essere ritirate senza un’analoga decisione sovietica. La nota ricorda che il ministro degli Esteri britannico Bevin propose, alle riunioni dei cinque ministri degli Esteri a Londra, che la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica decidessero, di comune accordo, di ritirare per la metà di dicembre le rispettive forze dall’ Iran. La Gran Bretagna si è uniformata agli accordi suggeriti nella sua proposta al Governo sovietico e fatta eccezione per piccoli reparti amministrativi, le truppe britanniche che tuttora sono in Persia sono «state ritirate verso sud con la maggior celerità possibile e sono state concentrate nell’estrema parte sudoccidentale del Paese. Dopo aver dichiarato che il punto di vista britannico era che le truppe alleate dovessero stazionare in Persia soltanto per necessità belliche. la nota continua: «Perciò, dopo aver ricevuto la proposta degli Stati Uniti, secondo cui le truppe alleate avrebbero dovuto essere ritirate dalla Persia il 1° gennaio 1946, la Gran Bretagna, considerandola una questione urgente, ha subito preso in esame le possibilità pratiche del ritiro delle sue forze per quella data; avendo però il Governo sovietico reso noto agli Stati Uniti di non essere disposto ad accedere alla proposta di Washington, le autorità militari britanniche non hanno proseguito lo studio dei particolari per il ritiro. Per il primo gennaio 1946 è detto testualmente che «l’adempimento delle assicurazioni contenute nella dichiarazione di Teheran del dicembre 1943 esige che il Governo dell’Iran abbia piena libertà di spostare le sue forze armate in qualsiasi modo esso ritenga necessarlo per preservare la propria autorità e mantenere la sicurezza».
Venerdì 15 febbraio 1946
Si chiude a Londra la prima Assemblea generale dell’Onu.
Si è conclusa la prima Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita fin dal 10 gennaio. Viscinski, «il giurista», si è opposto a che la questione iranica fosse sottoposta all’O. N. U. dichiarando la incompetenza dell’ assemblea, perché le parti (Russia ed Iran) non avevano ancora concluso le trattative dirette (negoziati, inchieste, mediazioni, conciliazioni, arbitrati e chi più ne ha più metta) previste dall’art. 33 di quel documento tortuoso che è la Carta di San Francisco. Ma il problema era di vedere se la situazione dell’Azerbaijian, se l’accusa mossa dal rappresentante iranico alla Russia, di aver violato i trattati tra i due Paesi e di aver sobillato il movimento separatista dell’Azerbaijan, fosse da considerare una controversia suscettibile di accomodamento per trattative dirette o. piuttosto, porne una situazione pericolosa e come tale da sottoporsi all’O. N. U. secondo quanto previsto dall’art. 33. A parte ciò, sta di fatto che la competenza dell’O. N. U. è indiscutibile, poichè in ogni caso provvede l’art. 34 della Carta col quale è riconosciuta facoltà al Consiglio di sicurezza di « fare indagini su qualsiasi controversia o qualsiasi situazione che possa condurre ad attriti internazionali. Dopo un vivace dibattito tra Bevin e Viscinski, la questione iranica è stata tolta dall’ordine del giorno, considerato il fatto che erano state iniziate trattative dirette fra Mosca e Teheran. Il tutto agevolato dal mutamento ^di Governo a Teheran: il nuovo Primo ministro è persona gradita a Mosca.
Venerdì 1 marzo 1946
Parziale ritiro dei russi dall’Iran
Il Governo sovietico — secondo quanto annunciava oggi radio-Mosca — ha informato il Governo persiano che, in esecuzione degli accordi prestabiliti, le truppe d’occupazione dell’Armata rossa inizieranno domani le operazioni di sgombero dell’Iran. Il ritiro delle truppe — ha proseguito l’emittente sovietica — comincerà dalle regioni orientali dell’Iran «dove la situazione si può considerare pressoché normale». «Per quanto riguarda le truppe sovietiche attualmente dislocate nelle altre regioni del territorio persiano le operazioni di sgombero — ha concluso radio-Mosca — saranno differite fino a che la situazione interna del Paese non sarà chiarita ». Le truppe russe resteranno cioè nelle regioni nord-occidentali che comprendono la frontiera dell’Azerbaijan. La radio di Mosca ha annunciato ancora che il Primo ministro iraniano, Sultaneh, era stato informato dei progetti russi il 25 febbraio. Alti funzionari della diplomazia, a Washington, ritengono che il Governo degli Stati Uniti Uniti protesterà contro la Russia per il suo progetto di mantenere reparti delle forze armate sovietiche nella cosiddetta zona «disturbata» dell’ Iran. (dal Corriere della Sera)
Sabato 2 marzo 1946
Sgombero inglese dall’Iran
In Iran gli esigui reparti militari britannici che ancora si trovano in quel territorio lasceranno il Paese, secondo quanto apprende la United Press da fonti ufficiali del Foreign Office, entro oggi. I militari britannici, che occupano attualmente alcune località dell’ Iran meridionale, passeranno nell’Irak dove resteranno in attesa di smobilitazione. Il Governo di Londra non ha ricevuto da Mosca alcuna dichiarazione ufficiale in merito all’intenzione del Cremlino di non rispettare l’accordo anglorusso-americano che fissava per il 2 marzo lo sgombero di tutte le truppe alleate d’occupazione dal’ territorio persiano.
Martedì 26 marzo 1946
I russi cominciano a ritirarsi dall’Iran
Un comunicato diramato a Mosca annunzia che le truppe russe hanno iniziato ieri lo sgombero dell’Iran. Il ritiro delle truppe dall’intero Paese durerà da 5 a 6 settimane, «purché non intervengano nel frattempo imprevisti di sorta». Un portavoce dell’Ambasciata persiana a Washington ha dichiarato ieri sera che nonostante l’annuncio di radio-Mosca l’ambasciatore persiano Hussein Ala darà corso alla protesta presentata al Consiglio di sicurezza. Nessuna nuova istruzione è giunta da Teheran all’ambasciatore. Per il redattore diplomatico del «Times» la notizia del ritiro delle truppe sovietiche dalla Persia è «una gradita sorpresa e il primo raggio di speranza».
Venerdì 5 aprile 1946
Accordo raggiunto tra Urss e Iran
L’Associated Press riceve da Teheran che il governo iranico ha annunziato oggi che il Primo ministro Quavam es Sultaneh e l’ambasciatore sovietico hanno firmato un accordo in forza del quale le truppe russe sgombreranno l’ Iran incondizionatamente entro sei settimane a partire dal 21 marzo. I, ’accordo, firmato alle ore 4 del mattino, tempo di Teheran, prevede inoltre che entro sette mesi verrà presentata al Parlamento dell’ Iran una proposta per la costituzione di una compagnia petrolifera russo-persiana. Quanto al problema dell’Azerbaijan, la Russia dichiara di riconoscerne il carattere puramente interno. Negli ambienti competenti di Teheran si prevede che, immediatiimente dopo la conclusionie di questo accordo per i petroli settentrionali, gli Stati Uniti chiederanno la formazione di analoghe società nell’Iran meridionale.
Martedì 30 aprile 1946
Fuga in Egitto di Fawzia
La regina Fawzia di Persia, moglie del re Reza Pahlavi a cui ha dato una figlia, stanca dei tradimenti del marito, è tornata al Cairo da suo fratello Faruk. Leggi qui l’articolo di Lesley Raitt
Lunedì 20 maggio 1946
Guerra civile in Iran
Radio-Tabriz ha dato un drammatico annuncio: «Alle 5 antimeridiane di domenica le forze armate persiane hanno iniziato un poderoso attacco dalle località di Shahindej e Baghchem Misheh. Non si sa chi abbia dato istruzioni alle forze persiane nel Kurdistan. Vogliamo che i Persiani sappiano che noi desideriamo conservare la nostra libertà e difenderci contro di loro. Tutti dovrebbero sapere che il Governo di Teheran ha tentato di ingannarci; ma noi terremo i Persiani lontano dall’Azerbaijan. Già tre giorni fa i Persiani avevano attaccato i Kurdi nella regione di Saquez, ma ora, dopo aver lasciato trentasette prigionieri, hanno cominciato a ritirarsi». La stessa radio informa che Tabriz ha inviato rinforzi verso la frontiera, ha proclamato la legge marziale, e che Sadegh Padegan, eminente figura del movimento autonomista e capo dell’esercito dell’Azerbaigian, ha ricevuto la nomina a governatore militare della regione in cui hanno avuto inizio i combattimenti.
Martedì 16 luglio 1946
L’accordo tra Urss e Afghanistan
A proposito dell’accordo tra Urss e Afghanistan dello scorso giugno, leggi qui un articolo del Corriere della Sera
Martedì 10 dicembre 1946
L’esercito iraniano muove contro l’Azerbaijan
Nuova York - Il capo dello Stato maggiore dell’Esercito persiano ha comunicato stamane al corrispondente della United Press da Teheran, che le forze armate governative hanno iniziato ieri sera, alle 21, l’offensiva contro l’Azerbaijan, da Zenjan in direzione di Mianeh
Mercoledì 11 dicembre 1946
I persiani prendono Mianek. Proteste russe
LONDRA - Secondo un comunicato di stamane dello Stato maggiore, avanguardie iraniche sono penetrate ieri sera a Mianek, 180 chilometri a sud di Tabriz. Altre unità hanno superato le alture di Ghaflankon discendendo stamane verso Mianek. Secondo un comunicato ufficiale le truppe del Governo di Teheran si recano nell’Azerbaijan — come fu già annunciato — al solo scopo di sorvegliare lo svolgimento delle elezioni. Circa una settimana fa, il Capo del Governo autonomo dell’Azerbaijan, Jafaar Pishevari, aveva dal canto suo affermato che le popolazioni avrebbero difeso con le armi la la libertà del Paese. Ieri sera la radio di Tabriz ha diffuso un appello di Pishevari per la resistenza di tutti contro le forze governative. Il giornale del mattino Atesh pubblica che 1’ambasciatore sovietico a Teheran, Sadcikov, ha presentato ieri una violenta protesta al Governo centrale accusandolo di aver rotto i patti con l’inviare truppe nell’interno dell’Azerbaijan e per tale fatto di mettere in pericolo le frontiere russe. Il giornale aggiunge che il Primo ministro Ghavam Es Sultaneh si trova sotto la costante pressione dell’Unione Sovietica. Le notizie dell’ultima ora trasmesse dall’United Press sono in contrasto con quelle precedenti: il ministro della Guerra dell’Iran, infatti, avrebbe ricevuto un telegramma, a firma Piskevari, nel quale lo si informa che le truppe democratiche dell’Arzebaijan hanno ricevuto l’ordine di deporre le armi. Da Teheran si apprende che Tabriz si è arresa alle forze imperiali persiane.
Mercoledì 20 agosto 1947
Gli Stati Uniti, la Turchia e la penisola arabica
Che politica vogliono seguire in Medio Oriente gli americani? Leggi qui l’articolo di Alfio Russo
Venerdì 24 ottobre 1947
Il parlamento iraniano boccia l’accordo con l’Urss sul petrolio
Giunge notizia da Teheran che il Primo ministro persiano Sultaneh svolgendo al Parlamento l’attesa relazione sugli avvenimenti che portarono all’accordo petrolifero russo-persiano del 1946, ha detto tra l’altro: «Ricoprivo la carica di Primo ministro in quei tempi venturosi, quando Teheran era minacciata di accerchiamento. Per salvare il nostro popolo e il nostro Paese io firmai le lettere scambiate con l’ambasciatore sovietico. Qualsiasi patriota al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa». Il Parlamento ha quindi approvato la legge con la quale si dichiara nullo e inesistente l’accordo petrolifero russo-persiano. Negli ambienti bene informati di Londra si teme l’imminente ripresa di una nuova offensiva politica russa contro l’Iran in seguito al rifiuto del Parlamento persiano di approvare l’accordo petrolifero. Tale azione potrebbe essere combinata con movimenti di truppe di confine tendenti a far rinascere l’influenza comunista nella provincia settentrionale dell’Azerbaigian. Anche a Whitehall si nutrono molte preoccupazioni circa la reazione sovietica a questo «sbatacchiare la porta in faccia ai Russi».
Lunedì 26 luglio 1948
Il carattere del popolo persiano
La storiellina in tono da apologo la narrava ad un ricevimento privato un vecchio governatore di provincia a riposo, proprio nel bel mezzo di una discussione sull’inframettenza straniera nell’ Iran e particolarmente sulle ultime note di protesta irano-sovietichc. Le note di protesta nell’Iran sono all’ordine del giorno. A nord-est con la Russia per ben conosciute ragioni, a nord-ovest con la Turchia per antiche ruggini politico-religiose, ad ovest con l’Iraq per la questione dei santi luoghi sciiti, ad est con l’Afganislan per le deviate acque del fiume Hirmand; a sud con l’Inghilterra per le rivendicazioni sulle isole Bahrein, la Persia litiga un po’ da tutte le parti. Ma lo fa amabilmente e senza troppo impegno. E così anche il vecchio governatore — fumatore di oppio ma con moderazione, corrompibile ma con eleganza, donnaiolo ma con discernimento — colorava la cosa di una sua arguta filosofia. «Inframmettenza straniera? — diceva. — Benissimo. Immaginatevi la Persia come una noce. Una noce dura a rompere. L’unico modo di penetrarvi è praticare un forellino nel guscio. Voialtri stranieri siete come degli insetti dal becco appuntito. Lavorate e lavorate finche non avete bucato il guscio e siete entrati dentro. Una volta dentro trovate il frutto delizioso. E allora giù a mangiare, ad ingrassare, a gonfiarvi. Poi, a un certo momento, si capisce, ne volete venir fuori. Ma ecco che non e più possibile. Siete diventati troppo grassi per passare da quel forellino. E allora non resta altro che fare la fame, dimagrire, depositare il guadagnato e uscire per la stessa via dalla quale si è entrati...» (leggi qui tutto l’articolo di Clara Falcone)
Lunedì 2 agosto 1948
Il declino dell’impero britannico
«Oggi, dovunque la potenza inglese cede o minaccia di franare, tocca alla potenza americana accorrere a puntellarla o a sostituirsi ad essa. E se non lo fa, un’altra potenza si affretta a colmare il vuoto: e questa è una potenza ostile. Disse Lionel Gerber nel suo libro Peace by Power: “La potenza non scompare mai; e se tu non vuoi averla o esercitarla altri vorrà. Tu puoi subire gli effetti della potenza come un soggetto passivo, o puoi esercitarla come agente attivo. Ma non si sfugge. Non c’è immunità”. Cosi sta accadendo in Asia. Ivi la potenza inglese è in ritirata su tutto il fronte, e ad ogni passo indietro che essa ha fatto, gli Americani hanno applaudito con entusiasmo. E non capivano che, per ogni passo indietro che faceva la potenza inglese, la potenza sovietica ne avrebbe fatto uno avanti» (Augusto Guerriero sul Corriere della Sera).
Sabato 14 agosto 1948
Le furbizie di Qavvam Saltané
«II destino dell’Azerbaijan si chiama petrolio del nord. È un destino che si svolge molto meno in Azerbaijan che altrove sin dal primo trattato di amicizia asiatica tra Russia e Inghilterra firmato a Pietroburgo il 31 agosto 1907. Russia e Inghilterra si dividevano allora la Persia in due definite zone di influenza commerciale: il petrolio era sgorgato nel maggio di quell’anno dal pozzo numero uno dei pietrosi campi di Masjid I Suleiman, non lontano dalle rovine di un altare del fuoco. Era proprietà inglese, petrolio del sud, e gli inglesi intendevano salvaguardarlo da ogni ingerenza straniera. In compenso i Russi si prendevano la loro contropartita, non per sfruttare al momento la zona, ma per impedire che altri la sfruttassero: alle frontiere della Persia il petrolio fluiva ancora abbondante dai pozzi di Baku e chiamava gente d’oltre confine, poveracci pagati a prezzi di fame...»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Mercoledì 18 agosto 1948
Arriva a Roma lo Scià di Persia
I giornali di stamane salutano su grandi titoli il giovane e valoroso Scià di Persia che, come è già stato annunziato, giungerà a Roma alle 11. Egli farà il viaggio da Berna a Roma, insieme con il suo seguito, a bordo di aeroplani italiani partiti ieri da Roma per rilevarlo. Dopo che il Presidente Einaudi avrà porto il suo saluto all’illustre ospite, si formerà un corteo di automobili che accompagnerà al Quirinale il Presidente della Repubblica e l’augusto ospite.Leggi qui un ritratto di Reza PahlaviLeggi qui la cronaca dell’arrivo a Roma di Reza Pahlavi
Mercoledì 25 agosto 1948
Fuga e morte del capo azero Pisciavari
«TABRIZ, agosto – «Vede – diceva l’ostandar sorridendo dalla sua solenne poltrona di velluto tra un biancheggiare di stucchi e specchiere e il rosseggiante piano fiorito di un tappeto locale – questo lei lo può constatare da sè. In Azerbaijan regna la calma. La popolazione è tranquilla e fedele». I governatori di provincie, gli ostandar, sono delle persone molto gentili, di una gentilezza premurosa e astratta come ben si conviene a rappresentanti di famiglie facoltose con una buona percentuale di fumatori d’oppio. Di solito i governatori di provincia sono un po’ troppo ottimisti in materia, ma nel caso specifico della calma in Azerbaijan non si poteva dire che l’ostandàr avesse torto. Pisciavari, il capo della cosiddetta repubblica democratica al soldo dei Russi, con il crollo del suo Governo è fuggito nel Caucaso e il Governo sovietico ne ha annunciato quest’anno la morte a ben tre riprese in seguito ad un incidente automobilistico. Qazi Mohamed, il capo della «democratica» repubblica curda di Mohabad, è stato impiccato dai Persiani; solo Mullah Mustafà Barzani, l’altro capo curdo ribelle d’oltre frontiera, dà segni di vita con schermaglie e scaramucce...»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Venerdì 3 settembre 1948
L’Iran, il petrolio e le tre potenze che se lo vogliono prendere
«Grande quanto mezza Europa continentale – eccettuata la Russia – segnata di deserti salati, di montagne da favola pietrose e brulle, con una popolazione di quindici milioni di abitanti di cui il novanta per cento muore pressoché di fame, la Persia è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Secondo i geologi contiene la maggior riserva di petrolio esistente sulla terra. Il pozzo n. 22 dell’Anglo Iranian Oil Company nel campo petroliero di Haft Kehl è forse il pozzo più produttivo del mondo, raggiungendo un totale di produzione annua di circa diecimila tonnellate. Lo stesso campo dì Haft Kehl è il secondo giacimento petrolifero del mondo con una produzione complessiva di nove milioni di tonnellate annue ricavate da 24 pozzi, mentre il primo del mondo, l’East Texas Field. produce 17 milioni di tonnellate annue ma da ben ventiquattromila pozzi. Il petrolio sale dal grembo di quella terra silenzioso, caldo, sospinto dalla forte pressione del gas senza che occorra nemmeno pomparlo...»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Giovedì 30 settembre 1948
Un blocco del Medio Oriente all’Onu costituito da dodici Stati?
Dodici Stati formerebbero un «Blocco del Medio Oriente» Parigi 30 settembre, notte. Il Primo ministro greco Tsaldaris e il ministro degli Esteri egiziano Khashaba Pascià hanno discusso per oltre un’ora intorno alla possibilità di costituire, in seno alle Nazioni Unite, un cosiddetto « Blocco del Medio Oriente » comprendente dodici Stati, cioè Afghanistan, Egitto, Etiopia, Grecia, Iraq, Iran, Libano, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Turchia e Yemen. (dal Corriere della Sera)
Mercoledì 13 ottobre 1948
La miseria dell’Azerbaijan
L’Azerbaijan, «una Nazione dove il novantacinque per cento della ricchezza è in mano di tremila famiglie, e il settanta per cento della terra coltivata appartiene a grandi proprietari. Nel seguente regime di Pisciavari le terre furono ripartite tra i contadini, le paghe degli operai a Tabriz — che è la seconda città industriale di Persia con concerie, vetrerie, fabbriche di tessuti, di fiammiferi e di tappeti — vennero notevolmente elevate e organizzati dei sindacati. Ora, malgrado le aspirazioni dello Scià — che è la persona più umanitaria di tutto il Paese — le terre sono tornate ai grandi proprietari, i sindacati non esistono più, solo le paghe degli operai rimangono le più alte a confronto con quelle delle altre regioni. I militari tengono in pugno l’Azerbaijan con disciplina, ma senza violenza, e il governatore fuma oppio e beve tè. I Russi sono nominati con odio dai proprietari cui vennero confiscati i beni e con simpatia solo da alcuni elementi delle minoranze. Il resto sembra ignorarli. Di tanto in tanto qualcuno dice : « Ecco, questo ponte fu fatto al tempo di Pisciavari... Il governo democratico fece asfaltare tutte queste strade ... Ma sembra una citazione storica e non è mai un rimpianto.E non si sa, allora, quale oscura potenza abbia salvato o salvi questo Paese dall’esplosione. Forse la stessa oscura potenza fatta di immutabilità e di apatia che ha salvato la Persia da tutte le dominazioni attraverso tutte le vicende di secoli. Perché poi, quando per la prima volta nella primavera del 1947 il giovane Scià calò dal cielo, pilotando il suo aeroplano, su Tabriz la popolazione lo circondò in una frenesia di entusiasmo e un vecchio si ammazzò ai suoi piedi perché basta, ormai era vissuto abbastanza.»Leggi qui l’articolo di Claudia Falcone
Venerdì 15 ottobre 1948
Divorziano Farida, regina d’Egitto, e Fawzia, regina di Persia
«Nello spazio di ventiquattro ore due comunicati ufficiali, uno del Tribunale di Teheran e uno del Gabinetto reale egiziano, hanno annunziato i divorzi tra lo Scià di Persia e l’imperatrice Fawzia, sorella del re d’Egitto, e tra lo stesso re d’Egitto, Faruk, e la regina Farida. Quali ragioni d’opportunità hanno consigliato la contemporaneità dei due divorzi? E quali segreti umani, quali delicati drammi, o quali oscure ragioni di Stato hanno cosi bruscamente interrotto due unioni che parevano essere cominciate sotto auspici di serenità, nel fasto delle Corti orientali? Solo il dramma di Teheran può essere, almeno in parte, chiarito. Nulla può ancora dirsi, invece, su quello di re Faruk e di Farida. Tutta la stampa egiziana ha pubblicato, senza alcun commento, oggi il comunicato del Gabinetto reale...»Leggi qui l’articolo del Corriere d’informazione
Lunedì 18 ottobre 1948
Il ruolo dei curdi nella controversia tra Urss e Iran
«[...] C’è poi il problema curdo: una delle maggiori pedine, forse, del presente gioco russo in Persia. Questo problema non si limita soltanto alla regione persiana, ma abbraccia anche parte dell’Iraq, della Turchia e della Siria, più, naturalmente, il Curdistan russo; ha centri a Bagdad, Damasco, Beirut, Il Cairo, e una popolazione ribelle e battagliera che, secondo i vaghissimi censimenti, fluttua dai tre agli otto milioni di anime. Nel solo Curdistan persiano le statistiche (più che mai un’opinione) danno cifre che vanno dai settecentomila al milione e mezzo [...]»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Martedì 26 ottobre 1948
Il ruolo dei preti sciiti nella politica persiana
«[...] Al tempo dei Tudeh, un mullah del Caspio, Lankaranì, andava in giro per l’Iran pagato dal partito a dimostrare sui versetti del Corano come religione e marxismo potessero coincidere. Nello stesso tempo — era la fine del 1945 — un gruppo di mullah dell’Asia Centrale sovietica, diretti in pellegrinaggio alla Mecca, si recò in pompa magna a rendere omaggio ai dignitari sciiti dell’Iran. La via della religione per giungere all’intrigo politico è sempre quella più battuta in Paesi come questi[...]»Leggi qui l’articolo di Clara Falcone
Venerdì 4 febbraio 1949
Teheran, attentato contro lo scià
Teheran, 4 febbraio notte. Un attentato è stato perperato oggi contro lo Scià durante la cerimonia organizzata nell’anniversario della fondazione dell’Università di Teheran. II sovrano stava entrando nella sede dell’Università quando un giornalista gli ha sparato contro cinque colpi di pistola. Una pallottola ha colpito lo Scià a una gamba ed al labbro superiore, un altro colpo lo ha raggiunto al fianco, mentre altri tre hanno perforato il suo cappello. Numerose persone si sono immediatamente lanciate contro l’attentatore e lo hanno selvaggiamente percosso (dal Corriere della Sera)
Morto l’attentatore dello scià, sciolto il partito Tudeh
L’individuo che sparò cinque colpi di rivoltella contro lo scià di Persia Reza Pahlavi, certo Fakhrai, impiegato di un giornale musulmano, è deceduto ieri sera in seguito alle percosse cui fu fatto segno da parte delle persone presenti all’attentato. Lo scià è tornato al palazzo reale dopo una sommaria medicazione fattagli in un vicino ospedale. Le sue ferite non rivestono alcuna gravità. I membri del Gabinetto, la polizia e il capo dell’esercito! si riunivano subito dopo l’attentato di natura politica: è stato accertato che il suo autore appartiene al partito Tudeh. II Governo ne ha deciso lo scioglimento: tale dichiarazione è stata fatta questa mattina alla Camera dal ministro dell’Interno. II partito Tudeh era già stato sciolto una prima volta nel 1946. In seguito al componimento della crisi persiana, quando i Russi occuparono ia provincia settentrionale dell’Azerbaijan. In quell’epoca detto partito venne accusato di fomentare nel Paese moti rivoluzionari a carattere comunista. Come si ricorda i Russi si sono poi ritirati dall’Azerbaijan per ordine del Consiglio di sicurezza dell’O.N.U.
Mercoledì 23 febbraio 1949
Stato d’assedio in Iran
Il Governo persiano ha proclamato lo stato d’assedio in tutto il territorio allo scopo di prevenire qualsiasi attività contraria all’ordine pubblico. Un dispaccio da Teheran al giornale cairota Al Misri afferma che obiettivo del recente attentato contro la vita dello Scià dell’ Iran era quello di rovesciare il Governo e proclamare lo Stato comunista.
Domenica 20 marzo 1949
Fawzia si è risposata
La più bella donna d’Oriente, la principessa Fawzia, sorella di re Faruk, si è unita stamane in matrimonio con Ismail Sherine bey, diretto discendente del famoso Mohamed Ali pascià. Tutti gli ambienti mondani del Cairo parlavano già da qualche tempo del nuovo idillio della bella ex-imperatrice dell’Iran. Gli sponsali hanno avuto luogo nel grande salone d’onore del palazzo reale con una cerimonia improntata alla massima semplicità. Sembra che la riservatezza e la modestia delle nuove nozze di Fawzia siano state espressamente volute da re Faruk, considerando egli la sontuosità e il fasto fuori luogo in un momento in cui il Paese è appena uscito dalla guerra palestinese. Il matrimonio è stato celebrato da Sheikh Mamoun el Shinawi, rettore della millenaria università di Al Azhar e capo spirituale del mondo musulmano. In conformità al rito musulmano la principessa Fawzia non era presente alla cerimonia svoltasi nel grande salone di palazzo Kouba. L’ha rappresentata il fratello, quale capo della famiglia, e a lui il celebrante ha rivolto la domanda rituale: «Acconsentite al matrimonio di vostra sorella con quest’uomo?». Durante la cerimonia il rappresentante della sposa e il futuro consorte siedono l’uno di fronte all’altro con le mani giunte coperte da un candido velo. Nel rivolgere la tradizionale domanda a re Faruk il celebrante ha posto le sue mani su quelle dei due uomini, togliendole solo dopo aver chiesto anche a Ismail Sherine bey se acconsentiva a prendere in moglie la principessa. Il matrimonio si è poi perfezionato legalmente con la firma del contratto avvenuta nello stesso salone di palazzo Kouba. Durante la cerimonia la sposa è rimasta in ritiro nella solitudine del suo appartamento a palazzo reale. Secondo la tradizione mentre si svolgevano le nozze ella ascoltava la lettura di alcuni passi del Corano effettuata da una vecchia dama di Corte. Immediatamente dopo gli sponsali ha avuto luogo un pranzo di carattere intimo a cui hanno partecipato i membri delle due famiglie degli sposi e alcuni pochi invitati. Nulla ancora si sa circa la mèta del viaggio di nozze degli sposi: sembra anzi che il viaggio non avrebbe luogo. Fawzia e Ismail prenderebbero invece immediatamente alloggio nella casa suburbana di Maadi acquistata recentemente dalla principessa.
Giovedì 24 marzo 1949
Dura nota iraniana all’Urss
Una notizia giunta da Teheran getta luce sulla situazione persiana, che accentrava in questi giorni l’attenzione mondiale. Il ministro degli Esteri iraniano ha notificato alla Russia che qualsiasi tentativo di mandare truppe nell’ Iran, col pretesto che l’aiuto americano costituisce un intervento armato, verrà considerato un atto di aggressione. In un dispaccio inviato da Teheran per conto detto scià Mohamed Reza Pahlavi direttamente all’I.N.S il ministro Ali Ashgar Kohmat ha negato decisamente che il suo Paese stia diventando una base militare per gli alleati occidentali. Egli ha quindi aggiunto: «Non permetteremo mai che ci si serva dell’ Iran per scopi aggressivi contro l’Unione Sovietica ». Il ministro ha quindi precisato che nel Paese non si sono verificati incidenti che possano giustificare l’applicazione da parte russa dell’art 6 del suo trattato di mutua assistenza con l’Iran. In base a questo articolo la Russia ha diritto di inviare truppe nell’ Iran nei caso che una terza Potenza cerchi di arrivare a un intervento armato in Persia, oppure si serva del territorio del Paese come base militare per attaccare la Russia. D’altra parte anche il segretario di Stato Acheson ha smentito recisamente a Washington le accuse russe secondo le quali gli Stati Uniti starebbero apprestando basi militari nell’ Iran e ha fatto un chiaro riferimento a una intensiflcata pressione da parte dei propagandisti russi nel Paese. La Nazione del Medio Oriente, ricchissima di giacimenti petroliferi, che divide con la Russia un confine lungo mille miglia, è stata fonte — e lo continua ad essere di molte apprensioni da parte delle Cancellerie alleate, le quali ritengono ancora possibile che una mossa sovietica di reazione al patto atlantico si verifichi verso quel settore.
Sabato 26 marzo 1949
I russi richiamano il personale dei loro consolati in Iran
Il Governo della Russia sovietica ha ordinato il ritiro delle autorità consolari sovietiche dall’ Iran, quale protesta contro l’atteggiamento « non amichevole » del Governo di Teheran. Nel contempo hà disposto che il personale dei Consolati iraniani lasci il territorio della Unione Sovietica. Il Governo iraniano aveva da vari giorni impedito che si desse intempestiva pubblicità a tale passo sovietico.
Venerdì 4 novembre 1949
I russi sconfinano in Iran
Le truppe i russe sono avanzate di 30 chilometri oltre il fiume Aras, che segna il confine con la Persia, e brigate corazzate e di fanteria si sono accampate nella provincia di Karakeschet. Teheran, ove la legge marziale è stata proclamata oggi in seguito all’attentato d’un fanatico maomettano che ha ferito gravemente a colpi di rivoltella l’ex Primo ministro Abdul Hossein Hagir, cerca di calmare gli animi col dire che Mosca si preoccupa soltanto di difendere gli stabilimenti atomici che sorgono nel Caucaso.
Venerdì 11 novembre 1949
Lo scià di Persia e la sua prossima visita negli Stati Uniti
Negli ambienti diplomatici della capita americana si prevede che entro due anni la Russia Sovietica entrerà in una « fase di espansione » verso il Medio Oriente. Questa minaccia sovietica deve essere verosimilmente il motivo determinante la visita che lo Scià di Persia compirà negli Stati Uniti la prossima settimana. E’ assai probabile — si osserva — che il giovane monarca dell’Iran, per poco che il Governo americano gli accordi assistenza e fiducia, si dichiari pronto a schierare il proprio Paese apertamente accanto alle Nazioni del mondo occidentale. Effettivamente l’Iran è il punto più vulnerabile nello schieramento del Medio Oriente ed è quello su cui l’Unione Sovietica dovrebbe agire per primo, qualora decidesse di muovere alla conquista di quel settore. Non pochi diplomatici dei Paesi del Medio Oriente ritengono che i primitivi disegni del Cremlino prevedessero un’azione diretta contro la Grecia o la Turchia e che il graduale potenziamento delle due Nazioni mercè l’assistenza americana abbia fatto accantonare tali piani. La situazione dell’Iran è invece rimasta stazionaria al punto da costituire un invito all’aggressione. Questo concetto sarà indubbiamente espresso dallo Scià al Presidente Truman ed al segretario di Stato Acheson. E’ molto probabile che il monarca si dichiari pronto a portare gli effettivi delle forze armate iraniche da centoquindicimila uomini — tanti oggi ne contano — male armati e male equipaggiati, ad un milione di uomini, qualora gli Stati Uniti fornissero alla Persia adeguata assistenza. Finora l’ Iran ha ricevuto ventisei milioni di dollari di materiali bellici americani, tratti da quelli in eccedenza; ed il P.A.M. prevede uno stanziamento di ventisette milioni di dollari complessivi per l’assistenza alla Corea, alle Filippine ed all’ Iran. Però gli stessi capi militari persiani — secondo quanto affermano i circoli diplomatici — non si fanno soverchie illusioni sulla possibilità di far fronte alla Russia anche disponendo di un milione di uomini alle armi. La Persia si servirebbe di questo esercito unicamente per far fronte alla prima minaccia.
Lunedì 14 novembre 1949
Lo Scià resterà un mese negli Stati Uniti
Washington 14 novembre. Il mondo ufficiale di Washington sta preparando accoglienze imponenti al giovane monarca Reza Pahlavi, scià di Persia, il cui Paese, ricco di giacimenti petroliferi, costituisce un centro strategico di prim’ordine sull’immenso scacchiere della "guerra fredda ». Lo scià arriverà all’aerodromo di Washington alle 4 del pomeriggio di giovedì ed inizierà un giro turistico-politico della durata di un mese negli Stati Uniti. L’apparecchio personale del Presidente Truman « Independence » è stato inviato ieri appositamente a Teheran, per trasportare in America il giovane monarca.
Venerdì 18 novembre 1949
Gli Stati Uniti aiuteranno l’Iran
«Mentre a Saint Louis, nella chiesa metodista di Saint John, tra la divertita attenzione di tutta l’America, il vice Presidente Alben Barkley, settantaduenne, impalmava una giovane vedova trentottenne, Jane Carleton Hadley, il Presidente Truman, a Washington, passava una giornata dedicata all’esame di una serie di importanti problemi di politica estera. Il Presidente ha ricevuto alla Casa Bianca lo scià dell’Iran, con cui ha esaminato l’intera situazione del Medio Oriente. Truman ha assicurato al monarca persiano che-gli Stati Uniti intendono fornire al suo Paese aiuti, sia economici, mediante Vappiicazione del « programma del punto quattro », sia militari, nel quadro de l M. A . P. Più tardi lo scià ha partecipato ad una seduta del joint chiefs of staff, lo Stato maggiore americano, in cui gli elementi strategici della situazione nel Medio Oriente sono stati accuratamente esaminati» (Ugo Stille sul Corriere della Sera)
Sabato 17 dicembre 1949
Reza Pahlavi torna in Iran
Un comunicato diramato a Washington dal Dipartimento di Stato informa che lo Scià dell’ Iran, esaurita la sua visita negli Stati Uniti, sarà domani sera a Nuova York per far ritorno in patria. Lunedì il monarca persiano, prima di imbarcarsi, si incontrerà col gen. Dwight Eisenhower.
L’Urss minaccia l’Iran per il petrolio
«Secondo buone informazioni. l’Urss si preparava ad avanzare al Governo di Teheran proposte tendenti a farla partecipare allo sfruttamento delle risorse del Paese con un accordo di amicizia e di collaborazione, ad impedire che il territorio persiano venga utilizzato dalle Potenze occidentali e ad ottenere per la Russia uno sbocco nell’Oceano Indiano. Queste proposte il Governo di Teheran le ha prevenute col preferire un accordo con le Potenze occidentali che, secondo la stessa fonte sovietica, viene perfezionato in questi giorni a Washington L’Urss si mostra sospettosa per il viaggio dello Scià di Persia a Washington dove, secondo Mosca, si svolgono conferenze per « lasciare mano libera agli imperialisti d’impadronirsi del Medio Oriente », e sfoga il suo dispetto di essere stata « lesa nei suoi vitali interessi », esercitando una forte pressione militare sui duemila chilometri di frontiera. Secondo Mosca l’Urss ha diritto a partecipare allo sfruttamento delle risorse naturali del Medio Oriente e avverte tanto l’Iran quanto l’Iraq che, se mostrassero l’intenzione di trasformarsi in basi strategiche occidentali, l’Armata Rossa, ammassata sul Mar Caspio, potrebbe occupare in 24 ore «per ragioni di sicurezza» i distretti petroliferi. Lo ha fatto dire alla radio di Baku dal «partito della libera Persia». In Persia l’atmosfera è arroventata dallo scorso novembre in seguito all’assassinio dell’ex-Primo ministro Abdul Hussein Hazihr, e il Governo fatica a tenere l’opposizione, mentre alle frontiere l’U.R.S.S. solleva sanguinosi incidenti mostrandosi irascibile e litigiosa. Ha allestito a Krasnovodki un gran numero di basì militari e i soldati rossi sconfinano con azioni aggressive oltre il fiume Atrek. Nel deserto del Karakum un esercito di centinaia di migliaia di operai « è impegnato in lavori di grande portata alla frontiera persiana. Si tratta principalmente — precisano i due giornali — della costruzione di grandi camionali ». E appunto queste strade che dal deserto avanzano verso la frontiera sono un segno che l’Urss ha deciso che l’ Iran debba entrare nella zona d’influenza sovietica» (L.Crucillà sul Corriere della Sera)
Venerdì 30 dicembre 1949
Aiuti americani all’Iran
Il presidente Truman e lo Scià dell’Iran, hanno diramato ieri un comunicato collettivo, nel quale gli Stati Uniti riaffermano la loro precisa intenzione di dare alla Persia assistenza economica e di disporre altresì un « certo contributo militare » allo scopo di rafforzare la sicurezza del Paese. Il comunicato è stato emanato in occasione della partenza dello Scià, dopo la sua visita agli Stati Uniti protrattasi per sei settimane. Washington appoggerà le richieste iraniane di prestiti presso la Banca mondiale e provvederà all’assistenza del Paese in base al quarto punto del programma Truman. Ieri mattina lo Scià, prima di salire a bordo di un apparecchio della Compagnia olandese Klm per far ritorno in Patria, ha dichiarato che si recherà a Roma con la sorella, la principessa Fatima, e ripartirà per Teheran il 2 gennaio. Il monarca persiano ha messo in evidenza la grande utilità dei contatti avuti fra lui e Truman. Egli ha aggiunto che vedrebbe con estremo interesse investimenti di capitali americani nel suo Paese. (Corriere della Sera)
Lunedì 17 aprile 1950
Fatima, sorella dello scià di Persia, s’è sposata in Italia con un americano deciso a convertirsi all’Islam
LONDRA - Lo studente americano Vincent Lee, che giovedì 13 aprile ha sposato a Civitavecchia la sorella dello Scià di Persia, ha dichiarato ieri che incomincerà con questa settimana a dedicarsi allo studio del maomettanesimo, mentre la giovane ed avvenente sposa, principessa Fatima dell’Iran, si recherà in volo a Teheran per fare opera persuasiva presso il fratello, Scià Mohamed Reza Pahlavi, il quale del resto, secondo le ultime notizie, non si opporrebbe più a un suo matrimonio maomettano per regolarizzare quello da lei celebrato segretamente In Italia. Fatima era partita dalla Persia circa un mese fa, contro i desideri del suo regale fratello. Dall’estero aveva scritto allo Scià informandolo del fidanzamento col ventiduenne Hilller e dicendogli che il fidanzato era disposto a rinunziare alla cittadinanza americana e ad abbracciare l’islam. La notizia delle nozze è giunta quindi a Teheran come un fulmine a ciel sereno, scandalizzando non soltanto gli ambienti di Corte, ma l’intera Nazione, soprattutto perché sono imminenti le celebrazioni ufficiali del ritorno in patria della salma di Scià Reza, padre dell’attuale Scià e di Fatima, morto in esilio nel Sudafrica nel 1943. In un primo tempo lo Scià aveva anzi deciso di privare la sorella delle prerogative e del titolo di principessa. (Corriere della Sera)
Re Faruk d’Egitto è di nuovo innamorato
LONDRA - Tornano a circolare le voci d’un prossimo nuovo matrimonio del Re d’Egitto, Faruk. Il quotidiano del Cairo Al Misri, che non è soltanto il giornale arabo più letto del mondo, ma é anche noto quale portavoce ufficioso della Corte egiziana, pubblica ocgi in prima pagina — almeno nelle copie giunte all’estero — una grande fotografia di Narriman Sadek, la ragazza il cui nome è stato di recente romanticamente collegato con quello di Re Faruk. La pubblicazione della fotografia, che occupa tre colonne del giornale ed è circondata da un bordo rosso, ha dato lo spunto alle voci che sia imminente l’annuncio ufficiale del fidanzamento di Narriman Sadek con il divorziato sovrano d’Egitto. Il quotidiano di Damasco Annassar pubblica addirittura in un grosso titolo l’affermazione che «Narriman Sadek si avvicina al trono». Persone che hanno dimestichezza con la prassi della censura egiziana aflermano che la pubblicazione della fotograna della Sadek non sarebbe stata possibile senza il nulla osta della Corte. Sotto la foto Al Misri riporta una breve corrispondenza da Nuova York, in cui si dice che la stampa estera ha pubblicato varie notizie e fotografie di Narriman Sadek e si è profusa in lodi per la ragazza. Come si ricorderà, Narriman Sadek ha 16 anni, è figlia di un alto funzionario del Governo egiziano, recentemente morto, ed era fidanzata con un giovane esperto economico della Delegazione egiziana presso le Nazioni Unite. (Corriere della Sera)
Sabato 12 agosto 1950
Ultime dall’Azerbaijan
Pishevari, che comandava il fittizio Governo sovietico dell’Azerbaijan, risulta ucciso a Tiflis, in Russia, in un incidente automobilistico Si ritiene che il comando del gruppo sia stato preso dall’aiutante militare in prima di Pishevari, il generale Ciolamyahya Dane shian.
Giovedì 31 agosto 1950
Gli Stati Uniti stanziano quattro miliardi in aiuti militari
Nella sua dichiarazione pubblicata oggi, sul fabbisogno di 4 miliardi di dollari in nuove armi per gli aiuti militari destinati alle altre Nazioni, il segretario di Stato alla Difesa, Louis Johnson, specifica che gli stanziamenti supplementari richiesti dal Presidente Truman saranno destinati per le forniture di nuovi equipaggiamenti e per stimolare la già crescente produzione bellica europea. «Le nostre richieste, in base a questo programma — afferma Johnson — insistono in principal luogo su carri armati, artiglierie, apparecchi di aviazione moderni e in genere sulle armi meccanizzate. Più della metà degli stanziamenti dovrebbe essere spesa per la produzione di armi di questa specie ». Secondo la dichiarazione di Johnson 504 milioni di dollari dovrebbero essere devoluti alla prima voce « assistenza militare per i Paesi del patto atlantico » del programma. Un programma supplementare per la stessa voce comprenderà, successivamente, equipaggiamenti militari, addestramento, e infine assistenza in materiali e macchinari per l’avviamento della produzione militare dell’Europa occidentale. Johnson ritiene che nel corrente anno fiscale potranno essere destinati a questo primo capitolo circa 400 milioni Dei quattro miliardi complessivi richiesti, 193 milioni saranno stanziati per l’assistenza militare alla Grecia, alla Turchia e all’ Iran. Per l’Estremo Oriente, e cioè per la Cina, comprese le Filippine, il Dipartimento della Difesa richiede 303 milioni di dollari. Le esigenze immediate derivate dall’aggressione in Coreahanno determinato, secondo il segretario alla Difesa, un inequivocabile bisogno di accelerare l’assistenza militare nell’area della Cina.
Martedì 6 febbraio 1951
Lo Scià annuncia le nozze con Soraya
Il « re dei re », lo « Scià di tutte le Persie », Mohammed Reza Pahlavi, coronerà finalmente lunedì il suo sogno d’amore. Non si tratterà però di uno di quei matrimoni regali che i sudditi persiani erano soliti vedere o di cui per lo meno sentivano parlare. Sarà invece un matrimonio, se non modesto, certo non solito per un sovrano persiano. Egli ha infatti dato ordine che ogni fasto regale, ogni splendore venga bandito. La situazione internazionale, tutt’altro che confortante, e le agitazioni sociali che travagliano il Paese hanno infatti offuscato il tradizionale splendore delle celebrazioni degne di una Corte persiana. Un pranzo, previsto dal protocollo, e un ricevimento seguiranno la cerimonia religiosa in rito musulmano che unirà in matrimonio il re dell’Iran e la diciottenne sposa, figlia di un ricco persiano e di una donna oriunda tedesca. Le nozze erano state fissate per lo scorso dicembre e precisamente per il 27 di quel mese, ma a ostacolare il progetto sono intervenute cause di forza maggiore. Dapprima una febbre tifoidea che ha costretto a letto la bella Soraya Esfandiari per parecchio tempo e poi una forma influenzale tutt’altro che leggera. Soraya è figlia di un capo tribù persiano, mentre la madre — come abbiamo detto — è tedesca. Incontrò lo Scià per la prima volta a Parigi due anni or sono durante un ricevi mento. Da allora non lo vide più fino allo scorso ottobre quando interruppe gli studi che stava compiendo in Svizzera e tornò in Persia per la cerimonia del fidanzamento. Secondo il suo programma di austerità, il trentaduenne Mohammed ha pregato i sudditi di limitarsi nell’inviare doni di nozze. Lo Scià ha consigliato coloro che vogliono mandargli regali di nozze di depositare in banca, in denaro liquido, la somma corrispondente al vaio re dei doni che servirà a scopi di beneficenza. Lo Scià ritiene infatti che ogni manifestazione di regalità deve essere bandita dalle sue nozze in un momento in cui i suoi sudditi sono assillati da due problemi: l’eventualità di una guerra e la povertà del Paese.
A Teheran, nozze tra Reza Pahlavi e Soraya Esfandiari
Con fasto orientale, ma alla presenza di pochissime persone, nella sala d’avorio del palazzo di marmo di Teheran, lo scià, Mohammed Reza Fahlevi, ha sposato oggi la principessa Soraya Esfandiari, che il popolo persiano ha salutato come la nuova «Rosa d’Oriente». La sposa indossava un abito di lamé argentato e imbrillantato, con una tiara di diamanti in capo, mentre lo scià era in uniforme militare blu scuro, con spalline d’oro e bandoliera argentata. Sulla gradinata del grande palazzo di marmo rosa attendevano la sposa tutti i principi del sangue, il Primo ministro Razmara e 150 personalità. Alla sommità della scalea, solo, attendeva il sovrano. Lo scià, la sposa, la regina madre e sei fanciulle che reggevano il lungo strascico della sposa sono entrati nel palazzo, e, attraverso il grande atrio degli specchi, sono giunti alla sala d’avorio, festosamente addobbata per la cerimonia e illuminata da grandi candelabri di cristallo. Su un grande tappeto di inestimabile valore era collocato un grande scialle e, sopra di esso, due troni. La coppia reale ha preso posto sui troni e due sacerdoti musulmani hanno collocato davanti ad essa i simboli nuziali: il Corano, uno specchio e due candele. Soraya ha aperto il Corano e ha letto un passo indicatole da un sacerdote.Leggi qui tutto il servizio del Corriere della Sera
Giovedì 8 marzo 1951
Assassinato il premier iraniano Ali Azmara
Il Primo ministro persiano, tenente generale Ali Razmara, è stato assassinato stamane a Teheran, mentre, insieme ad altri funzionari governativi, si recava a una cerimonia funebre in una moschea della capitale. Razmara era appena entrato nel cortile della moschea quando un individuo che si trovava tra la folla ha sparato contro di lui quattro colpi di rivoltella, tre dei quali lo hanno raggiunto all’addome. La morte è stata quasi immediata. Un poliziotto ha cercato di afferrare l’assassino, ma questi ha nuovamente sparato, ferendo l’agente e tentando quindi di togliersi la vita. Successivamente è stato catturato e identificato come Adbullah Mohamed Rastegar, di professione carpentiere. Sarebbero stati arrestati anche tre suoi complici, appartenenti, come lui, alla fanatica setta religiosa dei «Fadayam Islam», cioè di coloro che sono pronti a sacrificarsi per l’Islam. È questo il quinto attentato verificatosi nell’Iran negli ultimi due anni. Il 4 febbraio 1949 lo Scià Mohamed Reza Pahlavi sfuggi per miracolo a un attentato. Quattro pallottole, infatti, avevano attraversato il suo fez e il suo soprabito. Nove mesi più tardi il ministro della Real Casa Abdul Hussein Nagir periva sotto i colpi di un fanatico religioso nella moschea di Sepahsalar. Il 27 maggio 1950 il direttore dell’importante settimanale Teheran Mossavar, Ahmed Deghan, fu assassinato nel suo ufficio da un giovane. Il 22 agosto 1950 il capo religioso della capitale dell’Iran, l’Iman Djomeh veniva colpito con numerosi colpi di coltello da un fanatico, ma riusciva a sopravvivere. L’uccisore del gen. Razmara è un predicatore laico del Corano, un seguace del partito ultranazionalista, uno di «coloro che sono pronti a sacrificarsi per l’Islam»
Oggi a Teheran i funerali di Ali Razmara
Teheran 8 marzo, matt. Nessun incidente ha fatto seguito, almeno sino a stamane, all’uccisione del Primo Ministro, Ali Razmara. Nella capitale persiana, ormai, come rileva un corrispondente di una agenzia americana, si nota una inspiegabile indifferenza per l’accaduto, il che avvalora l’ipotesi che l’assassinio di Razmara non abbia alcun retroscena, ma sia unicamente la conseguenza del fanatismo religioso. L’avvenimento pone nuovamente in primo piano la questione persiana, ossia il mantenimento di un equilibrio tra Occidente e Oriente che Razmara era effettivamente riuscito a creare. Saprà il suo successore fare altrettanto? Questo è quanto si chiedono stamane gli osservatori politici. Dopo una riunione straordinaria di Gabinetto, lo Scià, come già annunciato, ha chiamato provvisoriamente a reggere il Governo Khalil Fallimi, che da un mese era ministro senza portafoglio. Fallimi non rappresenta comunque che una soluzione provvisoria della crisi. Sembra che il posto sia stato offerto all’ex-ambasciatore negli Stati Uniti, Hossein Ala, il quale avrebbe peraltro rifiutato. Si fa pure il nome del vecchio Ghavam Sultaneh. già Primo Ministro. Si rileva pure che nell’assassinio non hanno alcuna parte i comunisti, benché non sia escluso che essi cerchino ora di approfittare della situazione. L’attentatore, interrogato dalla polizia, ha dichiarato di aver compiuto il delitto, perché il Primo Ministro « aveva consegnato il Paese al forestiero ». Consta che nell’ultima riunione del « Fadayan Islam » (« i crociati dell’Islam ») cui appartiene l’assassino, erano state lanciate invettive a Stalin, a Truman e a Re Giorgio d’Inghilterra, chiedendo la fine delle « interferenze straniere ». I funerali di Ali Razmara avranno luogo stamane. Il servizio funebre avrà inizio nella moschea di Sepah Salar poco dstante dal luogo dove ieri è avvenuto l’attentato. Nelle strade della capitale stamane vi sono segni di lutto. In un bazar un uomo ha gridato: « Liberate l’assassino! ». Queste parole non hanno però avuto seguito per;hè i presenti si sono messi a ridere.
