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 2024  aprile 16 Martedì calendario

Berlinguer sulla tessera del PD

Berlinguer sulla tessera Pd, la questione irrisolta delle radici dem: ora i cattolici invocano De Gasperi, Moro e Anselmi
di Concetto Vecchio
Berlinguer sulla tessera Pd, la questione irrisolta delle radici dem: ora i cattolici invocano De Gasperi, Moro e Anselmi(ansa)
Da Bazoli a Castagnetti, malumore degli eredi dc per l’idea di Schlein di celebrare i 40 anni dalla morte dello storico leader Pci: “Figura straordinaria, ma il nostro Pantheon è duplice, noi deriviamo dall’Ulivo”
Quindi Enrico Berlinguer è finito sulla tessera del Pd. Giusto. Sono quarant’anni dalla sua morte. Ogni donna e uomo di sinistra lo porta nel proprio cuor. Ed è stato l’artefice del compromesso storico. Ma ci rappresenta davvero tutti, si chiedono i cattolici democratici. “Figura straordinaria, sia chiaro, ma è stato l’ultimo grande leader del Partito comunista”, commenta ad esempio Alfredo Bazoli, senatore tra i più influenti. Come dire: noi veniamo dall’altro ceppo.
“Il Pd è nato dall’Ulivo, non è figlio di una sola cultura, forse serviva un’avvertenza maggiore prima di metterlo sulla tessera”, aggiunge con garbo. Pierluigi Castagnetti, l’ultimo segretario del Partito popolare, non ha gradito e intercettato dal Giornale ha commentato: “Mi auguro che nel 2015 sulla tessera ci sia De Gasperi”. E siamo all’eterno ibrido del Pd, la cui identità è bifronte, e le due anime, quella progressista e quella moderata, prevalgono a seconda di chi fa il segretario in quel momento. E questa mescolanza di radici è ricchezza e tormento. Il Pd sta per diventare adulto – l’atto fondativo, segretario Walter Veltroni, nel 2007 – ma non sa ancora bene cos’è. Nei suoi gruppi parlamentari Tabacci e Casini, dc a 24 carati, convivono con Elly Schlein. Berlinguer o Moro, allora? E infatti il dibattito è zavorrato dai cacicchi.
“Berlinguer va bene, ma l’anno prossimo Tina Anselmi”, suggerisce Patrizia Toja, europarlamentare cattolica uscente. Al Nazareno stanno facendo le liste e bisogna pesare le parole, ragion per cui non c’è esattamente la corsa a intervenire sull’argomento. “La vita del Pd è lunga, il Pantheon ricco di figure, la prossima volta toccherà a un’altra personalità”.
I cattolici da tempo si sentono sottorappresentati, anche se in politica non è mai colpa degli altri. Non sembra il loro tempo, questo. Erano una forza tranquilla, oggi sono rimasti solo i tweet di “Pierluigi”, come gli amici chiamano Castagnetti.
Telefoniamo a Graziano Delrio. “Nulla da eccepire!” taglia corto. “Penso sia una bellissima cosa. Non mi sento diminuito da Berlinguer, anzi. Anche Moro avrebbe avuto lo stesso effetto. Ma l’importante è che non ci crogioliamo nella nostalgia. Noi siamo una nuova storia, che guarda avanti. Poi certo, i riferimenti morali sono importanti, e anche le radici, che nel nostro caso sono duplici”.
Non facciano i pierini a destra di fronte a questo dilemma morale, perché loro si rifugiano in Tolkien in assenza di un leader passato da mettere sulla loro di tessera. Il populismo si nutre del presentismo, la storia nasce con “Giorgia”, e a destra il passato è ingombrante, se non indicibile. I suoi alfieri ai convegni citano Gramsci (Gramsci!), o Longanesi, ma per il resto l’elaborazione culturale si traduce nel pijamose tutto: l’assalto ingordo a Rai, agenzie di stampa, Biennale, Scala, parastato, e con un premier che non deve chiedere mai. E così alla fine l’egemonia culturale è il Lucchini del Gattopardo.
Ma torniamo a Berlinguer. L’idea a Schlein è nata vedendo la mostra a Testaccio. Quella organizzata da Ugo Sposetti. Che poi ha invitato Giorgia Meloni, di cui è amico e ammiratore da sempre. Schlein, che non era nemmeno nata quando Berlinguer morì a Padova, a dicembre ha posato davanti all’effigie del segretario più amato. Quello del 34,37 per cento nel giugno 1976, l’elezione dei due vincitori, quando i dirigenti del Pci si affacciano nella notte dal balcone di Botteghe Oscure davanti a migliaia di persone. Alle urne, quella volta, andò il 93,40 per cento. Ah, la politica dei partiti di massa.
A sorpresa Meloni visita la mostra dedicata a Berlinguer a Roma

Giustamente il Pantheon di Elly è un altro. Quando fece il suo primo discorso citò Marielle Franco, Curzio Maltese, il rider Antonio Prisco, Antonio Megalizzi. I giornalisti, a torto o a ragione, le attribuirono Obana, Varoufakis, Alex Langer, Ken Loach e Zerocalcare. “Ci sta”, direbbero i ragazzi di oggi. Questo è il suo tempo.

“Perché non Giacomo Matteotti?” dice Bazoli. “Sono cent’anni dalla morte di un martire antifascista”. In realtà Schlein ha un’affezione per Matteotti, andò a Riano – dove Matteotti fu trovato morto – per la sua prima segreteria fuori da Nazareno, l’altro giorno a Milano ha presentato il bel libro di Federico Fornaro, L’Italia migliore. Matteotti insomma c’è nel Pantheon. È anche in quello di Giuseppe Conte, per la verità, che ha voluto vedere la mostra di Palazzo Braschi. E qui l’ibrido si fa labirinto, senza dimenticare che Matteotti oggi starebbe nelle periferie ogni santo giorno, come fece per una vita con i contadini poverissimi del suo Polesine.