Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Non c’è bisogno di molte parole per raccontare quello che è successo ieri: basterà guardare una foto o un video della place de la République.
• Quanti erano?
La polizia s’è perfino rifiutata di fornire una sua valutazione. Si parla di un milione e mezzo, due milioni, due milioni e mezzo di manifestanti, a cui si deve aggiungere l’altro milione che è sceso in strada in tutte le città di Francia tra venerdì e sabato. E le centinaia di migliaia che sono uscite di casa stringendo il cartello “Je suis Charlie” un po’ in tutto il mondo. Abbiamo visto corrispondenze da Washington e da Ulan Bator in Mongolia, da Ginevra e dalla Nuova Caledonia e, com’era ovvio, da Tel Aviv. Abbiamo visto anche gruppi di uomini e donne che innalzavano scritte contro quello che è successo nella redazione di Charlie Hebdo e nello stesso tempo si dichiaravano musulmani. «Questo non è l’Islam» gridavano più o meno tutti. E del resto, in place de la République, dove sono arrivati più di cinquanta tra capi di Stato e di governo, accanto alla Merkel, a Sarkozy, a Cameron, a Matteo Renzi, a Rajoy, a Juncker c’erano fior di politici musulmani, il premier turco Ahmet Davatoglu, il presidente palestinese Abu Mazen, re Abdallah II di Giordania con la moglie Rania, e i rappresentanti dell’Egitto, del Marocco, della Lega Araba, e tanti altri. Hollande ha abbracciato a lungo Patrick Pelloux e gli altri redattori sopravvissuti alla strage (per mercoledì è prevista una tiratura della rivista da un milione di copie, con prenotazioni da tutto il mondo), poi, quando i due milioni di uomini e donne, suddivisi in tre cortei, sono arrivati in place de la Nation, dove la manifestazione si è conclusa, è andato a visitare la Grande Sinagoga parigina. I familiari delle quattro persone ammazzate nel supermercato kosher da Amedy Coulibaly hanno deciso di seppellire i loro cari in Israele, nel cimitero del Monte degli Ulivi. I funerali sono stati già fissati per martedì prossimo.
• Come mai non c’era Marine Le Pen?
Hollande, nei giorni scorsi, ha ricevuto tutti e ha discusso con tutti, volendo chiamare le varie parti politiche, in un momento tanto grave, all’unità nell’interesse supremo del Paese. È rientrato all’Eliseo anche Sarkozy, ieri a fianco degli altri durante la manifestazione. Ma a questo sforzo unitario non è stata richiesta la partecipazione di Marine Le Pen, che ha dunque deciso polemicamente di sfilare da sola, nel piccolo centro di Beaucaire, Francia meridionale. «Marceremo a fianco del popolo francese, con il popolo francese, unico e indivisibile, in tutti i luoghi, meno che al corteo parigino». Il padre, il vecchio Jean-Marie Le Pen, fascista e filonazista dichiarato, fondatore del Front National, ha twittato ieri mattina: «Je ne suis pas Charlie» un hashtag adottato da molti, sia a destra che a sinistra, gente che o non ha mai condiviso il modo di fare satira del settimanale oppure dà dell’ipocrita ai manifestanti di Place de la République, specialmente ai politici, capaci di manifestazione, ma piuttosto pronti ad arretrare quando, fuori dalle emergenze, si tratta di conquistare voti.
• Siamo come coloro che si trovano su una spiaggia alla fine di una marea: restano, dopo che l’acqua si è ritirata, un quantità di detriti, una quantità di rifiuti dei quali ci si deve liberare. Allo stesso modo, ora che la tragedia si è conclusa, ci troviamo alle prese con una serie di questioni di primissimo peso alle quali rispondiamo con difficoltà. La prima è che i fatti di Parigi hanno provocato di sicuro un rilancio dell’opinione di destra, quella che non vuole gli immigrati, che vuole chiudere le frontiere, sempre coincidente, olre tutto, con i movimenti che chiedono la morte dall’euro.
È vero. In Italia Salvini impazza, in Francia la Le Pen sta ben sfruttando l’esclusione, in Germania – dove il giornale Hamburger Morgenpost, reo di aver ripubblicato delle vignette di Charlie, ha subito un attentato incendiario – oggi dovrebbero sfilare quelli di Pegida, il movimento radicale antiislamista.
• C’è anche il problema di che cosa fare adesso perché non ci sia un’altra Charlie Hebdo.
Prima della manifestazione di Place de la République, i vari ministri degli Interni si sono riuniti in place Beavau, alla presenza del ministro francese Cazeneuve. I francesi vogliono porre delle limitazioni a Schengen, cioè al trattato che consente la libera circolazione delle merci e delle persone tra i paesi aderenti. Alfano è contrario e, comunque, tornare indietro su Schengen rappresenterebbe di sicuro una diminuzione del nostro tasso di democrazia. C’è anche la proposta di utilizzare il codice Pnr delle compagnie aeree, grazie al quale i servizi saprebbero con certezza i gusti, le idee politiche e l’appartenenza religiosa di tutti i viaggiatori. Anche qui sarebbe in gioco il tasso complessivo di democrazia, dato che queste informazioni intaccherebbero la nostra vita privata. Mi limito per ora a riferire sulle idee che girano, senza giudicarle. Anche sul Pnr il nostro ministro Alfano è perplesso.
• Altra questione sulla quale non abbiamo avuto il tempo di interrogarci: i servizi francesi, i loro investigatori, i loro poliziotti hanno fatto tutto il possibile? Questi venti morti si sarebbero potuti evitare?
Ieri ha messo il dito su questa piaga Julien Assange, accusando di incompetenza gli uomini del sistema francese, che si sono fatti beffare – a suo dire - da tre dilettanti. Al punto – dice – che c’è da sospettare su tutta la faccenda. I tre, magari – dice – erano degli informatori e per questo negli scorsi anni non sono stati fermati. E forse – dice – li hanno lasciati agire per farsi belli con i media arrestandoli subito dopo e ottenere così più soldi per il loro apparato. Tutte cose che dice Assange, ripetiamo. Ma che occuperanno parecchio le pagine dei giornali e le ore della tv nei prossimi giorni.
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