C’è la questione del rinnovo della concessione all’Anglo Iranian dietro l’assassinio del primo ministro persiano Ali Razmara
«[a proposito dell’attentato che è costato la vita al premier iraniano Ali Ramzara] da quanto sembra i sovietici hanno favorito i sentimenti nazionalisti dei musulmani dell’Iran contro gli interessi inglesi nelle industrie petrolifere persiane, con quelle promesse sulla cui natura non è necessario pronunciarsi. Il Senato persiano deve decidere sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere già votata dal Parlamento. Il Governo britannico inviò nei giorni scorsi una nota al Governo di Teheran per far presente la illegalità del provvedimento e per consigliare un accordo con la Anglo Iranian Oil Co. In attesa degli eventi Londra ha deciso di non fare più pressioni sull’Iran prima di aver esaminato il rapporto dell’ambasciatore britannico a Teheran. Il Gabinetto inglese tuttavia segue con ansiosa attenzione la situazione persiana sovrattutto per le ripercussioni che essa può avere nel Medio Oriente e specialmente nell’Iraq dove si sta sviluppando un vivo malcontento per la « ingerenza » britannica nelle industrie del petrolio di quel Paese» (Corriere d’Informazione)
La politica di moderazione di Razmara
Il gen. Razmara, che aveva 49 anni, fu chiamato al Governo dallo Scià ventiquattro ore dopo lo scoppio della guerra in Corea. Era l’uomo delle situazioni gravi. Allievo di Saint-Cyr, di educazione e di tendenze occidentali, la sua energia rappresentava la risorsa estrema del sovrano e del Paese. Subito, l’atteggiamento politico di Razmara fece capire che l’orientamento della Persia cambiava. Il generale, che aveva garantito l’Azerbaijan persiano contro le tendenze di separatismo, cioè di annessione alla Russia, prese l’iniziativa di una distensione verso l’Urss. Un accordo commerciale fu concluso con Mosca: i termini rimasero piuttosto oscuri, e non s’era ancora potuto accertare se Teheran lasciasse ai Sovietici l’assoluta libertà di commercio, e perciò di influenza politica nelle regioni settentrionali, o se i traffici dovessero avvenire soltanto attraverso gli uffici competenti persiani. Contemporaneamente la Persia rifiutava di lasciar ritrasmettere la «Voce dell’America» dal suo territorio, e non consentiva alle compagnie petrolifere americane di far ricerche nelle regioni del Nord, ai confini russi. Questo indicava una oscillazione della Persia, non verso la Russia, ma verso una politica più elastica e cauta, consigliata dagli avvenimenti di Corea. L’oscillazione non spostava sostanzialmente la politica persiana. All’Onu e in tutte le altre occasioni i rappresentanti diplomatici della Persia continuavano a seguire la linea occidentale. E nella complicata vertenza sulle concessioni alla Anglo-Iranian Oil Company, che produce quasi 32 milioni di tonnellate di petrolio all’anno ed è di proprietà del Governo britannico, Razmara prendeva un atteggiamento favorevole all’Inghilterra, resistendo alle pressioni dei nazionalisti. Ma la maggioranza del Parlamento, sotto l’influenza aperta dei patriottardi e coperta della Russia, non accettava quella politica di moderazione e di rispetto degli interessi occidentali. L’assassinio avviene su questo sfondo di intrighi e di passioni, dominato da immensi interessi politici ed economici. Il Tudeh o partito di massa di ispirazione e disciplina comuniste, è stato sciolto già qualche anno fa, ma è noto che esso vive e agisce ancora in tutta la Persia. Questo partito, secondo gli osservatori londinesi, potrebbe preparare il terreno a un colpo di mano sovietico (Domenico Bartoli sul Corriere della Sera)
Venerdì 9 marzo 1951
Parla l’assassino di Razmara
In occasione dei funerali del Primo ministro Ali Razmara, che, come annunciato, si terranno oggi, il Governo persiano ha proclamato una giornata di lutto nazionale. Tutte le amministrazioni del Paese rimarranno pertanto chiuse. Sinora nessuna notizia ufficiale è stata diffusa dalla polizia circa i risultati dell’interrogatorio dell’assassino Abdullah jMoliammed Rastegar. Si sa solo che l attentatore ha dichiarato dopo l’arresto: Sono un fedele servitore dell’Islam e uno sterminatore dei suoi nemici ». Interrogato sui motivi del suo gesto, l’assassino ha risposto recitando ad alta voce passi del Corano, interrompendosi di quando in quando per chiedere: « Perché avete consegnato il Paese nelle mani degli stranieri? Perché io compissi questo gesto? »
Mercoledì 21 marzo 1951
Il parlamento di Teheran vota a favore della nazionalizzazione del petrolio
Il Parlamento iraniano ha votato per la nazionalizzazione degli impianti petroliferi, oggi in possesso della Anglo Iranian Oil Company. Manca ancora, per l’entrata in vigore del provvedimento, la sanzione dello Scià.Leggi qui l’articolo di Domenico Bartoli
Domenica 25 marzo 1951
È morto Zanganeh
Il dott. Abdul Hamid Zanganeh, ex-ministro persiano dell’Educazione nazionale, è morto all’ospedale per emorragia. Egli era stato ferito lunedì scorso in un attentato di fronte all’Università di Teheran, dove insegnava. Subito dopo l’attentato, che era stato effettuato da un giovane studente di Teheran, Hosseinghomi, era stato detto che le condizioni del paziente non erano gravi. Dei quattro colpi sparati, uno solo, infatti, lo aveva raggiunto. Un intervento operatorio sembrava aver dato risultati soddisfacenti, ma poi intervenne un fatale aggravamento. Ieri sera è stato annunciato ufficialmente che, dopo l’imposizione della legge marziale avvenuta il 20 marzo, sono stati tratti in arresto dodici membri dell’organizzazione musulmana « Fadayan », cui apparteneva l’assassino del Premier. Zanganeh, che era stato nominato ministro dal defunto Premier Razmara, di cui era molto amico, era anche presidente della facoltà di giudisprudenza della Università di Teheran. Recentemente aveva vietato alcune manifestazioni di studenti di sinistra. Come ministro dell’Educazione, Zanganeh aveva introdotto severe leggi sulla stampa particolarmente dopo l’attentato contro lo Scià. Queste disposizioni erano state abolite recentemente. Zanganeh è stato ministro della Pubblica Istruzione per due volte: dal 1949 al 1950 e fu nuovamente nominato dal defunto Premier Razmara il 5 febbraio dell’anno scorso malgrado l’opposizione di molti giornali. Unitamente ad altri ministri si era dimesso dopo l’assassinio di Razmara.
Lunedì 26 marzo 1951
Iran. Legge marziale in sette centri petroliferi
La situazione persiana si è aggravata. Il Governo ha proclamato questa sera la legge marziale in sette località situate nelle zone petrolifere dell’Iran meridionale, compreso l’importante centro di Abadan dove sorgono alcune tra le principali raffinerie del Paese. Il provvedimento è stato preso per il diffondersi del movimento di sciopero iniziatosi presso le installazioni della Anglo-Iranian Oil Company. Gli operai degli impianti della Compagnia angloiraniana a Bandar Mashur, un porto sul Golfo Persico, e gli operai delle raffinerie di Aghajari si sono messi in sciopero da sabato scorso per ottenere un aumento salariale. All’agitazione si sono uniti ieri gli apprendisti e gli studenti che seguono i corsi della compagnia petrolifera nel centro di Abadan. Il Governo ha dato disposizioni alla polizia della provincia di Khuzistan di procedere all’arresto di tre istigatori, appartenenti all’Associazione comunista per la « lotta contro la Anglo-Iranian Oil Company », che erano stati inviati colà da Teheran per organizzare disordini. Per tutto il giorno gli scioperanti hanno gridato: « Buttate a mare i pirati ... morte agli imperialisti ... dateci il nostro petrolio ». Il governatore militare di Teheran ha inoltre ordinato l’arresto di nove persone considerate ostili alla corte imperiale. Si fanno i nomi dei giornalisti Varzani e Karimpur, quest’ultimo direttore del giornale Chureche, che in questi ultimi tempi ha indirizzato violenti attacchi ai membri della famiglia dello Scià. Gli altri arrestati sono membri della setta dei «Fratelli dell’Islam», la stessa a cui appartenevano gli attentatori alla vita del Primo ministro Ali Razmara e del vice-rettore dell’università di Teheran, AbduI Hamld Zanganeh. Questi ultimi arresti sono stati determinati dalla scoperta di un complotto per assassinare il governatore militare di Teheran, gen. Abdul Hussein Hejazi Gli arrestati sono stati trovati tutti in possesso di armi. La polizia ha dichiarato che nel loro nascondiglio è stata rinvenuta una lista di 40 persone da uccidere, fra le quali figuravano alti funzionari di Corte ed alcuni ministri del Governo Razmara. La polizia ha effettuato un’incursione anche in un’altra abitazione, alla ricerca del capo dei terroristi, Navab Safavi, ma costui era riuscito a darsi alla fuga pochi minuti prima dell’arrivo degli agenti.
Sabato 31 marzo 1951
Sparano a un cugino dello Scià
Un nuovo attentato, il terzo della serie in un solo mese, e diretto contro la persona del cugino della consorte dello stesso Scià, ha improvvisamente acutizzato la crisi politica che scuote il Paese. L’attentato è stato perpetrato stanotte. Il cugino dell’imperatrice, Bakhtiari, ha riportato una ferita alla mascella e una a un polmone, ma si ritiene che possa sopravvivere. Il fatto è avvenuto nel centro petrolifero di Isfahan, teatro dei recenti scioperi, dove i lavoratori avevano recentemente preso d’assalto gli uffici governativi. Il prof. Yahia Adi, della Università di Teheran, che ha avuto in cura il gen. Razmara e il dott. Zangeneh, vittime dei due ultimi attentati, è partito in aereo alla volta di Isfahan per porgere le prime cure al ferito. Yahia Bakhtiari appartiene a una delle più importanti tribù dell’Iran, residente nelle vicinanze di Isfahan, e dalla quale è oriunda anche l’imperatrice. Non si hanno ancora particolari sull’attentato. Come si ricorda uno sciopero era scoppiato a Isfahan, giorni fa, a causa delle divergenze fra i lavoratori e i proprietari delle locali filande. Lo stato d’assedio non è stato proclamato nella regione e il Governo aveva lasciato al governatore la facoltà di agire secondo le esigenze della situazione. L’attentatore, un caporale dell’esercito persiano, è stato tratto in arresto. I motivi del delitto non sono stati ancora stabiliti.
Continuano gli scioperi contro l’Anglo-Iranian
Negli ambienti dell’Anglo-Iranian Oil Company il numero degli scioperanti viene fatto ascendere a 16.000. Gli scioperanti hanno inviato un messaggio al Parlamento per chiedere l’invio sul posto di una commissione incaricata di indagare sulla fondatezza delle loro richieste. Da fonte autorizzata giunge notizia che il Governo esercita pressioni sulla « Anglo-Iranian» perchè quest’ultima ripristini talune indennità la cui soppressione, in data 22 marzo, sarebbe all’origine del movimento di sciopero. Secondo notizie giunte questa sera gli scioperi si sarebbero estesi all’importante centro petrolierò di Masdjed Soleiman dove ottomila lavoratori avrebbero abbandonato le raffinerie. A Teheran regna la calma ma gli arresti continuano sia tra i seguaci della setta dei « Fratelli dell’Islam » sia fra quelli del partito Tudeh.
Domenica 1 aprile 1951
Perché è stato ucciso Razmara
«[...] Razmara — dice Ayatoullah —, pur di rimanere al potere, ha tentato di offrire grosse concessioni agli Inglesi e agli Americani, a spese del popolo iraniano. Razmara ha concluso un accordo con l’Urss che dava al Russi dieci e zero all’Iran. Razmara ha rinunciato ad otto tonnellate d’oro in favore dei Russi, oro depositato dopo la guerra, per conto dell’Iran, in una banca sovietica. Razmara facilitò l’evasione di dieci capi del partito comunista Tudeh, detenuti, in attesa di giudizio, nelle carceri di Teheran: questi leaders, rifugiatisi nell’Europa orientale, fondarono d’urgenza un nuovo partito comunista dell’Iran. Ecco, in sintesi, le ragioni dell’uccisione di Razmara, colpevole, oltre tutto, di fronte a tutto il Parlamento, di essere stato designato Capo dello Stato, dallo Scià, senza l’approvazione del Parlamento stesso. Ma per dimostrare l’eccessivo fervore nazionalistico di Ayatoullah, basterà ricordare quello che Ayatoullah non ricorda nel suo libro d’accuse contro Razmara e cioè che Razmara era riuscito a raggiungere un accordo con gli Inglesi, per cui l’Iran avrebbe incassato invece di quattro scellini sei scellini per tonnellata estratta, mentre un altro progetto, avviato quasi alla conclusione, prevedeva parità di diritti, nella Società da parte dell’Iran e dell’Inghilterra, e la divisione al cinquanta per cento degli utili. I termini del contratto erano stati, quindi, profondamente modificati e soltanto in favore dell’Iran. Nulla di tutto questo raccontano Ayatoullah e i nazionalisti ad oltranza. L’opinione del Medio Oriente (l’opinione, intendo, dei nazionalisti saggi, chè sano ben rari i non nazionalisti) è di conseguenza che otto grammi di polvere estremista abbiano fatto il gioco dei comunisti e dell’Unione Sovietica, e si ritiene certo che le Potenze occidentali non rimarranno impassibili di fronte alla imprevista minaccia che grava sulle loro risorse petrolifere, sui loro interessi economici e sulle loro posizioni strategiche nel Medio Oriente». (da un articolo dal Cairo di Manuer Lualdi per il Corriere della Sera).
Sabato 14 aprile 1951
Iran, continuano gli scioperi dei lavoratori del petrolio
Il Senato di Teheran ha approvato oggi la proclamazione della legge marziale nella provincia del Khuzistan, ricca di . giacimenti petroliferi, il cui governatore generale è stato destituito ieri. Spetta ora alla Camera di pronunciarsi sull’argomento. Un comunicato ufficiale pubblicato oggi smentisce la voce di uno sbarco di truppe inglesi nell’ Iran meridionale, come pure quella di una penetratone in Persia di membri della tribù dei Barzani, provenienti dalla frontièra sovietica. Il Parlamento ha stabilito di prorogare la legge marziale per due mesi dopo che il ministro degli Interni, generale Fazlollah Zahedi, aveva riferito che un lavoratore e un poliziotto erano rimasti uccisi ad Isfahan durante una dimostrazione di solidarietà con gli scioperanti del Khuzistan. Nelle zone petrolifere il movimento di sciopero si va estendendo. La direzione della « Anglo-Iranian » ha segnalato, che picchetti di scioperanti hanno formato una «catena urnana » tutt’ attorno agli stabilimenti delle raffinerie di Abadan, e che solo 3000 dei 12.000 dipendenti hanno potuto recarsi normalmente al lavoro. Intorno alla fabbrica continuano a verificarsi episodi di intolleranza e disordini. La produzione di petrolio della zona è scesa dai 18 milioni di galloni al giorno a nemmeno 10 milioni. Negli altri impianti di proprietà della compagnia, a Bandar Manshur ed Aghajari, il lavoro continua invece normalmente.
Lunedì 16 aprile 1951
Ultime da Teheran. Lo Scià si deve operare di appendicite, l’assassino di Ahmed Deheghan è stato impiccato sulla pubblica piazza
I medici dello Scià dell’ Iran hanno annunciato ieri che il sovrano si deve recare all’estero per un ulteriore esame delle sue condizioni fisiche prima della progettata operazione di appendicite. La decisione è stata presa dopo un consulto al quale hanno partecipato cinque tra i più noti specialisti di Teheran. Ieri, nella piazza principale della città, è stato impiccato Hassan Jafari, l’assassino di Ahmed Deheghan, deputato al Parlamento iraniano e direttore del giornale « Mossavar ». Accanito oppositore della influenza russa nell’ Iran, Deheghan era stato ucciso mentre si trovava nella redazione del suo giornale il 27 maggio dello scorso anno. Jafari apparteneva al partito comunista Tudeh.
Iran disordini nella provincia di Abadan
La situazione in Iran si va facendo sempre più tesa. Trenta esperti americani hanno lasciato ieri il lavoro nella zona petrolifera, chiedendo l’immediato trasporto in Patria delle famiglie. Al tempo stesso le famiglie britanniche degli addetti al porto petrolifero di Abadan, nell’Iran sudorientale, sono state trasferite a Bassora, nell’Iraq. Trentasei treni recanti rinforzi di truppe iraniane sono stati inviati in tutta premura ad Abadan, dove si segnala la presenza di agitatori comunisti provenienti da vari Paesi del Medio Oriente. Il Governo iraniano si è riunito iersera in seduta straordinaria per discutere la critica situazione. L’ambasciatore americano Henry F. Grady ha dichiarato alla stampa che « gli Stati Uniti sperano che il problema petrolifero dell’Iran sia risolto nel senso di una soddisfazione del popolo iraniano e degli interessi del mondo libero del quale l’Iran fa parte ». Da Abadan vengono segnalati ulteriori episodi di violenza, e cosi pure dalla provincia centrale dell’Ysfahan e da due città industriali del Mazanderan, provincia sita lungo la costa del Caspio. Ad Abadan, dove venerdì scorso vennero uccisi tre marinai britannici e almeno sei iraniani, oltre ventimila fra operai e studenti si sono ammassati ieri per protestare contro il seppellimento delle vittime iraniane. Il «fronte nazionale» filo-sovietico aveva progettato un corteo funebre attraverso le vie della città, ma le autorità hanno provveduto di buon mattino a seppellire le salme. Le truppe hanno fatto fuoco in aria per disperdere i dimostranti. Pure nella mattinata di ieri, gli scioperanti di Abadan hanno stabilito un cordone di «picchetti» attorno alla raffineria dell’Anglo-Iranian, una delle più grandi del mondo, che è stata così costretta a chiudere per la prima volta dal 1917. I dimostranti sono anche riusciti a penetrare nell’edificio che ospita gli apprendisti della raffineria, ma ne sono stati subito scacciati dalla polizia e dalle truppe che hanno formato un cordone protettivo intorno al quartiere bianco della città. Il coprifuoco è in vigore dalle 19 alle 6.
Venerdì 20 aprile 1951
Minacce di morte al premier iraniano
La fanatica setta musulmana Fedayan ha oggi apertanrente minacciato di morte il Primo ministro persiano Hussein Ala qualora egli «si allontani dal sentiero della verità». Come si ricorderà un membro della setta ha ucciso qualche tempo fa il Primo ministro Ali Razmara. La minaccia è stata formulata oggi nel corso dì una arroventata riunione, tenuta sui gradini della Moschea dello Scià a Teheran. Alla riunione, che si è svolta sotto una pioggia torrenziale, hanno partecipato oltre 7000 membri della setta, che sono stati arringati da oratori eccitatissimi, i quali hanno chiesto la liberazione dei Fedayan arrestati. Uno dei capi della setta, Sayed Mohammed Naghavi, ha gridato a un certo punto: «Hussein Ala attento a non allontanarti dal sentiero della verità. Il destino di tutti i nemici dell’Islam sarà identico». La folla ha più volte invocato la «fine della dominazione straniera nell’Iran».
Venerdì 27 aprile 1951
Si dimette a Teheran il premier Ala Hussein
Il Primo ministro Ala Hussein ha rassegnato stasera le dimissioni nelle mani dello Scià di Persia dopo che, com’è noto, la commissione parlamentare per il petrolio aveva proposto l’esproprio delle installazioni appartenenti alla Anglo-Iranian Oil Company. Nella serata di ieri la commissione, con unanime decisione, aveva proceduto alla stesura delle proposte per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere iraniane. Il Parlamentò aveva approvato la nazionalizzazione in data 21 marzo ed aveva costituito il comitato per fissare i metodi con cui subentrare alla Anglo-Iranian Oil Company. Le dimissioni di Hussein hanno fatto seguito all’ammonimento dell’ambasciatore britannico Sir Francis Shepherd il quale aveva dichiarato che vi potrebbero essere « le più gravi e lontane conseguenze » se l’Iran tentasse di impadronirsi delle proprietà della compagnia controllata dai Britannici. Come è noto, Hussein aveva sostituito l’ex-Primo ministro generale Ali Razmara, assassinato il 7 marzo. L’ambasciatore britannico, parlando ieri alla stampa, aveva detto: « Io spero che il Parlamento non proceda ad una azione unilaterale o precipitata in merito alla questione del petrolio, cosa che chiuderebbe la porta a negoziati e potrebbe avere le più gravi e lontane conseguenze ». Nella giornata di oggi l’ambasciatore aveva fatto visita ad Hussein e successivamente aveva conferito con lo Scià. Prima dell’annuncio delle dimissioni, il Primo ministro aveva convocato una riunione speciale del Gabinetto per discutere la situazione alla luce degli ultimi sviluppi e di quelle che venivano considerate « voci allarmistiche diffuse dai partiti dell’opposizione ». Va rilevato che il presidente della commissione parlamentare del petrolio, Mossadeq, aveva fatto accenno ieri alla possibilità che accadesse qualche cosa che avrebbe potuto impedire ogni decisione sulla nazionalizzazione dei petroli È stato frattanto riferito da Sciras che nella città si è verificata un’esplosione di polvere pirica e che parte della città stessa è tuttora in fiamme. Non sono stati forniti ulterioti particolari. Sciras conta circa 70 mila abitanti. Trentasette persone sono state tratte in arresto nella città di Resht, in seguito a una dimostrazione.
Domenica 29 aprile 1951
La nazionalizzazione del petrolio in Iran fa solo il gioco di Mosca
[...] «nazionalizzazione» significherebbe espropriazione. Negli impianti della Anglo-Iranian è investito capitale inglese per circa trecentocinquanta milioni di sterline. Il Governo persiano non ha denaro per pagare regolarmente i suoi funzionari; come potrebbe pagare quella somma? Quindi, per nazionalizzare, dovrebbe o impossessarsi degli impianti senza pagare un soldo, o prendere un prestito da un Governo straniero per pagare la Anglo-Iranian. Al quesito «quali sarebbero gli effetti della nazionalizzazione» si può rispondere con le parole del defunto Primo ministro Ali Razmara: l’effetto sicuro e immediato sarebbe la perdita per il Tesoro persiano dei quattro quinti delle sue entrate. È fuori dubbio che i Persiani non sarebbero capaci — per lo meno per decenni — di far funzionare una organizzazione industriale e commerciale cosi gigantesca e complessa come la Anglo-Iranian. Infine: perchè tutti, in Persia, vogliono la «nazionalizzazione», cioè un provvedimento che sconvolgerebbe l’economia e la finanza del Paese e che farebbe sorgere i più gravi pericoli per la sua indipendenza? Risposta: la vogliono i comunisti perchè sono comunisti, e, come tali, vogliono che non solo il petrolio persiano, ma essa stessa cada nelle mani del comunismo sovietico. La vogliono i nazionalisti per quell’odio torvo per lo straniero che cova in tutto l’Oriente musulmano. La vogliono le classi abbienti, il Majlis, perchè hanno bisogno di un capro espiatorio su cui riversare le loro responsabilità, e lo hanno trovato nella Anglo-Iranian. Le masse persiane sono in una miseria che supera ogni immaginazione. 1 capi nazionalisti, i latifondisti, i ricchi mercanti, che dominano il Majlis, attaccando la Anglo-Iranian, distraggono l’attenzione del volgo dal loro fallimento, e si danno le arie di combattere per liberare il Paese dalla miseria di cui sono la causa principale La risposta a questi quesiti cambierebbe completamente se il Governo persiano si rivolgesse all’estero per averne aiuto di capitali e di tecnici. Vi è un solo Governo che avrebbe forse la capacità e certamente l’interesse di fornirgli un tale aiuto: il Governo sovietico. E, anzi, già da parecchio tempo glielo ha offerto in modo esplicito. (da un articolo di Augusto Guerriero sul Corriere della Sera)
Mossadeq primo ministro?
Il «Majlis» persiano, riunitosi stamane in seduta segreta, ha proposto allo Scià di nominare Primo ministro in sostituzione del dimissionario Ala Hussein il dott. Mohammed Mossadeq che capeggia il gruppo nazionalista al quale si attribuisce l’organizzazione dei sanguinosi disordini di Abadan. La proposta del Parlamento, approvata da 79 deputati su 91, dovrà essere confermata dallo Scià. Stasera, poi, il Majlis, dopo una seduta durata sette ore e mezzo, ciò che costituisce un record nella storia parlamentare persiana, ha approvato all’unanimità il progetto di legge per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, invitando il Governo ad espropriare senz’altro la Compagnia Anglo-Iranian, controllata dal Governo di Londra. È stata inoltre proposta la creazione di una commissione mista governativa e parlamentare per esaminare gli eventuali reclami di altri Governi o delle compagnie petrolifere. Si afferma a Teheran che lo Scià è furente per la decisione del Majlis tendente ad imporgli di nominare Primo ministro il più accanito nazionalista del Paese. Vi è persino chi assicura che il sovrano potrebbe invocare i suoi poteri costituzionali per sciogliere il Majlis col proposito di instaurare un Governo stabile. Oggi Mossadeq, a nome del suo gruppo, ha precisato che intende dissociarsi dal partito comunista Tudeh messo al bando, al quale solo spetterebbe la responsabilità di aver fomentato i torbidi di Abadan e Isfahan. Oggi il Parlamento ha anche bocciato una mozione che prevedeva la vendita del petrolio nazionalizzato al maggior offerente (la Russia?) e ha stabilito che il petrolio deve essere venduto ai clienti precedenti in base ai prezzi internazionali. L’Anglo-Iranian Oil Company, dal suo canto, ha protestato già oggi contro le decisioni prese a suo danno dal Parlamento persiano. Viene riferito che in una nota inviata al Governo di Teheran l’Inghilterra si oppone risolutamente alla «possibilità di una simile infrazione all’accordo esistente tra il Governo imperiale (persiano) e la Compagnia». Si aggiunge che l’Inghilterra ha intenzione di inviare sul posto alcune cannoniere, che si trovano a non più di 48 ore di navigazione dai principali porti persiani, a protezione delle vite e dei beni britannici. Un portavoce del Foreign Office ha precisato che la Anglo-Iranian ha alle sue dipendenze in Persia circa 3.500 impiegati britannici.
Lunedì 30 aprile 1951
Viva preoccupazione a Londra per il petrolio iraniano
Questa mattina, con carattere di grande urgenza, il Gabinetto britannico si riunisce per esaminare la decisione presa dal Parlamento di Teheran di dar corso immediatamente alla nazionalizzazione delle industrie petrolifere britanniche nell’ Iran. Nel pomeriggio di oggi il ministro degli Esteri Morrison farà delle dichiarazioni in proposito alla Camera dei Comuni. A Londra la situazione è giudicata molto seria ed è fonte di gravi preoccupazioni soprattutto di carattere internazionale. Infatti, se il Governo inglese dovesse decidere di sbarcare delle truppe nel porto di Abadan per proteggere la vita dei cittadini britannici e le proprietà della Anglo-Iranian Oil Company, le truppe sovietiche potrebbero invadere la provincia dell’Azerbaijan persiano, secondo le informazioni fornite all’ambasciatore inglese a Teheran dall’ex-Primo ministro iranico Hussein Ala dimessosi venerdì scorso. Le concessioni dell’Anglo-Iranian avrebbero dovuto scadere il 31 dicembre dei 1993. Il Daily Telegraph rileva stamane, in un suo editoriale, la gravità dell’improvvisa votazione della legge sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere iraniane. «La Persia non ha né la capacità tecnica né le risorse finanziarie per sfruttare la ricchezza del suo sottosuolo. Ogni suo tentativo di far funzionare le industrie petrolifere della Anglo-Iranian, senza la collaborazione straniera, significherebbe rovinare gli impianti già esistenti e distruggere le basi sulle quali si regge la intera economia del Paese » Il giornale, dopo aver sottolineato il pericolo non solo per la Gran Bretagna, ma anche per altre Nazioni del mondo libero se dovesse venir meno il petrolio dell’ Iran, aggiunge: «Solo il comunismo, i cui agitatori hanno diretto, prima nascostamente e poi apertamente, la campagna antibritannica per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere persiane, può essere avvantaggiato dal collasso della economia dell’ Iran e dal divieto che il petrolio persiano arrivi nei Paesi dell’Occidente. Il Governo britannico sarebbe pienamente giustificato, anche se dovesse difendere con le misure più drastiche i suoi diritti, ma ciò potrebbe causare l’intervento dell’Unione Sovietica ».
Mercoledì 2 maggio 1951
Lo Scia firma la legge che nazionalizza il petrolio iraniano
La radio governativa persiana ha annunciato che nel tardo pomeriggio di oggi lo Scià ha firmato la legge che dispone la nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi. Essa diviene, cosi, costituzionalmente esecutiva. Mentre lo Scià firmava la legge, una nuova nota di protesta gli perveniva dal Governo inglese in merito alla decisione «unilaterale» di violare gli accordi esistenti tra Inghilterra e Persia per lo sfruttamento delle risorse petrolifere iraniane. Subito dopo l’annuncio dell’avvenuta firma, gli ambasciatori a Teheran dell’Inghilterra e dell’America si sono recati a conferire col Primo ministro. L’ambasciatore inglese Shepherd veniva in Seguito ricevuto anche dallo Scià. La nota del Foreign Office odierna avrebbe ribadito il principio (già espresso ai Comuni da Morrison) che il procedere da parte dell’ Iran alla progettata nazionalizzazione « nonostante » gli avvertimenti inglesi potrebbe comportare « assai serie conseguenze per l’avvenire ». Quanto al colloquio col Premier dell’ambasciatore americano Henry F. Grady — benché nulla sia stato ufficialmente precisato al riguardo — si ritiene che esso sia in connessione con l’affermazione fatta ieri da un portavoce che nella vendita libera del petrolio l’Iran avrebbe « favorito i vecchi clienti»: l’America appare preoccupata all’idea che il petrolio iraniano sia ora ceduto anche alla Russia. Com’è noto, ieri anche l’ambasciatore russo a Teheran Sadchilov si era recato a visitare il Primo ministro. Oggi nel pomeriggio il leader nazionalista ha visitato il sovrano per sottoporgli la lista dei componenti il nuovo Gabinetto che comprende quattro ministri già in carica col precedente Governo.
Venerdì 18 maggio 1951
Mossadeq, nuovo premier iraniano, sviene di continuo
«La sorte del petrolio persiano non è più dubbia: esso sarà nazionalizzato» Il dott. Mohamed Mossadeq si batte da decenni per la nazionalizzazione del petrolio, è andato al potere con questo programma, e non c’è ombra di dubbio che lo attuerà a qualunque costo. Quando ha prresentato il suo Governo al Majlis, ha detto: «Questo Governo, senza fare promesse a lontana scadenza, e considerando l’attuale situazione del Paese, limita il suo programma ai seguenti punti: 1) L’attuazione della legge del 30 aprile per la nazionalizzazione e l’assegnazione dei profitti al rafforzamento dell’economia del Paese e alla creazione dei mezzi di comfort e di agiatezza per il pubblico. 2) Il perfezionamento della legge elettorale». E, dopo aver fatto questo breve discorso, Mossadeq è svenuto. Sviene spesso. È un abile oratore, ma ogni volta che fa un discorso in Parlamento, sviene. Gli si apprestano cure, ed egli rinviene, . finisce il discorso, e, poi, sviene di nuovo, ed è portato via di peso. Probabilmente, continuerà a far cosi anche ora che è Presidente del Consiglio: a far discorsi e a svenire, e, fra uno svenimento e l’altro, « nazionalizzerà » il petrolio.
Giovedì 24 maggio 1951
Ultimatum di Mossadeq alla Anglo Iranian Oil Company
Il Governo persiano ha intimato un ultimatum di sette giorni alla Compagnia petrolifera britannica. Se entro il 30 maggio la Anglo-Iranian Oil Company, l’ex-Compagnia, come dicono i Persiani, non avrà accreditato i suoi rappresentanti per fissare le modalità del trapasso d’accordo col Governo, questo procederà alla nazionalizzazione senz’altro indugio. L’ultimatum è in realtà rivolto al Governo britannico, che possiede la maggioranza delle azioni della Compagnia, e risponde di fatto alla nota inglese di sabato scorso. La linea di condotta della diplomazia persiana che, essendo orientale, non manca di sottili furberie, consiste nel rivolgersi direttamente alla Compagnia e di rifiutare ogni intervento britannico col pretesto di dover respingere le intromissioni nei propri affari interni. Ma non c’è dubbio che l’azione di Mossadeq colpisce in pieno e direttamente l’Inghilterra nel suo prestigio, nella sua forza politica e militare e nei suoi interessi economici. Questo agitato parlamentare, sempre barricato dentro l’edificio del Parlamento, sta per infliggere all’Inghilterra il colpo più grave che essa abbia subito dopo la vittoria
Venerdì 25 maggio 1951
Mossadeq grida e piange davanti ai giornalisti e intima agli inglesi di andarsene
Il Premier persiano, Mohammed Mossadeq, ha avvertito gli Inglesi che è meglio cedere le concessioni petrolifere dell’ Iran sudorientale ai legittimi proprietari, anziché subire le probabili conseguenze di un rifiuto: una terza guerra mondiale e la caduta della civiltà occidentale. Mossadeq, che è un tipo altamente emotivo, ha avuto scoppi di pianto e frasi assai aspre nell’intervista concessa ai giornalisti, alla quale s’è presentato appoggiandosi a un deputato che lo aiutava a tenersi dritto. È la prima volta che il ministro appare in pubblico dopo esser riparato al palazzo del Parlamento per difendersi dagli attentati e difendere la nazionalizzazione dell’industria petrolifera persiana e comunicare ufficialmente che l’Anglo-Iranian non è più gradita in Persia. Ricordando e illustrando le fatiche e le miserie del povero popolo persiano Mossadeq ha pianto abbondatemente, ma la sua voce si è indurita minacciosa quando ha fatto ricadere ogni colpa sulla malvagia politica coloniale della Anglo-Iranian, sulla quale il Governo inglese ha un interesse preminente. Mossadeq ha lasciato poche speranze di compromesso: la Compagnia deve andarsene, egli ha detto, perché è una fonte di intrighi, di corruzioni e di interferenze negli affari interni della Persia. E con essa debbono andarsene anche gli agenti della Compagnia, perché essi hanno sacrificato tutto il Paese alle loro cupidigie.
Martedì 12 giugno 1951
Mossadeq garantisce a Truman: «Continueremo a vendere il petrolio ai vecchi clienti»
Il Primo ministro Mohammed Mossadeq, a quanto si apprende, oggi ha assicurato al Presidente Truman che la Persia darà la precedenza agli attuali clienti quando assumerà il controllo della Iranian Oil Company. È stato rivelato oggi il testo della risposta inviata ieri da Mossadeq tramite l’ambasciatore americano a Teheran alla recente lettera di Truman che esortava a comporre la vertenza mediante negoziati. La risposta oltre a dare le assicurazioni di cui sopra circa la vendita del petrolio rinnova anche l’accusa che agenti segreti della Anglo-Iranian hanno esercitato pressioni economiche sulla Persia per impedire un miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Mossadeq dice che l’ Iran non ha altra scelta che nazionalizzare la compagnia ma vuole rimanere amico della Gran Bretagna.
Domenica 17 giugno 1951
Mossadeq accetta un prestito dagli Stati Uniti di 25 milioni di dollari
Funzionari del Dipartimento di Stato hanno annunciato oggi che la Persia ha comunicato il suo desiderio di accettare il prestito di 25 milioni di dollari da parte della Export-Import Bank. Quando lo scorso settembre si iniziarono le conversazioni, funzionari persiani e la stampa di Teheran espressero il proprio rammarico perché il prestito era inferiore a quelli che gli Stati Uniti avevano concesso ad altri Paesi minacciati dal comunismo. Oggi invece il capo dell’ufficio stampa del Dipartimento di Stato ha dichiarato che il Primo ministro persiano Mossadeq ha fatto sapere al Governo degli Stati Uniti, tramite l’ambasciatore Grady, che ora l’ Iran accetta il prestito.
Mercoledì 20 giugno 1951
Requisita e occupata l’Anglo Iranian
II portavoce ufficiale persiano ha annunciato alle 15 (ora locale) che il Governo di Teheran ha ordinato la requisizione e l’occupazione totale di tutte le installazioni petrolifere della Anglo-Iranian Company. Ciò è stato deciso durante una riunione straordinaria di Gabinetto, durata sei ore, presieduta da Mossadeq, e tenuta nella camera da letto del Premier, oggi febbricitante. Il Gabinetto persiano ha inoltre nominato i suoi rappresentanti incaricati di prendere in consegna le installazioni e gli uffici vendite dell’AIOC. L’ufficio informazioni della Compagnia potrà venire chiuso immediatamente e, in base all’ordine governativo il nome della compagnia stessa dovrà venire cambiato in quello di Compagnia nazionale dei petroli iraniani. I profitti della Compagnia dovranno venire depositati in un conto bancario al nome della Compagnia nazionale. D’ora innanzi, in seguito a tali decisioni, ogni ordine dell’ufficio dei direttori della Anglo-Iranian Oil Company o del direttore centrale non saranno validi se non saranno controfirmati dal consiglio provvisorio d’amministrazione della Compagnia petrolifera nazionale dell’ Iran. Da Abadan giunge intanto notizia che stamane migliaia di lavoratori persiani hanno inscenato una vibrante manifestazione quando il vice-Primo ministro, Makki, ha alzato la bandiera dell’ Iran sulla sede della Anglo-Iranian Oil Company. Makki ha dichiarato che alzare la bandiera iraniana significava l’avvenuto inizio della gestione degli impianti della Compagnia da parte della Persia. I lavoratori si sono poi allontanati quando li ministro li ha invitati a ritornare al lavoro. Makki ha poi dichiarato che il Consiglio provvisorio di amministrazione sta attendendo di minuto in minuto ordini dalla capitale. La produzione per ora continua normalmente. Frattanto l’ambasciatore inglese ha dichiarato di essere ancora in attesa di istruzioni da Londra. Sir Francis Shepherd ha inoltre reso noto d’aver comunicato al console generale a Khorran Shahr, dove si trova la sede centrale della Anglo-Iranian Oil Company, di avvisare le mogli e i bambini dei dipendenti inglesi della Compagnia di essere prudenti e di partire appena possibile. Al massimo dovrebbero rimanere colà 100 dipendenti britannici.
Giovedì 28 giugno 1951
Desolazione ad Abadan
«Abadan ci apparve già agonizzante tre giorni or sono, quando l’aeroplano ci lasciò all’aeroporto civile sul quale tre quadrimotori attendevano di caricare le ultime donne e gli ultimi bambini inglesi. Le donne e i bambini inglesi partivano dopo aver sprangato le porte e chiuso le persiane delle case in cui avevano abitato per tanti anni circondati dal conforto che la potenza finanziaria dell’Anglo - Iranian Oil Company poteva abbondantemente elargire alle donne e ai bambini inglesi. Ora con occhiate alle porte e alle finestre spente, anche le case di Abadan, tutte case a un solo piano, larghe e spaziose, sembrano accompagnare l’agonia delle strade deserte e degli uffici vuoti. All’ingresso del Gimkana Club, un lussuoso palazzotto lucidato al cromo, era stata posta una lavagna su cui si leggeva: “I trattenimenti danzanti di oggi e domani sono stati rinviati a data da stabilirsi”» (da un articolo di Max David sul Corriere della Sera)
Domenica 8 luglio 1951
In Iran gli inglesi si rifiutano di lavorare, dimezzata la produzione di petrolio
Le autorità persiane hanno ingiunto stamane al personale britannico della Anglo Iranian Oil Company di restare in servizio per un mese almeno, a partire dal 27 giugno. Ciò allo scopo di impedire l’interruzione della produzione nei campi petroliferi. Giova tener presente che, in una lettera in data 27 giugno, indirizzata alle autorità iraniane da un comitato rappresentante tutte le sezioni del personale inglese, si dichiarava esplicitamente che non si voleva né si poteva lavorare per conto della Compagnia nazionalizzata. Nella risposta persiana si accusano ora i britannici di aver preso l’iniziativa di dimettersi, e si ricorda che «qualsiasi arresto o riduzione della produzione nelle raffinerie e qualsiasi perdita o danno subito dalla Persia o da altri Paesi liberi del mondo, consumatori del petrolio iraniano, ricadrebbero interamente sui dipendenti dell’AIOC». Le raffinerie di Abadan hanno tuttavia iniziato stamane a lavorare al 50 per cento delle loro capacità produttive. L’ordine di ridurre della metà l’attività produttiva è stato dato ieri dal direttore delle raffinerie, Kenneth Ross, allo scopo di mantenere in funzione gli impianti il più a lungo possibile. Tuttavia anche così fra venti giorni i serbatoi saranno pieni e tutto dovrà fermarsi, se nel frattempo non si sarà verificato qualche fatto nuovo. La riduzione porterà la produzione da 15 milioni e 100 mila galloni di petrolio grezzo al giorno a otto milioni e 300 mila. Le autorità persiane hanno infine interrotto oggi il flusso del petrolio nel solo oleodotto che unisce Abadan con la provincia di Bassora nell’Irak.
Martedì 17 luglio 1951
Otto altissime personalità persiane sono state comprate dai russi
Stamane Averell Harriman ha avuto un’ora di colloquio col Primo ministro Mossadeq, colloquio concretatosi in una «discussione generale» sulla controversia del petrolio. Mossadeq si trovava a letto. La conversazione ha avuto luogo in «un’atmosfera cordiale», secondo la definizione ufficiale. Harriman dovrebbe incontrarsi nel tardo pomeriggio con i membri della Commissione persiana per il petrolio M.L.M. Vasiliev, un ex-funzionario sovietico che l’anno scorso si trovava a Teheran come addetto alla missione commerciale russa, ha confermato la notizia che anticipammo lunedì scorso, relativa ad alcuni membri influenti del partito nazionalista che sarebbero stati « comprati » dall’Unione Sovietica La corruzione di alcuni membri del partito nazionalista persiano da parte dei sovietici rappresenta un palese mutamento della politica russa in Persia. Infatti Mosca, in un primo tempo, si servì del partito comunista persiano, il Tudeh, per penetrare nell’ Iran, ma dopo aver oscillato a lungo cambiò tattica e circuì ì membri più influenti dell’opposizione nazionalista. Tra le otto personalità del partito del dott. Mossadeq, tutte conosciute, che sono al soldo sovietico, vi è anche il deputato M. Makki, il portavoce della commissione persiana per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere.
Mercoledì 28 novembre 1951
Gli inglesi erano pronti a dividere con i persioni 50-50 i profitti del petrolio
Il segreto dell’errore commesso dal Governo laborista nella vertenza anglo-persiana dei petroli e le ragioni della ostinata intransigenza del Governo di Teheran nelle trattative coi rappresentanti britannici potrebbero essere spiegati dal bilancio della Anglo-Iranian Oil Company e dal rapporto aggiuntivo del suo presidente, che sono stati pubblicati questa mattina. La Compagnia petrolifera ha annunciato che nella gestione dello scorso anno i suoi profitti ammontarono alla favolosa cifra di 115.495.994 sterline, pari a circa 200 miliardi di lire italiane. Da questo totale devono tuttavia detrarsi 34 milioni di sterline per usura degli impianti fissi e 24 milioni spesi per i sondaggi di nuove zone petrolifere. L’Anglo-Iranian quindi ha incassato dalla vendita del petrolio 81 milioni di sterline, cioè il doppio dell’anno precedente. Il Governo britannico ha guadagnato con le sue tasse oltre 50 milioni di sterline lasciando cioè alla Compagnia petrolifera un netto di 33 milioni di sterline (35 miliardi di lire italiane) di cui 26 accantonati come capitale e sette distribuiti agli azionisti. Che cosa è toccato ai Persiani nel 1950? Sedici milioni di sterline; se i Persiani avessero ratificato gli accordi supplementari del 1949 avrebbero potuto guadagnarne 33 milioni, perché l’Anglo-Iranian, immediatamente dopo i contratti firmati tra una compagnia petrolifera americana e il Governo dell’Arabia Saudita sulla base della spartizione in parti eguali dei profitti, fece nel gennaio scorso una analoga offerta al Governo persiano che è rimasta segreta fino a oggi. Nel rapporto firmato dal presidente della Anglo-Iranian a illustrazione delle cifre del bilancio è detto che l’ Iran con l’incasso per i suoi diritti di dogana e altre tasse avrebbe potuto ricevere complessivamente circa 50 milioni di sterline all’anno.
Giovedì 6 dicembre 1951
Disordini a Teheran, tre morti
Dalle ultime informazioni risulta che nei disordini provocati da cinquemila studenti comunisti a Teheran questa mattina, si sono avuti tre morti ed oltre duecento feriti. Dopo cinque ore di lotta in azioni sparse, i dimostranti comunisti sono stati dispersi e poi volti In fuga dalla polizia e dagli elementi anti-comunisti. La polizia, nella maggior parte dei casi, ha fatto fuoco in aria, e s’è servita apre. ferenza di sfollagente, getti di acqua e bombe lacrimogene. I giovani nazionalisti, seguaci di Mossadeq, hanno incendiato la sede comunista del «-Movimento per la pace », devastando le sedi delle pubblicazioni comuniste e fatto grandi falò nelle strade degli opuscoli e volantini di propaganda comunista. Le autorità di polizia persiane hanno ordinato a Michael Clark, corrispondente del New York Times, di lasciare l’ Iran entro quarantotto ore. Il Clark è accusato di essere un agente della Anglo-Iranian Oil Company.
Venerdì 21 dicembre 1951
L’Iran senza più soldi richiama gli ambasciatori di Londra, Roma e New Delhi. Forti tagli agli stipendi dei diplomatici
Il portavoce del Governo persiano Jevad Bushiri ha dichiarati ieri che gli ambasciatori persiani a Londra, Roma e Nuova Delhi, nonché altri rappresentanti diplomatici, sono stati richiamati temporaneamente nell’ Iran per « mancanza di divise estere ». Egli ha aggiunto che è state necessario inoltre ridurre dal 23 al 40 per cento gli emolumenti di tutti i diplomatici persiani. Il portavoce ha affermato inoltre che una missione cecoslovacca è stata invitata a Teheran per concludere un accordo per l’acquisto di petrolio iraniano. Come si ricorderà, il vice-Primo ministro Hussein Fatemi affermò, la settimana scorsa, che la Polonia e la Cecoslovacchia avevano offerto all’ Iran di acquistare ciascuna circa 500 mila tonnellate di petrolio raffinato e grezzo.
A Teheran contrasti sempre più forti tra la Corte e Mossadeq
Secondo notizie giunte da Teheran al Daily Teiegraph le relazioni fra il Governo Mossadeq e la Corte dello Scià sarebbero peggiorate a tal punto che si prevedono nei prossimi giorni importanti sviluppi nella critica situazione interna della Persia. Lo Scià sembra ora deciso ad appoggiare le correnti di opposizione al Fronte nazionale, il partito di cui è capo l’attuale Primo ministro. La regina madre in particolare avrebbe manifestato la sua simpatia per quei deputati e per quei direttori e redattori dei giornali di opposizione che si sono rifugiati nel Parlamento l’8 dicembre scorso per sfuggire alle rappresaglie dei fanatici gruppi nazionalisti persiani. Mossadeq, essendo venuto a conoscenza che lo Scià, preoccupato della sempre più difficile situazione economica in seguito al punto morto cui è giunta la crisi dei petroli anglopersiana, avrebbe deciso di agire per la salvezza del Paese, gli ha inviato un ultimatum perché faccia cessare le interferenze della Corte nelle questioni politiche. Nella sua rischiosa intimidazione Mossadeq avrebbe minacciato anche di dimettersi per iniziare subito dopo una campagna contro la Corte stessa. Nel suo ultimatum il Primo ministro avrebbe poi denunciato gli intrighi della regina madre a favore dell’opposizione e dei rifugiati nel Parlamento ai quali ella avrebbe fatto giungere doni e viveri. Non appena ricevuta la lettera di Mossadeq lo Scià invitava nel suo palazzo la regina madre e le ingiungeva di attenuare le sue manifestazioni politiche. Questo gesto avrebbe soddisfatto il Primo ministro, ma in realtà sulla capitale persiana pesa ora un incubo grave. La regina madre si è rifiutata di ritornare nella sua residenza fuori di Teheran per timore di qualche vendetta. Sembra che la madre dello Scià abbia informato il figlio che Mossadeq tenterebbe di impossessarsi del potere obbligando la famiglia reale a ritirarsi in esilio. La situazione persiana è insomma peggiorata in questi ultimi giorni in seguito ai contrasti fra il Governo e la Corte: appare sempre più manifesta l’intenzione, da parte dei capi dell’esercito, di intervenire per ristabilire l’ordine e la calma politica e rimettere in funzione le raffinerie di Abadan e i pozzi petroliferi che sono la sola e grande risorsa economica persiana.
