Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri mattina alle 10 due shahid si sono infilati nella marcia per la pace indetta dai curdi ad Ankara e hanno tirato la cinghia collegata all’esplosivo e si sono fatti saltare in aria. I morti per ora sono 96, e i feriti 400. Ma sono numeri destinati a salire, perché molti dei feriti sono gravissimi.
• In che senso “la marcia della pace indetta dai curdi...”. Ci sono molti tipi di curdi.
La marcia era stata organizzata da vari gruppi dell’opposizione, movimenti di sinistra, curdi moderati dell’Hdp. L’appuntamento era davanti alla stazione, lungo Hypodrum Street. La marcia non era neanche cominciata, ma c’era già molta gente. Dopo i due scoppi sono arrivati nugoli di poliziotti e secondo i manifestanti hanno impedito che si prestasse soccorso ai feriti. Non le descrivo le foto e la disperazione, anche perché sono sempre le stesse scene, dalla strage di piazza Fontana in poi. Secondo un’opinione piuttosto diffusa, il mandante occulto di questo orrore sarebbe lo stesso Erdogan, il presidente della Repubblica. Cosa possibile, ma per ora non provata. Erdogan ha naturalmente rilasciato una dichiarazione indignata, denunciando il tentativo di dividere il Paese. «Qualunque sia l’origine dell’attacco è necessario opporsi a tutti i terroristi. La solidarietà e la determinazione sono la risposta più forte». Purtroppo di solidarietà in Turchia ce n’è poca. Il Paese, proprio per via della questione curda, è sull’orlo della guerra civile.
• “Qualunque sia l’origine dell’attacco...”. Qual è l’origine dell’attacco?
E chi lo sa. Rivendicazioni non ce ne sono. E la strategia della tensione colpisce nel mucchio e ha finalità sempre oscure. In ogni caso, se si vogliono mettere i paletti al ragionamento che è necessario fare, bisognerà dire che la Turchia, il prossimo 1° novembre, vota per rinnovare il Parlamento. Ed è la seconda elezione in pochi mesi. Nelle elezioni di giugno Erdogan aveva tentato di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi, grazie alla quale avrebbe potuto varare una costituzione autoritaria che lo avrebbe definitivamente trasformato nel dittatore che quasi già è. Non c’era riuscito a causa dell’inatteso successo del partito curdo moderato Hdp, che aveva superato lo sbarramento del 10 per cento (in Turchia, per prendere un seggio, bisogna ottenere almeno il 10% dei voti). Con i suoi 80 seggi l’Hdp aveva eroso quel tanto che serviva per non far superare al partito del presidente Akp il 50%. Un’altra regola turca è che, dopo le elezioni, il presidente incaricato ha 45 giorni di tempo per formare un governo, e se non ci riesce bisogna votare di nuovo. Il presidente incaricato Ahmet Davutoglu, su indicazione di Erdogan, ha tentato un’alleanza con il partito Chp, del quale basterà sapere questo: che è una formazione vicina al presidente siriano Assad, di cui Erdogan è invece acerrimo nemico. Come mai il presidente ha cercato di mettersi con i filo-Assad? Perché sui curdi hanno la stessa posizione, non vogliono a nessun costo la nascita di uno stato curdo al confine con la Siria.
• Deduco dal fatto che si vota il 1° novembre che il tentativo di formare un governo alleandosi con questo Chp è andato a vuoto.
Esatto. E non è detto che lo stesso Erdogan non abbia sabotato segretamente le trattative per ritentare la carta del voto, della maggioranza assoluta e della costituzione a suo uso e consumo. Se questo è l’obiettivo, a che servono gli shahid
che si fanno saltare in aria in mezzo a un corteo pacifista?
• Non so rispondere.
Nemmeno io. Noto solo che, nel tentativo di aiutare i ribelli anti-Assad, la Turchia ha lasciato che nell’ultimo anno il suo territorio fosse attraversato, oltre che da imponenti carichi d’armi, anche da ogni sorta di tagliagole. Questo flusso, diciamocelo, ha aiutato soprattutto l’Isis. E ha avuto come strascico il fatto che il Paese è adesso pieno di terroristi ed esposto perciò ad ogni sorta di pericolo. Vediamo se l’eccidio di ieri risulta meno incomprensibile esaminando la faccenda dal lato turco.
• Sentiamo.
Oltre a quella turca, esistono altre tre enclave curde, quella turca, quella siriana e quella irachena. In astratto, vogliono tutti la nascita di una nazione curda. In concreto anche i curdi sono divisi tra di loro e qualche volta sanguinosamente divisi. Massoud Barzani, il leader del Kurdistan iracheno, l’unico paese curdo costituito di fatto se non di diritto, ha elogiato il presidente Erdogan, che, con la scusa di combattere l’Isis, è andato a bombardare i curdi siriani. I curdi siriani occupano una parte del Kurdistan iracheno, la regione montuosa del Qandil. Nel Qandil ha le sue roccaforti il Pkk, Partito comunista curdo, il cui leader Ocalan (ben noto agli italiani grazie a Bertinotti) è adesso in galera e aveva a suo tempo contrattato una pace con Erdogan. Senonché i curdi siriani, i famosi peshmerga, si sono coperti di gloria contro l’Isis, sono anzi i soli che, da terra, abbiano attaccato lo pseudocaliffo. L’ammirazione internazionale è un pericolo, perché potrebbe favorire la nascita del famoso Kurdistan siriano che la Turchia considera più pericoloso di Assad. Al posto del Kurdistan siriano, Erdogan voleva una no fly zone. E questa gliel’ha impedita Putin, mandano i mig a far la guerra proprio lì. I due shahid
di ieri sono allora martiri mandati da quelli del Pkk? Non sono stati quelli del Pkk ad ammazzare due poliziotti poche settimane fa? E chi, lo scorso 20 luglio, ha messo una bomba a Suruc, frontiera con la Siria, per impedire a 32 giovani curdi di andare a portare viveri e munizioni a Kobane?
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