Lunedì 24 dicembre 1951
Mossadeq chiede soldi in prestito ai persiani. L’ostilità verso di lui della regina madre
Il Primo ministro persiano, dott. Mossadeq, in un discorso alla radio, ha rivolto ieri sera un appello al suo popolo perché sottoscriva entro i prossimi due mesi un prestito nazionale di dieci milioni di dollari, destinato a fornire allo Stato i mezzi finanziari di cui oggi esso difetta per la perdita dei redditi del petrolio. Dopo una burrascosa seduta a porte chiuse, il Senato ha invitato iersera Mossadeq e i membri del Governo a una riunione segreta da tenere oggi per spiegare il prolungarsi della crisi petrolifera che aggrava la situazione del Paese. Continuano, frattanto, i negoziati tra Mossadeq e la Banca Mondiale sulla proposta della Banca stessa per un finanziamento dell’industria dei petroli persiani. Pare che il Governo dell’ Iran sia interessato alla proposta, ma non si pronunci definitivamente per tenere alto il più possibile il prezzo di vendita del petrolio.È stato confermato ieri che una settimana fa il Primo ministro Mossadeq aveva deciso di rassegnare le dimissioni per l’ostilità della madre dello Scià al suo Governo. Il fatto sarebbe accaduto il 16 dicembre, allorché Mossadeq convocò il ministro di corte per comunicargli che aveva deciso di rassegnare le dimissioni lanciando nel contempo un radio-messaggio al popolo. In quella occasione egli accusò la regina madre di avere rapporti troppo stretti con l’ex-Premier Ahmad Qavan che nella stampa d’opposizione era stato menzionato quale probabile successore di Mossadeq. Dopo dodici ore di negoziati, comunque, il Premier rinunziò ai suoi battaglieri propositi.
Giovedì 27 dicembre 1951
Il Parlamento iraniano vuole mettere in stato d’accusa Mossadeq
Nella seduta odierna del Parlamento iraniano, che doveva autorizzare il pagamento degli stipendi agli statali, i « leaders » dell’opposizione hanno consegnato al presidente della Camera una lettera con la quale chiedono la convocazione del Parlamento in una sessione straordinaria, durante la quale l’opposizione proporrebbe che Mossadeq e il suo Governo vengano posti in stato di accusa. In base alla procedura vigente nell’ Iran, il presidente della Camera è tenuto, dopo consultazioni con il Primo Ministro, a convocare la sessione straordinaria entro un mese dalla richiesta. La lettera dei « leaders » dell’ opposizione è accompagnata dal testo della mozione con la quale il Governo verrebbe posto in stato di accusa perché : 1) ha violato la legge; 2) ha privato il popolo della libertà e della sicurezza; 3) ha seguito una politica economica disastrosa; 4) ha mancato di rispetto al Parlamento.
Martedì 1 gennaio 1952
La Libia riconosce Faruk re d’Egitto e del Sudan
Il Governo libico, dopo aver esitato per più di una settimana, ha finito per riconoscere Re Faruk come sovrano dell’Egitto e del Sudan. Il Primo ministro libico, Mahmoud Bey Muntasser, ha annunziato oggi, infatti, che sabato scorso l’ambasciatore egiziano Fadel Bey Salan El Din è stato ricevuto dal Senusso ed è stato accreditato presso di lui come rappresentante diplomatico di «Re Faruk d’Egitto e del Sudan». Il Primo ministro ha colto l’occasione per dichiarare che la controversia anglo-egiziana relativamente al Sudan non interessa la Libia. L’accettazione delle credenzial in tale forma ha proseguito il Premier libico «non significa niente di più del fatto che la Libia nutre per il popolo egiziano e per il popolo sudanese sinceri sentimenti di amore e di profondo affetto e desidera mantenere tanto con l’uno quanto con l’altro rapporti di vera fratellanza. Il Governo libico esprime la sua profonda speranza che la questione dei rapporti fra le due Nazioni sorelle possa essere risolta stabilmente in un modo che soddisfi le aspirazioni di entrambe».
Ribelli all’opera in Egitto. Non vogliono gli inglesi sul Canale di Suez
Guerriglieri egiziani si ribellano al regime di Faruk, che tollera ancora la presenza degli inglesi sul Canale di Suez. Scontri a fuoco sono avvenuti nella notte a Ismailia. Concentrati al riparo di due moschee, i guerriglieri hanno aperto il fuoco contro le forze britanniche di servizio sul ponte « Ymca » e sul ponte Suez, alla periferia della città. Nelle vicinanze di Suez s’è invece verificata un’incursione di commandos guerriglieri, durata sette ore dalle 21 di ieri alle 4 di stamane contro gli acquartieramenti inglesi e le installazioni militari. Questi scontri mirano a spingere il Governo a uscire dal temporeggiamento sul quale aveva ripiegato alcuni giorni or sono per non complicare la già confusa situazione creatasi in Egitto dopo la manifesta intenzione di Faruk di appianare nel migliore dei modi le divergenze con Londra. A riaccendere l’intransigenza del Governo ha, comunque, provveduto ieri stesso il gen. Brian Robertson, ribadendo la decisione britannica di mantenere le posizioni nella zona del Canale. Il Primo ministro Nahas Pascià non aspettava forse occasione migliore per schierarsi ancora una volta apertamente con l’estrema nazionalista e infatti ha reagito rincarando la dose di accuse di «brutale aggressione» e di «barbaro terrorismo» a carico degli Inglesi. Il leader wafdista ha colto inoltre l’occasione per tirare dalla sua parte re Faruk, affermando che «le minacce imperialistiche di Londra non ostacoleranno i nostri sforzi verso la realizzazione del nostro obiettivo di una completa e immediata evacuazione britannica e dell’unione col Sudan sotto la corona egiziana». Nahas, facendo sua una espressione usata ieri da Robertson, ha ripetuto che l’Egitto «affronterà la forza con la forza» e ha aggiunto che il suo Governo non discuterà il recente invito a partecipare al patto del Medio Oriente o ad altre proposte finchè un solo Inglese armato rimarrà in Egitto.
Sabato 26 gennaio 1952
Legge marziale al Cairo
II Cairo - Da questa sera è in atto la legge marziale in tutto l’Egitto, rincarata al Cairo da un coprifuoco dalle 18 alle 6. Una folla esasperata ha infatti distrutto e dato alle fiamme un centinaio di locali pubblici, intemperanze di popolo che affluiscono da varie località del Delta del Nilo hanno indotto il Governo wafdista ad adottare energiche misure di emergenza. Il decreto che impone a tutto il territorio egiziano la legge marziale è stato firmato da re Faruk a palazzo Abdin, dove il Primo ministro, Nahas pascià, si è recato a riferire al sovrano appena conclusa la riunione di Gabinetto. Precedentemente Faruk aveva conferito con esponenti dell’esercito e anche con l’ambasciatore degli Stati Uniti, Jefferson Caffery. Questa sera la capitale è controllata da reparti dell’esercito fatti affluire in città alle 17.45 quando è apparso chiaro che la polizia non era in grado di controllare la piazza e che anzi in molti casi evitava di proposito di mettersi contro i dimostranti. Forti pattuglie motorizzate dell’esercito perlustrano tutti i quartieri, mentre nel cielo si levano i bagliori degli incendi che continuano ad ardere al centro e alla periferia. Una folla assetata di vendetta è rimasta padrona della capitale per tutto il pomeriggio, caricando la polizia, distruggendo negozi e locali d ritrovo, dando alle fiamme cinema, caffè ed alberghi. Completamente distrutti risultano ritrovi notturni famosi come il Badia Dancing Club e il Sofia Helmi, sale cinematografiche come il Rivoli, alberghi come lo Shepheard. Distrutti, fra l’altro, i ristoranti Groppi e Parisiana, il teatro Miami, il Turf Club nel quale hanno trovato la morte tre Inglesi, il caffè Ritz, gli uffici della Compmgnia aerea inglese Boac, i locali del British Institute. La polizia ha limitato la sua reazione a cariche di sfollagente, ricorrendo solo di rado a tiri intimidatori di fucileria e al lancio di gas lacrimogeni. I vigili del fuoco hanno potuto ben poco, poiché i dimostranti li ostacolavano tagliando le maniche d’acqua degli idranti. Sedici dimostranti risultano morti e circa ottanta sarebbero i feriti, gente travolta dagli incendi da essa stessa provocati. Il leader socialista Hamez Hussein è stato arrestato in serata pesando a suo carico notevoli responsabilità per i tumulti verificatisi oggi nella capitale.
Che cos’è il partito Wafd
Il partito politico Wafd (Arabo حزب الوفد المصري, Ḥizb al-Wafd al-Miṣrī, "Partito Egiziano della Delegazione") è stato uno dei più antichi partiti politici egiziani. Wafd significa "Delegazione" e l’origine del nome deriva dalla volontà dei circoli politici egiziani più illuminati d’inviare nel 1919, al termine della prima guerra mondiale, una propria delegazione alla Conferenza di pace di Parigi per perorare la causa dell’indipendenza dell’Egitto dal Regno Unito.La Delegazione era composta - secondo la tradizione contemporanea egiziana - sia da politici di cultura islamica, sia di cultura cristiana moderna, di vari orientamenti politici, tutti riuniti dal superiore ideale di indipendenza e libertà del Paese, dopo che il Regno Unito, approfittando delle dissennatezze finanziarie del Khedivato, aveva imposto il suo giogo, non solo economico per ripianare i grave deficit creato dall’Egitto e salvaguardare in tal modo gli investimenti anglo-francesi della Compagnia del Canale di Suez, ma per piegare il Paese arabo alla sua politica di potenza planetaria. Non a caso la Gran Bretagna si oppose all’invio di tale Delegazione. A seguito però della Rivoluzione egiziana del 1919, il Regno Unito decise di concedere unilateralmente il 28 febbraio 1922 l’indipendenza all’Egitto e una Costituzione, pur imponendo una serie di limitazioni di non poco conto. Fu il fatto che la Costituzione fosse stilata da una Commissione e non da un parlamento liberamente eletto a far sì che il Wafd rifiutasse tale Costituzione (malgrado fosse del tutto favorevole a una Carta costituzionale) e fu questo il motivo per cui un gruppo di wafdisti, tra cui ’Abd al-’Aziz Fahmi, si staccò dal partito per dar vita al Partito dei Liberali Costituzionali. (wikipedia)
Lunedì 28 gennaio 1952
Al Cairo nuovo governo e legge marziale per due mesi
Il Cairo - Re Faruk ha nominato un nuovo capo del governo nella persona di Maher pascià. Lo spunto per congedare il Governo di Nahas pascià il sovrano l’ha colto nei torbidi di sabato, i quali avrebbero dimostrato chiaramente, come afferma la lettera inviata da Faruk al Primo ministro wafdista, «l’incapacità del Governo da voi capeggiato di assicurare l’ordine al Paese». Il programma di Maher pascià, come egli l’ha tratteggiato in un radio-discorso alla Nazione prima ed al Parlamento poi, è in sostanza il programma nazionalista del Wafd: sgombero degli Inglesi dalla zona del Canale e unità della Vallata del Nilo sotto la Corona egiziana. Ha in più il proposito di ristabilire a qualunque costo la legge e l’ordine nel Paese, ed ha in meno l’avversione all’Occidente. Lunghi ed accurati contatti avuti fra ieri ed oggi con tutti gli esponenti politici, wafdisti compresi, hanno consentito al nuovo Primo ministro di dichiarare stasera in Parlamento che egli sa di poter contare sulla collaborazione di tutti i settori politici. Con il voto di fiducia Maher pascià ha ottenuto dalla Camera e dal Senato l’approvazione alla richiesta di applicare per due mesi la legge marziale a tutto l’Egitto, provvedimento che egli si propone di revocare o proroga
Giovedì 31 gennaio 1952
Bilancio degli scontri in Egitto
«L’Associazione dei Fratelli Musulmani, il più antico e influente gruppo fondamentalista egiziano, istigò una rivolta contro i britannici, la cui perdurante occupazione della zona del Canale di Suez faceva infuriare i nazionalisti. Nel gennaio 1952, in risposta al massacro di cinquanta poliziotti egiziani a opera degli inglesi, folle tumultuanti organizzate dai Fratelli musulmani diedero fuoco a cinema, casinò, grandi magazzini, locali notturni e autosaloni del Cairo, simboli, a loro modo di vedere, di un Egitto che aveva legato il suo futuro all’Occidente. Vennero uccise almeno trenta persone, 750 edifici furono dati alle fiamme e dodicimila persone rimasero senza un tetto. Il sogno del Cairo come metropoli cosmopolita ebbe fine, e la comunità degli espatriati iniziò il suo esodo» (Lawrence Wright, Gli anni del terrore, Adelphi).
Sabato 1 marzo 1952
Dimissioni di Maher al Cairo, gli subentra Hilaly
Per rapporti complicati con il Parlamento, al Cairo si è già dimesso il primo ministro Alì Maher, da poco nominato. Al suo posto re Faruk ha incaricato Naguib el Hilaly, ex wafdista, il cui compito è di riallacciare i rapporti col Parlamento in modo che sia possibile continuare i negoziati con gli Inglesi per il Canale di Suez.
Martedì 6 maggio 1952
Faruk discende da Maometto?
Il capo di una setta musulmana i cui membri affermano di discendere direttamente da Maometto annuncia che re Faruk discenderebbe da Maometto in linea materna. La madre del Sovrano è figlia di Ismail Sabri pascià, che, secondo i giornali del Cairo, apparteneva a un’antica famiglia turca. Secondo l’albero genealogico di re Faruk, tracciato da due dirigenti della setta, ricevuti ieri a Palazzo reale, la madre del Sovrano è discendente da Abdullah el-rHussein, figlio di Fatima, figlia del Profeta (dal Corriere d’Informazione).
Lunedì 9 giugno 1952
Mossadeq all’Aia denuncia la Anglo Iranian: «Era un covo di spie»
Il primo ministro persiano Mossadeq si è presentato stamane alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja per patrocinare la causa del suo Paese nella vertenza dei petroli. Mossadeq è giunto alla sede della Corte una ventina di minuti prima che si aprisse l’udienza, a bordo di una automobile del Ministero della Giustizia olandese, scortata da agenti in motocicletta. Altri agenti vigilavano intorno al palazzo e nell’aula delle udienze. Il Primo ministro iraniano, che indossava un elegante abito da mattino, è entrato in aula appoggiandosi a un bastone da passeggio, aiutato dal figlio, suo medico curante, e dal ministro persiano all’Aja, Navab. I rappresentanti legali della Gran Bretagna avevano preso posto in precedenza. L’udienza ha avuto inizio alle undici, sotto la presidenza di José Gustavo Guerrero, della Repubblica del Salvador, che sostituiva il presidente della Corte Sir Arnold McNair, cittadino inglese, e quindi legato a una delle parti in causa. Appena dichiarato aperto il dibattimento, il ministro persiano all’Aja ha presentato alla Corte Il Primo ministro Mossadeq. Quando il Premier si è nuovamente seduto, il belga Henri Rolin, consulente per la Persia, ha preso la parola sostenendo in particolare che la vertenza è una questione interna dell’Iran, completamente al di fuori della competenza della Corte. Quando è stato il suo turno, Mossadeq si è alzato ad affermare solennemente che la Gran Bretagna aveva fatto della Anglo Iranian Oil Company «uno Stato entro lo Stato». Mossadeq ha parlato in francese con voce chiara. Egli ha detto che la Anglo Iranian prima del 1950, quando il petrolio venne nazionalizzato, aveva un proprio servizio di spionaggio non solo nell’ambito della Compagnia ma in tutta la Persia. Egli ha quindi osservato che da mezzo secolo la Persia è sempre stata presa di mira, per la sua ricchezza petrolifera, da due Potenze rivali, la Gran Bretagna e la Russia. Dopo avere sostenuto che la legge persiana per la nazionalizzazione è molto moderata, il Premier ha espresso la speranza che sarà resa giustizia al suo Paese. «La Persia è uno Stato sovrano e libero — ha esclamato alla fine Mossadeq — pertanto la Persia chiede alla Corte di rifiutarsi di intervenire in questa questione».
Venerdì 13 giugno 1952
Piccola petroliera italiana piena di petrolio iraniano naviga lungo il Canale di Suez
Un portavoce del Foreign Office ha dichiarato oggi che il Governo italiano non concederà alcun permesso di importazione di petrolio proveniente dalle industrie del Golfo Persico, già gestite dagli inglesi e l’anno scorso nazionalizzate dal Governo dell’Iran. Il portavoce ha fatto questa dichiarazione in risposta a una richiesta di informazioni sui passi che il Governo britannico avrebbe fatto in seguito alla notizia che una piccola petroliera battente bandiera dell’Honduras e denominata Rose Mary aveva imbarcato mille tonnellate di petrolio a Bandar Mashur. Il petrolio, secondo la stessa notizia, sarebbe stato venduto alla Compagnia Ente Petroli Italia-Medio Oriente, che lo trasporterebbe in Italia per farlo raffinare, e metterlo quindi a disposizione della Bubenberg Petroleum Co. per la consegna alla Svizzera. Il portavoce ha dichiarato testualmente: «Il Governo italiano ha risposto assicurando il Governo di S. M. di non aver dato alcuna approvazione a tale transazione, alla quale peraltro è completamente contrario, e assicurandolo inoltre che nelle attuali circostanze non sarà rilasciata alcuna licenza di importazione per l’inoltro attraverso le dogane italiane di qualsiasi quantitativo di petrolio iraniano». Il portavoce ha aggiunto che invece dalla Svizzera non è stata ricevuta alcuna risposta. È presumibile che la petroliera Rose Mary transiti per il Canale di Suez in rotta per l’Italia. Fonti competenti inglesi non sono tuttavia in grado di precisare l’esatto punto in cui ora la petroliera si trovi. A Berna un portavoce della Legazione britannica in Svizzera ha dichiarato oggi che la Gran Bretagna non ha presentato alcuna protesta presso il Governo elvetico per impedire l’importazione di petrolio persiano. Il portavoce ha detto di essere al corrente che qualche importatore svizzero di petrolio stava considerando la possibilità di acquistare petrolio raffinato proveniente come grezzo dalla Persia, ed ha aggiunto che la Legazione britannica non avrebbe protestato contro tali acquisti. « Noi non richiederemmo alcuna azione da parte del Governo svizzero — ha detto il portavoce — che sappiamo in anticipo andrebbe al di là dei poteri costituzionali del Governo stesso ». (Non esiste in Svizzera alcuna raffineria in grado di trattare grossi quantitativi di grezzo.)
Scheda sulla petroliera Rose Mary
In merito alle vicende della petroliera Rose Mary (questo è il nome esatto della nave), che ha caricato mille tonnellate di petrolio grezzo nel porto persiano di Bandar Mashur, l’Ansa ha attinto a fonte competente le seguenti precisazioni. La Rose Mary, inscritta al n. 24.675 del Lloyd’s Register of Shipping, è una piccola petroliera di 632 tonn. s.1., costruita negli S.U. nel 1944, ed è di proprietà della Compania de Navigacion Teresita con sede a Panama. Tuttavia la nave batte bandiera dell’Honduras essendo iscritta nel porto di Puerto Cortes. Sembra che fra gli azionisti della suddetta vi siano cittadini svizzeri residenti a Ginevra. Fino al 15 aprile u. s. la nave era appoggiata ai fratelli Cosulich di Genova, nella loro qualità di agenti generali, ed ha compiuto, con equipaggio in gran parte italiano, vari viaggi con carico di petrolio grezzo. Alla suddetta data la Compagnia armatrice ha concluso un contratto di noleggio a tempo (Time Carter) direttamente con la Bubenberg Petroleum Co. che ha attualmente la disponibilità della nave.
Lunedì 23 giugno 1952
Gli italiani dell’Epim continueranno a comprare petrolio iraniano
I rappresentanti a Teheran della Compagnia « Epim » hanno dichiarato in una lettera aperta che « decine di petroliere seguiranno l’esempio del « Rosa Maria » ed esporteranno petrolio dall’ Iran. La lettera si erge con violenza contro le «manovre inglesi sfociate nel sequestro del Rosa Maria che trasportava 800 tonnellate di petrolio grezzi dall’ Iran, dopo che gli Inglesi si furono assicurati la complicità del proprietario della petroliera ». La lettera sottolinea inoltre come il capitano della « Rosa Maria » sia stato ripetutamente sollecitato dagli Inglesi a comprare petrolio nell’emirato di Kuwait, protettorato inglese, invece di recarsi ad Abadan. I rappresentanti dell’Epim assicurano pertanto l’opinione pubblica iraniana « che questa esperienza non scoraggerà l’Epim la quale continuerà i suoi acquisti di petrolio iraniano ».
Lunedì 30 giugno 1952
In Egitto dimissioni di Hilaly
La B.B.C. annunciava ieri sera che re Faruk ha accettato le dimissioni del Primo ministro egiziano, Hilaly pascià, ed ha incaricato un altro indipendente, Sirry pascià, di formare il nuovo Governo. La nuova formazione governativa è stata decisa dopo una serie di intense consultazioni in cui re Faruk ha svolto una parte di primo piano. Sirry pascià è già stato due volte capo del Governo egiziano, dal 1940 al 1942 e dal 1949 al 1960, anno in cui salì al potere il Governo wafdista di Nahas pascià disciolto dal sovrano nel gennaio scorso in seguito ai sanguinosi disordini avvenuti al Cairo. L’Ambasciata americana ha emanato ieri sera una dichiarazione relativa ad alcune affermazioni del Primo ministro dimissionario, Hilaly pascià, secondo cui i « leaders » wafdisti avrebbero offerto ad una rappresentanza diplomatica straniera la partecipazione dell’Egitto al comando per la difesa del Medio Oriente in cambio dell’appoggio, da parte di quella rappresentanza, ad un’azione intesa ad ottenere le dimissioni del Governo di Hilaly pascià e la sua sostituzione con un Governo wafdista impegnato ad un atteggiamento conciliante nei confronti delle Potenze occidentali.
Venerdì 4 luglio 1952
Nave pakistana urta e danneggia la Rose Mary
Si apprende che domenica scorsa la petroliera Rose Mary, di 632 tonnellate, è rimasta leggermente danneggiata in seguito ad una collisione con il cacciatorpediniere pakistano Tippu Sultan. La petroliera ha riportato qualche danno alle attrezzature del ponte. La società italiana « Ente petrolifero del Medio Oriente», che aveva noleggiato la petroliera, ha incaricato due avvocati del Cairo di patrocinare la propria causa ed opporsi alla confisca del carico della Rose Mary preteso dall’Anglo-Iranian Oli Company e su cui la Corte di Aden il 16 luglio prossimo dovrà pronunciarsi. E’ noto che la Rose Mary si trova attualmente all’ancora ad Aden in attesa della decisione di quella magistratura. I due avvocati dell’Ente petrolifero, Constantine Zarrls e Onig Madjarian, hanno dichiarato oggi di avere ottenuto i visti per recarsi nel protettorato britannico. Hanno aggiunto che intendono presentarsi alternativamente di fronte alla Corte fino alla conclusione della vertenza.
Lunedì 21 luglio 1952
Dopo solo tre settimane si dimette al Cairo Sirry Pascià
Re Faruk ha accettato le dimissioni del Primo ministro Hussein Sirry Pascià, dopo avere cercato vanamente di convincere il Premier a mutare d’opinione. Sirry Pascià partirà per l’Europa mercoledì. Re Faruk inizierà oggi stesso le consultazioni per la designazione di un altro Primo ministro. Si apprende che la lettera di dimissioni rimessa al re da Sirry Pascià era estremamente concisa; si ritiene che dicesse semplicemente «di non poter più a lungo continuare la missione » assunta appena da tre settimane. I circoli politici vanno cauti nel fare previsioni sul successore di Sirry Pascià. Non si esclude la possibilità che l’incarico venga riaffidato al Primo ministro dimissionario.
Hilali torna al governo
Re Faruk ha accettato le dimissioni del Governo di Sirry Pascià. Ne ha dato notizia stasera Omar Sherin Bey, segretario di Afifi Pascià, ministro della real casa. Poco dopo è stato annunciato ufficialmente che Afifi Pascià, per incarico del sovrano, ha chiesto ad Ahmed Naguib el Hilali Pascià di formare il nuovo Governo, il sesto nel periodo di un semestre. Hilaly che, come si ricorderà, dette le dimissioni da Primo ministro il 29 giugno scorso, ha ricevuto istruzioni di iniziare le consultazioni di rito immediatamente. Hilaly, a quanto sembra, costituirà il Governo con gli stessi elementi tecnici e senza partito che formavano il Gabinetto già da lui presieduto. Mortada el Maraghi Pascià, che fu ministro dell’Interno e della Guerra in tale Gabinetto, è già in viaggio stasera dal Cairo verso Alessandria, con tutta probabilità per assumere nuovamente le stesse funzioni. La composizione del nuovo Governo sarà annunciata domattina.
Mercoledì 23 luglio 1952
Colpo di stato al Cairo. Il generale Neguib prende il potere, Faruk si piega
Da stamane in Egitto comandano i militari. L’esercito, coalizzatosi nel giro di poche ore attorno al generale Mohamed Neguib, ha preso il sopravvento sui politici, ha proclamato dimissionario il Governo formato ieri da Hilaly pascià e ne ha imposto un altro capeggiato da Alì Maher. Faruk, la cui reazione sembrava dovesse esplodere improvvisa, ha dovuto accettare il fatto compiuto e questa sera ha dato ufficialmente mandato di formare il Governo ad Ali Maher. Il programma del nuovo Governo, già stasera tratteggiato nelle grandi linee e impostato su un Gabinetto di coalizione, è quello inaugurato da Maher nel periodo dal 27 gennaio al primo marzo, in seguito all’allontanamento del Wafd dal potere dopo i sanguinosi disordini del 26 gennaio al Cairo: lotta alla corruzione, epurazione su larga scala in tutti i settori e realizzazione delle aspirazioni nazionali egiziane. Il colpo militare portato a termine dal generale Mohamed Neguib ha avuto inizio alle tre di stanotte e si è concluso, come manifestazione di forza, alle 11,30. In otto ore e mezzo la frazione dell’esercito insoddisfatta è riuscita ad assicurarsi il pieno controllò dei centri vitali della Nazione, bloccando e presidiando tutte le principali località ed i settori strategici dell’Egitto. L’annuncio alla Nazione è stato dato attraverso la radio dallo stesso Neguib, il quale alle 7.15 ha rivolto due appelli: uno alla popolazione e l’altro agli ufficiali. In entrambi affermava che l’intervento delle Forze armate si era reso indispensabile in seguito al dilagare della corruzione e della malafede in tutti i settori della vita egiziana. Neguib aggiungeva che non sarebbero state tollerate contromanovre da qualsiasi parte venissero, e che i suoi reparti avevano ordine di sparare a vista su coloro che avessero opposto resistenza. Leggi qui l’articolo di Augusto Guerriero
Sabato 26 luglio 1952
Il re Faruk abdica e parte sul suo yacht verso l’esilio in Italia
Da stamane a mezzogiorno Faruk non è più re degli Egiziani. Il movimento rivoluzionario capeggiato dal generale Neguib ha travolto anche il sovrano, che, circondato nella propria reggia di Alessandria, ha dovuto piegarsi stamane al generale riformatore»: abdicazióne e abbandono immediato del Paese. Il panfilo reale Mahrussa, la bella imbarcazione che appena dodici mesi or sono portò il sovrano in luna di miele sulle più eleganti spiagge d’Europa, ha salpato le àncore alle 18 precise di oggi dal porto di Alessandria con a bordo l’ex-re. L’esilio negli Stati Uniti attende Faruk. Sono con lui l’ex-regina Narriman, il giovanissimo re, Ahmed Fuad, di appena sette mesi e le due figlie nate dal primo matrimonio con Farida. Il piccolo Ahmed tornerà in patria all’età di sette anni: cosi hanno voluto i capi della rivoluzione, i quali hanno provveduto a nominare un Consiglio di reggenza che eserciterà i poteri reali durante tutta la minore età del nuovo monarca il quale è stato proclamato re stasera dal Consiglio dei ministri col nome di Ahmed Fuad II. Poco prima che l’ex-sovrano salisse a bordo dello yacht la Guardia del corpo aveva ammainato lo stendardo reale per consegnarlo a Faruk. I volti dei pochi presenti erano rigati di lacrime. Neguib, che aveva minuziosamente preparato ogni particolare dell’abdicazione, ha voluto che una banda militare intonasse l’inno nazionale egiziano mentre Faruk, che indossava la bianca uniforme di ammiraglio, aiutava per l’ultima volta i suoi più intimi collaboratori. A fianco del sovrano deposto era pure Maher Pascià, primo ministro imposto da Neguib, che accompagnava per l’ultima volta l’uomo al quale sino a poche ore prima era legato da un giuramento di fedeltà. Pure Neguib, impettito sull’attenti, ha voluto esser presente alla partenza del re. Quando lo yacht, solcando lentamente le acque, è apparso nella baia di Alessandria, un commosso silenzio ha gelato la grande folla che quasi incredula aveva appreso la notizia dell’abdicazione e della partenza del re. In quello stesso istante, su ordine del generale Neguib, presso il quartier generale dell’esercito e in tutti gli uffici pubblici del Paese, i ritratti dell’ex-monarca venivano staccati dalle pareti e distrutti.
Mercoledì 30 luglio 1952
Epurazioni in corso a Teheran. Esiliata la Regina madre
Epurazioni senza spargimenti di sangue alla corte persiana, simili a quelli in atto al Cairo dove re Faruk ha preso la via dell’esilio verso Capri dopo aver stretto la mano all’uomo che lo ha spodestato, il generale Neguib. Allo stesso modo, Mossadeq ha preteso che la regina madre Taj al-Moluk e la sorella gemella dello Scià, principessa Ashraf, si imbarcassero per gli Stati Uniti. Dovrà andarsene anche il fratello dello Scià, principe Alì Reza, ed è già partito per gli Stati Uniti il capo di stato maggiore, generale Yazdanpanaz. Il Parlamento è totalmente schierato con Mossadeq. Mossadeq è anche protetto da Seyed Abolghassem Kashani, capo della setta dei Devoti di Allah, il gruppo responsabile dell’assassinio di Ali Razmara. «Kashani è « l’eminenza nera » della Persia e Mossadeq è il suo protetto, il beniamino, ma soprattutto lo strumento politico del momento. Il capo dei « devoti di Allah » fu durante l’ultima guerra favorevole ai Tedeschi e per queste sue simpatie gli Inglesi lo arrestarono nel 1944. A quel tempo Kashani non aveva la potenza che esercita oggi e il suo imprigionamento non fu seguito da alcuna rivolta popolare come ci si aspettava. Ma dopo la guerra, quando riacquistò la libertà, egli cominciò a battersi per la sua rivincita contro gli Inglesi e divenne l’anima della battaglia di Abadan. Quando il ministro laborista Stokes si recò a Teheran per discutere la questione dei petroli, Kashani gli dichiarò: « Dite al vostro Governo che se il Primo ministro Mossadeq dovesse deviare anche di un pollice soltanto nella legge per la nazionalizzazione delle industrie e delle risorse petrolifere dell’ Iran, il popolo persiano lo spedirebbe senza complimenti dove è stato spedito il generale Razmara ». Quale capo dei « devoti di Allah » e di tutti i musulmani della Persia, Kashani esercita un potere illimitato sia sull’intero Paese sia su Mossadeq e sugli uomini politici. Tuttavia e malgrado la sua potenza egli potrebbe cadere vittima del partito comunista che sembra essersi infiltrato largamente anche nei ranghi della sua setta di terroristi.
Domenica 7 settembre 1952
Al Cairo tutto il potere a Neguib e ai militari. Licenziato Ali Maher, arresti in massa di politici
La diarchia egiziana, instaurata col colpo di Stato del 26 luglio scorso, ha finito d’esistere a mezzogiorno. A quell’ora, il Presidente del Consiglio, Ali Maher, si è presentato al palazzo reale di Abdin e ha rimesso nelle mani dei tre reggenti il mandato ricevuto dall’esercito due mesi or sono. Sono i dodici ufficiali del comitato dinamico del movimento dell’Esercito che si sono rifiutati di accettare la lentezza esasperante con cui Ali Maher procedeva nelle riforme. Essi stessi avrebbero chiesto a Neguib d’intervenire direttamente e con estrema energia presso Ali Maher. Fra le 11 e mezzo e le due di notte si è svolta la seconda parte del colpo di Stato iniziato il 26 luglio, con gli arresti di quasi tutte le personalità politiche del Paese, compiuti con la medesima perfetta tecnica che caratterizzò l’abdicazione forzata di Faruk. Alle tre non c’era più in tutto l’Egitto un uomo politico di una certa statura che non fosse stato preso dalle pattuglie dell’Esercito. Si crede che gli arresti notturni siano stati compiuti da elementi militari molto vicini al gran quartier generale. Pattuglie di ufficiali in civile, accompagnati da uno o due militari in uniforme, si sono presentate quasi contemporaneamente a diverse abitazioni di uomini di Stato, presidenti del Consiglio, o ex-ministri, ex-generali, leaders di partiti politici, ecc. Tutte queste personalità sono state sorprese nel sonno. L’arresto più sensazionale è certamente quello di Serag El Din, segretario generale del Wafd, che si era opposto al principio dell’autoepurazione dando il pretesto alla resistenza di tutti i partiti. Si tratta di una personalità decisa, coraggiosa, dura. Serag El Din è stato il nemico numero uno del movimento armato sin dall’inizio. Le conseguenze immediate di una siffatta epurazione-Blitz sono state due: le dimissioni di Ali Maher e del suo Gabinetto e l’afflusso di tutto il potere nelle mani dei militari. Dopo un breve colloquio con Mohamed Neguib alla Presidenza del Consiglio, Ali Maher si è recato alla reggenza per rassegnare le dimissioni. Ieri sera alle sette e mezzo, il nuovo Gabinetto era formato, ben inteso presieduto direttamente da Neguib, e ha prestato il giuramento costituzionale nelle mani dei reggenti. Le sedi dei partiti sono state occupate militarmente sin da ieri mattina.
Martedì 7 ottobre 1952
In Iran da 18 mesi non si vende più petrolio
In Iran «[...] da diciotto mesi petrolio non se ne vende; nessun carico di petrolio è partito, tolto quello del Rose Mary, che è ferino ad Aden. L’anno scorso il petrolio ha dato alla Persia sedici milioni di sterline. Ora quel danaro non scorre più; e in Persia non s’è pensato che la vendita del petrolio poteva avere un’interruzione, che in qualche modo, per qualche tempo bisognava provvedere a sopperire alla chiusura del rubinetto del petrolio. Ora, invece d’incassare per il petrolio, lo Stato persiano deve spendere per il petrolio; darà cento milioni di rial (circa un miliardo di lire nostre) alla compagnia nazionale del petrolio (quella che con la nazionalizzazione ha preso il posto della Anglo-Iranian, degli Inglesi), e quel danaro servirà specialmente a pagare impiegali e operai del petrolio, il loro forzato ozio. Che c’è da fare ora? Non c’è che ricorrere all’inflazione e alle tasse. L’inflazione l’ha consigliata Schaclit quando è stato qui, lui gira l’Oriente consigliando inflazioni; ma la Bank Melli’ Iran o banca nazionale dell’Iràn era contraria. L’inflazione farà aumentare i prezzi delle cose, anche quelli delle poche cose che servono ai poveri; allora anche i poveri si accorgeranno che qualcosa anche loro li tocca. E mettere le tasse non basta; bisogna che qualcuno le paghi. I ricchi finora hanno pagato pochissimo; nei Paesi orientali il danaro pubblico si fa su soprattutto con le dogane; cosi paga la moltitudine, e non si accorge di pagare tasse. Ma i ricchi non vogliono pagare più tasse, loro contavano sul petrolio; e adesso il petrolio gli fa paura, e non e solo paura di pagare altre tasse. Le masse finora sono state deviate dal pensare alla loro miserabile condizione. Quella che si chiama la questione sociale, qui è stata assorbita dal nazionalismo [...]» (da un articolo di Vittorio G. Rossi sul Corriere della Sera)
Giovedì 16 ottobre 1952
Teheran rompe le relazioni diplomatiche con Londra
Il Primo ministro Mossadeq si è rivolto oggi per radio al popolo persiano, annunciando che il suo Governo «è purtroppo costretto a rompere le relazioni diplomatiche con l’Inghilterra». Il messaggio dice che la ragione del passo va ricercata nel fatto che « il Governo britannico ha finora impedito che venisse raggiunto un accordo sulla vertenza del petrolio ». Mossadeq ha tuttavia lasciato comprendere che la rottura delle relazioni diplomatiche potrebbe non essere permanente. Essa non significa del pari la rottura dei legami di amicizia tra le due Nazioni, perché l’ Iran ha sempre considerato con rispetto la Nazione britannica e spera che le autorità di quel Governo daranno altresì maggiore attenzione alla realtà della situazione mondiale attuale.
Giovedì 30 ottobre 1952
Accordo sul Sudan tra Neguib e El Mahdi
Accordo tra il premier egiziano Neguib e il leader indipendentista sudanese El Mahdi, più o meno apertamente creatura inglese, giunto al Cairo dalla Gran Bretagna con istruzioni chiare: non rinviare in nessun caso all’anno prossimo l’autonomia sudanese. Il testo dell’accordo è stato pubblicato dal giornale Al Misri. L’accordo, secondo il giornale, contempla il riconoscimento del diritto dei Sudanesi a decidere del loro futuro in piena libertà, la realizzazione di un autogoverno quale condizione indispensabile per decidere sull’avvenire del Paese, la revisione della Costituzione per impedire nel frattempo eventuali interferenze dell’attuale governatore britannico, e lo sgombero delle truppe di presidio condominiale britanniche ed egiziane. Le elezioni per un’Assemblea costituente dovrebbero svolgersi entro la fine dell’anno, il plebiscito sull’unione con l’Egitto o sull’indipendenza in data da stabilirsi. Si trascina intanto la polemica con l’ex-re Faruk. Circoli governativi hanno affermato oggi che le frodi fiscali attribuite all’ex-sovrano potranno essere coperte solo in parte dai beni reali posti sotto sequestro. Tali beni saranno messi all’asta, meno quelli di importanza storica. Offerte, inoltre, sono già pervenute da varie Nazioni per l’acquisto delle collezioni filatelica e numismatica di Faruk. (da un articolo di Virgilio Lilli).
Mercoledì 10 dicembre 1952
Processo alla Rose Mary
Si è aperto oggi, sotto la presidenza del giudice Campbell. il procedimento promosso dalla società inglese Anglo-Iranian nei confronti dei proprietari della petroliera Rose Mary, fermata mentre transitava con un carico di petrolio proveniente dall’Iran. La Corte dovrà decidere se è corretto l’assunto secondo cui il petrolio della Rose Mary deve intendersi di proprietà inglese e quindi passibile di sequestro, sebbene sia stato acquistato (e pagato) in trattative dirette con i persiani. Responsabile della Rose Mary, che era al comando del capitano Jaffrati. è il conte italiano Della Zonca. Rappresenta la proprietaria della nave Compania de Navegacion Teresita, Panama il sig. Martinelli. Il giudice ha riconosciuto, dopo le prime schermaglie, validità alla richiesta dell’accusa che il dibattito si svolga sulla questione se fu oppure non fu violato l’accordo tra l’Anglo-Iranian e l’Iran del 1933 per lo sfruttamento del petrolio persiano. Limitato a ciò, il dibattito sembrerebbe volgere a favore degli Inglesi. La difesa aveva viceversa affermato che il Tribunale di Aden non era competente a decidere su un accordo « non avente validità internazionale né validità ad Aden perché qui non registrato ». L’Anglo-Iranian è rappresentata da sir Hartley Shawcross, che fu accusatore al processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti. Egli ha detto, tra l’altro, che nel corso del processo verranno citati elementi «che faranno da schermo a un personaggio italiano sulla cui posizione potranno rendersi necessarie indagini». Shawcross ha poi negato che la RAF sia Intervenuta per costringere la Rosé Mary a entrare nel porto di Aden.
Giovedì 11 dicembre 1952
Il processo alla Rose Mary
ADEN - È proseguito oggi a Aden il processo, intentato dalla società Anglo Iranian nei confronti dei proprietari della petroliera Rose Mary. Durante l’udienza antimeridiana, l’avv. slr Hartley Shawcross ha dichiarato: « Come risulta dai registri di bordo, la petroliera aveva subito un guasto alle macchine prima di entrare nel porto di Aden ed è stato per tale motivo e non per una coercizione, come sostengono invece il capitano e i noleggiatori, che la Rose Mary si è ormeggiata a Aden ». Shawcross ha parlato oggi per tre ore e ha prodotto una serie di telegrammi scambiati fra gli armatori, i noleggiatori e il capitano della nave. In uno di essi, la compagnia Budenberg invitava il capitano a non far scalo a Aden, usando un linguaggio cordialissimo e riferendogli i favorevoli commenti pubblicati per l’occasione dalla stampa italiana. Secondo l’avvocato inglese l’aereo della RAF che individuò la petroliera, il 17 giugno, non avrebbe costretto il capitano a modificare la rotta. L’agente degli armatori, A. Martinelli, noleggiò allora un rimorchiatore per incontrarsi col capitano al largo di Aden, ma in seguito, come ha precisato ancora l’avvocato inglese, la petroliera è entrata in porto. Shawcross ha rilevato che la legge persiana sulla nazionalizzazione è incompatibile col diritto internazionale ed è quindi inaccettabile. Poiché nel territorio di Aden vige la legge inglese — ha proseguito il legale — il Tribunale locale ha, logicamente, giurisdizione sulla vertenza.
Giovedì 18 dicembre 1952
Minacce all’Inghilterra del tenente colonnello Nasser, numero due del regime egiziano
Una minaccia di guerra è stata diretta agli Inglesi da uno dei principali ministri del generale Neguib, il tenente colonnello Nasser, che alcuni chiamano « l’uomo numero due dell’ Egitto ». Le dichiarazioni del colonnello Nasser fatte a un giornale americano, e ripubblicate al Cairo, sono redatte nel tono bellicoso e intransigente che è caratteristico dei nazionalisti e specialmente dei nazionalisti orientall. Londra non si è scossa molto a questo ostile squillo di tromba, ma è raro che Londra si scuota. Il colonnello Nasser dice che se gli Inglesi non lasceranno la zona del Canale i capi del colpo di Stato militare agiranno; si dimetteranno dal Governo per condurre la guerriglia contro le forze che occupano Suez. "Non sarà una vera guerra. Sarà una guerra di "commandos ", una guerriglia. Bombe a mano saranno lanciate nell’oscurità, i soldati inglesi saranno uccisi nelle strade ... Se il peggio dovesse venire, la storia della nostra lotta sarà molto simile a quella di Sansone nel Vecchio Testamento. Faremo cadere il tempio sul nostro capo per distruggere i nemici che stanno in mezzo a noi». Queste parole non devono essere prese molto alla lettera: c’è una retorica rivoluzionaria quasi obbligata per i dirigenti di certi Paesi. Ma sarebbe un errore prenderle alla leggera. La verità è che i negoziati fra Neguib e l’ambasciatore britannico al Cairo sul Sudan non fanno progressi. L’Egitto ha accettato il piano per l’indipendenza del Sudan, abilmente manovrando gli Inglesi, che di quella indipendenza si erano fatti campioni quando il Governo del Cairo domandava l’annessione del Paese alla corona di Faruk. Le difficoltà che restano da risolvere riguardano le tre Provincie meridionali sudanesi per le quali i britannici chiedono particolari garanzie (sono abitate da tribù arretratissime), e i poteri del Governatore nel periodo del trapasso. Una definitiva approvazione del progetto di indipendenza per il Sudan e la premessa di un accordo con gli occidentali per la difesa dell’Egitto è lo sgombero del Canale di Suez. Si capisce perciò la ragione dell’intervista di Nasser. Essa significa: se gli Inglesi esitano ancora a concludere le trattative impegnate per il Sudan, rimandando con questo pretesto le conversazioni sulla difesa di Suez e sul loro ritiro dalla zona occupata, noi faremo la guerriglia.
Venerdì 9 gennaio 1953
Il petrolio della Rose Mary deve andare agli inglesi
Il tribunale di Aden ha convalidato il sequestro del carico di petrolio rinvenuto a bordo della Rose Mary e ne ha ordinato la consegna alla «Anglo Iranian Oli Company»
La petroliera italiana Miriella naviga con cinquemila tonnellate di petrolio iraniano
La Mirella, che batte bandiera italiana, ha salpato da Abadan ieri sera con 5000 tonnellate di petrolio grezzo. A quanto è stato riferito, il petrolio è stato fornito dalla Compagnia petroliera iraniana contro cessione di tessili e di macchinari agricoli. Funzionari persiani hanno dichiarato di nutrire fiducia che la petroliera non subirà la stessa sorte della Rose Mary il cui carico, com’è noto, fu bloccato dagli Inglesi ad Aden, lo scorso giugno. Le autorità italiane avrebbero assicurato quelle inglesi che il carico della Mirella non verrebbe sbarcato in Italia. Ma che cosa avverrebbe se la petroliera si recasse in un porto franco quale Trieste? In base a quale legge sarebbe giustificata un’eventuale azione del Governo italiano? Da altre fonti si apprende che il gruppo petroliero italiano Supor avrebbe stipulato con le pertinenti autorità persiane un contratto per l’acquisto di 2 milioni di tonnellate di petrolio grezzo e 500 tonnellate di prodotti finiti. La Supor si incaricherebbe dell’intero trasporto del prezioso minerale. Settantamila sterline sarebbero già state depositate presso la Banca Nazionale persiana, a garanzia dei termini concordati. Quale itinerario seguirà ora la Mirella? Secondo informazioni non confermate, le 5000 tonnellate di petrolio da essa caricate sarebbero destinate alla Polonia in ossequio a un recente accordo commerciale italopolacco. Vengono oggi sottolineate le seguenti dichiarazioni di un esponente della Supor: «Abbiamo imparata una buona lezione dal caso della Rose Mary e la nostra nave ha sufficiente combustibile per restare al largo lungo tempo». L’attesa è viva, soprattutto per il lato avventuroso dell’impresa della petroliera italiana.
Venerdì 13 febbraio 1953
La Miriella in arrivo a Venezia
La Miriella, la petroliera di cui tanto si è parlato durante il suo viaggio da Abadan all’Italia (e che un giornale inglese ha definito «lurida petroliera italiana che si fa beffe della Gran Bretagna»), entrerà domani mattina all’alba nel porto di Venezia (non può entrare prima perché di notte alle petroliere non è concessa l’entrata nel porto) e attraccherà a Marghera, in punto franco. Essa reca a bordo 4.500 tonnellate di petrolio grezzo, ed è in navigazione da venticinque giorni. Il dott. Francesco Mortillaro, consigliere delegato della Supor, la società armatrice, è giunto stasera a Venezia per attendere la petroliera. Egli ha voluto precisare che si tratta di una normale transazione commerciale per la quale il gruppo che egli rappresenta è specializzato. Si tratta infatti dello stesso gruppo che ha effettuato compensazioni contro combustibili solidi e liquidi da vari Paesi europei, specialmente da Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Russia. « L’operazione — ha aggiunto il dott. Mortlllaro - è stata iniziata quando era già nota la sentenza della Corte internazionale dell’Aia che dichiarò la propria incompetenza a giudicare nella vertenza fra uno Stato, l’ Iran, e una società privata, l’Anglo Iranian Oil Company. In quanto a un eventuale sequestro sono pronto ad affrontare la situazione». Uno dei maggiori esponenti della Supor era il duca Mario Badoglio, morto l’altro giorno a San Vito al Tagliamento per un attacco di angina pectoris. Dal punto di vista giuridico si crede di sapere che l’Anglo-Iranian avrebbe dato incarico ad un avvocato di Roma di svolgere le pratiche per ottenere il sequestro del carico. Vertenza tutt’altro che semplice: da una parte l’Anglo Iranian sostiene che in base al contratto col Governo persiano tutto il petrolio prodotto nell’ Iran è di sua proprietà, dall’altra il Governo iraniano obietta che, dopo la nazionalizzazione delle riserve e degli impianti esistenti nel Paese, il contratto con l’Anglo Iranian è decaduto.
Sabato 14 febbraio 1953
La Miriella scarica il suo petrolio a Venezia
Il lungo viaggio della Miriella è felicemente terminato. Dopo quarantotto giorni dalla sua partenza da Genova, e dopo aver percorso circa novemila miglia alla media di otto nodi e mezzo all’ora, la petroliera è giunta a Venezia e ha attraccato alla banchina Azoto di Porto Marghera. Il nero e lucido olio combustibile sta fluendo attraverso grossi tubi nei serbatoi di una . compagnia petrolifera, noleggiati per conto della Supor di Roma, la società proprietaria del carico; e domani la Miriella galleggerà vuota. L’Anglo Iranian Oil Company ha chiesto il sequestro giudiziario del carico.La Miriella era giunta a tre miglia dal Lido poco prima delle cinque di stamane e lì, dato fondo alle ancore, aveva sostato fino alle nove, ora in cui, trainata dal rimorchiatore Titanus, aveva ripreso a muoversi verso Porto Marghera. Un’ora ci volle, dalla punta del semaforo del Lido alla banchina Azoto di Porto Marghera. La Miriella, tutta verniciata di fresco in nero e rosso ed il gran pavese alzato, con le bandierine italiana e iraniana vicine, raggiunse il bacino di San Marco; l’attraversò, sotto una sottile pioggerella, e imboccò il Canale della Giudecca. Greve di peso, immersa al massiìno, la pirocisterna piena del petrolio dei pozzi della lontana Abadan veniva avanti lentamente, seguita da un nugolo di motoscafi; sul ponte il comandante Amilcare Mazzeo, gli ufficiali e i marinai agitavano braccia e berretti.Alle 10, la Miriella attraccò. Montarono svelti a bordo commissari e poliziotti, montarono a bordo ufficiali e guardie di Finanza, montò a bordo un medico. La bandiera gialla della quarantena fu presto calata, grossi tubi di gomma furono gettati sulla coperta della cisterna, le bandierine del gran pavese vennero anch’esse ammainate. Giunse un gruppo di automobili, ne scese una trentina di persone, fra cui un gruppo di signore in pellicce di persiano, una di queste era la signora Kagenuri, moglie dell’ambasciatore dell’ Iran a Roma, attualmente indisposto; la bambina che le camminava a fianco con un mazzo di rose da offrire al comandante della Miriella era la sua figliola Derasciandè che in persiano vuol dire «Brillante». Gli altri erano funzionari dell’Ambasciata e del Consolato dell’Iran in Italia o rappresentanti delle colonie iraniane in Italia (dall’articolo di Egisto Corradi per il Corriere della Sera).
Giovedì 19 febbraio 1953
Altre petroliere italiane andranno a comprare greggio ad Abadan
Il direttore dell’ufficio vendite della Compagnia nazionale persiana del petrolio ha dichiarato di aver appreso che la Compagnia italiana « Supor » intende inviare ad Abadan altre petroliere, senza attendere le decisioni del tribunale incaricato di trattare il caso della Miriella Il funzionario ha dichiarato che, conformemente ad un accordo che impegna la Compagnia italiana ad acquistare ogni anno ad Abadan un milione di tonnellate di oli minerali, altre petroliere si recheranno ad Abadan. Egli ha pure annunciato che sono giunti in Persia, per acquisti di petrolio, uomini d’affari giapponesi e di altri Paesi.
Sabato 28 febbraio 1953
Lo Scià prima vuole lasciare la Persia, poi decide di restare. Intanto la folla assalta la casa di Mossadeq che fugge in pigiama
Reza Pahlavi, dopo aver annunciato che sarebbe partito da Teheran (in obbedienza a un ordine del premier Mossadeq), ha deciso di restare, commosso dalle dimostrazioni della folla che s’è radunata sotto il suo palazzo. Il presidente del Majinlis, Kashani, gli ha fatto recapitare una sua lettera personale nella quale gli ha chiesto di non andarsene. La volontà di autoesiliarsi dello Scià è dovuta ai contrasti sempre più forti col primo ministro Mossadeq, successivi alla decisione di nazionalizzare l’industria petrolifera (1 Maggio 1951). Sebbene lo scià abbia firmato a suo tempo i due decreti che sottoposero al controllo dello Stato persiano le concessioni petrolifere e gli impianti della Anglo Iranian Oil Company ad Abadan, si sa che più di una volta egli s’è scontrato con Mossadeq, che è in realtà il vero campione della nazionalizzazione. Altri contrasti sono sorti poi nell’ultima settimana. Mossadeq critica le spese di corte (sette milioni e mezzo di dollari) ed è contrario al progetto imperiale di distribuire ai contadini alcune terre di proprietà dello Scià. Mossadeq è a sua volta un ricco proprietario terriero. In passato vi furono altri contrasti: dopo i disordini del 16 luglio 1952, Mossadeq, che si era dimesso, chiese per sé il ministero della Guerra e lo Scià glielo rifiutò. Salì allora al potere Es Sultaneh il quale però, tre giorni dopo, dovette dimettersi a sua volta a causa di nuovi sanguinosi disordini. Mossadeq tornò così al suo posto e, prima della fine del mese, ottenne il pieno appoggio della Camera per un vasto programma di riforme. Pochi giorni dopo la sorella del sovrano, principessa Ashraf, partì in volo diretta a Ginevra insieme coi bambini, per una permanenza all’estero di durata imprecisata. Nel dicembre scorso Mossadeq avrebbe preteso l’esilio della regina madre, accusata di complottare con l’opposizione, mentre l’opposizione chiedeva al sovrano di por fine «al dominio illegale di Mossadeq». All’ultimo si apprende che la forza pubblica ha dovuto usare le armi per sgombrare la folla che voleva invadere la residenza di Mossadeq. Le porte di ferro sono state abbattute e molti sono riusciti a penetrare nella casa. Vi sono stati un morto e due feriti. Mossadeq, in pigiama, s’è rifugiato in Parlamento.
Breve storia della Persia
Mohammed Reza Pahlavi successe al padre sul trono nel 1941. Nel 1947 il giovane Scià prese una decisione importante: in quell’anno infatti le forze persiane comandate dal gen. Ali Razmara, che divenuto in seguito Primo Ministro fu poi assassinato da un fanatico musulmano, marciavano nell’Azerbeigiah per deporre il regime comunista in quella provincia di frontiera. Nel 1948 Reza Pahlevi fu oggetto di un attentato, rimanendo ferito al viso. Sposò in prime nozze una sorella di Faruk, dalla quale divorziò nel 1949. Sulla fine del 1950 lo Scià sposò infine una giovane e bella persiana, Soraya Esfandiari. Secondo quanto si è appreso stamane a Teheran, Soraya seguirà lo Scià all’estero.
Domenica 1 marzo 1953
Mossadeq destituisce i generali, ancora scontri a Teheran
Mossadeq, obbedendo a un appello di 28 parlamentari a lui fedeli, ha destituito il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Mahmud Bahmarst, e il capo della polizia, generale Afsciartos. Al posto del primo è stato designato il sottosegretario alla Difesa generale Taghi Riahi, ed al posto del secondo il generale Ginji. Quanto al capo della polizia, generale Afsciartos, il ministro Fatemi lo ha accusato di essersi reso irreperibile mentre la folla infuriava per le strade. L’annuncio delle due destitituzioni dava in mattinata nuova esca ai dimostranti che, inalberando gli uni grandi ritratti di Mossadeq e gli altri grandi ritratti dello Scià, si scontravano in vari punti della capitale. Ad ingrossare le file degli esaltatoti dello Scià contribuivano in misura sempre più grande i seguaci dell’Ayatollah Kasciani, mettendo in tal modo a nudo i veri termini della lotta per il potere in corso al Parlamento. Gli scontri venivano aperti da una battaglia a base di pietre e randellate, ancora prima dell’alba, nonostante il coprifuoco, nelle vicinanze dell’albergo Park, con grida di morte ed abbasso da entrambe le parti. La polizia riusciva a ristabilire l’ordine dopo due pesanti cariche. Un altro tentativo di dimostrazione veniva poco dopo sventato da importanti forze di polizia dinanzi all’abitazione di Mossadeq. Altri incidenti avvenivano poi nella piazza del Parlamento e in seguito al tentativo di occupare Radio Teheran da parte dei seguaci di Mossadeq.
Mercoledì 4 marzo 1953
Arresti in massa a Teheran
Un portavoce del Governo ha annunciato stamane che circa 470 persone sono state arrestate a Teheran. Tra queste sono numerosi generali in pensione, l’ex-leader dell’opposizione alla Camera Jamal Imami e una decina di esponenti del partito comunista Tudeh. Secondo alcune fonti, le persone ora arrestate saranno accusate di complotto contro lo Stato e giudicate da un Tribunale straordinario che Mossadeq istituirà quanto prima con un decreto-legge. Stamane, allo scadere del coprifuoco, non si sono avute dimostrazioni né in favore di Mossadeq, né in favore dello Scià La città è calma, i negozi sono tutti riaperti. Solo la presenza della polizia e della truppa nei centri nevralgici fa capire che tutto non è perfettamente normale. È opinione generale che oggi non vi saranno più tumulti di piazza. Mossadeq ha praticamente vinto la partita con lo Scià e attende ora che il Majlis, ossia il Parlamento, convalidi questa vittoria, accordandogli un voto di fiducia. È quasi certo che Mossadeq otterrà questo voto perché ormai i suoi maggiori avversari sono stati allontanati o semplicemente intimoriti.
Mercoledì 11 marzo 1953
Il caso della Miriella e del petrolio iraniano. Il giudice dà ragione agli italiani e torto agli inglesi
VENEZIA - Alle 11 di stamane il presidente del Tribunale, dott. Mastrobuono, ha consegnato alla Cancelleria, per la trascrizione, il dispositivo della sua ordinanza con cui si respinge la richiesta di sequestro delle 4.600 tonnellate di petrolio della Miriella presentata dall’Anglo Iranian. L’Anglo Iranian ha reso noto che ricorrerà immediatamente al Tribunale di Roma, dove ha sede la Compagnia «Supor» acquirente del petrolio trasportato dalla Miriella. L’ordinanza che ha dato ragione agli italiani contro gli inglesi recita tra l’altro: «Il petrolio oggetto della controversia fu preso in Persia dallo Stato persiano, in attuazione della legge di nazionalizzazione, e in Persia fu disposto di esso a favore della Supor, in conseguenza di contratto di compravendita. Tutto questo avvenne in conformità all’ordinamento giuridico dello Stato persiano: col che, si esclude la necessità di procedere ad alcuna valutazione della legge di nazionalizzazione, alla stregua dell’ordine pubblico. Tenuto conto che indubbiamente è un principio di ordine pubblico quello che la proprietà non può essere tolta senza indennizzo, si tratta ora di vedere se la legge di nazionalizzazione persiana contrasti o meno con tale principio. Ma dall’esame degli articoli 2 e 3 di tale legge e dall’impegno preso dal Governo persiano, di depositare presso la Banca Milli-Iran o presso qualsiasi altra banca fino al 25 per cento dei proventi normali derivanti dal petrolio, si deduce come la legge di nazionalizzazione non escluda l’attribuzione all’A.I.O.C. di un Indennizzo; non solo, ma contiene il non equivoco riconoscimento del diritto relativo». Il comm. Arnaldo Bennati, principale esponente della Supor, ci ha dichiarato che due petroliere, la Miriella e l’Alba, di 11 mila tonnellate quest’ultima, giungeranno tra breve ad Abadan, per caricare petrolio persiano. Il petrolio — anche quello sequestrato a Venezia, e che si trova attualmente In punto franco — verrà ceduto alle industrie italiane in compensazione con quanto le industrie stesse invieranno in Persia.
Giovedì 12 marzo 1953
L’Iran vende all’Italia petrolio a metà prezzo
Un comunicato governativo informa oggi che l’ Iran intende offrire alla Compagnia italiana « Supor » petrolio a metà prezzo rispetto a quello che viene praticato sui mercati mondiali in segno di gratitudine per la vittoria conseguita di fronte al Tribunale di Venezia contro la Anglo Iranian Oil Company nel caso della Miriella. Il comunicato aggiunge che la « Supor » potrà comprare per sei mesi tanto petrolio quanto ne potrà caricare a questa condizione di favore
Martedì 24 marzo 1953
L’Anglo Iranian minaccia l’Agip e l’Italia
Dopo la decisione del Tribunale di Venezia sul caso della nave cisterna Miriella, che in tutta la stampa britannica sollevò un coro di indignate proteste, l’Anglo Iranian Oil Company avrebbe predisposto le sue prime rappresaglie allo scopo di impedire che nevi mercantili italiane trasportino anche nelle zone franche dei nostri porti il petrolio persiano. La compagnia britannica — secondo quanto pubblica il conservatore The Scotman, minaccia di sospendere le « prospettazioni » petrolifere in Sicilia, se il Governo italiano non assume un diverso atteggiamento di fronte alla questione dei petroli iraniani. L’Anglo Iranian, che possiede il 50 per cento delle azioni dell’Agip italiana, sta effettuando delle ricerche nelle zone di Ragusa, Vittoria e Priolo. Poiché i risultati dei primi sondaggi sono stati finora soddisfacenti, la Compagnia ha informato le autorità italiane che procederà alle perforazioni soltanto sotto determinate condizioni. Una di queste comporterebbe il rifiuto da parte del Governo italiano di consentire la vendita del petrolio persiano all’interno del nostro Paese.
Domenica 26 aprile 1953
Teheran di nuovo nel caos, assassinato il generale Ashfartus
TEHERAN - Il generale Mahmoud Ashfartus, capo della polizia di Mossadeq, è stato rapito, seviziato, ucciso e infine abbandonato in una grotta nei monti Toloe, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. La polizia indaga in direzione dell’opposizione parlamentare e degli ambienti militari che conducono da mesi una lotta per contrastare Mossadeq nel suo tentativo di assicurare al Governo il pieno controllo del Paese. Ufficialmente, il Governo ha annunciato sino a questa sera 14 arresti. Il ritrovamento del cadavere, secondo la versione del Governo, è la risultante di indagini e di confessioni. La pista buona sarebbe stata trovata in seguito all’interrogatorio di Hussein Khatibi, della sorella, della madre e del personale di servizio. Essi avrebbero ammesso che il generale Ashfartus fu invitato in casa Khatibi la sera di lunedi scorso con la scusa di sollecitare i suoi buoni uffici ai fini della composizione della crisi in atto fra Mossadeq e l’opposizione parlamentare. Il complotto, realizzato con largo concorso di deputati e militari della vecchia guardia, era stato tramato tre giorni prima. Ashfartus fu drogato, caricato su una macchina, portato in montagna, seviziato, strangolato e abbandonato. La casa di Khatibi era stata abbondantemente profumata per neutralizzare l’odore del cloroformio usato per ridurre il generale in stato di incoscenza. L’uomo del quale si fa più equentemente il nome è il generale Baluk Garai, al quale si attribuisce l’iniziativa del delitto per conto delle alte sfere dell’Esercito. Autore materiale del delitto si dice che sia un non meglio precisato Afciar, del quale stamane si diceva che era stato arrestato. Le indagini condotte dal Governo a tutt’oggi, dirette sistematicamente contro avversari di Mossadeq, hanno avvalorato l’ipotesi secondo cui a questo delitto seguirà un formidabile giro di vite nei riguardi dell’opposizione. Appare certo, in ogni caso, che a subirne le conseguenze sarà in particolare la frazione parlamentare che prende ispirazione dall’Ayatollah Kasciani, massima autorità religiosa dell’Iran, presidente della Camera dei Deputati e principale avversario di Mossadeq nella lotta per il potere. Infatti il figlio di Kasciani, Seyed Mustafà, è stato arrestato, come sospetto di complicità nell’assassinio di Ashfartus.
Martedì 28 aprile 1953
Vietato agli stranieri di allontanarsi da Teheran
L’Ambasciata americana a Teheran è stata informata oralmente dalle autorità governative che, secondo nuove disposizioni, gli stranieri non potranno allontanarsi dalla capitale di oltre 40 chilometri. Nessuna spiegazione è stata data delle ragioni che hanno spinto le autorità ad adottare il provvedimento. Come è noto è già in vigore in Persia una disposizione la quale stabilisce che gli stranieri siano muniti di uno speciale lasciapassare per viaggiare in determinate zone. A quanto è stato riferito, l’Ambasciata americana ha intenzione di presentare una protesta al Governo iraniano.
Venerdì 19 giugno 1953
In Egitto proclamata la repubblica
Un comunicato ufficiale rende noto che l’Egitto è passato dal regime monarchico al regime repubblicano. Il gen. Neguib è il primo Presidente della nuova Repubblica, conservando contemporaneamente la carica e le funzioni di Capo del Governo. Con la proclamazione della Repubblica — precisa il comunicato — i membri della famiglia reale egiziana vengono privati dei loro titoli per diventare privati cittadini. L’annuncio è stato diramato dopo tredici ore di riunione del Gabinetto. Alla riunione hanno pure preso parte tutti i dodici membri della Giunta militare che ha governato l’Egitto da quando ha avuto luogo il colpo di Stato. Prima della proclamazione il gen. Neguib aveva proceduto ad un rimpasto ministeriale includendo tre militari nel suo Gabinetto in precedenza formato da sole personalità civili. Il Ministero della Guerra, prima retto interinalmente dal gen. Neguib, è stato ora affidato al capo di squadrone Abdel Latif Boghdàdi, membro del «consiglio della rivoluzione». Il ten. col. Gamal Abdel Nasser è stato nominato vice-Primo ministro e ministro degli Interni con controllo sulle forze di polizia, in sostituzione di Suleiman Hafez. Il maggiore Salah Salem, il quale spesso ha agito come portavoce del regime del gen. Neguib è stato nominato ministro dell’Orientamento nazionale, in sostituzione di Mohamed Fuad Galal. Presso il Q. G. dell’esercito egiziano il nuovo ministro per l’Orientamento nazionale, maggiore Salah Salem, ha tenuto questa sera una conferenza stampa nel corso della quale ha dichiarato: «Proclamiamo l’abolizione della monarchia, la deposizione del piccolo re Ahmed Fuad II e la fine della dinastia di Mohammed Ali. Proclamiamo la Repubblica e il gen. Neguib Presidente della Repubblica. Durante il periodo di transizione in base alla Costituzione provvisoria, il gen. Neguib manterrà tutti i poteri conferitigli dalla Costituzione».
Martedì 4 agosto 1953
Referendum in Persia per sciogliere la Camera. Schiacciante vittoria di Mossadeq
Secondo quanto comunica Radio Teheran il referendum indetto dal Primo ministro Mossadeq per sancire lo scioglimento della Camera ha segnato uno schiacciante successo per il Capo del Governo. Nella capitale solo 67 elettori, su 101.396 recatisi alle urne, si sono, infatti, pronunciati contro la tesi del Primo ministro. Nel tardo pomeriggio sono scoppiati a Teheran tumulti che hanno impegnato le forze della polizia contro i membri del partito Tudeh (comunista) che volevano tenere riunioni nel centro della città. In una delle principali vie la polizia ha fatto uso degli sfollagente e dei gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti. Tuttavia le manifestazioni organizzate dal Tudeh si sono sciolte senza incidenti notevoli, dato che i capi dell’organizzazione avevano impartito l’ordine di obbedire alle ingiunzioni delle autorità. Si sono avuti solo due feriti non gravi e nessun arresto è stato effettuato.
Sabato 8 agosto 1953
Accordo tra Urss e Iran
La Tass ha annunciato stamane che l’Unione Sovietica e l’ Iran si sono accordati per l’istituzione di una commissione russo-persiana per la soluzione di «ogni divergenza» esistente tra i due Paesi. La Tass ha poi precisato che l’obiettivo della commissione è quello di «rafforzare le amichevoli relazioni tra l’Unione Sovietica e l’Iran e di risolvere i problemi finanziari, le questioni di frontiera, e altre, tra le due Nazioni». Un comunicato analogo è stato pubblicato a Teheran. La decisione di costituire questa commissione — secondo quanto si sostiene a Londra — potrebbe anzitutto essere interpretata come un tentativo del Presidente del Consiglio iraniano Mossadeq di esercitare nuove pressioni sui Paesi occidentali e di avere mano libera nell’utilizzazione degli impianti ora nazionalizzati dell’Anglo-Iranian. specialmente per quanto riguarda la vendita del petrolio sui mercati mondiali. Il Cremlino dal canto suo ha fatto poi il primo passo per intervenire nella questione del petrolio persiano. Questa è opinione comune degli osservatori. L’annuncio di Mosca è senza précédenti perché parla di una commissione sovietica da costituirsi a Teheran, in territorio persiano. D’altra parte tale passo è stato preannunciato da Malenkov, sabato, il quale disse che l’Iran era uno dei vicini dell’Urss coi quali Mosca voleva mantenere buone relazioni. Il momento dell’inizio dei negoziati è stato indubbiamente scelto bene. La Russia è rappresentata a Teheran da uno dei suoi migliori diplomatici, Anatoli Lavrentiev, l’ex-inviato a Praga e a Bucarest, nominato da pochi giorni. L’ambasciatore russo che era a Teheran da otto anni, Ivan Sadchikov, è stato richiamato pochi giorni dopo la caduta di Beria e ciò ha coinciso con la caduta in disgrazia di Mir Giaffer Baghirov, Premier della Repubblica sovietica dell’Azerbaijan. Baghirov, uno dei principali capi comunisti caucasici, sarebbe stato l’uomo che dirigeva il movimento filocomunista nella provincia dell’Azerbaijan persiano. La sua destituzione, tre settimane fa, viene considerata una singolare coincidenza con .’a nuova presa di posizione del Cremlino verso la Persia.
Giovedì 13 agosto 1953
Lo Scià tenta un colpo di stato contro Mossadeq, gli fallisce e fugge in Iraq con Soraya
Un tentativo di colpo d Stato è fallito sabato sera in Persia, dopo che le Guardie reali dello scià avevano arrestato il ministro degli Esteri, Hussein Fatemi, ed il ministro dei Lavori Pubblici, Rajabi. Un comunicato diramato dal Governo rivela che il comandante delle guardie reali ha guidato un reparto, scortato da carri armati per arrestare il Premier Mossadeq, ma le guardie del Primo ministro hanno arrestato il generale non appena giunto alla residenza del Premier. I primi indizi del colpo di Stato si sono avuti sabato sera, poco dopo le 23.30, allorché i carri armati hanno cominciato a rombare per le vie in direzione della residenza del Premier. Le truppe che prendevano parte al tentativo di rovesciare il Governo erano armate di mitra e fucili. La mossa ha fatto seguito allo scioglimento del Parlamento avvenuto sabato ad opera di Mossadeq. In una lettera allo scià il Premier aveva proposto nuove elezioni. Lo scià Mohammed Reza Pahlavi e l’imperatrice Soraya, che erano in vacanza sui Mar Caspio, sono ieri fuggiti dalla Persia, dopo il fallito colpo di Stato da parte delle guardie reali del sovrano. Si prevede che Mossadeq verrà nominato Presidente, ma non subito. Intanto sarà nominato un Consiglio di reggenza. Ai dimostranti che sono sfilati per le vie per inneggiare a Mossadeq si sono uniti gruppi di comunisti che hanno chiesto a gran voce l’espulsione di tutti gli Americani dal Paese. Alcune fonti governative hanno detto che potrebbero essere chiuse tutte le istituzioni americane a Teheran, per asserita complicità americana nel colpo di Stato. Il Premier ha ufficialmente sciolto il Parlamento, ed ha ordinato l’arresto dei deputati dell’opposizione e di circa cento persone coinvolte nel colpo di Stato. Egli ha poi fatto occupare i palazzi dello Scià ed ha circondato con truppe l’edificio del Parlamento. A complicare la già ingarbugliatissima situazione il generale Zahedi ha affermato di essere il legale Primo ministro dell’Iran. La sua dichiarazione è stata comunicata alla stampa da alcuni inviati, in un convegno segreto tenuto sulle colline a nord della capitale. Zahedi sostiene senz’altro di essere il «legale» Primo ministro della Persia. Egli sarebbe stato nominato giovedì a tale carica dal sovrano. I giornalisti hanno ricevuto una copia fotografica del decreto firmato dallo scià.
Domenica 16 agosto 1953
A Baghdad Reza e Soraya piangono
Dall’Iraq si apprende che, giunto ieri mattina in aereo all’aeroporto di Bagdad, lo Scià avrebbe detto ai funzionari iracheni, secondo quanto riferisce un testimone oculare: «Sono uno straniero e desidero fermarmi qualche giorno a Bagdad» Chieste le carte d’identità ai passeggeri dell’aereo, che non era atteso all’aeroporto di Bagdad, i funzionari hanno appreso di chi fossero alla presenza. Si sono allora affrettati ad avvertire la alte autorità governative irachese che attendevano sul campo l’arrivo di re Feisal di ritorno dalla Giordania. Le autorità si sono a loro volta precipitate verso l’aereo iraniano per accogliere lo Scià e l’imperatrice. Il Governo iracheno ha subito impartito gli ordini necessari e lo Scià, l’imperatrice, un aiutante di campo e il secondo pilota dell’aereo sono stati condotti in automobile speciale verso la residenza degli ospiti ufficiali del Governo iracheno. Un testimone afferma che, allontanandosi a bordo dell’auto, lo Scià piangeva. Anche l’imperatrice era in lacrime. Mentre si trovava all’aeroporto lo Scià ha brevemente parlato alle autorità irachene, spiegando perché avesse preferito venire nel vicino Iraq piuttosto che recarsi in Europa o tra le tribù dei Bakhtiari, alle quali appartiene la famiglia dell’imperatrice. Le dichiarazioni fatte dallo Scià all’aeroporto sembrerebbero indicare che il suo soggiorno a Bagdad sarà breve; nessuna bandiera è stata comunque esposta sulla «Casa Bianca», la residenza dove ha preso alloggio lo Scià. Nel pomeriggio lo Scià e l’imperatrice hanno preso il tè a palazzo reale insieme a re Feisal II e all’erede presuntivo emiro Abdullillah
Lunedì 17 agosto 1953
A Teheran un consiglio di reggenza sostituisce lo Scià (che non intende abdicare)
Il ministro degli Esteri iraniano, Hussein Fatemi, ha dichiarato oggi che il Governo di Mossadeq, riunitosi stamane, sta convocando un consiglio di reggenza — con l’esclusione dei membri della famiglia reale — per incaricarlo dei compiti spettanti allo Scià, fuggito all’estero. Egli ha poi aggiunto che il Governo non ha alcuna intenzione di dichiarare la Repubblica nel Paese, anche se molti cittadini, fedeli di Mossadeq stanno manifestando tuttora, chiedendo appunto l’abolizione della monarchia. Il ministro degli Esteri ha inoltre reso noto di aver dato subito istruzioni all’ ambasciatore iraniano a Bagdad perché eviti qualsiasi contatto con ti sovrano iraniano in esilio e con sua moglie. Pertanto — secondo quanto si apprende da Beirut — quando questa mattina lo Scià ha chiesto un colloquio all’ambasciatore persiano per «chiarire alcune questioni», il colloquio gli è stato rifiutato. Da parte sua lo scià di Persia — secondo quanto si apprende da buone fonti — ha fatto sapere che non ritornerà a Teheran, a meno che Mossadeq non obbedisca ai suoi ordini, lasciando il posto al maggior generale Fasulla Zahedi, da lui nominato Primo ministro. Lo scià non ha abdicato e non intende — dicono tali fonti — abdicare; egli rimarrà per il momento nell’Iraq unitamente alla consorte, come ospite del Governo. Lo scià avrebbe anche espresso il desiderio di trasferirsi in un secondo tempo in Italia. Gli avvenimenti di ieri dimostrerebbero che anche gli Stati Uniti hanno subito una grossa sconfitta perché l’opinione pubblica è convinta che Washington abbia fatto di tutto per sostenere e appoggiare lo Scià contro Mossadeq. Il Niroye Sevom che riflette generalmente il punto di vista governativo, scrive: «I frequenti viaggi della principessa Asrhaf e del generale americano Schwarzkopf indicavano che qualche cosa si andava tramando sulla scena politica a danno del coraggioso popolo iraniano. Gli organizzatori del complotto si sono appoggiati, fin dal principio, sulle promesse del Presidente Eisenhower e di Winston Churchill. Gli Americani pensavano di poter vincere giocando la carta dello Scià contro il popolo iraniano».
Mercoledì 19 agosto 1953
Controcolpo di stato a Teheran, assaltata la casa di Mossaddeq che risponde a raffiche di mitra
Radio-Teheran ha annunciato oggi alle 13 che insorti realisti hanno rovesciato il Governo Mossadeq. La stazione radio e tutti gli uffici statali della capitale sono stati occupati dagli insorti fedeli allo scià. Le forze armate appoggiano il movimento. Migliaia di dimostranti hanno deposto ritratti del sovrano sui rottami delle statue demolite ieri dalle manifestazioni filogovernative. Una grande confusione regna in città ed è impossibile per ora dire con esattezza se in Persia sia in atto un nuovo colpo di stato. Le truppe e la polizia sono partite dalla piazza principale della città lanciandosi nei bazar al grido « Viva il nostro amato imperatore! Abbasso i traditori! ». La folla ha strappato le bandiere e gli striscioni filogovernativi e quelli del « Fronte nazionale » issati sulle rovine delle statue dell’imperatore. Gruppi di rivoltosi, a cui si sono uniti agenti di polizia e soldati, hanno poi tentato di sfondare con un autocarro i cancelli della residenza di Mossadeq, ma sono stati respinti a raffiche di mitra dalla guardia del corpo del Primo ministro. Mentre dalla residenza del Premier si diceva che la situazione era « sotto controllo », nella piazza del Parlamento veniva annunciato alla folla che Mossadeq è già stato arrestato. Le dimostrazioni hanno avuto luogo malgrado il divieto governativo contro qualsiasi manifestazione. Sulle prime non vi è stata resistenza alcuna da parte di elementi della polizia e dell’esercito e in seguito si sono visti gruppi di agenti e soldati intervenire attivamente a fianco dei dimostranti. Gli osservatori sostengono che è chiaro che le dimostrazioni sono sostenute dagli stessi elementi delle forze dell’ordine. Nella piazza del Parlamento vi sono autocarri carichi di truppe agli ordini del generale Dastari. Il Governo ha infine annunciato la firma di un accordo irano-sovietico sulle vertenze di confine e le concessioni di pesca russe nel Caspio,
Giovedì 20 agosto 1953
Mossadeq arrestato
Il dott. Mossadeq, con tre dei suoi collaboratori, è stato arrestato. Non ha fatto in tempo a raggiungere il confine settentrionale né il territorio della tribù Cashgay, nello Shiras, che avrebbero potuto schierarsi a suo favore, non per convinzione politica ma per opposizione alla loro tradizionale rivale, la tribù dei Bakhtyari sostenitrice dello Scià. Zahedi ha avuto cura di far diramare un comunicato che annunciava l’arresto di Mossadeq e dei suoi compagni. Mohammed Reza Pahlevi si è preoccupato di salvare la vita di Mossadeq, il che accade per la seconda volta. Radio Teheran ha aggiunto che su Mossadeq «consegnato alla giustizia » si procederà con tutto il rispetto della legalità possibile. A Teheran non si riesce a dormire per il continuo passaggio dei carri armati. La legge marziale vige con severità, gli assembramenti di più di tre persone sono vietati, sui cortei e sui gruppi non autorizzati la forza pubblica ha l’ordine di sparare. Tutto ciò non ha impedito nella mattinata che Teheran assumesse un aspetto quasi gaio, con molta gente affaccendata nel rimettere l’ordine nelle strade e negli edifici ieri attaccati dalla folla e dalle truppe in rivolta contro il Governo di Mossadeq. Imbandierate e adorne di grandi ritratti dello Scià molte strade di Teheran sarebbero parse in festa senza le pattuglie e le intimazioni.
Mossadeq si è consegnato da sé, lo Scià non intende giustiziarlo
L’abitazione di Mossadeq ha riservato molte sorprese agli insorti che l’hanno conquistata ieri dopo parecchie ore di assedio: era munita di muri in calcestruzzo, di nidi per mitragliatrice e di piastre corazzate, sicché la sua lunga resistenza non appare più un fatto straordinario. Si sono appresi a tarda ora alcuni particolari sull’arresto di Mossadeq. Pallido, magro, in grado a mala pena di camminare, Mossadeq è giunto stasera in una limousine nera davanti al Club degli ufficiali, in cui Zahedi ha costituito il suo quartier generale e la sede provvisoria del Governo. Mossadeq aveva ascoltato a una radio, durante la sua breve latitanza, l’intimazione di Zahedi, che gli dava 24 ore per consegnarsi alle autorità, e il telegramma dello Scià che raccomandava di proteggere la sua vita Come un anno fa, quando fuggi a un altro attacco di manifestanti alla sua abitazione, Mossadeq era in pigiama. Tuttavia egli ha saputo mantenere un contegno dignitoso. Nei corridoi del Club erano schierate le guardie del corpo di Zahedi, che hanno salutato militarmente l’ex-ministro: Mossadeq, con mano stanca — era visibilmente sfinito —, rispondeva al saluto. Zoppicando egli ha raggiunto la sala in cui Zahedi lo attendeva. Il colloquio fra i due è stato abbastanza lungo. Poi Mossadeq è stato trasportato in un luogo di custodia che viene tenuto rigorosamente segreto. Questa sera Hussein Fatemi veniva dato ancora ufficialmente come disperso, ma riprendevano a circolare con insistenza le voci secondo cui la notizia della sua morte nei tumulti di ieri sarebbe esatta, si tratterebbe solo di identificare il suo cadavere fra i molti corpi irriconoscibili che testimoniano della violenza e della ferocia della breve battaglia di ieri. Si attende per domani l’arrivo dello Scià, al quale Zahedi sta preparando accoglienze trionfali
Venerdì 21 agosto 1953
Perché* Mossadeq ha perso
«II piccolo uomo che voleva fare il Gandhi era già finito da un pezzo. In Occidente, dove le cose dell’Oriente muovono l’interesse della gente soltanto quando diventano clamorosamente drammatiche, si poteva continuare a credere che Mossadeq fosse un uomo ancora forte. Era ancora lo stesso piccolo uomo caparbio, ma non era più un uomo forte. La forza lui l’aveva conservata a lungo, più a lungo di quanto fosse possibile pensare conoscendo le condizioni a cui aveva ridotto la Persia; ma la rassegnazione alle sofferenze, l’abitudine alle privazioni, il fatalismo islamico dei persiani collaboravano a lasciarlo durare, a tenerlo su...»Leggi qui l’articolo di Ros
Sabato 22 agosto 1953
Lo Scià conferma la politica della nazionalizzazione. Gli inglesi non ammessi a bordo
" Ritiene Vostra Maestà che con il nuovo Governo la politica dei petroli subirà modificazioni? ». «Lo escludo — ha detto lo Scià — nel senso che la nazionalizzazione sarà strettamente mantenuta e che non vi saranno modificazioni di sorta ». «Può prevedere Vostra Maestà che possano essere ripresi contatti con la Gran Bretagna a proposito dei petroli dopo la sconfessione politica di Mossadeq?» « Ci tengo a precisare che la politica della nazionalizzazione dei petroli non è stata la politica personale di Mossadeq, bensì la politica nazionale della Persia. Quanto a quelli che lei chiama contatti con la Gran Bretagna le ripeto che per il momento non ce ne interesseremo ». Queste dichiarazioni mi sono state fatte sull’apparecchio noleggiato personalmente dallo Scià per il suo ritorno in Persia. Su di esso il sovrano ha accolto i giornalisti rappresentanti la stampa mondiale in Roma. I quali altrimenti non avrebbero avuto modo di raggiungere la Persia ove vige lo stato marziale e non atterrano perciò aerei di linea. Durante l’intero viaggio — faticosissimo, perché abbiamo dovuto attendere all’aeroporto di Roma vegliando l’intera notte di ieri (siamo partiti alle ore 5.30 del mattino dopo avere aspettato oltre otto ore) — l’aeroplano si è mutato in sala stampa volante. Il sovrano è stato bersagliato dai fotografi, dagli operatori cinematografici e dagli inviati speciali. Nemmeno per un attimo egli si è sottratto alle fatiche che gli infliggeva la stampa di tutto il mondo (meno quella inglese alla quale non è stato consentito di prendere posto a bordo) (dall’intervista dello Scià di Persia a Virgilio Lilli, sul Corriere della Sera).
Mercoledì 16 settembre 1953
Sul petrolio iraniano anche il tribunale di Roma dà ragione agli italiani contro gli inglesi
Il Tribunale di Roma ha emanato stamane la sentenza nella causa intentata dalla Anglo Iranian Oil Company (Aioc) contro la società Supor, che ha per prima importato in Italia il petrolio iraniano dopo la nazionalizzazione, iniziandone il trasporto con la famosa nave Miriella. La sentenza rigetta la domanda di rivendica di proprietà del petrolio proposta dall’Aioc contro la Supor e condanna l’Aioc stessa alle spese di giudizio. Gli antefatti della causa sono noti. Come si ricorderà, in seguito alla legge per la nazionalizzazione dell’industria del petrolio in tutto il territorio della Persia, la società italiana Supor raggiungeva un accordo con la National Iran Oil Company per l’acquisto di petrolio nazionalizzato, senza esborso di valuta estera, mediante compensazione con i prodotti dell’industria italiana. I prelevamenti di tale petrolio furono iniziati con la nave Miriella. L’Aioc, che non aveva accettato la legge di nazionalizzazione e che pertanto si riteneva proprietaria del petrolio venduto alla Supor, prima mediante la richiesta di un sequestro giudiziario (che fu respinta dal Tribunale di Venezia) poi con l’instaurazione di tanti processi per ogni carico di petrolio persiano trasportato, chiese alle autorità giudiziarie italiane il riconoscimento del proprio diritto di proprietà sul petrolio. La sentenza riconosce invece il pieno diritto di proprietà del petrolio in contestazione alla Supor per averlo essa acquistato legittimamente.
Lunedì 30 novembre 1953
Il Sud si pronuncia a favore dell’unione con l’Egitto
Il Sudan si è pronunziato ieri a favore dell’unione con l’Egitto. Infatti, secondo gli ultimi risultati comunicati ieri sera, il partito filo-egiziano di Unione nazionale si trova nettamente in testa nelle elezioni sudanesi. I sudanesi, con il loro voto, si sono dichiarati contrari, non solo all’amministrazione britannica, che ha subito uno scacco netto, ma anche a Sayed Abdel Rahman El Nahdi, capo del partito indipendente « Umma », che è stato anch’esso nettamente battuto
Sabato 5 dicembre 1953
Ripresa delle relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Iran
I Governi di Londra e di Teheran hanno annunciato contemporaneamente la ripresa dei reciproci rapporti diplomatici. Ecco il testo: « Il Governo di S.M. e il Governo persiano hanno deciso di riprendere le relazioni diplomatiche e di procedere senza indugio allo scambio di ambasciatori. Perciò essi procederanno di comune accordo, al più presto possibile, a negoziare una sistemazione della vertenza sul petrolio che ha recentemente turbato le loro relazioni, e consacreranno così la ripresa della loro tradizionale amicizia. Hanno fiducia che, grazie alla reciproca buona volontà, possa essere trovata una soluzione che tenga conto delle aspirazioni nazionali del popolo persiano concercenti le risorse naturali del suo Paese, e che salvaguardi inoltre, sulla base della giustizia e dell’equità, l’onore e gli interessi delle due partì. Si spera così che un contributo reale possa essere apportato al benessere dei due popoli alla causa della pace e alla cooperazione internazionale ». Annunciando la ripresa delle relazioni fra i due Paesi un portavoce del Foreign Office ha fatto stamane la seguente dichiarazione: « Il Governo di S. M. accoglie con piacere questo avvenimento. Esso segna la fine di una triste interruzione nella lunga e tradizionale amicizia anglo-persiana. Questo dovrebbe facilitare le trattative per un regolamento sul petrolio, accettabile da ambedue le parti, regolamento che è di una importanza essenziale per l’economia della Persia e per il benessere del suo popolo». Come si ricorderà le relazioni fra i due Paesi erano state interrotte il 22 ottobre 1952.
Kasciani proclama una giornata di lutto nazionale
Il potente capo religioso dell’Iran, l’ayatollah Kasciani, ha dichiarato « giornata di lutto » quella di oggi, dopo l’annuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, affermando che gli Stati Uniti hanno forzato la decisione di Teheran
Sabato 19 dicembre 1953
Sciolto il Parlamento di Teheran
Il Governo persiano ha annunciato oggi lo scioglimento del Parlamento (Majilis) in vista di nriove elezioni in tutto l’Iran. Il Governo del generale Zahedi resterà in carica. Un portavoce del Governo ha dichiarato che i preparativi delle nuove elezioni avranno inizio domani. Lo Scià si è deciso a sciogliere il vecchio Parlamento, ormai ridotto a soli ventitré deputati, affinchè il Governo possa avere una solida base parlamentare. Qualunque gruppo potrà presentare liste proprie purché non abbia tinta comunista, e non si proponga di imporsi all’elettorato con metodi violenti.
Lunedì 21 dicembre 1953
Mossadeq condannato a tre anni
Il Tribunale militare di Teheran ha oggi riconosciuto colpevole di tradimento l’ex-Primo ministro Mohammed Mossadeq, ma lo ha condannato a soli tre anni di reclusione in seguito all’intervento dello Scià. Nella sentenza è specificato che i tre anni di reclusione dovranno essere scontati sotto forma di segregazione cellulare, e che l’imputato non è stato condannato a morte soltanto in considerazione dei servizi da lui resi in passato alla Nazione. Il generale di brigata Riahi, che fu capo di stato maggiore durante il regime di Mossadeq, è stato condannato a due anni di reclusione e all’espulsione dall’Esercito. Il pubblico ministero Hussein Azemudeh aveva chiesto per Mossadeq la pena di morte, nonostante il codice penale persiano proibisca le esecuzioni capitali di persone di età superiore ai sessant’anni. Tuttavia, all’ultimo momento, lo Scià, per la seconda volta nella sua vita, è intervenuto in favore di Mossadeq, perdonandogli i suoi misfatti e raccomandando al Tribunale clemenza per l’imputato. Mossadeq ha seguito tremando la lettura della sentenza, che è durata un’ora. I giudici hanno emesso il verdetto dopo sette ore di camera di consiglio. Nel tardo pomeriggio, si è avuta nelle strade della capitale una dimostrazione a favore di Mossadeq. Una sessantina di giovani che gridavano: «Mossadeq è vittorioso » e « Morte agli Inglesi », ha percorso le vie del centro, sciogliendosi all’arrivo delle forze di polizia. Sei giovani sono stati arrestati.
Giunto a Teheran Denis Wright, incaricato d’affari inglese
Il nuovo incaricato d’Affari inglese nell’Iran, Denis Wright, che è il primo diplomatico britannico che rientra in Persia dopo l’interruzione dei rapporti diplomatici avvenuta nell’ottobre del ’52, è giunto oggi all’aeroporto di Teheran. Appena disceso dall’aereo, egli ha proseguito per l’Ambasciata inglese, I lungo un percorso su cui erano sfilate unità dell’esercito per prevenire possibili dimostrazioni anti-inglesi. Con Wright sono giunti un primo segretario, tre secondi segretari e undici altri membri del personale della Legazione. All’aeroporto, il gruppo britannico è stato ricevuto dal ministro svizzero a Teheran, che ha sinora tutelato gliaffari relativi a persone o beni britannici in Persia. L" arrivo dei rappresentanti inglesi fa seguito all’annuncio* del 5 dicembre con cui il Primo ministro Fazlollah Zahedi dava notizia della ripresa dei rapporti diplomatici tra Persia e’ Inghilterra. Un portavoce inglese ha dichiarato di confidare che la ripresa dei rapporti diplomatici favorirà i possibili negoziati per la sistemazione della vertenza dèi petrolio tra Iran ed Inghilterra.
Martedì 26 gennaio 1954
Torna a sventolare a Londra la bandiera persiana
All’Ambasciata persiana di Londra è tornata a sventolare la bandiera. E la issa al balcone il nuovo ambasciatore, Amir Khosrow Afshar, primo rappresentante dell’ Iran nella capitale inglese dopo la sospensione dei rapporti diplomatici anglo-persiani avvenuta nell’ottobre del 1952.
Giovedì 25 febbraio 1954
Neguib prigioniero a casa sua, al Cairo tutto il potere a Nasser
«Il generale Neguib si trova in buone condizioni di salute nella propria abitazione a Koubbeh, nei pressi del Cairo». Questa breve dichiarazione è stata fatta stamane da un portavoce ufficiale del Consiglio della Rivoluzione per smentire le voci che erano corse nella capitale relative all’improvvisa morte di Neguib per colpo apoplettico. Il generale è stato posto agli arresti nella sua abitazione, vigilata da un distaccamento dell’Esercito. II comandante delle guardie ha dichiarato: «Ho l’ordine di non lasciare entrare nessuno»; e, a chi gli domandava se il generale «potesse uscire a piacer suo», ha risposto: «Sono persuaso che oggi egli non ne ha il minimo desiderio». Negli ambienti diplomatici del Cairo si sostiene che Neguib chiedeva maggiori poteri, ma si giustifica questo suo atteggiamento col desiderio di temperare l’azione dei giovani ufficiali rivoluzionari. Neguib avrebbe voluto convincere i più giovani colleghi di Governo a procedere con moderazione nel programma di industrializzazione, riforma agraria ed epurazione. Il ten. col. Gamal Abdel Nasser, nuovo capo del Governo, è noto come «l’uomo forte» del regime. Apparentemente freddo, impassibile, egli ha invece un temperamento ardente, una tempra di combattente, un carattere di vero rivoluzionario. Ha solo 36 anni e viene da una modestissima famiglia di contadini dell’alto Egitto. Ha fatto carriera nell’esercito, ove si è acquistato la fama, tra i soldati, di combattente feroce: durante la guerra contro Israele, dopo la battaglia di Falouga, i suoi uomini lo soprannominarono «la tigre di Falouga». Durante la seconda guerra mondiale, Nasser, che parla inglese correntemente, fu ufficiale di collegamento presso le forze britanniche. Pochi anni dopo, si pose all’avanguardia nella campagna politica anti-inglese condotta dal Consiglio della rivoluzione. I più violenti discorsi anti-britannici sono stati lanciati da lui, nelle roventi giornate dei moti per Suez. In quegli stessi giorni però Nasser era capace di trovare, quando parlava con i giornalisti stranieri, i toni di voce più freddi e più suadenti. Leggi qui l’articolo di Augusto Guerriero
Sabato 27 febbraio 1954
Al Cairo Neguib riprende la presidenza della repubblica
Un portavoce del Comando dell’esercito ha annunciato che, in base ad un compromesso raggiunto oggi, allo scopo di regolarizzare la situazione politica, il gen. Neguib riprenderà la presidenza della Repubblica, e il colonnello Abdel Nasser rimarrà Presidente del Consiglio dei ministri. Secondo il portavoce, l’annuncio del nuovo sviluppo della situazione politica verrà dato fra poche ore. L’improvviso cambiamento della situazione è sopraggiunto dopo parecchie ore di dissensi fra l’ufficialità ddell’esercito . circa la soluzione da dare alla crisi. Tali dissensi hanno manifestato una forte corrente in favore di Neguib. Precedentemente da Aleppo era stata data comunicazione che quaranta ufficiali di cavalleria che avevano tentato questa mattina di organizzare una rivolta contro il nuovo regime di Nassen, erano stati messi agli arresti.
Lunedì 8 marzo 1954
Nasser governatore militare dell’Egitto
Il Primo ministro egiziano, col. Nasser, ha dichiarato che le elezioni verranno tenute in Egitto nel giugno e luglio prossimi, e l’assemblea costituente si riunirà il 23 luglio. Il Primo ministro ha assunto ieri la carica di governatore militare dell’Egitto, in sostituzione del Presidente Neguib. Al governatore militare competono speciali poteri a norma della legge marziale proclamata fin dal 26 gennaio 1952, giorno dei gravi disordini del Cairo. In un messaggio indirizzato al popolo egiziano e trasmesso da Radio-Cairo il Presidente della Repubblica gen. Neguib dichiara tra l’altro: «Il mio più caro desiderio verrà finalmente appagato con il ristabilimento di una democrazia parlamentare in Egitto. La partecipazione del popolo al Governo costituirà la garanzia che il popolo stesso cercava contro l’autocrazia e la dittatura, le quali, ve lo prometto, verranno bandite per sempre. Mi rendo garante della vostra libertà e dei vostri sacri diritti». La Giunta militare ha fatto confermare, attraverso un portavoce ufficiale, che Neguib « non ha più alcun diritto di parlare a nome del Governo ». Portavoce delle decisioni è stato il ministro dell’Orientamento nazionale, Salah Salem. Egli ha annunciato che la Giunta, o « consiglio rivoluzionario », manterrà il potere sovrano in Egitto fin quando sarà istituita la Costituente promessa da Neguib al ritorno al potere. L’attuale Gabinetto militare sarà invece sostituito da un Gabinetto civile, responsabile di fronte all’assemblea. Viene annunciato infine che 41 persone sono state arrestate nel corso di operazioni condotte contemporaneamente al Cairo, a Tanta e a Kair el Zayyat contro « la più grande organizzazione comunista esistente in Egitto». Fra gli arrestati vi sarebbero personalità che occupavano importanti cariche diplomatiche. È stato sequestrato materiale tipografico oltre a ingentissime quantità di materiale di propaganda comunista.
Martedì 9 marzo 1954
Al Cairo controcolpo di stato: tutto il potere torna a Neguib, ancora troppo forte tra i militari
Il generale Mohamed Neguib ha riassunto tutti i poteri in Egitto: infatti egli è ora non soltanto Presidente della Repubblica, ma anche Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del Consiglio della Rivoluzione. Questo nuovo colpo di scena negli sviluppi della rivoluzione egiziana, già tanto ricca di avvenimenti sensazionali nella sua ancor brevissima vita, è avvenuto questa sera a tarda ora dopo una serie di febbrili consultazioni e discussioni tra i massimi esponenti del Governo e dell’oligarchia militare rivoluzionaria. Una riunione congiunta del Consiglio dei ministri e del Consiglio della Rivoluzione, iniziatasi a tarda sera e durata quattro ore, ha portato alla decisione — del tutto impreveduta — di riunire nuovamente tutto il potere nelle mani del generale Neguib. Il colonnello Abdel Nasser, il quale aveva assunto la carica di Primo ministro e di presidente del Consiglio della Rivoluzione dopo il clamoroso rovesciamento di Neguib avvenuto il 25 febbraio scorso, rientra ora nei ranghi con l’incarico di vice-Primo ministro. Il rimpasto ministeriale compiuto dopo il ritorno di Neguib alla carica formale di Presidente della Repubblica viene completamente annullato. Abdel Gelil El Emery che, la settimana scorsa, era stato nominato vice-Primo ministro in carica per gli Affari finanziari ritorna a essere ministro delle Finanze. Aly El Geritly, che era stato nominato ministro delle Finanze, diviene ministro di Stato. Il ministro Salem ha comunicato che tutte le decisioni prese per l’elezione di una Assemblea costituente entro il mese di luglio e per abolire la legge marziale e la censura rimarranno in vigore. Il dissidio fondamentale tra Neguib e Nasser verteva sulla definizione dei poteri di Neguib come Presidente della Repubblica e di Nasser come Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del Consiglio della Rivoluzione: dissidio che si esprimeva nelle dichiarazioni di Neguib sulla necessità di dare ai più presto all’Egitto una Costituzione schiettamente democratica e nelle controdichiarazioni di Nasser il quale affermava che Neguib non aveva « alcun effettivo potere di Governo » e non aveva nemmeno la veste per « parlare a nome e per conto del Governo ».
Lunedì 29 marzo 1954
Un infarto colpisce Neguib, ricoverato a casa sua
IL CAIRO - Il presidente egiziano Neguib aveva accompagnato all’aeroporto re Ibn Saud d’Arabia, che era venuto in Egitto per mediare tra lo stesso Neguib e Nasser (missione fallita), quando è svenuto a causa di una crisi cardiaca. Quelli che erano al suo seguito, il colonnello Nasser in testa, lo hanno trasportato a braccia nella sede del Comando militare dell’aeroporto. Qui è rimasto senza riprendere conoscenza per molto tempo. Atte 11,45 si sono avute le prime notizie rassicuranti: «Il presidente Neguib è debole ma non c’è da allarmarsi. I medici gli hanno fatto mangiare qualcosa. È stato lo strascico di giornate troppo intense». Poco dopo mezzogiorno Neguib ha ottenuto dai medici di poter rientrare nella sua abitazione. Si dice che a casa Neguib abbia avuto un secondo breve svenimento. Il malore del Presidente viene attribuito ufficialmente alla fatica cui egli si è sottoposto nei giorni scorsi: riunioni, continue prese di contatto con esponenti militari e con re Ibn Saud. rapidi spostamenti in auto dal Cairo ad Alessandria al seguito del sovrano saudita e levatacce di prima mattina quasi sempre senza fare colazione. A tanto disagio si è accompagnata una forte tensione nervosa a causa dette dimostrazioni che da qualche giorno vanno incalzando il Cairo. Le dimostrazioni non accennano a placarsi, mobilitando rinforzi di truppa in tutte le piazze della capitale ad ogni ora del giorno e della sera ed esasperando il senso di disagio che ha colpito il Cairo a seguito degli scioperi che dilagano da sabato pomeriggio. Sono scioperi a favore della corrente di Nasser, scatenatisi all’indomani della decisione del Consiglio della Rivoluzione che annunciava per il 24 luglio la fine del regime di emergenza, e tuttora in pieno sviluppo nonostante la marcia indietro fatta ieri sera da Neguib accettando in via di massima di revocare tale decisione. Insistendo in questo movimento di protesta contro la fine del regime di emergenza e in avversione alla rinascita dei partiti politici, quasi tutti i Sindacati hanno aderito agli scioperi.
Sabato 17 aprile 1954
Neguib rinuncia alla carica di primo ministro in favore di Nasser
IL CAIRO - Il generale Neguib ha rassegnato le dimissioni da Primo ministro dell’Egitto e ha trasferito i poteri di Capo del Governo al vice-Primo ministro Gamal Abdel Nasser. Egli conserva la carica di Presidente della Repubblica. La notizia è stata data stanotte alla stampa dal ministro per l’Orientamento nazionale, magg. Salah Salem, al termine di una seduta del Consiglio rivoluzionarlo. Nasser ha dichiarato a sua volta ai giornalisti che la decisione di Neguib di dimettersi dall’incarico di Primo ministro era stata presa in completa libertà. Egli ha soggiunto che Neguib, dopo il malore occorsogli il 29 marzo, aveva espresso il desiderio di poter dedicare tutto il suo tempo al posto di Presidente. Il nuovo Primo ministro ha detto di aver conferito stamane con il generale in merito al rimaneggiamento ministeriale e che Neguib avrebbe voluto partecipare a una riunione del Consiglio rivoluzionarlo alle 17 ma che venne impedito da un improvviso esaurimento. Dopo che il Consiglio ebbe deciso di affidare a Nasser l’incarico di Primo ministro, una delegazione di tre membri si è recata a casa del gen. Neguib e questi ha poi diramato un decreto, nella sua qualità di Presidente, che invita Nasser a costituire un nuovo Gabinetto. Il nuovo Gabinetto è uguale al precedente salvo l’inclusione di due nuovi ministri militari.
Martedì 27 luglio 1954
Accordo raggiunto tra Head e Nasser: gli inglesi se ne andranno da Suez
Il Cairo - Dopo settant’anni le truppe briitanniche lasceranno l’Egitto in forza dell’accordo che è stato siglato questa sera fra la delegazione britannica capeggiata dal ministro inglese della Guerra Anthony Head, inviato al Cairo con poteri speciali, e quella egiziana guidata dal Primo ministro colonnello Gamal Abdel Nasser. Le lunghissime trattative, che erano state più volte interrotte e riprese, sono giunte ad un esito positivo sulla base dei seguenti punti principali: sgombero delle forze britanniche’ dalla zona del Canale di Suez entro venti mesi; riattivazione della base nella eventualità di un attacco contro alcuno degli Stati arabi o contro la Turchia; durata dell’accordo, sette anni, manutenzione della base del Canale di Suez affidata ad una impresa britannica. Il Primo ministro egiziano Nasser, annunciando stasera che tutte queste difficoltà erano state risolte, ha dichiarato che la conclusione dell’accordo inaugura una nuova era nelle relazioni anglo-egiziane; un’era di amichevoli rapporti, basati sulla cooperazione non solo fra l’Egitto e la Gran Bretagna ma anche con gli altri Paesi occidentali. La sua dichiarazione secondo cui la firma segna una svolta nella storia egiziana non è esagerata se si pensa che dal 1882 tutta la storia del Paese si trova strettamente legata a quella della Gran Bretagna e alla presenza delle truppe inglesi sul suo suolo. Originariamente la Gran Bretagna insisteva perché la base potesse essere riattivata in caso di un attacco non ai soli Stati della Lega araba, come chiesto dall’Egitto, ma anche di attacchi alla Turchia o alla Persia. L’Egittp ha ora consentito a includere nel numero di tali Stati la Turchia, e la Gran Bretagna ha rinunciato a includervi la Persia. Le truppe attualmente stazionanti nella base sono settantatremila: il valore delle installazioni è enorme.
Giovedì 5 agosto 1954
Americani, inglesi, francesi, olandesi: un consorzio occidentale firma con l’Iran l’accordo sul petrolio
A Teheran e a Londra è stato annunziato simultaneamente stamane che il consorzio di otto aziende petrolifere occidentali e il Governo iraniano hanno finalmente raggiunto un accordo su larga base per far rinascere l’industria del petrolio nell’ Iran inattiva da tre anni. L’accordo dispone che la grande raffineria di Abadan e i campi petroliferi adiacenti saranno gestiti dal consorzio. La produzione sarà consegnata al Governo iraniano dal quale il consorzio la comprerà e la venderà poi all’estero. Campi e raffineria apparterranno all’ Iran. Si spera di poter riprendere le operazioni di esportazione fra due mesi. L’annunzio dell’accordo è stato dato a Teheran dal ministro delle Finanze, Ali Amini, e da Howard Pgage, rappresentante della « Standard Oil », il quale ha diretto i negoziati. L’accordo avrà una durata di 25 anni, prorogabile per altri cinque, se le parti lo vorranno. Benché l’annunzio non lo specifichi, si crede che l’accordo disponga il versamento del 50 per cento all’ Iran del reddito di produzione, ossia la stessa percentuale in uso in altri Paesi petroliferi del Medio Oriente. Si calcola che l’Iran introiterà 420 milioni di dollari nel primo triennio dell’accordo. Il consorzio è formato dall’Anglo Iranian, che ha sfruttato da sola l’industria petrolifera iraniana fino alla legge di nazionalizzazione di Mossadeq (1951), dalle aziende americane « Standard Oil » del New Jersey, «Standard Oil» della California. « Texas Company », « Gulf Oil » e « Socony Vacuum », dall’azienda olandese « Royal Dutch » e dalla « Compagnie française des pétroles »
Decisivo il ruolo degli americani nell’accordo sul petrolio con Teheran
È opinione concorde dei tecnici del petrolio e di funzionari e diplomatici americani che il contributo privato e governativo degli Stati Uniti ha avuto parte essenziale nella soluzione della vertenza anglo-iraniana. L’osservazione è basata non soltanto sul fatto che delle otto società aderenti al consorzio internazionale dei petroli iraniani cinque sono americane — la Standard of New Jersey, la Standard of California, la Texas Company, la Gulf Oil Company e la Socony Vacuum — ma anche e soprattutto sulla importanza dell’intervento governativo americano che servì a superare la complessa congiuntura economica e politica causata dall’insorgere della crisi fra la Persia e la Gran Bretagna. La conclusione dell’accordo dei petroli, a parte il vantaggio di carattere economico che rappresenta per il blocco occidentale, va interpretata come una significativa vittoria di carattere politico (sull’Urss - ndr). L’Iran si trova in un punto nevralgico del sistema difensivo ai margini della cortina di ferro e fino a circa un anno fa era considerato uno degli anelli più deboli della catena di alleati anti-comunisti. L’invio di aiuti americani ha avuto aiich’esso una parte preponderante per consentire al Governo Zahedi di fronteggiare la pesante eredità ricevuta la scorsa estate dalla amministrazione Mossadeq. L’azione di Washington non si fermò qui. Quando furono avviate le trattative fra le otto società del costituendo consorzio e il Governo iraniano da una parte e quello inglese dall’altra, l’opera delle autorità americane non fu meno efficace: Herbert Hoover junior, inviato straordinario del Dipartimento di Stato, attraversò l’Atlantico 14 volte per contribuire al buon esito delle laboriose trattative, svoltesi a Teheran, Londra e Washington. Per quanto manchino ancora precisazioni ufficiali, le cinque società americane saranno interessate per il 40 per cento al nuovo consorzio. Medesima aliquota avrà l’Anglo-Iranian Oil Co.; il 14 per cento avrà la società olandese Royal Dutch Shell ed il 6 per cento la Compagnie Frangaise des Petroles. Da parte ufficiosa americana si stima che occorreranno da cinquanta a sessanta milioni di dollari per riattivare gli impianti petroliferi iraniani. L’impresa si calcola che potrà dare i suoi primi frutti col primo gennaio 1955.
Venerdì 13 agosto 1954
Non sarà semplice riportare sul mercato il petrolio iraniano
Al ritorno del petrolio persiano sui mercati mondiali si oppongono varie difficoltà, che le Potenze occidentali, in special modo gli Stati Uniti, dovrebbero essere tuttavia in grado di superare. Sul piano economico è da notare che quando la vertenza fra Londra e Teheran portò alla chiusura delle raffinerie di Abadan, le industrie petrolifere degli altri Paesi del Medio Oriente intensificarono , notevolmente la loro produzione. Gli impianti di Kuwait producono ora 930 mila barili al giorno invece dei 350 mila che producevano quando ogni attività cessò ad Abadan; la produzione dell’Iraq è salita da 136 mila barili a 600 mila, e quella dell’Arabia Saudita è aumentata del 60 per cento e tocca ora i 955 mila barili. Nonostante manchino informazioni ufficiali, si stima che occorreranno da cinquanta a sessanta milioni di dollari per riattivare gli impianti iraniani entro il 1954. Inoltre, occorrerà o affrontare la concorrenza delle altre fonti di petrolio del Medio Oriente oppure ottenere che esse riducano la loro produzione. Questo complesso di cose rende economico il ritorno sul mercato del petrolio iraniano? A prima vista si direbbe di no. Sul piano politico l’opposizione al Governo Zahedi ha intanto cominciato a osteggiare l’accordo definendolo contrario alla legge sulla nazionalizzazione.
Martedì 19 ottobre 1954
Gli inglesi lasceranno Suez entro venti mesi
Il Cairo - Questa sera al Cairo è stato firmato il trattato anglo-egiziano, il quale dispone il ritiro delle Forze armate britanniche dalla zona del Canale di Suez entro venti mesi. Hanno firmato per la Gran Bretagna l’ex - sottosegretario agli Esteri ed attualmente ministro senza portafoglio Anthony Nutting, e per l’Egitto il Primo ministro Gamal Abdel Nasser. La cerimonia è avvenuta nell’aula faraonica del Parlamento. La firma è avvenuta a dodici settimane di distanza dal raggiungimento di un accordo in linea di massima. Tale accordo, come è noto, riconosce il diritto della Gran Bretagna di ritornare di nuovo e militarmente nella zona del Canale qualora, entro un periodo di sette anni, una Potenza straniera attaccasse la Turchia o qualche Stato arabo. Le Forze armate britanniche che si trovano attualmente nella zona del Canale ammontano complessivamente a 80 mila uomini.
Martedì 26 ottobre 1954
Dieci colpi di pistola (a vuoto) contro Nasser
Alessandria d’Egitto - Radio Cairo ha interrotto oggi i suoi programmi per trasmettere il seguente comunicato: « Questa sera, davanti a una folla di oltre 250.000 persone radunata sulla piazza di Mandila ad Alessandria, un giovane ha sparato numerosi colpi di rivoltella contro il Primo ministro colonnello Gamal Abdel Nasser senza colpirlo. Il col. Nasser, che stava pronunciando un discorso, non ha manifestato alcuna emozione ed ha proseguito serenamente la sua allocuzione. Il giovane, che ha attentato alla vita del Presidente del Consiglio egiziano, è stato tratto in arresto ». L’attentatore è stato identificato per tale Mahmoud Abdel Latif, residente in un villaggio nei pressi del Cairo, di professione lattoniere. Interrogato dalla polizia, egli ha dichiarato: « Volevo soltanto sparare in aria per esprimere la mia gioia ». Radio Cairo ha aggiunto che nel corso dell’attentato sono rimasti feriti il ministro delle Comunicazioni del Sudan, Marghant Hamza, e un avvocato di Alessandria. Ahmed Badr. Nasser stava pronunciando il suo discorso da una tribuna. L’attentatore, a quanto sembra, era seduto proprio di fronte al Presidente del Consiglio, in prima fila, a una distanza di circa dieci metri dalla tribuna dell’oratore. Secondo l’emittente, il primo colpo sparato dall’attentatore colpiva il filo elettrico installato sulla tribuna e spegneva di conseguenza le luci intorno a Nasser. Successivamente si è appreso che l’attentatore ha esploso dieci colpi di rivoltella contro il Presidente Nasser. Oltre all’attentatore, che è stato malmenato dalla folla, sono state arrestate altre undici persone, fra le quali un professore di una scuola media di Damanhour.
Venerdì 29 ottobre 1954
Sciolta in Egitto la Fratellanza musulmana
Il Cairo - Nella emissione nella quale ha annunciato lo scioglimento della Fratellanza musulmana radio-Cairo ha precisato: «Le autorità egiziane hanno deciso, nell’interesse generale, di sciogliere l’organizzazione dei Fratelli musulmani, gli obiettivi sovversivi e i metodi criminali della quale sono apparsi ormai chiari ». Le persone messe in causa dalle confessioni di Mahmud Abdel Latif, autore dell’attentato contro il colonnello Gamal Abdel Nasser, Primo ministro egiziano, sono state arrestate. Tutte appartengono all’Associazione dei Fratelli musulmani. Secondo i giornali egiziani di questa mattina, l’inchiesta ha rivelato che lo sceicco Hassan el Hodeibi, ex-guida suprema dei Fratelli musulmani, impiegava, all’insaputa della massa dei « fratelli », proprie cellule per creare disordini e intimidire i suoi avversari A proposito delle voci delle dimissioni di Neguib, uno degli ufficiali membri del Consiglio della rivoluzione ha dichiarato: «Tutte queste voci sono prive di fondamento ».
Sabato 30 ottobre 1954
Arrestato ad Alessandria d’Egitto Hassan el Hodeiby, capo dei Fratelli musulmani e mente del fallito attentato a Nasser
Con la decisione presa dal Governo del colonnello Nasser di sciogliere l’organiszazione della Fratellanza musulmana, la situazione interna egiziana è entrata in una fase di acuta lotta tra gli elementi nazionalisti più intransigenti e il Governo, il quale intende normalizzare la posizione dell’Egitto in politica estera, onde poter dedicarsi con maggiore energia ai problemi della ricostruzione interna ed economica del Paese. Sembra ormai assodato, infatti, sulla base delle dichiarazioni che sarebbero state rese alla polizia da Mahmud Abdel Latif, l’uomo che attentò alla vita del Capo del Governo egiziano, che i responsabili del tentato assassinio sarebbero appunto numerosi dirigenti della Fratellanza musulmana, mentre il Latif avrebbe avuto soltanto la funzione di esecutore materiale. Fra i primi arrestati, fin dalla giornata di ieri, si trova il segretario generale dell’organizzazione, Abdel Kader Uda. Ma la notizia sensazionale in proposito è del pomeriggio di oggi, e consiste nell’arresto, annunciato dal ministro dell’Interno egiziano, del capo della disciolta Fratellanza, la suprema guida Hassan el Hodeiby. Costui viveva sotto falso nome in una villa ad Haggar el Nawatia, nei sobborghi di Alessandria, ed è stato scoperto dalla polizia nel suo nascondiglio questa mattina all’alba e tradotto al Cairo sotto forte scorta armata. Le accuse rivoltegli da Nasser consistono nell’«aver abusato della religione per cercare d’impadronirsi del potere». Che il Governo egiziano intenda fare sul serio questa volta, è provato dal fatto che, oltre ai maggiori capi, ben mille persone si trovano già in carcere, e fra di esse parecchi altri dirigenti di grado elevato della Fratellanza musulmana. Non sembra che questa volta i capi della Fratellanza musulmana possano contare sull’appoggio dell’opinione, pubblica, la quale è stanca dopo mesi di agitazioni e preoccupata per le condizioni economiche del Paese
Lunedì 15 novembre 1954
Nasser accusa Neguib di aver trescato con la Fratellanza musulmana e gli toglie la carica di presidente della repubblica
Nasser ha destituito Neguib dalla carica di presidente della Repubblica. L’accusa è di connivenza con la Fratellanza musulmana che aveva progettato di assassinare Nasser confermata da Ibrahim El Tayeb, capo dei gruppi terroristici istituiti dalla « Fratellanza » al Cairo. Tayeb, che è stato arrestato alcuni giorni fa, è considerato uno degli elementi chiave dell’asserito piano ai danni del Governo. Egli, infatti, avrebbe seguito da vicino i presunti contatti fra Neguib e la « suprema guida » della « Fratellanza », Hasan El Hodeiby. Di Mohammed Neguib si dice soltanto che, da ieri, egli risiede con la famiglia nella lussuosa villa di El Marg, alla periferia del Cairo, che apparteneva fino a qualche tempo fa a Mustafa El Nahas, il capo del disciolto partito wafdista. I due giovanissimi figli del generale lo attendevano già da un paio d’ore, quando Neguib vi fu condotto nel pomeriggio di ieri. La moglie lo raggiunse subito dopo. Circola inoltre la voce che il Governo di Nasser avrebbe assicurato al re dell’Arabia San dita e al Presidente della Repubblica siriana che nessun male verrà fatto a Neguib.
Martedì 7 dicembre 1954
Impiccato con altri cinque l’attentatore di Nasser
Il Cairo - Sei membri della « Fratellanza Musulmana», condannati a morte dai Tribunale straordinario del Cairo, sono stati impiccati questa mattina all’alba alla periferia del Cairo. Essi sono Mahmud Abdel Latif, che sparò su Nasser cinque colpi di rivoltella andati a vuoto, Hindawy Dweir, che fornì all’attentatore la pistola, il segretario generale della Fratellanza Musulmana Abdel Kader Oda, il mercante Talaat, che era il capo delle cellule terroristiche della organizzazione della Fratellanza, Mohamed Fargali, un membro dell’ esecutivo della Fratellanza, e Ibrahim elTayeb. capo di una delle cellule. Soltanto per il capo della Fratellanza, Hussein el-Hodeìby, la pena di morte è stata commutata in quella della detenzione a vita. Il primo ad affrontare il patibolo è stato Abdul Latif, l’attentatore di Nasser II giovane operaio si è diretto con passo fermo verso la «camera della morte», ove l’attendeva la forca, e, prima di essere bendato, ha gridato con voce sicura : « Che Allah perdoni i miei peccati. Noi apparteniamo ad Allah e ritorniamo ora al suo regno ». Latif era vestito della tunica rossa che viene fatta indossare ai condannati a morte ed era accompagnato da un funzionario di polizia che lo ha condotto innanzi al comandante della prigione, il quale ha letto al condannato il dispositivo della condanna che 10 riguardava. Quindi Latif, fiancheggiato dal boia e dal suo aiutante, è entrato nella cella della morte: gli astanti hanno udito un grido rauco, quindi più nulla. L’attentatore di Nasser era morto, una botola si era aperta sotto i suoi piedi ed egli, il collo nel laccio, penzolava ormai inerte. Intanto in tutto il mondo musulmano si moltiplicano le proteste per la esecuzione dei membri della Fratellanza Musulmana. Dal Pakistan è annunciata una giornata di lutto religioso, cui partecipano tutti i sacerdoti musulmani del Paese.
Giovedì 13 gennaio 1955
Montanelli intervista Nasser
IL CAIRO - Alcuni giorni or sono Gamal Abdel Nàsser, il successore di Neguib, andò all’Ospedale Italiano a trovare un suo vecchio amico, il generale Aziz El Masri, che ogni tanto vi si rinchiude per un mese, un po’ per cura e più ancora per riposo. Informato dell’arrivo di un sì cospicuo personaggio, il chirurgo primario Cerqua gli si precipitò incontro per fargli gli onori di casa. E Nasser, vedendolo in tight, invece che in camice, gli domandò scherzando s’era in quella uniforme che usava sventrare i suoi pazienti. Cerqua gli spiegò ch’era vestito cosi perché doveva accompagnare all’altare sua figlia che proprio quella mattina sposava. « Bene — fece il Primo ministro battendogli la mano sulla spalla — vengo anch’io ». E andò. Assistè alla funzione in chiesa, come un invitato qualsiasi, chiacchierò affabilmente con tutti, fece un brindisi alla giovane coppia, scherzò con i nostri connazionali presenti alla cerimonia, e non guardò mai l’orologio. Con la stessa semplicità e la medesima indifferenza all’orario, il Capo del Governo egiziano ha ricevuto me, e mi ha trattenuto in colloquio da mezzogiorno e mezzo alle quattro.Leggi qui tutta l’intervista di Montanelli a Nasser
Martedì 18 gennaio 1955
Montanelli tra i ragazzi d’Egitto che giocano a pallone in camicia da notte
IL CAIRO - Il traffico, nelle strade del Cairo e di Alessandria, è caotico e pieno di rischiose incognite non soltanto per l’enorme numero e la spropositata mole delle macchine che lo intasano, non soltanto per il modo che hanno gli egiziani di guidarle all’assalto del pedone come fossero altrettanti carri armati all’assalto di qualche fortino, non soltanto per gl’ingorghi che provocano i carretti attaccati a ciucciarielli menefreghisti e gingilloni che hanno la fobia della mano destra e, piantati in mezzo alla strada, non c’è verso di farsene dare il passo; ma anche e soprattutto per la ricchezza e varietà di squadre di calciatori, che «scendono» a valanga verso l’immaginaria porta avversaria lanciandosi da un marciapiede all’altro sbrindellate palle di stracci.. Esistono anche da noi, questi volontari del foot-ball e della morte; ma non così numerosi, spericolati e rumorosi come qui. E soprattutto non cosi pittoreschi. Perché i ragazzi egiziani giocano al calcio in gallabia, che è quel cornicione da notte, quasi sempre a righe, con cui vanno vestiti da piccoli e da grandi, e che tanto contribuisce a sottolineare la ciabattoneria e la sonnacchiosità di questo Paese... Leggi qui l’articolo di Indro Montanelli
Mercoledì 2 febbraio 1955
Nasser cerca di ostacolare il Patto di Baghdad e minaccia di lasciare la Lega Araba
Il Primo ministro egiziano Nasser ha detto oggi durante un’intervista che l’Egitto si ritirerà dal patto di sicurezza collettiva dei Paesi arabi se l’Iraq insisterà nella firma del trattato di mutua difesa con la Turchia. È la prima volta che l’Egitto rende di pubblica ragione una minaccia del genere. L’asserzione di Nasser è stata interpretata come un tentativo estremo per impedire il fallimento di una missione araba a Bagdad, la quale sta cercando di persuadere il Primo ministro iracheno Nuri Said a desistere dal progetto di alleanza con la Turchia, Paese collegato agli interessi del blocco occidentale. Le dichiarazioni di Nasser hanno messo anche in evidenza il risentimento dell’Egitto verso alcuni Stati arabi che non si sono associati nel condannare l’alleanza tra l’Arabia e la Turchia. Il Premier egiziano ha aggiunto che nel caso l’alleanza tra la Turchia e l’Arabia venga conclusa, l’Egitto proporrà un nuovo patto con quegli Stati arabi che si sono opposti al trattato arabo-turco. Nel nuovo raggruppamento sarebbero invitati ad entrare anche altri Stati africani.
Domenica 6 febbraio 1955
Nasser e la Fratellanza musulmana
IL CAIRO – Mentre io scrivo e mentre voi, cari lettori, leggete, il Tribunale del Popolo seguita a processare e a condannare i nemici della Rivoluzione. Cosa sia con precisione questa rivoluzione, ancora non è chiaro nemmeno nella mente di chi la fa, e basta, per accorgersene, leggere la spiegazione che ne ha data il capo ufficiale, Gamal Abdel Nasser, in un suo piccolo «Mein Kampf», pieno più di domande che di risposte. È chiaro soltanto chi sono i suoi avversari. Essi si trovano annidati in quella specie di massoneria clericale che si chiama «Fratellanza Musulmana». Le sentenze, a giudicarle sul metro rivoluzionario, non sono gravi. Ogni tanto ce n’è qualcuna a morte, ma quasi sempre viene commutata in ergastolo. Le altre vanno da un minimo di sei mesi a un massimo di quindici anni. Per quanto instaurato con la violenza, l’attuale regime pratica la moderazione. Molta gente crede che perfino i sei giustiziati del 7 dicembre siano in realtà ancora vivi. I quattro giornalisti – fra i quali era il mio collega Max David – invitati a presenziare l’esecuzione, questa esecuzione non la videro. Videro soltanto i condannati che entravano nella celle della morte e udirono il crac del corpo che cadeva dentro la botola. Ma poteva anche essere un rumore contraffatto.Leggi qui tutto l’articolo di Indro Montanelli
Giovedì 24 febbraio 1955
"Patto di Baghdad" tra Turchia e Iraq
Il Primo ministro turco Adnan Menderes e il Primo ministro iracheno Nuri el Said hanno firmato stasera a Bagdad un trattato di difesa e di collaborazione fra i due Paesi. I due Primi ministri hanno firmato il trattato dopo sei ore il discussioni, iniziate nel po meriggio, interrotte solo per il pranzo e terminate verso mezzanotte (ora locale). Durante i colloqui, la delegazione turca e quella irachena hanno elaborato gli ultimi particolari del trattato. Sono stati firmati due testi del trattato, uno in lingua araba e l’altro in lingua turca. Si ritiene che il Parlamento iracheno si riunirà la prossima settimana per procedere alla ratifica del trattato. Il Primo ministro turco Adnan Menderes partirà probabilmente domani in aereo da Bagdad alla volta di Ankara. Secondo quanto si apprende da fonti diplomatiche, il Presidente della Repubblica turca, Celai Bayar, giungerà a Bagdad, proveniente da Karaci, il 5 marzo prossimo per una visita di cinque giorni. A Istanbul l’ufficio informazioni dell’esercito turco ha definito oggi « completamente infondate » le notizie diffuse da un giornale del Cairo, secondo cui la Turchia avrebbe trasferito due divisioni alla frontiera con la Siria per far pressione sul Parlamento siriano, perché appoggi il patto turco-iracheno. Dal Cairo si apprende che un portavoce militare, annunciando che l’esercito egiziano ha ricevuto l’ordine di « tenersi pronto a qualsiasi evenienza », ha affermato: «Consideriamo come destinato a creare una situazione particolarmente grave il fatto che i paesi occidentali comincino ad esercitare pressioni sull’Egitto per indurlo ad accettare il patto turco-iracheno».In Egitto la questione del patto turco-iracheno è considerata di tale gravità che l’Esercito « ha ricevuto l’ordine di tenersi pronto ad ogni eventualità », come ha dichiarato un portavoce ufficiale. Questi ha poi aggiunto: «Mantenendo la sua parola l’Egitto denuncerà il patto di sicurezza collettiva interarabo subito dopo la firma dell’accordo turco-iracheno».
Sabato 5 marzo 1955
L’America vorrebbe che anche l’Iran aderisse al Patto di Baghdad
La conclusione del patto di alleanza turco-irakeno ha irritato il Governo del Cairo nella stessa misura che ha soddisfatto i Governi di Washington e Londra. Si dice che l’America abbia gradito un suggerimento fatto dal Governo di Bagdad (Iraq), un indiretto invito a Washington e a Londra per aderire al patto turco-irakeno. La prospettiva di un’adesione americana vera e propria non è molto gradita in questo particolare momento perché il Senato di Washington non desidera ampliare gli impegni degli Stati Uniti. Ma l’Inghilterra invece potrebbe aderirvi, sia per sostituire in tal modo il patto anglo-irakeno che sta per scadere, e dal quale deriva il suo diritto agli aerodromi di Mesopotamia, sia per fare una amichevole affermazione di prestigio in concorrenza con l’America. Diciamo cosi perché i due Paesi anglosassoni, pur operando d’accordo di fronte al pericolo comune, sono sempre animati da spirito di emulazione fra loro. L’America, a quel che sembra, vorrebbe spingere anche la Persia a unirsi coi turchi, gli irakeni e gli eventuali nuovi associati del gruppo. Ma la Persia ha proprio ora ottenuto dalla Russia una lieve rettifica di frontiera ed esita a stuzzicare il potente vicino. Prima di aderire, il Governo di Teheran chiederebbe di essere messo in grado di equipaggiare il proprio esercito almeno allo stesso modo di quello turco. (Corriere della Sera)
Mercoledì 30 marzo 1955
Il Regno Unito aderisce al Patto di Baghdad
Il ministro degli Esteri Sir Anthony Eden ha annunciato ai Comuni che l’Inghilterra ha aderito al patto turco-iracheno. «Devo informare la Camera — ha detto Eden — che il Governo di Sua Maestà ha deciso di aderire al patto di mutua cooperazione tra l’Iraq e la Turchia, firmato a Bagdad il 24 febbraio. Nello stesso tempo noi ci proponiamo di concludere con il Governo dell’Iraq uno speciale accordo di sicurezza comune. I testi di questi documenti sono già stati concordati con il Governo iracheno e sono stati siglati a Bagdad questa mattina. Essi saranno pubblicati in un ’Libro bianco ’. Secondo fonti autorevoli, gli Stati Uniti dovrebbero a loro volta aderire al patto entro breve tempo. Prima però dovrebbe dare la propria adesione al patto il Pakistan e si ritiene possibile che anche l’Iran vi aderisca in un secondo momento. (Corriere della Sera)
Giovedì 7 aprile 1955
A Teheran dimissioni di Zahedi. Torna Hussein Ala
Il ministro della real casa Hussein Ala è diventato oggi Premier della Persia, in sostituzione di Fazollah Zahedi, dimessosi per motivi di salute. Zahedi è partito in aereo questa sera, dopo aver detto addio ad Ala ed allo Scià, alla volta di Beirut, dove rimarrà in visita per quattro giorni, prima di continuare alla volta di Roma, e poi di Amburgo, in Germania. Lo Scià ha incaricato Ala di formare il nuovo Gabinetto Oltre alla carica di Premier, Ala occuperà anche quella di ministro della Giustizia, nel Gabinetto, il cui elenco egli presenterà allo Scià sabato ed al Parlamento domenica. E’ stato inoltre reso noto che Zahedi farà pervenire le sue dimissioni ufficiali nella giornata di domani direttamente da Beirut. In precedenza lo Scià gli aveva indirizzato una lettera per esprimere il proprio rincrescimento per la sua malattia e per augurargli una pronta guarigione.
Martedì 27 settembre 1955
Allarme in Israele. Dalla Cecoslovacchia arrivano armi all’Egitto
LONDRA - L’Egitto ha informato oggi la Gran Bretagna che ha accettato l’offerta dei russi per un rifornimento di armi ed equipaggiamenti militari. L’annuncio è stato dato da un portavoce del Foreign Office, il quale ha precisato che il Governo egiziano ne aveva dato comunicazione ieri all’ambasciatore britannico al Cairo, senza tuttavia specificare l’entità del contratto concluso tra i due Paesi. Il portavoce hu dichiaralo d’altra parte: 1) Nessuna fornitura d’armi all’Egitto viene effettuata in questo momento da alcuna delle tre Potenze occidentali. 2) Nessuna discussione ha attualmente luogo fra queste tre Potenze circa la fornitura di armi ai Paesi arabi. 3) Le tre Potenze si consultano ogni volta che una di esse riceve una richiesta di fornitura di anni da uno Stato arabo. Il portavoce ha aggiunto che tali consultazioni hanno lo scopo di mantenere l’equilibrio degli armamenti fra Israele e gli Stati arabi, in conformità con la dichiarazione tripartita del 1950.Intanto, parlando alla radio egiziana in occasione di un’esposizione militare da lui inaugurata, il Primo ministro egiziano Gamal Abdel Nasser ha dichiarato che il suo Governo ha firmato la settimana scorsa un «accordo commerciale» con la Cecoslovacchia per la fornitura di armi all’Egitto. L’Egitto, ha detto Nasser, ha preso questa decisione dopo il ripetuto fallimento dei suoi tentativi di ottenere armi dall’Occidente, « non per la guerra ma per la pace ». Si apprende questa sera da Tel Aviv che Moshe Sharret, Primo ministro e ministro degli Esteri di Israele, ha chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di fargli visita domani. Il colloquio avrebbe per argomento la questione della consegna di armi all’Egitto. Il Governo egiziano ha frattanto richiamato le forze di riserva dell’esercito » per un addestramento supplementare.). È questa la prima volta dopo la rivoluzione del 23 luglio 1952 che viene presa unn misura del genere.
Giovedì 29 settembre 1955
Protesta inglese per le armi cecoslovacche all’Egitto
LONDRA - Il governo britannico ha ordinato all’ambasciatore al Cairo di esprimere al colonnello Nasser il proprio allarme per l’accettazione, da parte dell’Egitto, delle forniture d’armi cecoslovacca e sovietica. La decisione di fornire armi all’Egitto, che rimane in stato di guerra con Israele ed è irritato per l’accordo militare turco-anglo-iracheno, ha lo scopo di far penetrare l’influenza sovietica in una parte del mondo, dove essa finora aveva trovato le porte chiuse: anche il tentativo d’infiltrazione in Persia fallì, come tutti ricorderanno, dopo la caduta di Mossadeq. L’influenza dì Mosca si manifesta come un elemento di spostamento dell’equilibrio esistente: avvelena le relazioni fra l’Egitto e gli Occidentali, disturba il rapporto di forze fra Egiziani ed Ebrei faticosamente mantenuto dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti con ben dosate forniture di armi agli uni e agli altri in modo da evitare un nuovo scoppio di ostilità. I fini più lontani della mossa russa sono ancora più grandiosi. Tutte le popolazioni di colore sono assai vulnerabili dalla penetrazione comunista: la miseria degli strati più bassi della popolazione e l’odio per le classi dominanti tradizionali si combinano col risentimento verso gli Europei occidentali, formando un ambiente favorevolissimo alla diffusione del comunismo. L’influenza sovietica porterà probabilmente a un rafforzamento in tutto il Medio Oriente delle correnti sovvertitrici, alla superficie, o in clandestinità. Se è vero, come si prevede, che Mosca manderà una missione al Cairo, questa potrà diventare una centrale di azione irresistibile. Nasser, che reprime il comunismo, e ha eliminato, almeno esternamente, l’influenza della Fratellanza musulmana, dove i comunisti avevano messo piede, si crede naturalmente sicuro del proprio dominio intemo.
I russi corteggiano siriani e sauditi
Oggi il rappresentante diplomatico sovietico ha avuto un colloquio di oltre un’ora col Capo del Governo siriano, nel corso del quale avrebbe detto che l’U.R.S.S. è disposta a fornire armi anche alla Siria. Ma anche la medievale Arabia Saudita, dove gli Stati Uniti hanno un’importante base strategica, viene coltivata dai Russi. Questi hanno recentemente mandato in pellegrinaggio alla Mecca un gruppo di musulmani sovietici per accreditare le proprie affermazioni di tolleranza religiosa.
ottobre 1955
L’Iran aderisce al Patto di Baghdad
L’Iran aderisce al Patto di Baghdad, suscitando l’ira dell’Urss. All’alleanza difensiva, che comprende i Paesi al limite tra Unione Sovietica e occidente, aderiscono Turchia e Iraq - che lo firmarono per primi - Pakistan, Iran e Regno Unito.
Lunedì 3 ottobre 1955
L’Egitto respinge la nota inglese, comprerà armi dai cecoslovacchi
Il passo britannico al Cairo, eseguito dall’ambasciatore Trevelyan, non ha avuto esito favorevole. Era impossibile pensare che Abd el Nasser modificasse la sua decisione di acquistare armi dalla Cecoslovacchia. La popolarità di Nasser infatti è aumentata, il prestigio dell’Egitto cresce. Politica d’indipendenza dai due blocchi di tipo indiano, con minore sottigliezza di quella di Nehru, ma con maggiore violenza e risentimento verso gli Inglesi: niente può avere maggior favore fra le popolazioni di colore. La presenza di tecnici cecoslovacchi in territorio egiziano, la necessità di rifornirsi sempre alle stesse fonti per mantenere costante ed eguale l’equipaggiamento e l’armamento delle truppe, il bisogno di parti di ricambio, possono portare fatalmente a un legame pericolosissimo tra i fornitori e i rifomiti. La Cecoslovacchia denuncia i tentativi occidentali contro il progetto come un disegno imperialistico, un attentato all’indipendenza e alla libertà commerciale degli Stati. Viene annunciato un viaggio a Praga di Nasser. La Russia, che ha certamente diretto la manovra, non figura, per ora, tra le fornitrici di armi dell’Egitto. Questo aggiramento sovietico delle posizioni difensive pazientemente costruite dagli Occidentali, e specialmente dagli Inglesi, nel Medio Oriente, è il risultato più positivo che la Russia ha ottenuto, o sta per ottenere, con le armi insidiose della guerra sorridente. Dopo avere convocato gli ambasciatori delle Potenze comuniste, il Governo israeliano ha dichiarato che, per fare fronte a questa gara di armamenti, cercherà di rifornirsi in maggiore misura. Il delicato e precario equilibrio stabilito dalle tre Potenze occidentali rischia di cadere in pezzi. Il dosaggio di forniture seguito dal 1950 in poi per evitare una ripresa di ostilità tra Arabi ed Ebrei, è alterato dal fatto nuovo. In complesso, il Medio Oriente e il Mediterraneo sono la zona dove la situazione si è alterata più sensibilmente negli ultimi mesi, o, anzi, settimane. La ripresa di violenze in tutta l’Africa francese, la crisi di Cipro, il distacco della Jugoslavia e della Grecia, per diverse ragioni, dalle Potenze occidentali e dalla Turchia, il colpo di scena del Cairo, sono tutti segni e fatti allarmanti. (da un articolo di Domenico Bartoli).
Mercoledì 12 ottobre 1955
L’Urss ammonisce la Persia: non aderisca al Patto di Baghdad
La Persia, secondo notizie pubblicate dai giornali, vuole aderire al patto difensivo fra Turchia, Iraq e Pakistan. Il Governo sovietico ha subito deciso di reagire. Esso ha fatto sapere a quello persiano che un tale passo, qualora fosse preso, sarebbe « molto grave ». L’adesione al patto è incompatibile con gli interessi della pace e compromette le relazioni di buon vicinato, esistenti fra la Persia e l’Urss, violando il trattato di amicizia. L’alleanza a tre, dicono i Sovietici, è lo strumento « di circoli aggressivi » i quali non hanno alcun desiderio di mantenere e di rafforzare la pace. Il Governo di Mosca tocca poi un tasto molto sensibile per i persiani; esso dice che il patto tripartito vuole mantenere il Medio Oriente in condizioni di servitù coloniale. A riprova di ciò, ricorda che l’Inghilterra se ne fa garante. Le fiere lotte antibritanniche di Mossadeq sono troppo recenti perché simili argomenti rimangano senza eco. La comunicazione sovietica afferma dunque che la pace e la tranquillità del Medio e del Vicino Oriente sono minacciate dalla alleanza. Essa è stata fatta all’Ambasciata persiana di Mosca; ed è stata resa pubblica dalla « Tass ». È bene osservare che non si tratta, in linguaggio diplomatico, di una «nota»: l’odierno passo è meno impegnativo. (da un articolo di Piero Ottone per il Corriere della Sera).
Giovedì 13 ottobre 1955
Irritazione a Mosca per l’adesione (annunciata) dell’Iran al Patto di Baghdad
L’estensione del patto di Bagdad sarà un fatto grave per l’Urss. La diplomazia sovietica ha intrapreso la politica di Ginevra (politica del sorriso) soprattutto con uno scopo: essa spera nella dissoluzione delle alleanze occidentali. Bulganin lo disse chiaramente lo scorso luglio. Egli dichiarò che « gruppi militari », come risultato della distensione, dovranno essere sciolti. Adesso la Persia annuncia la intenzione di aderire al gruppo, già esistente, della Turchia, dell’Irak e del Pakistan. Le alleanze dell’Occidente, invece di disintegrarsi, stanno dunque allargandosi. L’adesione dell’Iran al patto di Bagdad, se avverrà, non sarà di per sé una grande catastrofe per l’Urss: i Persiani non hanno oggi un peso sufficiente per spostare nel mondo l’equilibrio delle forze. È piuttosto il valore simbolico dell’avvenimento che irrita, innervosisce e, vorremmo quasi dire, infuria i Russi. (da un articolo di Piero Ottone sul Corriere della Sera)
Sabato 12 novembre 1955
Nasser: «Siamo stati noi a chiedere le armi ai cecoslovacchi»
Dieci giorni or sono Nasser ha detto al corrispondente del settimanale americano Time: «Non sono i Paesi dell’Est che ci hanno proposto delle armi, siamo noi che abbiamo deciso di comperarìe da loro».Leggi qui l’articolo di Max David
Giovedì 17 novembre 1955
Attentato al premier iraniano Hussein Ala
Il Primo ministro persiano Hussein Ala è stato oggi fatto segno a un attentato entro il recinto della moschea dello Scià, dove il 7 marzo 1951 fu ucciso il Presidente del Consiglio Ali Razmara. Il Primo ministro si era tolto le scarpe per entrare nella moschea ed aveva appena fatto qualche passo quando un giovane sconosciuto lo ha affrontato e, dopo aver detto qualche parola, ha estratto una pistola ed ha sparato. Il proiettile non ha, però, raggiunto Hussein Ala, ma uno dei membri del seguito. Approfittando dell’emozione generale, l’attentatore — prima di essere immobilizzato — ha colpito il Primo ministro col calcio della rivoltella. Ridotto infine all’impotenza e condotto alla caserma della seconda divisione corazzata, lo sconosciuto è stato identificato per Zaffar Ali Zolghadr, contadino, 32 anni, giunto ieri a Teheran col proposito di cominciare una campagna contro gli infedeli giacché, a suo parere, i comandamenti islamici non erano messi in pratica adeguatamente. Sembra che prima di sparare avesse gridato: «Perché ci sorto tante donnacce in città? ». Secondo la testimonianza di un fotografo, dopo l’attentato Hussein Ala si sosteneva la testa tenendo in mano un fazzoletto. Egli è stato immediatamente ricoverato all’ospedale, dove gli è stata riscontrata una ferita nella regione occipitale, in vicinanza dell’orecchio. Le condizioni del Primo ministro, che ha 72 anni, non sono gravi.Chiamato da alcuni «il Primo ministro tascabile» per la sua bassa statura (metri 1.52), Ala ha studiato alla Westminster School di Londra, città dove ha esercitato l’avvocatura. Dal 1945 al 1950 fu ambasciatore iraniano negli Usa. Il suo Governo ha sempre seguito una politica di alleanza con l’Occidente. Tra l’altro, il mese scorso l’Iran entrò a far parte del patto di Bagdad che lega Turchia, Irak, Pakistan ed Inghilterra.La polizia ha annunciato che l’attentatore ha ammesso di aver acquistato tempo fa la sua rivoltella — una arma automatica di fabbricazione belga — da un membro del partito comunista Tudeh.
Lunedì 21 novembre 1955
Riunito il Patto di Baghdad
La prima seduta della conferenza dei Paesi partecipanti alla « Organizzazione per la difesa del Medio Oriente » è stata aperta dal Primo ministro dell’Irak, Nury Said pascià. Egli ha pronunciato un breve discorso, nel quale ha tenuto particolarmente a sottolineare che «l’Iraq non esiterà a utilizzare le sue riserve per assistere ogni Paese arabo che fosse aggredito da Israele». Ha quindi preso la parola il ministro degli Esteri britannico Macmillan. Egli ha fatto voti perché si consolidi la cooperazione militare ed economica fra gli aderenti al patto di Bagdad e perché le risorse di cui dispone il Medio Oriente, segnatamente il petrolio, possano essere impiegate per lo sviluppo del benessere dei Paesi del patto. Ha, infine, parlato Hussein Ala, Primo ministro iraniano, il quale ha auspicato l’adesione degli Stati Uniti al patto. Al termine della riunione, Macmillan ha dichiarato alla stampa che la seduta era stata estremamente fruttuosa e che gli aderenti al patto avevano deciso di chiamare la loro unione « alleanza ».Leggi qui l’articolo di Max David sul Corriere della Sera
Martedì 22 novembre 1955
Il Patto di Baghdad a difesa del Medio Oriente
La Gran Bretagna, l’Iraq, l’Iran, il Pakistan e la Turchia, queste ultime tutte Nazioni che confinano con la Russia sovietica, hanno completato questa sera la formazione di una organizzazione difensiva permanente del Medio Oriente. Due giorni dopo la riunione fra i Primi ministri delle quattro Nazioni del Medio Oriente e il ministro degli Esteri inglese, Macmillan, è stato diramato un comunicato che sottolinea la struttura della organizzazione e i stioi fini. Esso dice che durante le riunioni i cinque Governi hanno riaffermato la loro intenzione « di agire in piena comunità di intenti e col comune proposito di assicurare la pace e la sicurezza nel Medio Oriente; di difendere i loro territori contro l’aggressione e il sovvertimento e di promuovere il benessere e la prosperità dei popoli di questa regione «. Inoltre, il comunicato aggiunge che " i cinque Governi hanno passalo in rassegna la critica situazione mondiale particolarmente alla luce della conferenza di Ginevra ed hanno di conseguenza deciso di mantenere stretti contatti e una più intima collaborazione in vista di qualsiasi minaccia ai loro comuni interessi ».
Lunedì 12 marzo 1956
Egitto, Arabia Saudita e Siria si coordinano per la difesa comune contro Israele
Il comunicato conclusivo della conferenza araba del Cairo, durata sei giorni, annunzia che i convenuti hanno concretato un piano diretto a coordinare la difesa araba e metterla in condizione di fronteggiare qualsiasi atto di violenza che Israele volesse fare. Il piano — precisa il comunicato — serve a coordinare politica dell’Egitto, dell’Arabia Saudita e della Siria nei campi politico, militare, economico e culturale, e mira, con tale coordinamento, a mobilitare tutte le forze e tutte le direttive che vogliono realizzare il bene generale della Nazione araba, difendendola dai pericoli dell’aggressione sionista e del dominio straniero, che impediscono il formarsi di un’atmosfera di pace e di stabilità nel settore del Medio Oriente. Il comunicato annunzia pure che la conferenza ha escogitato un piano che contempla l’azione futura che i tre Stati potrebbero svolgere al di fuori dell’intesa che lega i nove Stati dell’Unione araba. Alla conferenza hanno partecipato il Presidente della Repubblica egiziana, Abdel Nasser, re Saud dell’Arabia Saudita ed il Presidente della Repubblica siriana.
Mercoledì 18 aprile 1956
Sciolto il Cominform. I russi parte attiva nella pace tra mondo arabo e Israele. Sconcerto al Cairo
Lo scioglimento del Cominform e la promessa russa di contribuire al mantenimento della pace nel Vicino Oriente sono definiti a Bonn dei regalucci con i quali Bulganin e Kruscev hanno voluto tar precedere il loro arrivo In Inghilterra. Il Coininform non aveva più alcuna Importanza da quando esiste il patto di Varsavia e forse il suo scioglimento sarà un efficace contributo all’Insidiosa infiltrazione comunista nei Paesi dell’Occidente secondo le ultime regole della politica moscovita. Quanto alla dichiarazione relativa alla tensione nel Medio Oriente. il regalUcclo è stato offerto piuttosto agli Stati Uniti favorevoli a un azione pacifica, che non alla Gran Bretagna che protendeva per una dimostrazione di forza. Co Comunque, una volta di più. i sovietici sono stati abili e tempestivi. A Bonn lo si riconosce apertamente, ma di fronte alla nuova mossa sovietica si citano le parole pronunciate a Strasburgo da Von Brentano, secondo le quali le speranze suscitate nel luglio scorso a Ginevra sono andate deluse obbligando il mondo occidentale a stare sempre all’erta Pur non escludendo che il cambiamento di tattica del Cremlino abbia ad aprire nuove possibilità, il Governo tedesco è sempre persuaso che 1 fini politici della Russia non siano cambiati
Sabato 21 aprile 1956
Patto a tre fra Egitto, Yemen e Arabia Saudita
Nella giornata di oggi è stato concluso a Gedda un patto tripartito fra Egitto, Yemen e Arabia Saudita. L’accordo firmato da re Saud, dal Presidente Nasser e da re Ahmed dello Yemen è analogo agli accordi bilaterali già conclusi tra l’Egitto e la Siria, l’Egitto e l’Arabia Saudita e la Siria e l’Arabia Saudita. Esso comporta, alcune clausole militari e una forma di unificazione della politica estera. I colloqui di Gedda sono stati brevi. Infatti essi hanno occupato solamente la mattinata di oggi. Il nuovo atto diplomatico, in quella che ormai viene definita « la sfera d’influenza egiziana », viene giudicato come il sintomo concreto del nervosismo causato nei Paesi arabi anti-Bagdad dalla visita dei due leaders sovietici in Inghilterra; e, in ogni caso, come una specie di monito, così a Mosca, come al blocco occidentale, che il movimento arabo facente capo al Cairo rimane autonomo, nel senso che non intende attendere gli sviluppi di una situazione mondiale extra-araba per determinare la sua azione. In altre parole, Abdel Nasser ha inteso dimostrare con un fatto concreto che la politica araba non teme l’isolamento da parte sovietica, ma che, anzi, minacciata di isolamento, affretta i tempi anziché aggiornarli. È forse per queste ragioni che una particolare solennità è stata conferita all’incontro dei leaders arabi a Gedda, quasi a volere controbilanciare, nell’opinione pubblica dei Paesi del Vicino Oriente, i clamorosi incontri in corso a Londra. (da un articolo di Virgilio Lilli)
Sabato 12 maggio 1956
Kruscev e Bulganin a Londra
[...] Tutti sono d’accordo, a Londra, nello stimare che discorrere con Malenkov, Bulganin e Kruscev è tutt’altra cosa da quelle che furono, a suo tempo, le conversazioni con Molotov. Il dialogo sembra sia andato bene, nel senso che fu un dialogo spassionato e oggettivo. Il linguaggio usato fu quello di una politica positiva, un linguaggio semplice e nudo: si parlò di alleanze, di basi, di petrolio, di bombardieri, di missili, di acciaio e di navi. In simili termini si discussero liberamente le condizioni, non diremo di un’amicizia, ma di una coesistenza. Se non vi fu un vero accordo, tuttavia qualche progresso sembra sia stato realizzato verso un’intesa circa il Medio Oriente. Vi è motivo di ritenere che tale risultato venne preparato durante la visita di esplorazione fatta da Malenkov. Gli fu detto nel modo più chiaro, in ispecie dai capi laboristi, che l’esistenza dello Stato d’Israele e il mantenimento dei rifornimenti di petrolio dal Medio Oriente all’Europa occidentale erano due capitoli su cui non si poteva transigere. [...] I visitatori russi — stando a quanto mi è stato riferito — dissero francamente che avrebbero suscitato agitazioni nelle zone petrolifere per demolire il patto di Bagdad, che secondo loro è un accordo militare inteso a stabilire l’aviazione strategica americana con le sue basi nell’Irak e nell’Iran. Fu loro assicurato che si tratta di un patto puramente difensivo; ma non è probabile che i sovietici abbiano prestato fede a tali assicurazioni.Leggi qui tutto l’articolo di Walter Lippmann
Mercoledì 13 giugno 1956
Gli inglesi lasciano l’Egitto
Le truppe britanniche hanno lasciato l’Egitto. L’estrema retroguardia delle forze che occupavano la zona del canale di Suez è partita oggi da Porto Said per Cipro, che è diventata la base inglese più importante alle porte del Medio Oriente. Altre basi restano, è vero, alle forze armate inglesi: terrestri e aeree in Libia e Giordania, soltanto aeree in Irak. Ma Cipro sembra più sicura perché si trova in un territorio di sovranità britannica. L’accordo raggiunto verso la fine del 1954 dal Governo inglese e dal colonnello Nasser, prevede il mantenimento di una base militare nella zona del Canale, che sarà garantito da una ditta inglese: i soldati britannici partono e vengono sostituiti dagli egiziani, ma la manutenzione dei magazzini e delle enormi installazioni costruite nella zona di Suez verrà assicurata ancora per molti anni dagli appaltatori inglesi, i quali impiegheranno naturalmente soltanto personale civile. Il Governo di Londra potrà occupare la base con le proprie forze e servirsene a scopi militari soltanto nel caso di una aggressione nel Medio Oriente. Per i pericoli di piccole guerre locali e di colpi di mano, la partenza delle forze inglesi lascia un vuoto irreparabile: viene a mancare un forte elemento di stabilità, una garanzia di moderazione e di- equilibrio. SJ aggiunga che pochi mesi dopo aver raggiunto l’accordo con Londra, Nasser ha accettato le forniture d’armi sovietiche e ha ripreso l’agitazione militare nel deserto di Palestina. L’imminenza del ritiro inglese da Suez, invece di trasformare l’Egitto in un alleato dell’occidente, ha permesso ai sovietici di metter piede nel Medio Oriente e all’Egitto di accettare offerte commerciali e militari dei comunisti. Le truppe britanniche erano sbarcate in Egitto’ ottantaquattro anni fa. per domare un’agitazione xenofoba. Partono lasciandosi dietro una xenofobia non meno aspra e certamente più pericolosa. L’ultimo scaglione comprendeva undici ufficiali e ottanta uomini di truppa ed era comandato dal brigadiere generale Lacey, il quale ha consegnato l’edificio, occupato fino a stamattina, alle autorità egiziane. (da un articolo di Domenico Bartoli)
Lunedì 25 giugno 1956
La nomenklatura sovietica s’inchina allo Scià di Persia
MOSCA – Oggi, per la prima volta, la folla moscovita ha applaudito un re: lo Scià di Persia è arrivato nella capitale del comunismo. Il suo arrivo nell’Urss segna il culmine della « politica musulmana» che i Russi stanno svolgendo con grande impegno. Basti dire che il principe ereditario dello Yemen è partito da Mosca appena stamane, dopo un lungo soggiorno nell’Unione Sovietica; e Scepilov sta compiendo una tour negli Stati Arabi. I seguaci di Marx corteggiano i seguaci di Maometto. I rivoluzionari comunisti della prima ora non immaginavano certo che l’Urss avrebbe accolto un monarca con tanti onori. La verità è che Mosca segue ormai, più che una politica ideologica, la politica di grande Potenza. Oggi, lo Scià è stato accolto solennemente, come si addice a una testa coronata. Il suo aeroplano, un bimotore sovietico, è apparso nel cielo della capitale alle sei meno dieci, con una scorta imponente di dodici caccia a reazione. Quattro Mig, perfettamente allineati, facevano da battistrada; gli altri otto si tenevano ai fianchi dell’aeroplano reale.Leggi qui l’articolo di Piero Ottone
Martedì 10 luglio 1956
Inchino dei sovietici davanti a Soraya meravigliosamente vestita. Lo Scià non firma un documento comune con l’Urss
MOSCA – I sontuosi saloni del Grande Palazzo del Cremlino sono stati aperti questa sera per il ricevimento che il Governo sovietico ha offerto in onore dello Scià dell’ Iran e dell’imperatrice Soraya. Bellissima c quasi superba, la consorte dello Scià è stata accompagnata dal Maresciallo Voroscilov e presentata ai dirigenti sovietici e ai capi delle Missioni diplomatiche. Bulganin e Scepilov seguivano lo Scià. L’imperatrice indossava un abito lungo di raso color avorio con ricami a stella incrostati di lapislazzuli; alla vita aveva una vaporosa sciarpa di organdis rosso e azzurro. Sul capo portava una preziosa tiara di diamanti; arricchiva la scollatura un «collier» di brillanti; sul petto recava il nastro e l’insegna del massimo Ordine cavalleresco iraniano. Soraya è stata la prima sovrana regnante che ha visto aprirsi i saloni della reggia del Cremlino e inchinarsi, seppure leggermente, davanti a sè le massime gerarchie dell’Unione Sovietica.Leggi qui l’articolo di Vero Roberti sul Corriere della Sera
Venerdì 20 luglio 1956
Neanche gli inglesi vogliono finanziare la diga di Assuan
A 24 ore dall’annuncio diramato dal Dipartimento di Stato, anche il Foreign Office ha reso pubblica oggi la decisione del Governo inglese di ritirare l’offerta di un dono di cinque milioni di sterline all’Egitto per la costruzione della grande diga di Assuan. Il portavoce del Foreign Office ha sostenuto che questo dietro-front inglese è motivato unicamente dai dubbi esistenti sulla capacità dell’Egitto, nelle circostanze attuali, di realizzare questo progetto colossale (che è la chiave di volta dell’intero piano di riforme economiche egiziano), e non da considerazioni politiche. Alla costruzione della diga avrebbero dovuto contribuire anche un dono americano di 15 milioni di sterline e un prestito della Banca Mondiale di 200 milioni di sterline.
Lunedì 23 luglio 1956
Né i russi né gli americani finanzieranno la diga di Assuan
Il ministro degli Esteri sovietico Scepilov ha dichiarato che il govcrno russo non intende finanziare la costruzione della diga di Assuan. «L’Egitto — egli ha detto — abbisogna di industrializzazione, e la Russia è disposta ad aiutarlo; ma la diga non è un’opera indispensabile». Colpo grave per Nasser: pochi giorni prima gli americani e poi gli inglesi avevano fatto sapere anch’essi di non voler fornire al dittatore i quattrini necessari. Questa successione di rifiuti merita un commento. Washington e Londra hanno preso la decisione per ragioni eminentemente politiche. I due Governi non vogliono aiutare un uomo di Stato la cui attività principale è di ostacolare la politica francese in Algeria, incoraggiando la rivolta, atteggiandosi a campione del panarabismo. Poiché l’Algeria fa parte del complesso atlantico. Nasser è nemico di tutte le Nazioni dell’alleanza. Mosca invece ha preso la decisione per ragioni economiche. La convenienza politica le avrebbe consigliato di inserirsi con il suo capitale in Egitto, e di occuparvi un posto importante, che avrebbe danneggiato il prestigio occidentale. Nel momento attuale, però, la Russia non ha i mezzi necessari per sopraintendcre alla costruzione di quella immane opera pubblica: non ha abbastanza macchine né tecnici (come avevano giustamente calcolato gli americani). Il risultato è penoso per Nasser, il quale sperava di riverniciare la sua popolarità con l’inizio dei grandi lavori sul Nilo e la promessa di una maggiore prosperità nazionale. Egli aveva creduto che giocando gli occidentali e i russi gli uni contro gli altri, avrebbe fatto ottimi affari. Come accade spesso ai troppo furbi, egli è caduto ora tra due seggiole (dal Corriere d’informazione).
Giovedì 26 luglio 1956
Perché gli americani hanno rinunciato al finanziamento della diga di Assuan
[...] Nasser aveva cambiato musica: aveva fatto dalla Radio la campagna contro l’America e l’Occidente e la propaganda per la costituzione dell’Impero egiziano in Africa. Ma l’aggressività e l’imperialismo di Nasser non sarebbero bastati a dissuadere Foster Dulles, se non si fosse costituita in America una potente coalizione contro l’Egitto: i democratici del sud, che sono sempre strenui difensori degli interessi cotonieri; i rappresentanti della comunità ebraica delle grandi città, il cui peso, alla vigilia delle elezioni, è molto importante; e, infine, gli elementi di destra ostili per principio a che si diano aiuti a Paesi che si rifiutino di assumere un atteggiamento risolutamente anticomunista. La conclusione è stata che, la sera del 19, che i governi americano e inglese hanno comunicato al Cairo che ritiravano la loro offerta di assistenza finanziaria per i lavori della diga [...] Leggi qui tutto l’articolo di Ricciardetto
Nasser annuncia la nazionalizzazione del Canale di Suez
In un discorso pronunciato questa sera ad Alessandria e trasmesso da radio Cairo, il Presidente egiziano colonnello Nasser ha dato lettura di un decreto da lui firmato in cui si annuncia la nazionalizzazione del Canale di Suez. Con la nazionalizzazione del Canale di Suez, ha sottolineato Nasser, l’Egitto conta di incassare 100 milioni di dollari all’anno, pari all’ammontare degli attuali profitti della compagnia del Canale di Suez. E ha aggiunto: «Ora noi non abbiamo necessità di chiedere aiuti agli inglesi o agli americani per costruire la diga di Assuan. Costruiremo la diga col nostro denaro ». Nasser ha poi dichiarato: « La causa del popolo algerino che lotta per la sua indipendenza è la nostra lotta. Che l’Occidente lo sappia: noi non potremo mai non essere solidali con questa lotta eroica. Noi difenderemo la nostra indipendenza e l’arabismo per estenderlo dall’Oceano Atlantico fino al Golio Persico». Il Presidente egiziano ha detto inoltre: «Ci rendiamo ben conto delle ambizioni di Israele che vuole stabilire una potenza sionista che vada dall’Eufrate al Nilo». Il Canale di Suez, come è noto, era gestito da une società privata, la Compagnia del Canale di Suez, società azionaria, il capitale sociale del Canale è rappresentato da 800.000 azioni. Il Governo inglese è proprietario di un pacchetto di 353.504 azioni. La società è diretta da un consiglio direttivo formato da 32 direttori e cioè: 16 francesi, 9 inglesi, 5 egiziani, un americano ed un olandese.Leggi qui tutto l’articolo
Il Primo ministro Eden ha convocato a tarda sera i rappresentanti diplomatici di Usa e Francia per esaminare la situazione creata dalla decisione di Nasser di nazionalizzare Suez. Hanno partecipato alla riunione il ministro degli Esteri Selwyn Lloyd, il Lord cancelliere, Kilmuir, e il Lord presidente del Consiglio, Salisbury. In precedenza Eden aveva conferito per un’ora con i tre capi di stato maggiore dell’Esercito, dell’Aviazione e della Marina. Non sarebbe da escludersi la possibilità di una rioccupazione del Canale di Suez da parte della Gran Bretagna. A termini del trattato anglo-egiziano, la zona può essere rioccupata dagli inglesi in caso di minaccia di guerra. Il Governo inglese intenderebbe chiedere la convocazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu giustificandola col timore «che si verifichino incidenti fra le autorità egiziane e le navi straniere in transito per il Canale». Stasera un’alta personalità britannica ha fatto alla stampa la seguente dichiarazione: «L’Egitto non ha diritto di espropriare la Compagnia di Suez. L’Egitto è vincolato agli accordi in materia fino al novembre 1968. Nasser si troverà in una grave difficoltà dopo il suo annunzio. La Compagnia del Canale di Suez — ha soggiunto — non è abilitata a ricorrere alla giustizia internazionale, ma potrebbero farlo i Paesi che hanno interessi in essa, come Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Paesi arabi». Il Canale di Suez è lungo 160 chilometri da Port Said a Suez. Esso fu ufficialmente aperto il 17 novembre 1869. Sei anni dopo, l’allora Primo ministro britannico Disraeli acquisto 176.602 azioni del Canale di Suez per 3.976.582 sterline dal Khedivè Ismail. Attualmente la Gran Bretagna è in possesso di 196.034 azioni privilegiate e 157.470 azioni normali su un totale rispettivamente di 437.002 e 362.998. Legalmente la Compagnia del Canale è egiziana, ma la sua sede amministrativa è a Parigi. L’importanza economica, oltre che strategica, del Canale è data dal fatto che nove decimi del petrolio destinato all’Occidente vi passano abitualmente.
Sabato 28 luglio 1956
Risposta inglese alla nazionalizzazione di Suez: congelati i beni egiziani nel Regno Unito
LONDRA - Con un comunicato diramato a mezzogiorno il Governo inglese informa di aver provveduto a bloccare i beni egiziani esistenti in Inghilterra ed in particolar modo i crediti in sterline che il Governo egiziano vanta nei confronti di quello britannico (più di 100 milioni di sterline che la Gran Bretagna deve ancora all’Egitto a titolo di compensazione per i servizi da ques’ultimo resi all’esercito britannico durante la guerra). Anche i beni della Compagnia del Canale di Suez esistenti in territorio inglese sono stati congelati. Inoltre, la tesoreria ha pubblicato due ordinanze che vietano ai cittadini britannici di conformarsi agli ordini del Governo egiziano per quanto riguarda i beni all’estero della Compagnia del Canale. Ieri il primo ministro aveva promesso fra gli applausi dei deputati che la «situazione sarebbe stata affrontata con fermezza c cautela». Nel pomeriggio una nota di protesta redatta in termini assai duri e consegnata a Nasser dall’ambasciatore britannico al Cairo deplorava l’« arbitraria azione» del Governo egiziano che costituisce «una seria minaccia alla libertà di navigazione in un passaggio marittimo di estrema importanza internazionale ».
Martedì 7 agosto 1956
Boom demografico degli Arabi
Quel che accade nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente è la schiuma prodotta da una corrente di fondo, scrive il sociologo francese Alfred Sauvy, e bisogna studiare questa corrente, più che i movimenti di superficie. Se cerchiamo in profondità, scopriremo che tutto accade perché la forza demografica degli arabi è diventata la più forte del mondo. Secondo il Sauvy, la caratteristica essenziale dei nostri tempi non si trova nel progresso della tecnica o nelle ideologie, non è nell’energia atomica, o nella televisione, o nel comunismo, bensì nella diminuzione della mortalità. La rivoluzione mondiale è stata preparata dalla medicina preventiva che ha bloccato quelli che erano i fattori di equilibrio demografico, come ad esempio le pestilenze. Oggi il mondo arabo è in piena eruzione demografica. La natalità fra gli arabi è del 50 per mille, e la mortalità, non conosciuta statisticamente, si sta abbassando verso il venti per mille: di guisa che un aumento annuo delle popolazioni in misura del tre per cento fa si che esse si raddoppino nello spazio di una generazione. Il mondo musulmano combina la mortalità già bassa dell’Europa del 1880 con una natalità che è assai più alta di quella dell’Europa in piena industrializzazione dell’epoca sopra detta. È una combinazione esplosiva. La conseguenza che bisognerebbe trarre da questa constatazione è suggerita dall’esperienza storica: la diminuzione della natalità è stata finora sempre un fenomeno concomitante col miglioramento del tenore di vita. Se quei popoli economicamente in ritardo non troveranno i mezzi per darsi una struttura produttiva che metta a disposizione delle masse quei beni di consumo che suscitano nuovi interessi, «gli uomini viventi come bestie — dice il Sauvy — continueranno a comportarsi da bestie». Egli cita un intellettuale indiano, il quale disse: «Questa gente non ha altra soddisfazione che la paternità e il piacere sessuale». (dal Corriere d’Informazione)
Martedì 30 ottobre 1956
È guerra tra Egitto e Israele
L’offensiva israeliana nella penisola del Sinai si sviluppa — secondo le notizie di Tel Aviv — favorevolmente agli invasori. Le truppe israeliane — stando a un annuncio ufficiale — si sono impadronite di Bir Kosseima sulla strada di Ismailia determinando una nuova penetrazione verso il nord che potrebbe condurre all’accerchiamento delle forze egiziane in una vasta zona. L’aviazione delle due parti è entrata in azione e ci sono già stati i primi scontri. Non si sa ancora il numero delle vittime. Le informazioni dal Cairo sottolineano, invece, che l’esercito egiziano « procede alla liquidazione degli elementi israeliani che durante la notte si sono installati presso l’oasi di Nakhl (nel centro del Sinai, a un centinaio di chilometri da Suez) ». Due aerei israeliani sono stati abbattuti, 12 carri armati sono stati distrutti e « pesanti perdite » sono state inflitte alle forze avversarie. A mezzogiorno il Presidente Nasser ha firmato un decreto per la mobilitazione generale in tutto il Paese. Un portavoce ufficiale a Bagdad ha annunciato che l’armata irachena è pronta a venire in soccorso dell’Egitto. Gli Israeliani nel Sinai hanno attraversato una zona arida, collinosa, e non hanno incontrato nei primi movimenti pattuglie egiziane. Ufficialmente, l’azione israeliana avrebbe per obbiettivo solo la liquidazione dei «commandos della morte» nella penisola del Sinai. Il Presidente Eisenhower, dopo un appello vano, ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero deferito nella mattinata di oggi, martedì, alle Nazioni Unite la penetrazione militare israeliana in territorio egiziano. Il Consiglio di sicurezza si è riunito stamane alle il La situazione è estremamente tesa. Tutti i cittadini americani residenti nel Medio Oriente hanno ricevuto l’invito di rimpatriare. Un centinaio di persone è già partito da Israele, altre hanno lasciato l’Egitto e la Giordania. All’aeroporto di Lydda due aerei sono pronti a decollare e a portare in America le famiglie dei diplomatici dislocati a Tel Aviv e a Gerusalemme: tutto il Medio Oriente è sull’orlo della guerra.
Navi inglesi e francesi fanno rotta verso l’Egitto. Doppio ultimatum
Stanotte le unità navali inglesi e francesi stanno dirigendosi verso l’Egitto. domattina, all’alba, le truppe dei due Paesi tenteranno di occupare la zona del Canale. Ad ogni resistenza degli egiziani risponderanno con la forza. Il pericolo di guerra, dunque, è imminente. La situazione precipita. Al conflitto fra Israele ed Egitto sta per sovrapporsi quello fra Egitto ed anglo-francesi. Si annunciano giornate di estrema gravità per oil Medio Oriente e per il mondo intero. L’azione anglo-francese è stata decisa oggi. Mollet e Pineau, dopo l’aggressione di Israele, sono venuti in volo a Londra per conferire con Eden e con Lloyd. Dopo affannose consultazioni i due governi hanno deciso di mandare a Tel Aviv e al Cairo due ultimatum: essi hanno chiesto innanzi tutto, a quei Paesi, di sospendere le ostilità e di ritirarsi da una parte e dell’altra del Canale, ad una distanza di dieci miglia. All’Egitto hanno poi chiesto di permettere l’occupazione di Ismailia, Porto Said e Suez da parte delle forze anglo-francesi «in via provvisoria» per garantire il libero passaggio del Canale. L’ultimatum è stato consegnato a Londra ai rispettivi ambasciatori, alle 4.30 del pomeriggio (ora di Greenwich), e chiedeva una risposta entro dodici ore. Esso scade domattina alle 4.30. In caso di risposta negativa, l’Inghilterra e la Francia useranno la forza. Alla Camera Eden ha detto: «La situazione è molto pericolosa. Se le ostilità non cesseranno immediatamente, il libero passaggio attraverso il Canale sarà minacciato».
Suez, gli americani all’Onu sconfessano gli anglo-francesi
L’avanzata delle truppe israeliane nella Penisola del Sinai non ha solo aperto il conflitto armato tra Israele ed Egitto, ma ha precipitato contemporaneamente una crisi diplomatica assai grave tra gli Stati Uniti e gli anglo-francesi. Questo è l’elemento centrale emerso in una giornata di estrema e spesso confusa tensione sia a Washington, sia al « Palazzo di Vetro » dell’O.N.U. a Nuova York, in cui gli avvenimenti sono venuti accavallandosi a ritmo rapidissimo. Cosi si è potuto assistere allo spettacolo paradossale del delegato sovietico Arkadi Sobolev che si è allineato sul testo di risoluzione proposto all’O.N.U. dal delegato americano Cabot Lodge, mentre i rappresentanti di Londra e Parigi insistevano perché la mozione di Lodge, che chiedeva la cessazione delle ostilità e il ritiro delle truppe israeliane al di là della frontiera non venisse sottoposta al voto...Leggi qui l’articolo di Ugo Stille
Mercoledì 31 ottobre 1956
Alle 17 sono cominciati i bombardamenti anglo-francesi sulle città egiziane
TEL AVIV - Alle 20.50 ora locale squadriglie di bombardieri a reazione della Rovai Air Force hanno attaccato simultaneamente gli obiettivi militari egiziani del Cairo, di Alessandria, di Porto Said. di Ismailia e di Suez. Contemporaneamente, l’esercito israeliano ha reso noto che un suo gruppo corazzato d’attacco è entrato in territorio egiziano per tagliare fuori la striscia di Gaza. Altre forze israeliane avanzano sulla strada per Ismailia, avendo infranto le difese egiziane ad Abu Agheila. L’attacco aereo di stasera, portato dalle basi di Nicosia e Akrotiri (cipro), senza reazioni da parte della contraerea egiziana, è durato dodici minuti. Un primo attacco agli obiettivi del Cairo si era registrato nel pomeriggio, alle 18.30 (17.30 italiane), pure da parte di bombardieri a reazione della R.A.F. e da parte di aerei francesi. Prima dei bombardamenti, gli aerei da ricognizione britannici avevano lanciato appelli, attraverso manifestini, alla popolazione perché evacuasse immediatamente le abitazioni nelle immediate vicinanze degli obiettivi militari e obbedisse alle precauzioni già ordinate dal Governo egiziano. Nonostante questi appelli, Radio Cairo informa che nel primo i bombardamento sette civili sono rimasti vittime degli spezzoni britannici e francesi, mentre i danni risultano « ingentissimi». Entrambi i bombardamenti sono stati massicci, effettuati da centinaia di aerei di ogni tipo. Bombe di grosso calibro e spezzoni incendiari sono stati sganciati sugli obiettivi militari, segnatamente sulle caserme, sul concentramento di truppe pronte a partire per la linea del fronte, e sugli aeroporti. Tale operazione, che il Comando franco-britannico ha definito « operazione-ombrello », è stata ordinata evidentemente allo scopo di assicurare il completo dominio del cielo egiziano, e di preparare l’eventuale entrata in azione delle truppe avio-trasportate e dei paracadutisti. L’incrociatore inglese « New Foundland » ha affondato una fregata egiziana. L’annuncio è stato dato dall’Ammiragliato britannico.
Venerdì 2 novembre 1956
In Egitto infuria la battaglia
Titolo del Corriere della Sera: GLI ISRAELIANI OCCUPANO LA PENISOLA DEL SINAI mentre l’aviazione francoinglese martella gli aeroporti. Violenti scontri fra reparti corazzati - Affondata nel Canale di Suez una unità egiziana - Numerosi aerei distrutti al suolo • Nasser riafferma la decisione di resistere ad oltranza ed assume poteri eccezionali - Appello agli altri Stati arabi perché distruggano gli oleodotti - La Siria si schiera a fianco dell’Egitto
La Siria si schiera con l’Egitto e manda truppe in Giordania
Da questa mattina al fianco dell’Egitto in guerra si è schierata la Siria, con le sue truppe e la sua aviazione militare. Con una comunicazione ufficiale, diramata da tutte le rappresentanze diplomatiche siriane all’estero e trasmessa da Radio-Damasco, la Siria ha annunciato al mondo che «il Governo siriano ha deciso di mettere le proprie truppe a disposizione del comandante in capo delle forze egiziane, generale Abdel Hakini Amer». Truppe siriane hanno varcato la frontiera con la Giordania e si sono poste a disposizione di re Hussein, « per difendere il Paese in caso di aggressione da parte israeliana ». Anche forti contingenti di truppe blindate irachene sono giunti la scorsa notte in territorio giordano. L’irak però non ha ancora rotto le relazioni diplomatiche con la Francia e con la Gran Bretagna, mentre questo grave passo è g<à stato compiuto dalla Siria, dove le manifestazioni antifrancesi e anti-inglesi si moltiplicano.
Sabato 3 novembre 1956
A Gaza gli egiziani si arrendono a Israele
Titolo del Corriere della Sera: «Imminente lo sbarco degli anglo-francesi in Egitto dopo la distruzione delle forze aeree di Nasser • Centocinque apparecchi annientati • Le truppe egiziane nella zona di Gaza si sono arrese agli israeliani, che continuano l’avanzata verso Suez • Il Governo di Tel Aviv disposto a intavolare trattative con II Cairo»
Martedì 6 novembre 1956
I franco-inglesi a Porto Said
Titolo del Corriere della Sera: «Nasser accetta il presidio internazionale dell’ONU mentre i paracadutisti franco-inglesi conquistano Porto Said»
Mercoledì 7 novembre 1956
In Egitto la guerra si ferma
Titolo del Corriere della Sera : «Francia e Inghilterra sospendono le ostilità in Egitto ma gli arabo asiatici chiedono l’immediato ritiro delle truppe • Porto Said e Porto Fuad in mano agli alleati • Il Cairo annuncia che l’Egitto continuerà a combattere finché le forze straniere non se ne andranno • L’ambasciatore sovietico da Nasser»
Venerdì 9 novembre 1956
L’Iraq rompe le relazioni dilomatiche con la Francia
L’Irak — si apprende da Bagdad — ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche con la Francia. Il ministro degli Esteri iracheno ha ricevuto l’ambasciatore di Francia a Bagdad e lo ha informato della decisione del suo Governo. Nessuna data è stata ancora fissata per la partenza, da Bagdad, dell’ambasciatore e del personale della rappresentanza diplomatica francese. Il Governo iracheno ha invitato oggi tutti i Governi e i popoli dei Paesi arabi a restare uniti e ha affermato che le sue forze sono pronte ad aiutare la Siria e la Giordania, Paesi i quali potrebbero « essere minacciati dal nemico». Alcuni aerei dell’aviazione militare egiziana si sarebbero rifugiati a Gedda, nell’Arabia Saudita. Non si sa il loro numero né il tipo degli aerei medesimi. Il colonnello Gamal Abdel Nasser — che l’emittente clandestina « Radio-Egitto Libera » ha definito in una sua trasmissione odierna «il Nerone del ventesimo secolo» — ha nuovamente parlato al popolo egiziano. È stata, come nei precedenti discorsi di Nasser, un’apoteosi: e quando la vettura su cui ha preso posto il « Premier » egiziano ha lasciato la Moschea, per riportare il Presidente alla sede del Governo, una marea di folla osannante, entusiasta, plaudente, ha circondato e accompagnato la macchina, come per un viaggio trionfale.
Sabato 10 novembre 1956
I francesi si ritirano da Porto Said
PORTO SAID - Alcuni reparti alleati hanno già cominciato a sgomberare la città di Porto Said, appena tre giorni dopo averla occupata. Il primo battaglione del reggimento paracadutisti è sbarcato oggi a Cipro. Il comandante del battaglione ha detto che se l’avanzata fosse continuata, le truppe anglo-francesi « sarebbero passate attraverso tutta la zona del Canale come un coltello attraverso il burro ». È evidente un certo rammarico fra i comandanti alleati per l’improvvisa tregua, che ha loro impedito di eseguire i piani per la completa occupazione della zona del Canale. Caratteristico è, del resto, il tono dell’ordine del giorno odierno del comandante francese, ammiraglio Barjot, in cui si dice: «Soldati, marinai e aviatori, nel momento in cui voi siete penetrati vincitori nella città principale del Canale di Suez una tregua è stata ordinata per ragioni politiche di cui il Governo è il migliore giudice. Anche se interrotto, il vostro intervento è presagio favorevole per l’avvenire della Francia ». Entro pochi giorni i paracadutisti e i « commandos » che hanno conquistato Porto Said verranno sostituiti da unità di fanteria, mentre si prevede il rientro in Gran Bretagna di alcune squadriglie di apparecchi da caccia e da bombardamento, attualmente a Cipro. Non sono ancora giunti a Porto Said gli osservatori dell’O.N.U. ma si ritiene imminente il loro arrivo. In città la vita sta tornando lentamente alla normalità (da un articolo di Arrigo Levi).
I russi avevano un piano per impadronirsi del Canale di Suez
La Russia aveva un chiaro e definitivo piano per impadronirsi del Canale di Suez e ridurre l’Egitto alla condizione di Stato satellite: il piano era stato battezzato « Operazione Mena», per la ragione che il quartier generale sovietico in Egitto, durante l’operazione, avrebbe avuto sede all’Hotel Mena, vicino all’aeroporto occidentale del Cairo. Queste rivelazioni, che danno sensazionale sostanza alle dichiarazioni in Parlamento del ministro del Commercio Thorneyeroft, sono state fatte ieri alla riunione del comitato direttivo dell’Associazione delle Nazioni Unite, dal colonnello Baker White. che fu nel Medio Oriente durante la guerra funzionario del Servizio segreto d’informazione del Foreign Office...Leggi qui l’articolo di Silvano Villani
Martedì 13 novembre 1956
Conferenza di Beirut, il mondo arabo è schierato con Nasser
Aprendo stamane a Beirut la conferenza dei capi arabi (alla quale sono rappresentati l’Irak, l’Arabia Saudita, la Sirla, il Libano, la Libia, lo Yemen e la Giordania), il Presidente libanese Camille Chamoun ha affermato che l’attuale crisi del Medio Oriente « minaccia la stessa esistenza, la libertà e la dignità» dei Paesi arabi. ». Il nostro potere e la nostra abilità di difendere questi sacri privilegi è in giuoco, egli ha detto. Chamoun ha poi chiesto che tutti i Paesi arabi aiutino l’Egitto a difendere il Canale di Suez contro l’intervento anglo-francese, e ha dichiarato che le « parole non bastano ad illustrare la gravità dell’attuale situazione dei Paesi arabi». Il Presidente libanese ha quindi rivolto i suoi auguri al col. Nasser (il quale è rappresentato alla conferenza dal suo ambasciatore a Beirut, gen. Abdel Hamid Ghaleb, e dall’ambasciatore egiziano in Siria, gen. Mahmoud Riad) ed ha auspicato che l’Egitto «continui a dimostrarsi forte, nella presente sua lotta per la difesa della patria e per la dignità dei popoli arabi». [...] Nell’odierna seduta della conferenza ha parlato anche il Presidente siriano Kuwatly, il quale ha dichiarato che « la vile aggressione anglo-francoisraeliana contro una Nazione sorella (l’Egitto) ha rafforzato la solidarietà di milioni di arabi e risvegliato la coscienza del mondo intero, il quale è ora pronto a sostenere gli arabi nella loro lotta contro l’aggressore»
Giovedì 7 febbraio 1957
Re Saud negli Stati Uniti
«Re Saud è stato accolto con grandi onori a Washington (ma non a Nuova York). In fondo, è il Presidente Eisenhower che ha da far la corte a lui, e non lui al Presidente. È vero che egli, a forza di dissipazioni e di prodigalità, è sempre a corto di quattrini. Ma l’America ha bisogno della sua amicizia assai più di quanto egli abbia bisogno di dollari. E le ragioni che rendono preziosa per l’America la sua amicizia sono tre. La prima: Dharan. La seconda: il petrolio. La terza: il fatto che il suo denaro è la pietra fondamentale su cui è costruita l’associazione dei Paesi anti-occidentali del Medio Oriente: «Egitto, Siria, Giordania, Arabia Saudiana; e, se Saud si e staccasse, Nasser si affloscerebbe come un fantoccio vuoto. La diplomazia americana si è sforzata di persuadere, uno dopo l’altro, il ministro degli Esteri del Libano, Saud e il principe ereditario dell’Irak, Abd Il-Illah, della necessità di costituire un blocco di moderati sotto la sua egida. E, per questo suo piano, punta su Saud. Questi, infatti, è nella coalizione anti-occidentale il membro che più probabilmente può essere indotto a staccarsi...» Leggi qui tutto l’articolo di Augusto Guerriero sul Corriere della Sera
Giovedì 14 marzo 1957
Lo Scià di Persia ha lasciato Soraya
BONN – L’ultima notizia pervenuta ieri a tarda ora da Teheran annunciava che i ritratti di Soraya erano andati rapidamente sparendo nel corso della giornata dagli uffici pubblici e dai molti negozi in cui figuravano accanto a quelli dello Scià e ciò aveva lasciato prevedere a Bonn che, da un momento all’altro, sarebbe stato pubblicato l’atteso comunicato ufficiale sullo scioglimento del matrimonio dei due augusti coniugi. Difatti, la radio germanica diramava stamane la decisione di Teheran nella sua prima emissione delle otto. Più tardi, l’addetto stampa dell’Ambasciata dell’Iran presso la Repubblica federale asseriva che anche Soraya l’aveva appreso, come tutti gli altri comuni mortali, dalla radio e dai giornali. Questo è vero solo in parte. Soraya non sapeva quando esattamente il comunicato sarebbe stato reso di pubblica ragione, ma era stata informata che lo si sarebbe diramato nello spazio di tre giorni, fra giovedì 13 e sabato 15. Tutto era stato concordato. Lo Scià aveva voluto che il testo del comunicato fosse sottoposto all’approvazione di Soraya e anche concordato è stato il comunicato di Soraya, diffuso successivamente per mezzo dell’ agenzia ufficiosa germanica. Se ora ci si appresta a leggere con attenzione i due comunicati, appare chiaramente, attraverso le stesse parole dei protagonisti, il doloroso dramma cui li ha condannati la ragione di Stato e al quale essi, specialmente Reza Pahlavi, avevano tentato di sottrarsi cercando vanamente una soluzione di compromesso. Lo Scià ha annunciato lo scioglimento del matrimonio con la donna che certo ancora ama «con profondo turbamento», ne indica l’esclusiva ragione nella mancanza dell’erede al trono che Soraya non ha potuto dare, tiene a sottolineare di essersi dovuto inchinare all’opinione espressa dal Consiglio della Corona, il quale ha ritenuto indispensabile un principe ereditario «per la sicurezza della Nazione, per la conservazione della monarchia costituzionale, per evitare disordini nel Paese».Leggi qui l’articolo di Massimo Caputo per il Corriere della Sera
Mercoledì 27 marzo 1957
Un piano di sette anni per modernizzare l’Iran
«[...] Una cosa che si apprende con stupore quando si viene in questa pittoresca capitale ai piedi dell’Elburz è che non esiste possibilità di ripartire in ferrovia. Da Bagdad, facendosi scombussolare per dieci giorni, si può, volendo, raggiungere Milano: da Teheran no. E nessuno dei Paesi con cui la Persia confina; non l’Iraq, non la Turchia, non l’Unione Sovietica, non l’Afghanistan, non il Pakistan. Ferroviariamente è isolata dal mondo. Una linea di somma arditezza, costruita anche col sudore di operai italiani, scavalca la nevosa catena dell’Elburz, alta più di seimila metri, per terminare a Bandar, sul Caspio, però sempre in territorio iraniano. Durante la guerra si credeva che i massicci rifornimenti bellici degli alleati alla Russia da Bassora nel Golfo Persico, dove sbarcavano, proseguissero per rotaia sino a Tabriz e oltre. Invece no: arrivavano in treno soltanto fino a Mianeh, che è nell’Azerbaijan, e di là continuavano per rotabile [...]»Leggi qui tutto l’articolo di Cesco Tomaselli per il Corriere della Sera
Martedì 2 aprile 1957
Cade il governo di Teheran dopo il massacro di tre americani
Le dimissioni del Primo ministro Hussein Ala hanno provocato una situazione gravissima in Persia. In molti ambienti occidentali della capitale persiana si nutre il timore che il Paese sia ad una svolta della sua politica filooccidentale e che la salita al potere del nuovo Primo ministro nominato dallo Scià, Manucheher Eghbal, possa rappresentare un ritorno a certe posizioni di forza che hanno caratterizzato il periodo della permanenza al potere di Mossadeq. L’attuale crisi della situazione persiana si connette direttamente all’ondata di sfiducia che ha colpito il Governo del filo-occidentale Hussein Ala in seguito alla uccisione dei tre americani, i coniugi Carroll ed un loro amico, da parte di banditi appartenenti alle tribù selvagge della zona sud-orientale. In seguito al rinvenimento del cadavere orrendamente mutilato della signora Carroll, avvenuto domenica scorsa in una solitaria e desolata vallata del Belucistan, il capo dell’amministrazione americana degli aiuti all’ Iran ha deciso di sospendere la distribuzione di tali aiuti e tutte le operazioni in corso nella concessione di assistenza alla popolazione iraniana. Pertanto il Governo di Ala si è trovato di fronte alla responsabilità di aver provocato al Paese gravissimi danni. Insieme ad Ala si sono dimessi anche tutti i ministri. L’inseguimento del bandito Dad Shali sulle montagne lungo il confine con il Pakistan continua con grande spiegamento di mezzi; tre uomini, che si presume facessero parte del gruppo che ha ucciso i tre americani, sono stati abbattuti dai reparti di polizia. Ieri sera il Cancelliere Adenauer, che si trova in Persia da alcuni giorni, si è congedato dallo Scià e dall’imperatrice Soraya e questa mattina è ripartito per la Germania.
Mercoledì 3 aprile 1957
A Teheran Eghbal primo ministro. Continua la caccia ai banditi
Il Presidente del Consiglio Iraniano Hussein Ala ha rassegnato oggi, come previsto, le dimissioni nelle mani dello Scià, il quale ha chiamato a succedergli l’attuale ministro di Corte e rettore dell’Università di Teheran, Eghbal. Prima di recarsi dallo Scià per rassegnare nelle sue mani le dimissioni, il Primo ministro dimissionario Hussein Ala aveva presieduto un’ultima riunione del Gabinetto. Lo Scià ha già sottoscritto il firmano imperiale per la nomina del nuovo Primo ministro Eghbal il quale ha iniziato le consultazioni per scegliere i membri del suo Gabinetto, che saranno ufficialmente presentati allo Scià domani. Sembra che dei membri del Governo uscente solo tre su quattordici conserveranno i loro portafogli, mentre l’ex-Primo ministro Ala subentrerebbe ad Eghbal nella carica di ministro di Corte. Eghbal è considerato un intimo dello Scià e si presume che prenderà energici provvedimenti per eliminare il banditismo dalle zone montane dell’ Iran. Continua frattanto da parte della gendarmeria e delle truppe la caccia ai membri della banda responsabile del recente eccidio dei coniugi Carroll e di un altro funzionario americano nonché delle persone che li accompagnavano. Il ministro degli Interni persiano ha annunciato oggi che il bandito Ghader Dad, presunto aiutante di Dad-Scià capo della banda che ha compiuto il massacro, è stato ucciso ieri pomeriggio dopo uno scontro a fuoco durato due ore. Lo scontro, avvenuto nelle vicinanze del villaggio di Bened, è stato impegnato tra Ghader Dad e i componenti di una tribù impiegata dal Governo per la cattura dei banditi. Ghader Dad, che sarebbe personalmente responsabile dell’uccisione della signora Anita Carroll, è stato attaccato mentre cercava di entrare nel villaggio in cerca di viveri e di acqua. Il gruppo principale dei banditi dispone di tre cammelli e due cavalli e procede separatamente dalle donne e bambini. La polizia e i membri delle tribù fedeli stanno incontrando grande difficoltà a seguire la banda nelle desertiche zone montane, dove chi passa non lascia impronte e di cui i banditi a quanto pare conoscono ogni metro. Vengono particolarmente sorvegliati i pozzi di acqua della zona, dove la banda presto o tardi dovrà recarsi per i rifornimenti.
Giovedì 4 aprile 1957
Gli Stati Uniti entrano nel Comitato militare del Patto di Baghdad
BRUXELLES - Gli Stati Uniti entreranno nel Comitato militare del Patto di Bagdad. Si erano sempre rifiutati di farlo, nonostante gli inviti calorosi di Londra e dei Paesi musulmani del patto: l’Iraq, l’ Iran, la Turchia e il Pakistan. L’America si contentava di far parte del Comitato economico e dell’altro incaricato della lotta contro il sovvertimento comunista nel Medio Oriente. Senza aderire al Patto, ma semplicemente accedendo al Comitato militare, gli Stati Uniti segnano un punto fermo e la decisione costituisce un ammonimento serio per l’Egitto, la Siria e la Giordania, nel caso in cui questi Paesi dovessero rivelare ancora atteggiamenti troppo favorevoli all’Urss.
Lunedì 8 aprile 1957
Arrestati i banditi iraniani, stavano per fuggire in Arabia
Sarebbe stato arrestato in un porto del Belucistan pakistanese, al momento di imbarcarsi per l’Arabia Saudiana, il gruppo di banditi iraniani che assassinarono il 24 marzo scorso nella Persia occidentale tre funzionari dell’assistenza tecnica americana. Qualunque possa essere l’epilogo giudiziario di questo fatto tanto tragico, esso avrà per primo effetto quello di illustrare brutalmente una realtà che le formule astratte dello « sviluppo economico » tendono a oscurare negli spiriti, ossia che si tratta di fare una vera e propria rivoluzione per portare i Paesi arretrati al livello di efficienza economica, politica e amministrativa che essi desiderano raggiungere. L’assassinio dei tre funzionari americani ha provocato le dimissioni del Governo iraniano, un mutamento di Primo ministro e l’entrata in azione di potenti forze con il compito di annientare i fuorilegge che da dieci anni razziavano a loro piacere le regioni desolate della Persia orientale. Il loro capo, Dadscià, aveva promesso che uno degli esperti americani, una donna che non era stata uccisa nel corso della scaramuccia e che egli aveva portata via prigioniera, avrebbe avuto salva la vita se gli avessero concesso un salvacondotto. Per ragioni ancora ignote, il « baratto » non venne concluso e la signora Carroll fu cosi assassinata. I particolari di questo dramma hanno la loro importanza, perché rivelano la debolezza dell’apparato amministrativo a disposizione del Governo iraniano per il mantenimento dell’ordine.Leggi qui tutto l’articolo tratto dal Journal de Genève
Sabato 1 febbraio 1958
Egitto e Siria si fondono nella Repubblica Araba Unita
Si è svolta oggi al Cairo, nel palazzo del Governo, la cerimonia della firma dell’atto che dà vita al nuovo «Stato arabo unificato » costituito dall’unione della Siria e dell’Egitto. Appena hanno fatto il loro ingresso nel grande salone del palazzo, dove già si trovavano 150 personalità, il Presidente egiziano Nasser e il suo collega siriano Kuwatly hanno preso posto in due grandi poltrone di fronte ad un tavolo dalla superficie lucida come uno specchio. Subito un alto funzionario del Ministero degli Esteri egiziano si è fatto avanti con una cartella contenente la storica pergamena, che costituisce l’atto di fondazione della nuova Repubblica araba, e che i due Presidenti hanno firmato: erano esattamente le 15.53 (ora] italiana). Subito dopo la cerimonia della firma, il Presidente Nasser e il Presidente Kuwatly, seguiti dai ministri, si sono affacciati al balcone per salutare la folla ammassata nella piazza e che ha tributato ai due statisti una ovazione interminabile. Fra le molte frasi gridate dalla folla all’indirizzo dei due Presidenti, una ricorreva con notevole frequenza: « Viva Nasser, il distruttore dell’imperialismo! ». In base al documento firmato oggi il nuovo Stato disporrà di un solo Governo, di un solo Parlamento e costituzionalmente potrà essere definito come una Repubblica presidenziale. Esso però, prima di divenire una realtà operante, dovrà essere approvato dai Parlamenti dei due Paesi il 5 febbraio prossimo (e sull’approvazione non ci possono essere dubbi) e sanzionato entro trenta giorni da un raferendum che verrà tenuto in Siria ed in Egitto e nel corso del quale i due popoli dovranno, non solo dire se sono consenzienti all’unione dei loro due Paesi, ma saranno anche chiamati ad eleggere il Primo Presidente della nuova Repubblica. E anche a questo riguardo non vi sono dubbi: il Primo Presidente sarà Nasser.
Sabato 8 febbraio 1958
Problemi dell’unificazione tra Egitto e Siria
Non vi è dubbio che l’Unione siro - egiziana presenta molti lati oscuri e non pochi interrogativi. La fretta con cui i capi l’hanno realizzata fa pensare che essi non saranno in grado di dare una soluzione pratica a tutti i problemi concreti che si porranno inevitabilmente tra breve tempo. Come fare ad equiparare due Stati dove il tenore di vita è tanto diverso? L’operaio siriano è pagato tre volte in confronto a quello egiziano. Si ridurrà il salario del primo o si aumenterà quello del secondo? Si lascerà che l’industria egiziana faccia liberamente concorrenza a quella siriana avente costi di produzione minori? Passiamo ad altro campo: quello del futuro esercito comune. Anche qui il soldato siriano è pagato tre volte più dell’altro. Allora come è possibile unificare l’esercito? Se i soldati siriani si vedranno diminuite le paghe non ci potrebbe essere niente di più decisivo per rendere impopolare la federazione. Se, invece, si preferirà moltiplicare per tre la paga del soldato egiziano, che cosa succederà dell’economia di un Paese che già offre tanti segni di dissesto? Come si vede i promotori del nuovo Stato dovranno nei prossimi mesi procedere su un cammino irto di ostacoli. Forse a questi ostacoli che potrebbero diventare insormontabili vi è un’unica soluzione: che il movimento di opinione pubblica panaraba diventi irresistibile e l’Unione si estenda ad altri Paesi più ricchi. Questo spiega gli sforzi per trovare nuovi associati che nei prossimi mesi Cairo e Damasco espleteranno. Il destino della Repubblica araba unita è di trovare quanto più presto possibile nuovi soci oppure di incagliarsi davanti a grossi scogli che potrebbero mettere in contrasto i due Paesi recentemente uniti. Questo vale soprattutto per la Siria: restando sola con l’Egitto potrebbe fare essa le spese dell’Unione perché è incontestato che il potere risiede al Cairo, nelle mani del dittatore Nasser (da un articolo di Dino Frescobaldi).
Venerdì 14 febbraio 1958
Il significato dell’unione tra Giordania e Iraq
«[...] Tutti capiscono che la costituzione di un vincolo federale fra le due monarchie arabe ha lo scopo precipuo di controbilanciare l’Unione araba fondata per iniziativa di Nasser, e sotto il patrocinio della Russia sovietica, dalle due Repubbliche del Cairo e di Damasco. I due nuovi enti statali rappresentano nel Medio Oriente, per lo meno tendenzialmente, i due blocchi mondiali che fanno capo a Washington e a Mosca. La nascita della federazione irako-giordana può essere considerata come un contributo alla pace nella misura in cui ristabilisce l’equilibrio turbato pochi giorni fa dalla formazione della Unione egitto-siriaca. Essa dev’essere accolta con soddisfazione in Europa, in quanto unifica il territorio per il quale passano alcune delle principali condotte che portano il petrolio mesopotamico al mare Mediterraneo. Lo Stato d’Israele, stretto finora tra quattro Nazioni arabe che gli sono ugualmente nemiche, ne avrà solo due ai suoi fianchi. Non sembra a prima vista che la posizione di Tel Aviv sia peggiorata, giacché se da un lato può essere più facile l’accordo fra due Governi per aggredire gli ebrei e tentare di spingerli nel mare, dall’altro lato i Governi emergenti dalle due fusioni sono più rivali tra loro che non fossero, prima di questo sviluppo, i quattro elementi statali originari [...]» (dal Corriere d’Informazione).
Martedì 18 febbraio 1958
Nasser vuole impadronirsi del Sudan
L’Egitto ha chiesto al Sudan la cessione di tutto il territorio che si trova a nord del ventiduesimo parallelo. Esso comprende un triangolo che si estende lungo il Mar Rosso e la zona di Uadi Halfa sul Nilo. Delle intenzioni egiziane, ha rivelato Mahgoub in una conferenza-stampa, il Governo di Kartum ha avuto notizia ufficiale qualche giorno fa. Il Cairo ha offerto come contropartita al Sudan una piccola zona più a sud. Il territorio sul quale il Presidente Nasser intende imporre la sovranità egiziana, occupa all’incirca seicento miglia quadrate. La richiesta egiziana ha forma indiretta: vale a dire, nella nota datata 16 febbraio, il Governo del Cairo informa quello di Kartum che ha intenzione di estendere anche al territorio in questione, venerdì prossimo, il plebiscito indetto in Egitto e in Siria per la creazione della nuova « Repubblica araba unita », e che per controllare le operazioni ha deciso di inviare sul posto una commissione con una guardia armata di scorta. Aspra è stata la reazione sudanese. Il Consiglio dei ministri, riunitosi questa notte e rimasto in seduta fino all’alba, ha deciso di inviare Mahgoub al Cairo, e ha riaffermato decisamente la sovranità sudanese sulla zona. Il Primo ministro Abdullah Khalil ha cercato di raggiungere Nasser per telefono, ma è riuscito a parlare solo con i funzionari del Ministero degli Interni egiziano. Khalil ha comunque ricordato che i confini della zona contesa furono fissati ben cinquantasei anni fa, e che da allora la regione è sempre stata amministrata da Kartum. Quando l’Egitto riconobbe l’indipendenza sudanese, affermò specificamente che il riconoscimento era valido per il territorio del Sudan nei confini esistenti. Il 29 gennaio 1958 si e
Lunedì 24 febbraio 1958
Trionfo di Nasser nel plebisicito sull’unione tra Siria e Egitto
Nasser è stato proclamato, con tutti i crismi, Capo dello Stato, o meglio degli Stati uniti Siria-Egitto: al plebiscito del 21 febbraio hanno detto sì all’unione il 99,9 per cento dei votanti. Per quanto ogni successo sia solito dare alla testa dei dittatori e spingerli verso una politica più audace, non si può escludere che, in questo caso, il dittatore egiziano sia indotto alla prudenza dalla stessa necessità di contemperare gli interessi dell’Egitto con quelli della Siria, che coincidono solo in un punto, nell’ostilità contro Israele, e sono sorretti da un solo fattore comune, per quanto potente, che è la somiglianza della religione. Differiscono, invece, i due popoli per la razza: uno semitico, l’altro camitico o cuseitico; ed anche il grado di civiltà e le condizioni sociali non si assomigliano, perché in Siria è ignoto il fenomeno del contrasto fra le classi abbienti e l’enorme massa miserabile dei « fellah ». Infine, non può essere del tutto tramontata, in talune sfere, specie militari, di Damasco la corrente favorevole alla creazione della grande Siria estesa fino all’Eufrate: tesi che deve essere abbandonata in favore della politica di Nasser, che gravita verso il Mediterraneo e il Nilo. E’ chiaro, per esempio, che la Siria non ha alcun interesse nella contestazione dell’Egitto col Sudan per uno spicchio di territorio di confine sul MaiRosso (da un articolo del Corriere d’Informazione).
Martedì 25 febbraio 1958
Gli egiziani si ritirano dal Sudan. Mediazione etiope?
Il ministro sudanese per gli Affari sociali Mohammed Abu Sin ha annunciato oggi che le truppe egiziane hanno sgomberato Abu Ramad. Tutti gli elementi egiziani sono stati ritirati e il vice-governatore della zona ha ammainato la bandiera egiziana. L’annuncio è stato dato dal ministro nel corso di una conferenzastampa. In precedenza il Governo sudanese aveva annunciato che truppe egiziane, della consistenza di circa una compagnia, si erano attestate ad Abu Ramad, circa 130 chilometri entro il confine sudanese. Il ministro degli Esteri d’Etiopia ha pubblicato un comunicato il quale annuncia che l’imperatore, in seguito alle risposte favorevoli ricevute dal Sudan e dall’Egitto a1 suo appello del 18 febbraio per l’apertura di negoziati pacifici per la soluzione della controversia Egitto-Sudanese, si dichiara pronto ad offrire ì suoi buoni uffici per trovare una soluzione accettabile per le due parti. L’agenzia « Medio Oriente » annuncia che una nuova moneta, la « lira araba », sarà messa prossimamente in circolazione nella Repubblica araba unita. Questa moneta sostituirà la lira siriana e la lira egiziana ora in vigore. L’ agenzia « Medio Oriente » aggiunge che negoziati al riguardo sono stati iniziati tra il Cairo e Damasco.
Giovedì 6 marzo 1958
Nasser accusa Re Saud di aver pagato per farlo uccidere
Al Cairo, nel corso del noto processo avanti ad un tribunale militare egiziano a carico di persone imputate di aver complottato per restaurare la monarchia in Egitto, uno dei principali testimoni d’accusa, il colonnello Essam el Din Khalil, ha esplicitamente accusato Re Saud, sovrano dell’Arabia Saudita, ed il principe ereditario dell’Irak, Abdulillah, di aver promesso ingenti premi in danaro ai congiurati. A Damasco, Nasser in persona, parlando ad una folla plaudente di siriani, ha detto che un assegno di 1.900.000 sterline, emesso a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, è stato consegnato poco tempo fa al capo del Servizio informativo dell’Esercito siriano, Abdel Hamid Serraj, come prezzo di un complotto di esponenti delle Forze armate siriane contro l’unione fra l’Egitto e la Siria. Lo stesso colonnello Serraj, in una conferenza-stampa, ha poi precisato che sarebbe stato il suocero di Re Saud, Asaad Ibrahim, ad offrirgli da parte del sovrano saudita la somma già citata per « assassinare Gamal Abdel Nasser e ostacolare l’instaurazione dell’unità siroegiziana ».
Lunedì 24 marzo 1958
Re Saud cede i poteri al fratello Feisal
Re Saud ha delegato i suoi poteri al fratello emiro Feisal. La notizia, dal palazzo reale di Ryad, sembra preannunciare un ulteriore allargarsi dell’influenza di Nasser nel mondo arabo. Feisal, che è già Primo ministro e ministro degli Esteri, ha ora il controllo delle finanze dello Stato, e l’incarico di riorganizzare il sistema di Governo facendo « tutte le modifiche che egli ritenga necessarie ». I giornali del Cairo interpretano giubilanti queste misure come una vera e propria abdicazione « de facto », anche se non « de jure », di re Saud a favore del fratello. Nessuno ignora che quest’ultimo è filo-egiziano. Si spera al Cairo che egli possa far aderire il regno saudita alla Repubblica araba, con un legame di tipo federale. E questo vorrebbe dire che Nasser potrebbe finalmente mettere la mano sulle rendite di uno dei grandi Stati produttori di petrolio. Queste rendite, dicono concordemente gli esperti di problemi mediorientali, venivano finora sperperate dalla Corte saudita, senza che esse fossero affatto utilizzate per elevare il livello di vita_ della popolazione. Il petrolio dell’Arabia saudita (estratto da compagnie americane) potrebbe dare alla Repubblica Araba Unita quella solida base economica che finora le mancava (Arrigo Levi sul Corriere della Sera).
Lunedì 14 luglio 1958
Colpo di stato in Iraq. Tutto il potere al generale Kassem
DAMASCO - «Il corpo di colui che sognava di salire troppo in alto giace ora senza vita nella polvere della via». Stamattina con queste parole Radio Bagdad ha annunciato al mondo che, nell’Irak, è stata rovesciata la monarchia hascemita del giovanissimo Re Feisal, e che è stata instaurata la nuova Repubblica irakena, di ispirazione nasseriana, sotto la guida del generale Abdel Kerim Kassem. Il giovane sovrano sarebbe caduto nelle mani dei rivoltosi questa mattina alle 6, mentre, all’aeroporto della capitale, si accingeva a salire sull’aereo che doveva portarlo a Istanbul, dove era in programma la riunione dei Paesi aderenti al Patto di Bagdad. Catturato da un gruppo di alti ufficiali ribelli, il giovane sovrano sarebbe stato trattenuto prigioniero per alcune ore alla sede stessa dell’aeroporto, poi sarebbe stato fucilato su una piazza di Bagdad, mentre il Primo ministro Nuri Said sarebbe stato linciato. Il principe ereditario, Abdul Illah, zio di Feisal e, dopo essere stato il tutore del re giovanetto, tuttora considerato il padrone del Paese, sarebbe stato impiccato dalla folla inferocita, a seguito di un assalto al suo palazzo. I corpi dei tre principali esponenti dell’Irak monarchico sarebbero stati, nella stessa mattinata di oggi, esposti al ludibrio della popolazione, e, infine, nel primo pomeriggio, bruciati sulla piazza prospiciente il Palazzo reale di Bagdad. Uno dei primi provvedimenti del nuovo Governo di militari è stato quello di proclamare la legge marziale, e di chiudere le frontiere con la Giordania, da cui sono temute reazioni minacciose. Truppe giordane, comandate personalmente da Re Hussein — che di Re Feisal è il cugino, e che appartiene alla stessa dinastia degli Hascemiti — sarebbero già attestate alla frontiera. giordano-irakena, fino a questa notte praticamente spalancata, data la strettissima alleanza fra i due Paesi. Re Hussein, daltronde, in virtù del trattato di alleanza che ha dato vita all’Unione giordano-irakena ha già ufficialmente dichiarato di considerarsi, in assenza del Re Feisal e nella possibilità di un suo già avvenuto decesso, il successore al trono dell’Irak, e il comandante in capo delle forze militari dei due Paesi.
C’è Nasser dietro al colpo di stato in Iraq
Si ipotizza che dietro il colpo di Stato in Iraq ci sia Nasser, come si evince anche dal riconoscimento immediato, da parte del nuovo regime, della Repubblica Araba Unita. Si paventa che sia imminente anche una caduta di re Hussein di Giordania (che ha appena sventato un complotto contro di lui). Il Patto di Baghdad è a questo punto carta straccia. Per la Russia la rivolta di Bagdad costituisce un grosso successo. Ma non è detto che un Nasser padrone di tutto il Medio Oriente sia più facilmente manovrabile dal Cremlino. Il suo neutralismo ha avuto un’ulteriore conferma, la scorsa settimana, con l’incontro, alle isole Brioni, con Tito, i cui rapporti con Kruscev non sono mai stati così freddi come in questo momento. L’Irak è uno dei maggiori stati produttori di petrolio del Medio Oriente e se Nasser riuscirà ad assorbire questo stato nella Rau, egli avrà trovato una fonte di ricchezza e di capitali quasi inesauribile, che potrà risolvere molte delle difficoltà economiche del mondo arabo e rendere forse possibile l’inizio di quella riforma strutturale che Nasser ha finora rinviato, ritenendo più importante comprare armi dalla Russia per una futura guerra contro Israele. Ciò a cui stiamo assistendo è il completamento della evoluzione nazionalista araba, e vale la pena ricordare che la suddivisione del mondo arabo in tanti Stati diversi è stato uno dei risultati dello sfacelo dell’impero turco, dopo la prima guerra mondiale. Per l’Occidente, la cui economia è fondata in buona parte sul petrolio mediorientale, un totale successo di Nasser fa sorgere grossi problemi economici, strategici e politici. Rimane il fatto che il libero accesso al petrolio mediorientale è assolutamente ! vitale per l’Europa occidentale. A questo punto però l’Occidente non potrà fare altro che prepararsi a scendere a patti con Nasser e con il nazionalismo arabo che, d’altra parte, non c’è dubbio, ha bisogno di questa collaborazione con l’Occidente, anche perché l’Europa è il naturale e unico mercato del petrolio mediorientale (da un articolo di Arrigo Levi per il Corriere della Sera).
Il petrolio in mano a Nasser
Dopo la crisi di Suez, gli inglesi e i francesi tentarono di fermare Nasser, ma gli americani glielo impedirono. Allora «in tutti i Paesi del Medio Oriente, echeggiarono gli urli di trionfo di Radio Cairo. E la gente constatava che Nasser dall’amicizia con la Russia aveva ottenuto armi e prestigio, mentre gli amici dell’Occidente — Chamoun del Libano, i re Hascemiti, Nuri Said in Irak — non ottenevano dall’America aiuti di cui avevano bisogno, e la vita diventava per loro sempre più difficile. E Nasser andò avanti: si annesse la Siria e non lo fermarono. Con un cenno fece cadere Saud — « il gran re Saud » — su cui aveva puntato Foster Dulles. E non lo fermarono. Poi, i suoi scherani si sono infiltrati nel Libano e là combattono per buttare giù il Governo di Chamoun. E ora la tragedia di Bagdad. Il re, il principe ereditario Abdul Illah, il primo ministro Nuri Said hanno pagato il prezzo della loro amicizia per l’Occidente» (da un articolo di Augusto Guerriero).
Giovedì 24 luglio 1958
Hussein deciso a reprimere la rivolta irachena
Il re della Giordania, Hussein, si prepara, con l’aiuto degli amici del mondo libero — così egli ha dichiarato in una intervista che la B. B. C. ha radiotrasmesso stasera — «a trarre in salvo l’Irak dall’abisso in cui è caduto, vale a dire dall’orbita comunista». Re Hussein non ha voluto precisare quali misure concrete egli abbia in animo di prendere contro gli insorti iracheni, ma ha detto: «Farò tutto quanto è in mio potere per ristabilire la pace e l’ordine nella parte irachena dell’Unione Araba nel più breve tempo possibile». Il sovrano giordano ha attribuito all’Unione Sovietica la responsabilità di aver fomentato la rivolta irachena e ha proseguito: «Spero che non si dica un giorno che nella nostra lotta per difendere ciò che è giusto, e cioè la nostra indipendenza ed integrità, i nostri amici ci hanno lasciati soli ». Hussein ha quindi definito i capi ribelli dell’Irak «marionette mascherate da nazionalisti arabi» sottolineando che «in ogni attività, i congiurati di Bagdad saranno contro l’Occidente». Per Hussein, il Presidente della R.A.U. Nasser è «un uomo senza onore», e tanto lui quanto i suoi seguaci a Bagdad e in Siria lavorano individualmente e collettivamente per i comunisti. Re Hussein ha infine affermato che l’Unione Sovietica non soltanto è dietro la rivolta irachena, «ma è anche l’ispiratrice della rivoluzione di tutto il Medio Oriente».
Lunedì 11 agosto 1958
Quello che vuole Nasser
[...] Nasser quello che vuole lo ha detto chiaramente nel suo libro Egypt’s liberation. Vuole creare un impero musulmano, che comprenda quasi tutta l’Africa e tutto il Medio Oriente, sotto il dominio del Cairo. Queste ambizioni non hanno niente a che fare con la naturale aspirazione dei popoli arabi all’indipendenza. Ma Nasser è stato così astuto da innestare il suo imperialismo al movimento di quei popoli arabi per l’indipendenza. E, una volta creata questa confusione ideologica, ha messo la tecnica nazista al servizio del suo imperialismo. Può l’Occidente soddisfare le pretese di Nasser? Walter Laqueur ha fatto un inventario di quello che significherebbe «venire a patti con Nasser». Significherebbe anzitutto cedergli il Libano, la Giordania, l’Arabia Saudiana, il Kuwait, la Libia. Significherebbe il crollo del Governo democratico del Sudan. Lo smembramento di Israele (per ora lo smembramento, la distruzione in seguito). Il Marocco, la Tunisia, l’Algeria nell’orbita del nasserismo. Conflitti con la Turchia e forse guerra per Alessandretta. Idem con la Persia per Bahrein e per i curdi. Espansione della R. A. U. nell’Africa centrale. Annessione alla R.A.U. dell’Eritrea e della Somalia. Inclusione dell’Etiopia, del Kenia, dell’Uganda, dell’Africa occidentale francese nella sfera araba di co-prosperità. Questo elenco delle rivendicazioni nasseriane non è opera di fantasia o .di congetture: è dedotto da pubblicazioni egiziane e dalle trasmissioni di Radio Cairo. Terzo quesito: rappresenta Nasser tutti i popoli arabi? No. Egli rappresenta una certa classe di ufficiali. Il povero fellah aspira ad avere un po’ di terra e a vivere un po’ meglio, non già a conquistare l’Africa. Gli interessi dell’Egitto sono una cosa, e gli interessi della Mezzaluna fertile (specialmente dell’Irak) e dell’Arabia sono un’altra cosa. Il punto fondamentale è questo: alcuni Paesi del Medio Oriente sono ricchi di petrolio (Irak, Arabia, Kuwait e altri sceiccati della costa) : altri non hanno petrolio, ma il petrolio deve attraversare i loro territori (Egitto, Siria). I primi hanno interesse: 1) a che si estragga la maggior quantità di petrolio; 2) a ottenere le più alte « royalties ». I secondi hanno interesse a riscuotere le più alte tasse sul passaggio del petrolio. (da un articolo di Augusto Guerriero).
Interessi contrastanti fra Egitto e Iraq
LTrak è potenzialmente ricco, e la prospettiva di dividere col numerosissimo e poverissimo proletariato egiziano i 200 milioni di dollari che ricava ogni anno dal petrolio non può sorridere al suo popolo né ai suoi capi. Perciò non è entrato a far parte della R.A.U. e perciò è possibile che Bagdad diventi un nuovo centro di nazionalismo arabo. E pare che fra i capi di Bagdad vi sia una frattura: da una parte, i moderati, dall’altra i « nasseriani ». Se fosse così, l’Occidente dovrebbe fare tutte le concessioni possibili ai moderati, al fine di rafforzarli: soprattutto, dovrebbe associarsi il nuovo Governo nello sfruttamento del petrolio: anzi, dovrebbe sfruttare il petrolio per conto di esso. Cosi il contrasto di interessi fra chi ha il petrolio e deve venderlo e chi lo lascia passare sarebbe più diretto.
Mercoledì 13 agosto 1958
I siriani hanno tentato di abbattere un aereo civile giordano
A proposito dell’aereo civile giordano (un Dakota pilotato dal bravo capitano neozelnadese Steel) che i siriani hanno tentato di abbattere, Arrigo Levi nota sul Corriere della Sera che «i siriani esercitano, per mezzo del radar, un controllo estremamente rigoroso sul passaggio di apparecchi stranieri: questi devono seguire dei corridoi aerei e, se se ne allontanano anche di pochi chilometri, vengono immediatamente raggiunti dal caccia a reazione Mig, che si levano in volo dagli aeroporti militari siriani». Le basi siriane sono perfettamente equipaggiate dai russi. «L’episodio dimostra quanto siano tesi, oggi, i rapporti fra la Giordania e 1 Paesi vicini.»
Lunedì 10 novembre 1958
I siriani cercano di abbattere l’aereo di re Hussein di Giordania
Amman - L’apparecchio sul quale viaggiava re Hussein di Giordania, diretto da Amman in Europa dove il sovrano avrebbe dovuto passare qualche settimana di vacanza, è stato intercettato sul territorio siriano da Mig a reazione che intendevano obbligare l’aereo reale ad atterrare a Damasco. L’aereo di Hussein è riuscito a sfuggire ed è ritornato in Giordania. I caccia, di fabbricazione sovietica, si erano levati in volo da aeroporti siriani e, dopo che l’aereo reale aveva rivelato per radio la propria identità, gli avevano impartito l’ordine di atterrare a Damasco. Re Hussein, che pilotava personalmente l’aereo, si è rifiutato di aderire all’ordine ed ha comunicato per radio alla torre di controllo dell’aeroporto di Damasco che si accingeva a tornare ad Amman. Dalla torre di controllo gli veniva risposto che c’era ordine di costringerlo ad atterrare e di ricorrere alla forza, se necessario, a questo scopo. Il re rispondeva, allora, che avrebbe atterrato a Damasco, ma improvvisamente invertiva la rotta e rientrava dopo pochi minuti di volo, a velocità elevatissima, nello spazio aereo della Giordania. Pochi minuti dopo il rientro del sovrano, il Consiglio dei ministri è stato convocato in seduta straordinaria. L’unica comunicazione ufficiale da parte governativa informa che domani sarà proclamata festività nazionale in tutto il regno « per celebrare il ritorno del re sano e salvo ». Stamane, prima che Hussein partisse da Amman, in una intervista pubblicata al Cairo, dal settimanale «Rose el Youssef», l’ex ministro degli Esteri giordano, Abdullah Rimawi, affermava che re Hussein « lasciava la Giordania per sempre ». Rimawi, che vive attualmente in esilio nella RAU afferma che gli Stati Uniti intendono compiere in Giordania « un colpo di stato reazionario » per sostituire il Governo di re Hussein con un Governo filoamericano »
Martedì 11 novembre 1958
Reattori anglo-americani scorteranno l’aereo di re Hussein di Giordania
Amman - Re Hussein di Giordania lascerà Amman per l’Europa « nei prossimi giorni » e verrà scortato da una squadriglia di reattori anglo-americani: questa è la notizia trapelata da Palazzo reale nel cuore della notte, mentre la popolazione giordana in generale e quella di Amman in particolare è ancora sotto l’impressione dell’attacco portato da reattori nasseriani all’apparecchio del sovrano. Per la prima volta dall’aprile scorso, quando venne proclamata la legge marziale, Amman ha assunto questa notte l’aspetto di una città in festa: luminarie, fuochi artificiali, spari di mortaretti hanno salutato lo scampato pericolo del giovane re Hussein. Una folla di alcune migliaia di persone si è assiepata sotto i cancelli del Palazzo reale ed ha manifestato a lungo la sua simpatia al sovrano. Hussein ha ringraziato apparendo al balcone, cosa che non faceva da mesi.
Sabato 20 dicembre 1958
Crisi tra Nasser e i comunisti. Egitto e Regno Unito ricominciano a parlarsi
Crescente antagonismo fra Nasser e i comunisti. Le ostilità sono state aperte dai comunisti. Essi avevano una posizione assai forte in Siria, prima dell’unione fra quel Paese e l’Egitto. Quando ambedue si fusero nella Repubblica Araba, Kruscev provò disappunto. Egli fece tuttavia buon viso a cattiva sorte. Adesso gli entusiasmi dei siriani verso i fratelli egiziani sono alquanto raffreddati, l’economia nazionale è in declino, il valore della moneta è in ribasso; e Nasser non è più considerato, a Damasco, un nuovo profeta. Khalid Bikdash, il capo dei comunisti siriani, all’inizio della settimana ha pubblicato un manifesto per chiedere maggiore autonomia per la Siria e libere elezioni. Ciò equivale a una aperta sfida contro i poteri dittatoriali di Nasser. Mosca, attraverso i suoi seguaci, cerca di annacquare l’Unione egizio-siriana. La situazione è aggravata da quello che sta succedendo nell’Irak. E’ opinione diffusa, in questa capitale, che i comunisti stiano facendo rapidi progressi a Bagdad. Il Governo del gen. Kassem non ha tentato di impedire le violente dimostrazioni contro un uomo di Governo americano, Rountree, quando egli è andato a conferire col Primo ministro. Di fronte a questi avvenimenti, Nasser è costretto a contrattaccare. Secondo il « News Chronicle » egli ha ordinato l’arresto di numerosi comunisti in Siria e il suo braccio destro, il col. Serrai, è andato a dirigere di persona le operazioni di polizia. Nello stesso tempo, la radio e la stampa di Damasco hanno lanciato una campagna propagandistica contro il comunismo, definendolo « il nuovo imperialismo ». Ci si chiede ora con grande interesse, se il Presidente egiziano spingerà il suo ardimento al punto di arrestare lo stesso Khalid Bikdash, ritenuto l’agente più importante di Mosca nel Levante. In Inghilterra, i laboristi e i liberali (che assumono spesso un atteggiamento di sinistra) pensano che sia ora il momento opportuno per ristabilire i rapporti con il Cairo. Il Governo ha tentato di concludere un accordo negli scorsi mesi con l’Egitto sulle questioni finanziarie che dividono i due Paesi: gli inglesi vogliono l’indennizzo delle proprietà sequestrate dagli egiziani, e questi ultimi vogliono un indennizzo per le distruzioni causate dall’intervento di Suez.
Mercoledì 4 febbraio 1959
«Maria Gabriella sta studiando il Corano per poter sposare lo Scià», ma i Savoia smentiscono
Secondo il Daily Sketch, Maria Gabriella di Savoia sta studiando il Corano per farsi maomettana, sposare lo Scià e diventare regina di Persia. Smentiscono tutti. Il comandante Raimondo Olivieri, segretario dell’ex re Umberto II, ha detto al Daily Mail: «La princicipessa Maria Gabriella non cambierebbe mai la sua religione per sposare chicchessia. E’ una fervente cattolica. A parte la questione della sua fede, essa è pienamente conscia delle sue responsabilità di principessa e si rende conto di quale scandalo provocherebbe, per la Chiesa, una sua conversione ». Quick - settimanale tedesco - scrive che lo Scià, nel corso del suo ultimo viaggio a Roma, avrebbe avuto garanzie da papa Giovanni XXIII sull’eventualità di una dispensa papale al matrimonio e anche che tiene una foto di Maria Gabriella sulla scrivania. « Deus ex machina » dell’idillio, aggiunge, è stata fin da principio la sorella gemella dello Scià, principessa Aschraf, che, notoriamente, è da tempo la sua più stretta e ascoltata consigliera, e non solo negli affari familiari e sentimentali. « È fuori di dubbio — afferma il settimanale — che la principessa Aschraf ha mosso le principali pedine per realizzare quello che è il sogno d’amore del fratello, ma in ciò essa è guidata anche da un ben comprensibile calcolo, in sostanza il seguente: la dinastia Pahlavi è molto giovane (due generazioni), e il matrimonio con Maria Gabriella significherebbe il riconoscimento da parte delle più illustri famiglie regnanti o ex-regnanti d’Europa; non solo. ma i Pahlavi diventerebbero parenti di molte di quelle case regnanti o ex -regnanti ». A proposito delle difficoltà religiose, la rivista afferma che il capo della Chiesa iraniana Imam Djomeh si è dichiarato favorevole a un eventuale matrimonio, anzi avrebbe fatto presente che egli medesimo ha sposato una svizzera; del resto, è risaputo che anche il Primo ministro Eghbal ha sposato una europea — una francese — e che i figlioli, tutti battezzati, vengono allevati in Francia. Perfino i capi di alcune sette hanno approvato il matrimonio. L’unica condizione, posta da tutti, e, pare, già accettata dal Vaticano, è la seguente: che il primogenito rimanga musulmano, mentre tutti gli altri figli dovrebbero essere battezzati.
Domenica 20 dicembre 1959
L’Iran in bilico tra russi e americani
WASHINGTON – L’Iran, dove giunsi dall’India, offre parecchi motivi di riflessione a un americano. Si può quindi saggiare comne un Paese limitrofo dell’Unione Sovietica si possa preservare dall’essere per così dire preso nella sua orbita. La nostra risosta, elaborata nell’era Acheson-Dulles, consiste nel formare un esercito iraniano, nel promuovere l’alleanza militare con la Turchia e col Pakistan, nel dare aiuti finanziari, economici e morali al Governo dello Scià. I dati dei nostri aiuti sono noti e non è un segreto che abbiamo in Iran una missione militare di novecento uomini tra ufficiali e truppa, destinati all’addestramento delle forze iraniane. Abbiamo inoltre un vasto programma di aiuti civili, e colmiamo nel bilancio iraniano un deficit che si aggira sul 20 per cento...Leggi qui l’articolo di Walter Lippmann
Lunedì 28 dicembre 1959
Truppe irachene alla frontiera con l’Iran
Cinque brigate blindate irachene si sarebbero concentrate, durante la notte di Natale, nella regione di Fakka, e sarebbero pronte a marciare in direzione del fiume Sciat el Arab, che delimita la zona nevralgica in contestazione fra la Repubblica dell’Iraq e l’Impero dell’Iran. Le cinque brigate sarebbero appoggiate da due squadriglie di caccia e da una squadriglia di bombardieri, che farebbero base a Bassora: i caccia iracheni sarebbero per la maggior parte Mig 17 di costruzione sovietica, forniti a Kassem lo scorso aprile dall’Urss, insieme a un forte quantitativo di armi automatiche e di munizioni. Questo movimento di truppe alla frontiera irano-irakena costituirebbe però, almeno per ora, soltanto una manovra del generale Kassem, la quale, insieme col processo celebrato in questi giorni a Baghdad contro 57 persone accusate di complotto contro il Governo, ha lo scopo di allarmare l’opinione pubblica e dimostrare che la giovane Repubblica dell’Iraq, nata dopo il colpo di Stato del 14 luglio 1958, è circondata da nemici «venduti all’ imperialismo». L’Iran ha comunque disposto uno schieramento prudenziale di truppe e di aerei lungo il confine con l’Iraq, soprattutto nelle regioni meridionali. Reparti corazzati iraniani sono stati spostati da Abadan a Dizful, mentre le unità navali che sono alla fonda nei porti del Golfo Persico hanno ricevuto l’ordine di rimanere in stato di allarme e di portarsi al largo di Bandar Shahpur, nel caso fosse necessario il loro intervento.Secondo altre notizie giunte a Teheran da Abadan e da altri punti della frontiera fra Iran ed Iraq, una ondata di agitazioni e di opposizione al regime del Primo ministro Abdul Karem Kassem si sta manifestando fra i contadini e le tribù dell’Iraq meridionale. L’opposizione a Kassem si starebbe trasformando in una aperta rivolta. Queste informazioni vengono attribuite ai commercianti che nelle prime ore di ieri hanno varcato il confine. Uno di costoro ha riferito che nel villaggio iracheno di Amareh vi è stata una dimostrazione contro Kassem e sono stati lanciati volantini antigovernativi.
Domenica 7 gennaio 1979
Rivolta di massa a Teheran
Rivolta di massa a Teheran.
Soldati afghani massacrati dagli islamisti
ISLAMABAD — Più di mille soldati afghani sarebbero stati uccisi o fatti prigionieri nel corso di combattimenti con guerriglieri musulmani e membri della tribù «Safi». Lo riferisce un comunicato pubblicato dal comando del gruppo di opposizione «Jamlat-lslam Afghanistan» rifugiatosi a Peshawar, nel Pakistan. Lo scontro — secondo il comunicato — è avvenuto a Shunkry, a 30 chilometri da Chagahsaye (nella parte nordorientale dell’Afghanistan). Si tratta del più grave episodio riferito finora dai combattenti musulmani dello «Jamlat Islam» in lotta dall’estate scorsa contro il regime rivoluzionario filosovietico di Kabul che fa capo a Nur Mohammed Taraki. La ribellione nelle province afghane ha provocato migliaia di vittime.
Mercoledì 17 gennaio 1979
Lo Scià di Persia fugge da Teheran
Lo scià di Persia, malato di cancro, fugge da Teheran. «Alle 13.08 del 17 gennaio 1979 l’aereo imperiale è decollato puntando sull’Egitto. Alle 16, nella capitale in festa, non c’erano più statue dello Scià sui piedistalli. Quando la radio ha dato la notizia della partenza, 30 minuti dopo il decollo, gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson. Centinaia di migliaia di persone si salutano con l’indice e il medio tesi, in segno di vittoria, si abbracciano, invocano il ritorno di Khomeini. Lo Scià ha cercato di rispettare il protocollo: prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran, il suo ”palazzo d’inverno ”, ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza, i cortigiani e persino i cuochi. I pochi giornalisti iraniani ammessi all’aeroporto hanno descritto Reza Pahlavi e Farah Diba pallidi, tesi, vestiti con abiti sobri. Rispettando la tradizione sono passati sotto il Corano, tenuto da un cortigiano, per augurare buon viaggio. Prima di entrare nell’aereo il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro e l’avrebbe baciato, trattenendo a stento le lacrime. ”Quanto tempo resterà all’estero?” gli ha chiesto il radiocronista. ”Sono molto stanco. Resterò all’estero fino a quando non mi sarò rimesso ”. Sulla Piazza Pahlavi, mentre la radio trasmette ancora la voce dello Scià, un centinaio di giovani prendono una sua statua, la trascinano con un cavo di ferro per le strade della città, gridando: ”Impicchiamo lo Scià ”. Mezz’ora dopo la statua penzola da un cavalcavia» (Bernardo Valli, La Repubblica del 17/01/1979.)
Sabato 20 gennaio 1979
«Khomeini non è uno strumento dei comunisti»
«L’amministrazione Usa informa Londra che Khomeini “era ed è soprattutto un leader islamico, non uno strumento dei comunisti. A Parigi ha avuto contatti con l’opposizione iraniana comunista, ma niente di sistematico o di sinistro”. Lo spauracchio di Washington: un complotto comunista, con dietro l’Urss, per spostare l’Iran nella casella degli alleati di Mosca. La Casa Bianca non vede che il "pericolo rosso" è al tramonto e che se ne profila un altro, di cui l’ayatollah sarà l’ispiratore» (Enrico Franceschini). (leggi qui tutto l’articolo)
Lunedì 22 gennaio 1979
Un’autobomba uccide Hassan Salameh
Un’autobomba uccide in una via di Beirut Hassan Salameh, il «principe rosso», molto vicino a Yasser Arafat, che aveva intrecciato uno stretto rapporto con la spia americana, ma venduta al Kgb, Robert Ames. (leggi qui l’articolo di Guido Olimpio)
Martedì 23 gennaio 1979
Grande manifestazione a Parigi a sostegno dell’ayatollah Khomeini
Il Partito socialista francese organizza una manifestazione pubblica di sostegno a Khomeini presso la Maison de la Chimie. Lionel Jospin, citando l’imam Ali: «Non essere né oppressore né oppresso. Devi essere il nemico di tutti gli oppressori e l’amico di tutti gli oppressi» (leggi qui l’articolo di Giulio Meotti).
Giovedì 1 febbraio 1979
Khomeini a Teheran
Centinaia di migliaia di persone accolgono all’aeroporto di Teheran l’ayatollah Khomeini.
Sabato 10 febbraio 1979
Ultimo volo da Teheran della El Al
Ultimo volo da Teheran della compagnia israeliana El Al.
Mercoledì 14 febbraio 1979
Ucciso l’ambasciatore americano in Afghanistan
Assalto di guerriglieri non ancora identificati contro l’ambasciata americana a Teheran, sanguinosi incidenti nella città di Tabriz (si parla di 700 morti soltanto martedì), pericolo non più teorico di un «contagio» iraniano agli altri Paesi della regione. A Kabul, capitale dell’Afghanistan, l’ambasciatore degli Stati Uniti, Adolphe Dubs, è stato catturato da quattro elementi armati, mentre in auto si recava alla sede diplomatica americana. Gli assalitori si sono barricati con l’ostaggio nell’hotel Kabul. La polizia li ha uccisi e ha trovato il diplomatico mortalmente ferito. I responsabili dell’operazione sarebbero elementi sciiti che si oppongono al regime filosovietico di Kabul. Adolph Dubs, diplomatico di carriera, era stato nominato ambasciatore a Kabul l’anno scorso, dopo il sanguinoso colpo dl Stato con il quale era stato rovesciato il presidente Mohammed Daoud. Il nuovo regime, sotto la presidenza di Mohammed Taraki, ha collocato saldamente l’ Afghanistan nell’orbita sovietica. Secondo vari resoconti, negli ultimi mesi In Afghanistan si sarebbe andata sviluppando una vivace opposizione al regime di Taraki, specialmente nei circoli conservatori religiosi, legati all’ortodossia musulmana. Valutazioni non si sa quanto attendibili, indicano che il numero dei prigionieri politici detenuti dall’attuale regime potrebbe aggirarsi sui quindicimila. Le fonti ufficiali di Kabul, da alcune settimane, insistevano nel definire le voci dl insurrezioni antigovernative musulmane frutto dl «pura fantasia della stampa occidentale». Il rapimento, invece, sembra confermare che la militanza anti-governativa sia più diffusa di quanto non si pensasse e che il presidente Taraki si trovi a dover affrontare un’autentica sfida al proprio regime da parte di dissidenti infiltrati dall’esterno. I mujahiddin («combattenti sacri») hanno già dichiarato dl aver intrapreso una «guerra santa» per abbattere il regime filo-comunista afghano. Il movimento insurrezionale, all’inizio del mese scorso, ha proclamato di aver ucciso «centinaia di soldati afghani» nella regione del Kunnar, ai confini con il Pakistan (dal Corriere della Sera del 15 febbraio).
Giovedì 15 febbraio 1979
Tutti negano di aver preso parte all’omicidio dell’ambasciatore americano a Kabul
I capi dell’opposizione musulmana al regime filosovietico dell’Afghanistan negano da aver sequestrato l’ambasciatore americano a Kabul Adolph Dubs. Negano qualunque coinvolgimento anche i sovietici, a cui gli americani hanno invece presentato una nota di protesta. «A Kabul intanto regna la più assoluta confusione sulle conseguenze che l’assassinio avrà per il regime afgano. Il maggior numero di congetture ha come tema le richieste fatte dai sequestratori per acconsentire al rilascio dell’ostaggio. Dall’aprile del 1978, data del colpo di Stato, l «consiglieri» dell’URSS hanno assunto il comando di quasi tutti i reparti della polizia e dell’amministrazione civile. "Ormai — mi ha detto un diplomatico accreditato a Kabul — in Afghanistan non si prende alcuna decisione senza il nullaosta sovietico. Ma la partecipazione dei russi agli avvenimenti culminati nella morte dell’ambasciatore americano è stata più scoperta del solito». I sovietici stanziatisi in Afghanistan con l’avvento del regime di Taraki sono parecchie migliaia (si parla di 5.000 secondo informazioni di fonte occidentale su una popolazione complessiva dt 17 milioni). Di recente, forze insurrezionali musulmane hanno dichiarato di essere state "aggredite da reparti dell’armata rossa» e di aver ucciso cinque ufficiali sovietici. Questo "intervento fraterno" di truppe regolari russe in territorio afghano, in realtà, può avere avuto luogo con la copertura giuridica del "Trattato di amicizia e cooperazione» concluso di recente da Taraki con Mosca, che di fatto ha trasformato l’Afghanistan in un virtuale protettorato dell’URSS» (Bruce Loudon, Daily Telegraph e Corriere della Sera del 16 febbraio)
Giovedì 8 marzo 1979
In Iran, velo obbligatorio per le dipendenti pubbliche
«“Eravamo felici, in quel febbraio del 1979. Felici”. Finché … “Finché l’8 marzo 1979, sei settimane dopo il ritorno dell’ayatollah, arrivò l’ordine che tutte le dipendenti pubbliche si dovevano coprire la testa con il foulard. Per tutte noi quell’ordine fu uno shock”. Scelsero apposta l’8 marzo, festa della donna? “Credo di sì”. Lei faceva il giudice, allora, giusto? “Sì. Ero presidente di sezione del tribunale civile”. Cosa fece: cominciò a fare i processi con il velo? “All’inizio mi misi in ferie. Dopo una settimana il velo diventò obbligatorio per tutte le donne. Tutte. Anche per uscire di casa. Fui costretta anch’io. Ovvio”».(testimonianza di Shirin Ebadi. Leggi qui tutta l’intervista)
Martedì 20 marzo 1979
L’Iran chiude la frontiera con l’Afghanistan
Tensione al confine tra Iran e Afghanistan. Ieri il governo iraniano ha chiuso la frontiera per arrestare l’afflusso di rifugiati che fuggono dalle regioni afghane, dove si intensificano scontri tra i ribelli musulmani e le truppe del governo marxista. Il governo di Teheran, con una nota del ministero degli Esteri, ha categoricamente smentito che suoi soldati siano illegalmente entrati in Afghanistan. La stampa sovietica accusa gli iraniani, il Pakistan, nonché i servizi segreti inglesi e americani e la Cina di soffiare sul fuoco della rivolta afgana.
Giovedì 22 marzo 1979
In Afghanistan rivolte islamiste contro il governo filosovietico di Kabul
l ribelli afgani stanno impegnando le forze del presidente Taraki in ben otto provincie del Paese. Lo ha affermato ieri Mujaddadi, presidente del Fronte di liberazione nazionale che riunisce i gruppi della dissidenza musulmana afghana, in una conferenza stampa tenuta a Islamabad. Il governo filosovietico di Kabul ha annullato le festività del capodanno afghano in programma dal 21 al 23 marzo. Mujaddadi ha detto che i ribelli stanno attaccando la città di Chagha Serai da tre lati. Da questa città si controlla l’accesso alla provincia di Kunar che confina col Pakistan. Da Chagha Serai si potrebbe attaccare Jalalabad. Affermando quindi che centinaia di aderenti al Fronte nazionale vengono arrestati ogni giorno dal governo Taraki, Mujaddadi ha parlato di carceri piene e di torture inflitte ai detenuti. A suo dire al governo Taraki obbedisce meno dell’un per cento della popolazione, e cioè i soli comunisti. Mujaddadi ha negato che il Fronte riceva armi da paesi stranieri. In molti casi, secondo il presidente del Fronte, i ribelli si battono con armi rudimentali, bastoni, sassi, bottiglie molotov. Quanto al Pakistan, Mujaddadi ha detto che ha fornito una certa assistenza ai profughi afghani, che sono circa 40.000, ma questa gente manca di molte cose e bisognerebbe che altri Paesi intervenissero per ragioni umanitarie. Il governo di Kabul ha già accusato l’Iran di avere infiltrato in Afghanistan ben quattromila uomini col compito di sostenere e fomentare la rivolta musulmana. Nella vicenda ha un ruolo di primo piano anche l’URSS. Proprio ieri l’organo del PCUS Pravda ha rinnovato le accuse al Pakistan di prestare aiuto ai ribelli musulmani. Il giornale afferma inoltre che Stati Uniti, Cina, Inghilterra, Germania Ovest, Egitto e altri Paesi arabi stanno intensificando la propaganda contro l’ Afghanistan nel quadro di un piano comune inteso a incoraggiare i ribelli afghani.
Domenica 25 marzo 1979
Firmato il trattato di pace tra Israele ed Egitto
Menachem Begin e Anwar Sadat firmano a Washington il trattato di pace israelo-egiziano che fa seguito agli accordi di Camp David del 1978. L’Egitto è il primo paese arabo a firmare un accordo di pace e a riconoscere Israele. Il trattato di pace è stato firmato 16 mesi dopo la visita del presidente egiziano Anwar al-Sadat in Israele del 1977, e al termine di intensi negoziati. Gli elementi principali del trattato sono il riconoscimento reciproco dei due Paesi, la fine dello stato di guerra che esisteva fin dal 1948, e il ritiro militare israeliano e la conseguente restituzione degli impianti civili (specialmente Yamit e Taba) delle penisola del Sinai, occupata da Israele fin dal 1967. I negoziati cominciarono sulla base degli accordi di armistizio di Rodi del 24 febbraio 1949. Il trattato assicura altresì la libera circolazione del naviglio israeliano attraverso il canale di Suez e il riconoscimento degli stretti di Tiran e del golfo di Aqaba come vie marittime internazionali che avevano costituito il formale casus belli alla guerra dei sei giorni del 1967.
Martedì 27 marzo 1979
Paesi arabi contro l’Egitto
Libia, Yemen del Sud, Siria, Bahrein e Olp rompono le relazioni diplomatiche con l’Egitto, reo di aver firmato ieri un trattato di pace con Israele e applicano sanzioni economiche.
Domenica 1 aprile 1979
Proclamata in Iran la Repubblica islamica
In seguito a un referendum viene proclamata la repubblica islamica. Bandite le bevande alcoliche, il gioco d’azzardo, la prostituzione. Cominciano le persecuzioni degli omosessuali e di quanti tengono comportamenti non conformi alla sharia.
Gli arabi rompono con l’Egitto, reo di aver stipulato un accordo con Israele
BAGDAD — Dopo cinque giorni di aspri contrasti, che hanno comportato la sospensione per quasi 48 ore dei lavori della conferenza, dopo una serie febbrile di consultazioni tra capi di Stato e dopo l’esplosione di minacce e vendette, sembra che una soluzione di compromesso sia alla fine prevalsa e che il mondo arabo possa presentarsi formalmente unito di fronte al presidente egiziano e possa unanimemente «punirlo» per il suo «tradimento». È stato deciso di ritirare gli ambasciatori dal Cairo e raccomandare la rottura totale delle relazioni entro un mese. Si è deciso anche di togliere dalla capitale egiziana la sede della Lega araba. È stato deciso anche il boicottaggio economico. Consisterà nel blocco di ogni assistenza economica e blocco delle forniture di petrolio. Tale compromesso sarebbe stato proposto dal Kuwait (ciò spiega perché l’annuncio dell’accordo è stato dato a Bagdad dal ministro degli esteri di questo Stato) ed accettato ieri pomeriggio dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo durante un’improvvisata riunione di ministri nel salone dell’aeroporto dell’Emirato.
Mercoledì 4 aprile 1979
Giustiziato l’ex presidente del Pakistan Zulfakir Ali Bhutto
ISLAMABAD - L’esecuzione di Zulfikar Ali Bhutto, che aveva 51 anni, si è svolta con precisione tutta militare: Bhutto è salito al patibolo alle 2.00 locali. Pochi istanti prima di mettere il collo alla corda ha mormorato: «Mio Dio aiutami, perché sono innocente». Alle 4.00 un autocarro militare è entrato nel carcere sotto numerosa scorta ed è uscito quindi, diretto a un vicino aeroporto, con la salma di Bhutto. Un aereo ha trasportato il feretro all’aeroporto di Sukkur, nel Sind, e di qui un elicottero ha portato la salma in un cimitero situato presso la fattoria che Bhutto possedeva a Nudero, a 21 chilometri da Larkana. Alle 10.30 (6.30 ora italiana) la cerimonia era terminata. La radio pakistana ha dichiarato che le preghiere funebri sono state recitate sulla tomba da alcuni membri della famiglia. Ma la moglie di origine iraniana di Bhutto, Nusrat, e la loro figlia, Benazir, non erano presenti in quanto entrambe sottoposte agli arresti domiciliari presso Rawalpindi.Tutti i negozi di Larkana sono rimasti chiusi in segno di lutto, ma nel resto del distretto la vita è proseguita normalmente. Poliziotti armati di canne di bambù hanno disperso a Rawalpindi circa 800 sostenitori di Bhutto che hanno gridato slogan contro il governo, dopo le tradizionali preghiere per i defunti. Si sono levate grida di «Viva Bhutto il nostro capo», «Vergogna, vergogna, Zia figlio di cane» e «Morte a Zia». La folla si era radunata al cenotafio di Liaquat dove nel 1951 venne assassinato il primo capo del governo pakistano, Liaquat Ali Khan. Sono stati gli unici incidenti segnalati. Nella città di Srinagor, nel Kashmir indiano, la polizia ha sparato sulla folla che manifestava contro l’esecuzione, uccidendo cinque persone. I giornali pakistani sono usciti in edizione straordinaria per annunciare l’esecuzione di Bhutto. Il Nawa-Waqt ha spiegato ai lettori che il condannato è rimasto appeso per i prescritti trenta minuti prima di essere deposto dal patibolo. I quotidiani dicono che a Bhutto era stato permesso di fare il bagno, di radersi la barba ispida e grigia di parecchie settimane. Gli era stato poi detto di firmare le ultime volontà. Quindi, con le mani legate, è stato portato alla forca. Si guardava attorno lungo il cammino.
Martedì 17 aprile 1979
Gli islamisti in Afghanistan massacrano i sovietici
KABUL Alcuni diplomatici occidentali a Kabul hanno raccontato particolari sui disordini e sulle uccisioni di sovietici nell’Afghanistan, di cui si è parlato nei giorni scorsi. Questi diplomatici hanno detto che l’URSS ha preso alcune misure urgenti per proteggere i suoi cittadini nell’Afghanistan, dopo l’uccisione di decine di «consiglieri» sovietici ad opera di guerrieri di tribù afghane musulmane, contrarie all’attuale governo filocomunista di Kabul. Tra l’altro, è stato deciso di far rimpatriare donne e bambini di famiglie sovietiche, mentre a Kabul le centinaia di sovietici entrati in Afghanistan dopo il colpo di stato del presidente Nur Mohammed Taraki lo scorso anno, hanno lasciato gli appartamenti che abitavano nella capitale, sistemandosi alla meglio entro il recinto dell’ambasciata dell’URSS. Almeno sessanta sovietici sarebbero stati massacrati nella città di Herat, 1600 chilometri da Kabul. A quanto riferito da alcuni testimoni, sono stati visti guerrieri di tribù afghane fare metodicamente a pezzi un russo preso prigioniero sino a che, del corpo, non è rimasto che il tronco, esposto poi per due giorni in una pubblica piazza, quale «avvertimento».
Sabato 21 aprile 1979
Simun Kuntar stermina in Israele una famiglia con i suoi bambini
Simun Kuntar, membro del commando del Fronte di Liberazione Palestinese, si infiltra dal mare in Israele e in piena notte, con i suoi, irrompe in un edificio residenziale, prendendo in ostaggio Danny Haran e la sua figlioletta Einat di quattro anni, mentre il resto della famiglia riesce a nascondersi. Quando il commando giunge sul litorale, Kuntar costringe la piccola Einat guardare mentre spara a suo padre a distanza ravvicinata. Quindi uccide anche la bambina fracassandole la testa contro una roccia con il calcio del suo fucile. Nel frattempo, la madre della piccola si era nascosta in un armadio con la l’altra figlioletta Yael, di appena due anni, che accidentalmente è rimasta soffocata per i tentativi della madre di coprire il suo pianto, per evitare che Kuntar le trovasse.
Mercoledì 23 maggio 1979
La Grecia aderisce alla Cee
Valéry Giscard d’Estaing ha talmente insistito che il cancelliere tedesco Helmut Schmidt s’è lasciato convincere: la Grecia ha firmato oggi l’adesione alla Comunità economica europea. Giscard d’Estaing spera, ammettendo nella Cee un paese del Sud, di riequilibrare il peso del Regno Unito. Leggi qui l’articolo di Leonardo MartinelliLeggi qui una considerazione di Adriano Sofri
Sabato 9 giugno 1979
Afghanistan, Taraki e Hafizullah Amin mettono in salvo in Urss le loro famiglie
KABUL — Presieduto dal presidente Nur Mohammed Taraki, si è riunito Ieri l’alto consiglio afghano per la difesa il quale ha preso in esame 1 mezzi per aumentare il potenziale difensivo del Paese «di fronte ai tentativi iraniani e pakistani di interferenze. Fonti dei ribelli afghani dichiarano da parte loro che le tribù in rivolta continuano i combattimenti contro il regime marxista di Taraki e che la tribù del «mohamands» che sta a cavallo della frontiera tra Afghanistan e Pakistan tenta di avanzare in tre colonne .. Secondo notizie riprese dalla «Washington Post» la situazione sarebbe diventata tanto pesante che il presidente Taraki e il primo ministro Hafizullah Amin avrebbero già provveduto a mettere in salvo in URSS le rispettive famiglie
Domenica 24 giugno 1979
Sparatorie a Kabul, blindati sovietici intorno agli edifici pubblici
ISLAMABAD — Sparatorie sono echeggiate per tutta la mattina di ieri in un quartiere periferico di Kabul, la capitale afghana, ed il governo ha adottato eccezionali misure di sicurezza facendo tra l’altro presidiare da mezzi blindati leggeri tutti gli edifici pubblici. Queste notizie sono state comunicate telefonicamente da persone residenti a Kabul. Una sanguinosa guerriglia è in atto da tempo nella parte orientale del Paese dove si susseguono gli scontri tra l’esercito regolare ed i ribelli che si oppongono al regime filosovietico di Taraki.
Lunedì 16 luglio 1979
In Iraq prende il potere Saddam Hussein
Iraq. Saddam Hussein, membro del Consiglio rivoluzionario Baath, diventa presidente e assume i pieni poteri. Il partito d’opposizione Al Daawa è costretto alla clandestinità. La sua ascesa al potere è segnata da una delle epurazioni più sanguinose che le élite dirigenti del paese abbiano mai conosciuto. Nel giro di pochi giorni un terzo dei membri del Consiglio di comando della rivoluzione è massacrato e 21 membri della direzione del partito Baath sono passati per le armi.
Domenica 5 agosto 1979
Sempre più dura in Afghanistan la guerriglia degli islamici
In Afghanistan la guerriglia islamica contro il governo filosovietico del presidente Mohamed Taraki si sta facendo sempre più dura ed accanita e minaccia di aprire un nuovo punto di scontro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Dopo il discorso di giovedì sera del consigliere presidenziale Zbigniew Brzezinski che aveva lanciato un avvertimento all’URSS e a Cuba, il dipartimento di Stato ha avvertito a sua volta venerdì sera l’URSS che gli Stati Uniti considereranno come una «questione seria» ogni interferenza sovietica negli affari interni dell’Afghanistan. Il portavoce del dipartimento, Hodding Carter, alludendo apertamente all’URSS, ha affermato: «Ci attendiamo che il principio di non interferenza sia rispettato da tutte le parti nella zona, compresa l’Unione Sovietica. Come abbiamo già detto, considereremo come una seria questione un intervento esterno nei problemi interni dell’Afghanistan». Le ripetute prese di posizione americane sembrano collegate alle notizie di un concentramento di diverse centinaia di «consiglieri militari» sovietici nei pressi dell’aeroporto di Kabul. Gli esperti americani ritengono infatti che questo raggruppamento non preluda ad un ritorno in URSS dei «consiglieri», ma piuttosto alla preparazione di un’offensiva su larga scala diretta a stroncare l’attività della guerriglia. Benché le maggiori città dell’Afghanistan siano controllate dalle truppe governative, nelle ultime settimane, infatti, le bande guerrigliere sono riuscite ad estendere la loro presenza nell’entroterra, compiendo spesso colpi di mano sulle strade, grazie anche alla grande quantità di armi, compresa artiglieria pesante e cannoni contraerei, di cui sono riuscite ad impadronirsi. Gli Stati Uniti temono anche che, se il governo Taraki dovesse essere spazzato via, l’Unione Sovietica starebbe preparandosi a manovrare tra le varie fazioni della guerriglia, che non sono unite da un comando riconosciuto, per trovare altri sostenitori tra gli stessi esponenti della guerriglia (dal Corriere della Sera)
Rivolta di una parte delle truppe a Kabul, quattro ore di scontri a fuoco
ISLAMABAD — Kabul è stata teatro del più grave episodio di rivolta avvenuto nell’Afghanistan da quando il governo filosovietico capeggiato dal presidente Taraki si è installato al potere col cruento colpo di Stato dell’aprile 1978. Secondo le informazioni raccolte dagli ambienti diplomatici di Islamabad, nella rivolta sono state coinvolte unità dell’esercito. La sollevazione è stata stroncata. I combattimenti, che hanno avuto un’eccezionale violenza, sono cominciati verso mezzogiorno nel centro di Kabul e si sono poi rapidamente estesi ad altre zone della capitale afghana. Mentre l’aeroporto internazionale veniva chiuso al traffico, si levavano in volo elicotteri e caccia che sorvolavano la città facendo uso delle armi di bordo. Gli scontri più aspri sono avvenuti attorno al forte di Baia Hissar, dove erano acquartierate le truppe in rivolta. Sono stati impiegati razzi di fabbricazione sovietica e mezzi corazzati. Dopo quattro ore gli scontri sono cessati. La rivolta è stata confermata dall’agenzia sovietica «TASS», la quale riferisce che il «tentativo è fallito grazie alla collaborazione della popolazione» (dal Corriere della Sera del 6 agosto)
Lunedì 6 agosto 1979
Almeno 400 morti nella rivolta di Kabul
KABUL — Le truppe fedeli al presidente Nur Mohammed Taraki hanno ripreso il totale controllo della capitale dell’Afghanistan dopo i sanguinosi scontri dl domenica scorsa. La sparatoria che ha caratterizzato la domenica, in seguito all’ammutinamento di una parte della guarnigione della capitale, si è conclusa al calar della notte. Il coprifuoco è stato imposto nella capitale afghana dalle 8 di sera alle 4 del mattino. Stamattina la circolazione nelle vie della capitale è quasi normale: solo il quartiere di «Baia Hissar», dove sono avvenuti gli scontri, è vietato alla popolazione. Il governo ha fatto distribuire dei manifesti nei quali si afferma che «gli agenti della reazione sostenuti dal Pakistan e dell’Iran sono stati sconfitti», mentre automobili con altoparlanti percorrevano le vie della città per rassicurare la popolazione affermando che il governo aveva il totale controllo della situazione. Non è ancora possibile fare un bilancio delle vittime - si parla di 3-400 morti da una parte e dall’altra - degli scontri .di domenica. Nella sparatoria sono stati impiegati da parte governativa carri armati Testimoni degli scontri affermano di aver visto elicotteri MI-24 dl fabbricazione sovietica prendere di mira soldati in uniforme che tentavano di scavalcare i muri della caserma di «Bala Hissar» per cercare di rifugiarsi nelle vicine montagne: secondo altre testimonianze parte della caserma sarebbe stata rasa al suolo. Anche le vie del sobborgo dl Bala Hissar portano le tracce dei colpi esplosi dai carri armati che sono passati per le strade a tutta velocità per soffocare la ribellione. La ribellione di domenica è, secondo gli osservatori, la più seria alla quale abbia dovuto far fronte il regime marxista di Taraki dall’aprile dello scorso anno, quando si è impadronito del potere, più grave di quello di Herat del marzo scorso. Questo ammutinamento anche se ha potuto essere rapidamente soffocato, non potrà non avere ripercussioni nell’esercito afghano duramente impegnato a soffocare la ribellione islamica.
Afghanistan, che cosa c’è dietro la ribellione di Bal Hissar
La notizia di una ribellione (o ammutinamento) nel forte di Bal Hissar non dovrebbe meravigliare: non è la prima. La France-Press, molto attenta agli avvenimenti afghani, ricorda le rivolte, fra i militari governativi, nelle città di Herat e di Gialal Abad in marzo e aprile: e in tempi più recenti brigate corazzate sono passate, nelle province meridionali del Paese, alle formazioni dei guerriglieri. Ma Bala-Hissar è nelle vicinanze di Kabul, la capitale: ed è questo che deve preoccupare il governo del presidente Taraki. Significa che la guerra santa sta espandendosi in ogni direzione e che, probabilmente, si sta stringendo intorno al cuore stesso del PaeseLa capitale è fortemente presidiata. I carri armati (made in URSS) sono piazzati ovunque: nei recinti dei ministeri, attorno alla sede della televisione, sulla strada che conduce all’aeroporto, agli sbocchi delle principali arterie. Gli elicotteri sono sempre pronti al decollo. Alle undici di sera, quando scatta il coprifuoco, i riflettori illuminano a giorno i profili brulli delle montagne e la fatiscente periferia. Una ribellione militare alle porte di Kabul vuol dire che l’influenza dei guerriglieri islamici ha ormai una grande — forse irresistibile — forza di penetrazione: e che tra le file dell’esercito governativo si sta facendo strada quello stesso massiccio sentimento di rivolta — provocato da una comune fede religiosa — che consenti a Khomeìni. nell’Iran, di vincere praticamente inerme i quattrocentomila soldati pluriarmati dello sciàAnche a Herat c’era stata, nel marzo scorso, una ribellione. Finì nel sangue. Arrivarono gli aerei governativi e fecero un massacro. Secondo una stima mai completamente smentita, i morti furono quindicimila. Durante un colloquio avvenuto il mese scorso a Kabul, il primo ministro e ministro degli esteri, Hafizullah Amln, mi disse che quella di Herat non era stata affatto una ribellione, essendo la popolazione locale fedele al governo: ma che si trattava di «migliaia e migliaia di infiltrati iraniani». Sarà difficile sostenere ora che Bala-Hissar fosse occupata da migliaia di infiltrati stranieri. (Ettore Mo sul Corriere della Sera)
Lunedì 13 agosto 1979
Scambi tra servizi libici e italiani
Il direttore del Sismi generale Giuseppe Santovito fornisce al rappresentante ufficiale del Servizio informazioni della Repubblica libica Salem Mousa una lista di cittadini libici residenti a Roma; a sua volta Salem consegna a Santovito un elenco di cittadini libici di cui il governo di Tripoli avrebbe gradito l’espulsione. Una seconda lista di dissidenti sarà trasmessa da Santovito, tramite il colonnello Demetrio Cogliandro, il 14 febbraio 1980 e una terza il 2 aprile dello stesso anno. (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979)
Una brigata dell’esercito afgano diserta e passa con i ribelli
ISLAMABAD — Una brigata dell’esercito afghano comprendente 2.500 uomini di stanza nella provincia di Zabul (Afghanistan meridionale) ha disertato e si è unita ai ribelli musulmani nel distretto di Shankkl. Lo ha annunciato a Islamabad in un comunicato lo «Hezbl Islami Afghanistan », la principale organizzazione ribelle che lotta contro il regime marxista del presidente Taraki. Secondo il comunicato la brigata dopo aver disertato ha lanciato un’offensiva contro i distretti di Darvazgai e Shamul Zai (provincia di Zabul) impadronendosene. La brigata — indica ancora il comunicato — è equipaggiata con due carri armati, tre veicoli blindati, due cannoni da 76 mm., nove mitragliatrici e 980 tucul. Si è pure appreso che quattro importanti organizzazioni ribelli afghane che combattono contro il regime di Taraki hanno annunciato ieri la loro fusione in seno ad un nuovo movimento, il «Teiman Atahad-Islami» (letteralmente: «Quelli che hanno giurato di combattere per l’Islam»). In un comunicato pubblicato a Peshawar, il «Fronte nazionale di liberazione» guidato da Seghbatullah Mujjaddedi, il «Jamiat Islami-Afghanistan» del professor Buhranuddin Rabanni, il «Movimento della rivoluzione islamica» di Maulavi Mohammadi e lo «Hazbi-Islam» del Maulavi Mohammed Yunus Khales hanno annunciato la loro unificazione, che è effettiva dal 1° agosto scorso. Il comunicato precisa che l’unione ha deciso per «un miglior coordinamento del "mujeheedins" (combattenti musulmani) nel nostro caro Afghanistan» per porre fine al «regime fantoccio, marcio e illegale di Taraki» e per fondare «una repubblica islamica basata sul Corano e sulla Sunna» (dal Corriere della Sera del 14 agosto)
Sabato 25 agosto 1979
I ribelli avrebbero dato vita a un governo d’unione nazionale afgano
TEHERAN — Un governo «d’unione nazionale» afghano sarebbe stato costituito nelle zone controllate dei guerriglieri dell’ Afghanistan. Lo hanno annunciato fonti religiose iraniane, le quali hanno aggiunto che gli insorti controllano quasi tutte le vie di comunicazione dell’ Afghanistan, nonostante la presenza di oltre 5.000 consiglieri militari sovietici in appoggio del governo Taraki. Secondo queste fonti il regime filosovietico di Kabul potrebbe cadere prima di due mesi
settembre 1979
A Teheran viene bruciata la bandiera americana
Studenti bruciano la bandiera americana sul muro dell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran
Venerdì 14 settembre 1979
Afghanistan, morte di Taraki
Afghanistan. Muore – probabilmente assassinato, anche se la versione ufficiale parla di morte per malattia – il presidente Taraki.
Domenica 16 settembre 1979
Colpo di stato in Afghanistan. Taraki forse ucciso, tutto il potere ad Hafizullah Amin
KABUL — Un’atmosfera di mistero avvolge ancora il «colpo di palazzo» che ha destituito il presidente dall’Afghanistan Mohammad Taraki; né del tutto chiare appaiono le intenzioni del suo successore Hafizullah Amin. Il brusco cambiamento di potere è stato annunciato stasera. Corre voce che Taraki sia stato assassinato durante una sparatoria, che sarebbe avvenuta venerdì scorso nel palazzo presidenziale. Il nuovo capo dell’Afghanistan ha avuto un colloquio definito «preliminare» con l’ambasciatore sovietico a Kabul; poi Amin ha rivolto un discorso al Paese, discorso ritardato — non si sa perché — di un’ora. Amin ha parlato per una ventina di minuti, affermando che l’Afghanistan vuol continuare ad avere relazioni fraterne con i Paesi comunisti e cerca inoltre legami amichevoli con i vicini pachistani e iraniani.Mentre dimostrazioni popolari sono in corso in diverse città dell’Afghanistan, fra le varie ipotesi sugli sviluppi della situazione si fa anche quella di un eventuale cambiamento di rotta da parte di Amin. L’esercito dell’Afghanistan, con l’aiuto dell’URSS, è duramente impegnato da tempo contro i combattenti della «guerriglia santa», i musulmani che si oppongono all’introduzione del marxismo. Le manifestazioni potrebbero anche essere «azioni controrivoluzionarie» e il governo sarebbe impegnato ad arginarle. Questa seconda ipotesi appare per ora più probabile. La tesi ufficiale secondo la quale il presidente Taraki, malato, ho voluto lasciare il potere ad Amin è stata accolta con scetticismo dagli osservatori a Kabul. Questi rilevano che, da venerdì sera, nessuno ha più rivisto l’ex capo di stato. Una violenta esplosione, avvenuta venerdì sera nel palazzo presidenziale (che è stato poco dopo circondato da carri armati) fa ritenere agli osservatori che il passsggio dei poteri non sia avvenuto senza violenza. La grande incognita di questi cambiamenti alla testa del regime afghano resta l’atteggiamento futuro dell’esercito (dal Corriere della Sera del 17 settembre)
Martedì 18 settembre 1979
La battaglia tra Taraki e Hafizullah Amin
KABUL — Sono sessanta o settanta gli esponenti del regime vittime dei sanguinosi scontri nel palazzo presidenziale che venerdì sera hanno portato alla eliminazione (anche fisica: sembra ormai sicuro) dal presidente Nur Mohammed Taraki o alla sua sostituzione in tutte le cariche che ricopriva, con il primo ministro Hafizullah Amin. Nella capitale afghana le notizie circolano con estrema cautela, ma appare possibile ricostruire con una certa approsimazione gli avvenimenti che hanno portato al colpo di palazzo. Taraki, appena ritornato a Kabul dalla conferenza del non allineati dell’Avana e dai colloqui (con relativo abbraccio davanti alle telecamere) avuti con Breznev e Gromiko il 1° settembre a Mosca aveva convocato una riunione del consiglio superiore della rivoluzione proponendosi di mettere un freno, forse anche su consiglio di Mosca, ai metodi brutali dal suo primo ministro Amin.Informato, Amin fin dal primo pomeriggio di venerdì avrebbe fatto circondare dalla truppa il palazzo presidenziale. Verso le 16 è stata udita una forte esplosione all’interno dal palazzo, seguita da numerosi colpi di arma da fuoco. Sembra che i due schieramenti, al momento dalla resa dei conti, si siano impegnati in una vera e propria battaglia. Nello scontro Taraki sarebbe stato ferito mortalmente (sarebbe poi morto lunedi mattina all’ospedale). Anche il capo dalla polizia «guardia del corpo di Taraki, Sayed Taroon (che si sarebbe schierato contro il presidente: ieri il suo nome è stato dato a una città) insieme a numerosi altri esponenti sarebbero rimasti vittime della sparatoria: il nuovo leader li ha definiti «martiri». Eliminato Taraki, per Amin rimaneva però il problema di non perdere l’appoggio di Mosca. Sabato avrebbe avuto un lungo colloquio con l’ambasciatore sovietico Puzanov. Solamente domenica, superate la diffidenze di Mosca, ha potuto essere annunciato il mutamento al vertice (dal Corriere della Sera)
Sabato 22 settembre 1979
Test nucleare israeliano nell’oceano Indiano
Un satellite Usa ha captato in atmosfera gli effetti di un test di una piccola bomba termonucleare nell’oceano Indiano, al largo delle coste sudafricane. Dato il coinvolgimento israeliano, il rapporto è stato prontamente insabbiato. Più tardi si è appreso da fonti israeliane che erano effettivamente avvenuti tre test di ordigni nucleari di artiglieria israeliani miniaturizzati. Israele e Sudafrica collaborano nei test nucleari (Israele fornisce l’uranio) Leggi qui l’articolo sulla potenza nucleare israeliana
Lunedì 1 ottobre 1979
Ucciso il capo della polizia militare di Kabul
TEHERAN — L’agenzia di stampa iraniana «Pars» afferma che, secondo un annuncio diramato dall’ufficio del Movimento islamico afghano, militanti musulmani hanno invaso l’ambasciata sovietica a Kabul uccidendo sei membri del personale diplomatico. La stessa agenzia riferisce che è stato ucciso dai guerriglieri musulmani afghani il capo della polizia militare di Kabul. Sempre secondo «Pars» in una battaglia fra forze comuniste è caduto pure il comandante della pollizia di Herat, la città chiamata «la porta dell’India»data la sua posizione strategica. «Consiglieri» e sembra anche soldati sovietici aiutano il governo dell’Afghanistan nella lotta contro i ribelli musulmani che si oppongono all’alleanza con l’URSS e all’introduzione del marxismo. L’Iran, confinante con l’ Afghanistan, parteggia per gli insorti.
Giovedì 4 ottobre 1979
Quello che hanno fatto i sovietici in Africa e in Asia
«L’intervento russo - cubano dall’Angola all’Etiopia, con i 50 mila «soldati di ventura ideologica» offerti da Fidel Castro, è divenuto un’intrusione militare permanente nel cuore dell’Africa. Un generale sovietico, Vassilij Petrov, ha diretto prima il ponte aereo nella guerra di Menghistu contro la Somalia per l’Ogaden e poi le offensive contro l’Eritrea. Dall’Angola sono partite le incursioni dei ribelli zairesi nella provincia di Kolwezi, dove si produce gran parte del cobalto utilizzato dalla tecnologia aerospaziale degli Stati Uniti. Nel Sahara è stata equipaggiata con armi sovietiche e algerine la guerriglia del Polisario, indirizzata fra l’altro al sabotaggio della produzione di fosfati che il Marocco esporta in Occidente. Lungo la «via del petrolio» i sovietici hanno proceduto alla satellizzazione del Sud Yemen, collocando le loro navi nel golfo di Aden, e poi anche dell’Afghanistan, insediando dieci compagnie del loro esercito tra Kabul e Bagram a garanzia del regime di Hafizullah Amin. Nel Sud Est asiatico hanno fornito al «sub-imperialismo» di Hanoi i carri armati T53, T54, T59, i Mig, i missili Sam per invadere la Cambogia e opporsi alla rappresaglia cinese, ma non le risorse di cui si dice che il Vietnam ha bisogno per sopravvivere e fermare l’ondata degli espatri» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera).
Martedì 16 ottobre 1979
Fallisce a Kabul un colpo di stato
KABUL - Un tentativo di colpo di Stato contro il regime del presidente Hafizullah Amin attuato da «elementi sovversivi» è fallito domenica sera in Afghanistan. Lo ha annunciato ieri radio Kabul precisando che il tentativo è fallito grazie all’intervento delle forze armate e che i «cospiratori», tra cui un generale, sono stati arrestati. Il tentativo di colpo di Stato, secondo la radio, era guidato al generale Abdul Majed Spinghar e dal colonnello Dujran ai quali si era aggiunto l’ex sindaco di Kabul (sotto il regime monarchico) Ghullm Mohammed Farhad, ex deputato e dirigente del partito nazionale afghano, assieme ad altri quattro complici. La radio afghana non ha fornito maggiori particolari sul fallito colpo di Stato, il secondo in trenta giorni, dopo quello che alla metà dello scorso settembre ha portato all’esautoramento (ed alla successiva morte annunciata nei giorni scorsi) del presidente Taraki. Si è appreso intanto che circa un milione di musulmani «Tajik», che si trasferirono nelle zone settentrionali del Paese dopo la rivoluzione russa del 1917, si sono uniti ai rivoltosi che combattono il regime filosovietico di Kabul. Lo ha rivelato ieri il quotidiano inglese Daily Telegraph, in una corrispondenza dalla capitale afghana, precisando che la notizia è stata «ammessa tacitamente per la prima volta da funzionari governativi».
Lunedì 22 ottobre 1979
Reza Pahlavi a New York
Lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi è a New York, dove deve essere sottoposto ad un trattamento contro il cancro.
Giovedì 1 novembre 1979
Khomeini invita a manifestare contro Usa e Israele
A Teheran ’ayatollah Ruhollah Khomeini, leader della nascente Repubblica Islamica, invita la popolazione a manifestare contro gli interessi degli americani, indicati col nome di "Grande Satana" e di "Nemici dell’Islam", e degli israeliani nel Paese
Sabato 3 novembre 1979
L’Urss manda venti battaglioni in Afghanistan
LONDRA — Citando «una fonte diplomatica ad alto livello» a Kabul, il giornale britannico «Daily Telegraph» scrive che l’URSS ha spedito d’urgenza venti battaglioni in Afghanistan par proteggere le sue basi da un attacco dei ribelli musulmani (dal Corriere della Sera del 4 novembre).
Domenica 4 novembre 1979
Assaltata l’ambasciata Usa a Teheran
Un gruppo di 500 studenti circa (anche se le testimonianze discordano e variano da 300 a 2000) assalta l’ambasciata americana a Teheran. Poi mostra in televisione i 66 ostaggi, presentati con gli occhi bendati, e fa alcune richieste di riscatto, tra le quali quella di estradizione dello Scià perché possa venire giudicato sui "crimini contro il popolo iraniano". Sei persone tra quelle che al momento dell’attacco si trovavano all’interno dell’ambasciata riescono a fuggire e a trovare rifugio all’interno dell’appartamento dell’ambasciatore canadese • Quando l’Imam Khomeini seppe che gli studenti avevano occupato l’ambasciata Usa disse: «Prendeteli a calci e mandateli a casa». Ma quando si accorse che migliaia di persone erano ammassate davanti alla sede diplomatica cambiò idea: «Questa – annunciò – è la seconda rivoluzione dopo quella contro lo Scià» (testimonianza del ministro degli Esteri, Ibrahim Yazdi) • «Gli ostaggi furono maltrattati, tenuti in isolamento o ammanettati, costretti al silenzio, esibiti alla folla con gli occhi bendati e sottoposti a finte esecuzioni» (Bruce Laingen) • La scoperta nell’ambasciata di documenti che provavano contatti tra il premier moderato Mahdi Bazargan e Washington provocarono l’allontanamento di quest’ultimo.
Martedì 6 novembre 1979
Gli americani chiedono aiuto agli inglesi per la crisi di Teheran
Il ministro degli Esteri britannico, lord Peter Carrington, chiede al suo ambasciatore a Washington se la richiesta di aiuto, avanzata dal comando supremo americano all’unità di elite delle forze armate del Regno Unito, per la crisi a Teheran, è autorizzata dalla Casa Bianca o solo un segno del caos che regna supremo nell’amministrazione americana di Jimmy Carter.
Martedì 13 novembre 1979
Carter ordina di non comprare più petrolio iraniano
WASHINGHTON - Con una impennata d’orgoglio, l’America comincia a ribellarsi concretamente al ricatto di Teheran, dove dal 4 novembre un centinaio di persone, tra cui una sessantina di cittadini statunitensi, sono prigioniere di fanatici seguaci dell’ayatollah Khomeini. Con un breve, risoluto annuncio, Carter ha ordinato ieri sera il blocco degli acquisti di petrolio iraniano da parte degli Stati Uniti. Il capo della Casa Bianca ha inoltre reso noto che sono in corso consultazioni con gli alleati degli Stati Uniti su altre misure eventuali. Queste misure, ha detto Carter, riguardano «altre azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il consumo e le importazioni di petrolio». La situazione è grave — ha detto il presidente americano. — Noi continuiamo a fronteggiarla». Ha definito «inaccettabili» le richieste iraniane di consegnare lo Scià, che è degente in un ospedale di Nuova York, dove ha subito un’operazione per cancro
Martedì 20 novembre 1979
Teheran, liberati altri tredici ostaggi
Altri tredici ostaggi tenuti prigionieri dagli studenti islamici nell’ambasciata americana di Teheran - donne ed afroamericani - sono stati liberati tra ieri e oggi.
Occupata la Grande Moschea della Mecca
Un gruppo armato occupa la Grande Moschea della Mecca prendendo in ostaggio un centinaio di pellegrini e proclamando il proprio capo “l’annunciatore della fine dei tempi”. Cinque giorni dopo il governo saudita autorizza il ricorso alla forza per liberare la Moschea. L’assalto provoca decine di morti.
dicembre 1979
Truppe da combattimento sovietiche in Afghanistan
Nel corso della prima metà del mese un certo numero di truppe da combattimento sovietiche inizia ad affluire in Afghanistan, ufficialmente per accogliere le richieste d’aiuto di Kabul e nel rispetto del trattato di amicizia firmato l’anno prima (wikipedia).
Domenica 2 dicembre 1979
Oriana Fallaci intervista Gheddafi
• Il Corriere della Sera pubblica un’intervista di Oriana Fallaci a Gheddafi. Tra i temi trattati: la politica del colonnello, le accuse di appoggio al terrorismo e la questione degli ostaggi americani fatti prigionieri nell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran dagli iraniani. [Oriana Fallaci, Corriere della Sera 23/02/2011] • Oriana La Fallaci: «Colonnello, come conciliate un simile disprezzo per il mondo occidentale e gli affari che fate con i suoi maggiori esponenti, con Gianni Agnelli, ad esempio?» Gheddafi: «Gianni chi?». (leggi qui tutta l’intervista)
Incendiata l’ambasciata Usa di Tripoli
Una folla di dimostranti che inneggia all’ ayatollah Khomeini incendia l’ ambasciata americana a Tripoli.
Lunedì 3 dicembre 1979
In Iran approvata la costituzione teocratica
Un referendum approva la costituzione teocratica. Khomeini diventa la guida suprema.
Domenica 9 dicembre 1979
Battaglione sovietico all’aeroporto di Bagram
Tra il 7 dicembre e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a sessanta chilometri da Kabul, un battaglione sovietico della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia.
Sabato 22 dicembre 1979
Un altro battaglione all’aeroporto di Kabul. Isolato Taraki
Tra ieri e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a pochi chilometri dalla capitale, un altro battaglione sovietico, stavolta appartenente alla 104ª Divisione aviotrasportata della Guardia. Col battaglione della 103ª, trasferito lo scorso 9 dicembre, si crede così di aver meglio garantito la protezione dello scalo. Contemporaneamente i consiglieri sovietici iniziano la loro opera di neutralizzazione delle forze afghane, facendo ritirare i mezzi blindati nelle rimesse per "riparazioni" e "svernamento", e organizzando "inventari" delle scorte di armi e munizioni presenti nei depositi; gli stessi consiglieri convincono Amin ad abbandonare la residenza presidenziale nel centro di Kabul per trasferirsi nel più isolato palazzo Tajbeg, separandolo così da gran parte delle truppe a lui fedeli presenti nella capitale (wikipedia)
Lunedì 24 dicembre 1979
L’Urss invade l’Afghanistan
L’Urss invade l’Afghanistan per sostenere il governo comunista del Partito Democratico del Popolo Afgano contro i ribelli Mujaheddin, sostenuti dagli integralisti islamici (leggi qui l’analisi di Guido Rampoldi e Enrico Franceschini) • «La sera del 24 dicembre le forze sovietiche diedero il via all’invasione (operazione Štorm 333): mentre i primi reparti della 40ª Armata attraversarono il confine lungo il fiume Amu Darya, i paracadutisti sovietici della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia già stanziati a Bagram si impossessarono della base quasi senza combattere; seguì un lungo ponte aereo per portare a Bagram dalla loro base a Fergana gli elementi principali della 105ª Divisione aviotrasportata, a cui furono aggregati per l’occasione specialisti del KGB e un contingente di truppe scelte del Gruppo Alpha.[48] A sera i reparti della 108ª Divisione motorizzata attraversarono per primi l’Amu Darya» (wikipedia).
Giovedì 27 dicembre 1979
Giustiziato Hafizullah Amin, a Kabul tutto il potere a Babrak Karmal
I reparti della 108ª Divisione motorizzata sovietica, attraversato l’Amu Darya la sera del 24 dicembre, occupano oggi nel pomeriggio Baghlan, Konduz e Pol-e Khomri nel nord-est (wikipedia). A Kabul, i russi invasori giustiziano il presidente Hafizullah Amin e mettono al suo posto Babrak Karmal, 50 anni, marxista e filosovietico, fondatore del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, leader della fazione moderata Parcham, poi esiliato come ambasciatore a Praga dalla fazione rivale Khalq. Radio-Kabul ha trasmesso un messaggio indirizzato al popolo afghano da Babrak Karmal. Il nuovo capo dello Stato ha promesso «libertà democratiche per tutte le masse, la scarcerazione di tutti i detenuti politici e la creazione di posti di lavoro per i disoccupati. Vogliamo annunciare che le ultime catene dell’imperialismo, del fascismo e della dittatura nel cuore dell’Asia sono state spezzate e che viene issata la bandiera di un Afghanistan libero e Indipendente». Il nuovo regime permetterà la proprietà privata. Saranno puniti i delitti dei fedeli di Amin. Il consiglio rivoluzionarlo che fiancheggia il governo si è impegnato a «risolvere il problema della rivolta nelle provincie per via politica». Forse il colpo di Stato sottolinea drammaticamente le difficoltà di reprimere la «guerriglia santa» dei ribelli musulmani contro i regimi comunisti sostenuti da Mosca. Poco dopo l’annuncio del colpo di Stato le comunicazioni telefoniche tra l’Afghanistan e l’Iran sono state interrotte (Corriere della Sera). • Contemporaneamente alla presa di Kabul e del nord-est dell’Afghanistan la 40ª Armata si assicurò il resto del paese: muovendo dalla Repubblica Turkmena, la 5ª Divisione motorizzata entrò nell’Afghanistan occidentale il 27 dicembre avanzando rapidamente, ed entro il giorno successivo si impossessò di Herat e Shindand, espandendo poi la sua area di controllo fino a Farah e Kandahar (wikipedia).
In Afghanistan resistenza al colpo di Stato, combattimenti anche a Kabul
KABUL — Secondo informazioni americane, combattimenti sono in corso in parecchi punti, fra cui le vicinanze del palazzo presidenziale, a Kabul: soldati sovietici sarebbero intervenuti negli scontri. Il colpo di Stato è avvenuto subito dopo l’arrivo di un altro forte contingente di soldati russi, con un ponte aereo di circa 200 voli: grossi apparecchi sovietici hanno trasportato forse cinquemila militari, che vengono ad aggiungersi alle forze sovietiche già impegnate ad aiutare il governo afghano contro gli insorti. Secondo le ultime notizie da Kabul la resistenza al colpo di Stato sarebbe più forte del previsto. Alle ore 21 (ora locale) mentre la radio continua ad affermare che il regime di Amin è stato rovesciato, i combattimenti proseguono: sulla strada che conduce all’aeroporto di Kabul carri armati hanno aperto il fuoco. Si sente anche il rombo delle artiglierie e intense raffiche di mitraglia (Corriere della Sera).
Venerdì 28 dicembre 1979
Carter telefona alla Thatcher: «Grave l’intervento sovietico in Afghanistan»
Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, telefona alla Thatcher per dirle che giudica «l’intervento sovietico in Afghanistan come uno sviluppo estremamente grave, con profonde conseguenze strategiche sulla stabilità dell’intera regione»: è essenziale, aggiunge il presidente americano, secondo gli appunti della conversazione telefonica presi da Downing Street e visionati dal nostro giornale, «rendere questa azione il più politicamente costosa possibile per l’Unione Sovietica» (Guido Rampoldi e Enrico Franceschini. Leggi qui l’intero articolo, che analizza l’invasione sovietica e le sue conseguenze)
Sabato 29 dicembre 1979
«La Siria aiuta il terrorismo”
Gli Stati Uniti inseriscono la Siria nella lista nera degli Stati che aiutano il terrorismo
Lunedì 31 dicembre 1979
La Jugoslavia preoccupata per l’intervento sovietico in Afghanistan
BELGRADO — La Jugoslavia è «sorpresa e profondamente preoccupata per l’evolversi della situazione in Afghanistan, ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri a Belgrado. Questa presa di posizione della Jugoslavia, attesa con molto interesse dopo il messaggio inviato sabato dal presidente Carter al maresciallo Tito, è apparsa molto cauta con l’evidente sforzo di evitare di assumere posizioni. È stato notato che nel testo della dichiarazione jugoslava non si fa alcuna menzione dell’Unione Sovietica. Belgrado — ha detto ancora il portavoce — esprime «profonda preoccupazione per le gravi conseguenze che possono derivare dall’evolversi della situazione, non soltanto per un peggioramento nella regione ma anche per i rapporti internazionali in generale».
Dura condanna cinese all’intervento sovietico in Afghanistan
PECHINO — Il governo cinese, in una dichiarazione ufficiale diramata nelle prime ore di ieri, che fa seguito a due prese di posizione del «Quotidiano del popolo» e dell’agenzia «Nuova Cina», condanna decisamente l’azione sovietica nei confronti dell’ Afghanistan e chiede che Mosca ritiri tutte le sue truppe da quel Paese. La dichiarazione afferma: «L’Unione Sovietica ha di recente attuato una massiccia invasione militare dell’Afghanistan, interferendo grossolanamente negli affari interni di quel paese. Questo intervento armato viola sfacciatamente tutte le norme che reggono i rapporti internazionali; non soltanto esso usurpa la sovranità e l’indipendenza nazionale dell’Afghanistan, ma pone anche una grave minaccia alla pace e alla sicurezza in Asia e nel mondo intero. Il governo cinese condanna vigorosamente questa azione egemonistica dell’Unione Sovietica e chiede decisamente la fine di quest’aggressione e di questo Intervento nell’Afghanistan e il ritiro dl tutte le forze dell’URSS. Il documento cinese prosegue affermando che Mosca ha da tempo pianificato l’azione e rileva in proposito che essa «rappresenta un grave passo per la penetrazione verso sud allo scopo di giungere all’oceano Indiano e controllare le vie marittime. Essa è anche una parte importante della strategia sovietica per impossessarsi delle zone produttrici di petrolio e aggirare l’Europa in modo da assicurarsi l’egemonia mondiale». Dopo aver rilevato che i sovietici «hanno allargato l’applicazione della ’teoria della sovranità limitata’ dalla loro ’comunità di nazioni’ a un paese non allineato e islamico del Terzo mondo», la dichiarazione di Pechino continua osservando che è assurdo pretendere, come fa l’URSS, che la sua azione sia stata Intrapresa «per aderire a quanto previsto dal trattato dl amicizia con l’Afghanistan e su richiesta del governo afghano». «Questa logica degli aggressori non può ingannare alcuno, pur se merita di essere attentamente valutata. Con le sue azioni l’Unione Sovietica dimostra di essere pronta a invadere e occupare qualsiasi paese» (dal Corriere della Sera)
VIENNA — Il presidente romeno Nicolas Ceausescu si è dissociato dall’intervento sovietico in Afghanistan e ha riaffermato la validità dei principi della non ingerenza e del non ricorso alla forza come criteri fondamentali delle relazioni internazionali. In un discorso al corpo diplomatico straniero accreditato a Bucarest, Ceausescu non ha menzionato esplicitamente l’Afghanistan, ma l’allusione è stata capita da tutti quando ha affermato: «Ci auguriamo che in tutte le regioni del mondo si adotti una politica di moderatezza, e che finisca ovunque il ricorso alla forza e agli interventi militari in modo che venga finalmente rispettato il diritto dei popoli all’indipendenza». Ceausescu ha detto che se si facesse un sondaggio demoscopico su scala mondiale, «più dell’ottanta per cento» della popolazione del pianeta si pronuncerebbe per il disarmo, per la non ingerenza e per la pace. Ceausescu non ha imitato i suoi colleghi degli altri stati del patto di Varsavia che hanno inviato telegrammi di felicitazioni al nuovo leader afghano Karmal. Lo hanno fatto il magiaro Kadar e il bulgaro Zivkov e i loro giornali hanno elogiato «l’aiuto internazionalistico» dei sovietici. Altro linguaggio è usato dal giornale di Tirana «Zeri i Popullit», che ha definito l’impresa sovietica «un atto aggressivo e fascista dei socialimperialisti dell’URSS». Il giornale del PC albanese ha scritto che «anche i popoli dell’Iran e di tutto il medio oriente devono stare in guardia davanti alle azioni e ai trucchi dell’imperialismo americano e del socialimperialismo sovietico»
Pakistan preoccupato per l’invasione sovietica dell’Afghanistan
ISLAMABAD — L’intervento militare sovietico in Afghanistan è motivo di «gravissima» preoccupazione per il governo del Pakistan il quale in un comunicato rilasciato ieri sottolinea le ripercussioni che la presenza dei soldati russi potrà avere sulla pace internazionale. Il documento chiede altresì a Mosca di ritirare immediatamente le sue truppe. «Il governo del Pakistan considera con la più grave preoccupazione i recenti sviluppi afghani e ritiene che l’intervento sovietico nel vicino paese costituisca una grave violazione delle norme della coesistenza pacifica». Dopo aver ricordato i tre colpì dl Stato succedutisi in Afghanistan negli ultimi due anni la nota aggiunge: «Il governo del Pakistan considera questo sviluppo con la più grave preoccupazione, preoccupazione che è tanto più profonda dal momento che il Paese soggetto all’intervento militare è un paese Islamico, un nostro vicino immediato, un paese che fa parte della conferenza islamica e del movimento dai non-allineati» «L’ingresso di truppe straniere allo scopo dl determinare l’esito dell’attuale crisi interna afghana costituisce un ulteriore aggravamento della situazione ed è destinato a prolungare l’agonia del popolo afghano al quale il Pakistan è unito da legami indissolubili di storia, fede e cultura».
gennaio 1980
I russi controllano l’Afghanistan
Entro la metà del gennaio 1980 i centri principali dell’Afghanistan erano in mani sovietiche: l’esercito afghano oppose una resistenza debole e disorganizzata, e la 40ª Armata, cresciuta fino a 81.800 unità, registrò perdite irrisorie; a Kabul il neo presidente Karmal, portato in volo nella capitale dai sovietici, proclamò la caduta del regime di Amin e la formazione di un nuovo governo. (wikipedia)
Mercoledì 2 gennaio 1980
Offensiva delle forze speciali sovietiche contro le roccaforti musulmane
Una divisione dei «berretti azzurri» (10 mila uomini), le forze speciali dell’URSS, ha sferrato un’offensiva contro le principali roccaforti dei guerriglieri musulmani che si oppongono al regime marxista dell’Afghanistan. Le truppe sovietiche attaccano appoggiate da mezzi corazzati e dai modernissimi elicotteri da combattimento «MI 21», l’equivalente dei «Cobra» americani. Sanguinosi scontri sono in corso in tutto II Paese e le testimonianze di quanti sono riusciti a lasciare Kabul sono drammatiche: i morti sono già migliala. Soltanto nelle prime 48 ore dopo il colpo di stato che ha portato al potere Barbak Karmal, sono stati uccisi tremila sostenitori del presidente Amin, deposto e giustiziato.Mentre le truppe sovietiche stanno soffocando le sacche di resistenza dei guerriglieri islamici afghani, e in tutto il mondo crescono le apprensioni suscitate da questo massiccio intervento militare, nell’Iran è stato scoperto e sventato ieri pomeriggio un complotto contro il segretario delle nazioni Unite Kurt Waldheim, che è a Teheran per cercare di risolvere la vicenda degli ostaggi americani. L’annuncio è stato dato dallo stesso ministro degli esteri Iiraniano Gotzadeh, il quale ha in tal modo spiegato perché era stato improvvisamente sovvertito tutto il programma di incontri di Waldheim, che nel pomeriggio era rimasto in albergo «per motivi di sicurezza». Contro il segretario dell’ONU c’era stata anche una manifestazione ostile di un migliaio di studenti (dal Corriere della Sera del 3 gennaio).
Venerdì 4 gennaio 1980
L’invasione sovietica dell’Afghanistan e il punto di vista cinese
PECHINO – I cinesi sono convinti che, di questo passo, i sovietici finiranno con lo «scottarsi le dita». Per ora, però, stanno bene attenti a non scottarsele loro. Paradossalmente, l’atteggiamento di Pechino di fronte all’invasione sovietica dell’Afghanistan assomiglia all’atteggiamento di Mosca di fronte all’attacco cinese contro il Vietnam nel febbraio dell’anno scorso: durissimo nella forma, ma altrettanto cauto nella sostanza. Le preoccupazioni cinesi hanno origine da un obiettivo dato di fatto e da una «voce» che in questi giorni ha preso a circolare insistentemente nei circoli diplomatici di Pechino. Il dato di fatto è la fragilità interna e esterna del Pakistan, invaso da quattrocentomila profughi dall’Afghanistan, afflitto anch’esso da conflitti tribali, esposto al «contagio» marxista e rivoluzionario afghano e alle pressioni sovietiche. La «voce» è il minaccioso messaggio che Mosca avrebbe fatto pervenire a Pechino tramite Washington: se l’URSS non riuscirà ad aprirsi una strada verso le «rotte del petrolio» sarà costretta a cercare sfoghi e approvvigionamenti nella provincia cinese del Sinkiang, ricca di petrolio (leggi qui tutto l’articolo di Piero Ostellino)
Venerdì 11 gennaio 1980
I russi porranno il veto alla richiesta americana di sanzionare l’Iran
I russi hanno fatto sapere che, in Consiglio di sicurezza dell’Onu, porranno il veto a qualunque sanzione verso l’Iran, messa sotto accusa dagli Stati Uniti per il sequestro degli ostaggi nell’ambasciata americana di Teheran. È la risposta di Mosca all’embargo sul grano deciso da Carter dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Gira voce - forse messa in giro ad arte dagli stessi russi - che l’invasione sia stata decisa da Kirilenko, Suslov, Ustinov e Gromiko, i quali avrebbero messo in minoranza un Breznev sempre più malandato in salute (da un articolo di Ugo Stille).
Il problema del Pakistan
ISLAMABAD — Coi suoi 15 o 17 milioni di abitanti, l’Afghanistan è un paese molto povero, non ha petrolio e vanta uno dei redditi pro capite tra i più miserabili del mondo. L’intervento dell’Unione Sovietica, ha dichiarato in una recente intervista a Newsweek il presidente del Pakistan, generale Zia ul-Haq, non può quindi essere motivato dal «desiderio di nuove risorse». Ma — ha detto Zia — l’Afghanistan è strategicamente molto importante. E c’è molto petrolio in Iran. L’Afghanistan e il Pakistan costituiscono la porta secondaria sul Golfo e l’accesso diretto all’oceano Indiano. Ho cercato di richiamare l’attenzione di Washington su questo fatto sin dal primo colpo di Stato marxista nell’aprile del ’78. Senza troppo successo, potrei aggiungere. Il chiodo che regge la ruota è il Pakistan. Ciò non significa che noi abbiamo paura. In realtà siamo abbastanza sicuri. Ma data la nuova equazione di potere nel mondo, la fiducia in se stessi rappresenta la chiave alla nostra sopravvivenza come nazione. Il Pakistan è ora un’isola di stabilità e intendiamo mantenerlo tale»A Islamabad, la capitale, città dei ministeri, della burocrazia, delle ambasciate, una colata di palazzi, villini bianchi e giardini, sorta dal nulla e quasi senza rapporto fisico con la storia e la civiltà del paese, la crisi afghana sembra un fenomeno remoto; ma a Peshawar, che ricorda Kipling, o lungo l’intero arco della frontiera tribale dove sono ammassati i 400 mila profughi afghani, il dramma del vicino paese ha una sua greve, quotidiana incombenza. (Ettore Mo sul Corriere della Sera)
La Cee non venderà cereali all’Urss. Breznev sostiene che l’invasione è stata decisa per evitare che l’Afghanistan diventasse filocinese
In una intervista televisiva il segretario di Stato Vance non ha escluso il blocco navale del Golfo Persico. A Teheran, il ministro iraniano del commercio, Reza Sadr, ha dichiarato che ciò potrebbe significare la guerra nel Golfo Arabico. Ha però aggiunto di ritenere improbabile un blocco, «perché il petrolio nel mondo passa per questa regione e i Paesi occidentali non sopporterebbero le conseguenze di tale misura». È circolata anche la voce che l’Iran taglierebbe le forniture di petrolio ai Paesi che, nella votazione all’ONU, aderissero alle sanzioni. Fanno parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Cina, Francia, Gran Bretagna, URSS, Stati Uniti, Bangladesh, Filippine, Germania Orientale, Giamaica, Norvegia, Portogallo, Niger, Messico, Tunisia e Zambia.A Bruxelles i 9 Paesi, fra cui l’Italia, della Comunità economica europea hanno deciso di sospendere la vendita di cereali all’URSS per appoggiare l’azione americana di rappresaglia per l’invasione dell’Afghanistan. La tensione internazionale si ripercuote in misura particolare in Jugoslavia, dove la presidenza dalla Repubblica e la presidenza della Lega dei comunisti hanno diffuso un appello alla «vigilanza nazionale».In Afghanistan, dove prosegue la resistenza islamica contro i sovietici nonostante i tentativi del presidente Karmal per giustificare l’intervento, la folla ha preso ieri d’assalto il carcere nei pressi di Kabul protestando contro la mancata liberazione di molti detenuti politici. Negli scontri hanno perso la vita un manifestante e un soldato afghano. A Mosca, Breznev avrebbe rivelato a Marchais che l’URSS è intervenuta a Kabul perché il regime di Amin minacciava di portare il Paese nell’orbita cinese
Domenica 13 gennaio 1980
Paracadutisti russi in Afghanistan
La resistenza dei guerriglieri islamici in Afghanistan continua, soprattutto nelle zone vicine alla frontiera con il Pakistan. Lanci di paracadutisti russi sono segnalati a Baricot, dove la guarnigione sovietica è assediata da qualche giorno. Il comando avrebbe deciso l’invio del «parà» per alleggerire la pressione. Secondo fonti dei ribelli, negli scontri sarebbero caduti un centinaio di sovietici. Si combatte anche a Jalalabad. Mosca ha dato notizia della morte di un generale: non si sa se sia caduto in combattimento In Afghanistan. DI fronte al deteriorarsi della situazione internazionale, le Casa Bianca ha annunciato che il presidente Carter sta preparando «un importante discorso» nel quale definirà nuove prospettive della politica estera americana: si prevede un notevole irrigidimento degli USA. Oggi torna in Europa il segretario di Stato aggiunto Warren Christopher.Ieri il presidente del Pakistan, generale Zia, ha rinnovato le accuse all’Unione Sovietica. Oggi giunge a Islamabad — nuova tappe della missione che lo ha portato in Turchia, nell’Oman e in Arabia Saudita — il ministro degli esteri inglese, Lord Carrington. Venerdì sarà la volta del ministro degli esteri cinese Huang Hua (la Cina ha studiato con gli USA un piano di aiuti al Pakistan). Alle Nazioni Unite, l’Assemblea generale conclude oggi la discussione sull’intervento sovietico in Afghanistan, mentre il Consiglio di sicurezza è impegnato dalla richiesta americana di sanzioni contro l’Iran: all’esame ci sono le nuove proposte di Teheran per gli ostaggi. L’Unione Sovietica, che ha preannunclato il suo veto e ogni sanzione, ha ieri affermato di essere pronta a fornire aiuto «anche militare» all’Iran.
Lunedì 14 gennaio 1980
Breznev giustifica l’invasione in Afghanistan, accusa Carter, minaccia gli europei
Breznev s’è fatto intervistare dalla Pravda (otto colonne di giornale) e ha giustificato così l’invasione dell’Afghanistan: «Decine di migliaia di insorti, intere unità militari, aiutati e addestrati all’estero stavano infiltrandosi in Afghanistan. Questi insorti avrebbero messo in serio pericolo il fianco meridionale dello Stato sovietico, e le conquiste della rivoluzione afghana. La decisione di inviare contingenti in Afghanistan è stata non semplice, ma presa dal Comitato Centrale del PCUS e dal governo in piena coscienza delle proprie responsabilità e dopo aver esaminato tutte le circostanze». Quanto all’Europa e alle pressioni di Carter perché non venda cereali ai sovietici, Breznev ha detto: «Gli Stati Uniti danno l’impressione di essere un partner assolutamente inaffidabile, capace in ogni momento di violare gli obblighi e cancellare i trattati». Ora Washington «vorrebbe rovinare anche le relazioni delle nazioni europee con l’URSS e "metterle sotto"». «Ma l’interesse cardinale dei popoli europei è fermamente collegato con la distensione perché essi — ha ricordato Breznev con un’ombra di minaccia — abitano un continente già più volte segnato da guerre devastatrici e non sono pronti ad imbarcarsi lungo una strada di avventure solo per seguire gli ordini dei politicanti d’oltre oceano. E’ impossibile credere che ci possano essere Stati che in Europa desiderano gettare i frutti della distensione sotto i piedi di chi li vuole calpestare».
Martedì 15 gennaio 1980
Centoquattro paesi votano all’Onu la risoluzione che invita l’Urss a ritirarsi dall’Afghanistan
L’assemblea dell’ONU ha approvato una risoluzione che condanna l’intervento sovietico in Afghanistan e chiede il ritiro delle truppe «straniere» da quel Paese. La risoluzione non ha alcun valore pratico, ma acquista un grande significato politico. A parere degli osservatori è stata una delle più gravi sconfitte di Mosca all’ONU. Sono stati Infatti ben 104 i Paesi (tra cui Iran e Jugoslavia) che hanno votato a favore della risoluzione; appena 18 i contrari e altrettanti gli astenuti. Romania e Libia figurano tra I Paesi che non hanno partecipato al voto. Ieri l’URSS ha posto il veto alle sanzioni chieste da Washington contro l’Iran. Nonostante il veto, gli USA sono decisi ad applicare le sanzioni. Corrono voci di un possibile blocco navale e del minamento del Golfo Persico. Questi sviluppi si intrecciano con inquietanti notizie dai vari scacchieri della crisi. Secondo informazioni, ancora contraddittorie, una divisione sovietica sarebbe schierata In prossimità del confine afghano-iraniano. Inoltre il primo ministro israeliano ha denunciato il presunto pericolo di un attacco siriano. (dal Corriere della Sera del 16 gennaio)
Mercoledì 16 gennaio 1980
Berlinguer condanna gli invasori sovietici
• Enrico Berlinguer, segretario del Pci, esprime parole di condanna nei confronti dell’intervento militare sovietico in Afghanistan.
Lunedì 28 gennaio 1980
Tornano in patria, da Teheran, sei diplomatici americani
Gli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran che erano riusciti a fuggire e a rifugiarsi nell’appartamento dell’ambasciatore canadese possono tornare in patria, grazie a documenti forniti dal governo canadese. La decisione di concedere ai sei diplomatici tali documenti è stata presa presa dal parlamento canadese, riunito in seduta segreta per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale. È stato approvato un provvedimento ad hoc per consentire loro la fuga.
Lunedì 28 aprile 1980
Fiasco Usa per liberare gli ostaggi in Iran
• Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, annuncia che un tentativo di liberare gli ostaggi detenuti dal 4 novembre 1979 nell’ambasciata a Teheran è fallito (8 americani hanno perso la vita per lo schianto tra un elicottero e un aeroplano).
Venerdì 11 luglio 1980
Teheran, liberato un altro ostaggio
Uno degli ostaggi tenuto prigioniero dagli studenti islamici nell’ambasciata americana di Teheran è stato liberato in quanto malato di sclerosi multipla.
Lunedì 19 gennaio 1981
Accordo ad Algeri per liberare gli ostaggi americani degli studenti di Teheran
Sulla questione degli ostaggi detenuti nell’ambasciata americana di Teheran si conclude oggi un accordo ad Algeri, grazie alla mediazione del governo algerino. Per gli Stati Uniti l’Accordo di Algeri è negoziato dall’allora Vicesegretario di Stato Christopher Warren. L’intesa prevede la liberazione degli ostaggi, lo scongelamento dei fondi iraniani depositati presso banche americane e bloccati all’indomani dello scoppio della crisi, la riaffermazione del principio di non ingerenza.