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 2024  marzo 28 Giovedì calendario

Foreste, avanti (non) c’è posto


In Italia il bosco è sempre più vivo. I dati del rapporto Ispra pubblicato in occasione della Giornata internazionale delle foreste, il 21 marzo, confermano una contro-tendenza in atto da tempo: se a livello mondiale, dal 1990 ad oggi, la superficie forestale, che ricopre un terzo delle terre emerse, è diminuita di 178 milioni di ettari (un calo del 4,2%), nel nostro Paese, dal secondo dopoguerra, le foreste sono aumentate costantemente e, in particolare, dal 1985 al 2015 hanno avuto un incremento del 28%, passando da 8,7 a 11,1 milioni di ettari. È un segnale importante, perché gli alberi, tra i molti effetti benefici, controllano l’erosione del suolo, proteggono la biodiversità e regolano il clima.
L’inventario nazionale delle foreste e del carbonio certifica che il bosco copre il 37% del territorio italiano, più che in Germania o Svizzera, entrambe al 31%. Alcune foreste, però, si stanno riducendo, avverte Ispra: «Sono divenuti ad esempio molto frammentati e rari i boschi ripari e igrofili, così come le foreste vetuste e le preziose formazioni forestali di pianura, sempre più compromesse, destrutturate e ridotte in estensione, minacciate da incendi, edilizia e infrastrutture».
La Nature restoration law, la legge europea sul ripristino degli ecosistemi, avrebbe dovuto porvi rimedio. Dopo essere stata approvata un mese fa dal Parlamento europeo, è stata però purtroppo bloccata al Consiglio europeo del 25 marzo, quando otto Paesi, tra cui l’Italia, hanno ritirato l’appoggio. Un grave errore, secondo biologi e ambientalisti.
Sono molti gli elementi di disturbo agli habitat forestali – dagli eventi climatici estremi alla diffusione di specie aliene invasive – ma l’espansione dei centri abitati in pianura e gli incendi restano i due pericoli principali. A questi, si contrappone un processo inverso nelle zone montane, soggette allo spopolamento e a un minore prelievo di legno, che ha portato sia all’espansione di nuovo bosco su terreni in precedenza non boscati sia a un aumento del volume degli alberi nei boschi esistenti. Un fenomeno chiamato «rewilding», che alcuni scienziati italiani vogliono ora guidare e programmare.
Fondi del ministero
Il progetto Rewild Fire è condotto dalle università per capire dove favorire l’espansione della natura
«In Italia, non solo crescono 50.000 ettari di nuovi boschi ogni anno, ma quelli esistenti hanno accumulato in 30 anni oltre il 30% in più di massa vivente: legno, foglie, radici – conferma Giorgio Vacchiano, professore in gestione e pianificazione forestale all’Università di Milano -. Il rewilding spontaneo ha diversi effetti positivi, come la maggiore capacità di assorbire carbonio, ma anche un importante aspetto negativo: l’espansione dei boschi su aree precedentemente non boscate può in alcuni casi favorire la propagazione degli incendi, perché dove prima c’era un’alternanza di alberi, pascoli, coltivazioni, viti e orti, adesso è tutto coperto di bosco e una fiamma può percorrere distanze maggiori. E il bosco che brucia libera in atmosfera tutto il carbonio incorporato. Il cocktail micidiale si innesca con la crisi climatica: il fuoco può divorare più superficie verde, che è anche molto più secca per il moltiplicarsi delle siccità».
Insomma, il rewilding dimostra la resilienza della natura, la sua capacità di riconquistare spazi, ma è una dinamica che va governata, per evitare conseguenze indesiderate. Da qui nasce il progetto Rewild Fire, finanziato dal ministero della Ricerca e condotto dalle università di Torino, Milano e Udine, per capire dove è meglio consentire il rewilding. «Andremo a verificare su tutto l’arco alpino, dal Piemonte al Friuli, quanto cresce il pericolo di incendi dove il bosco si è espanso su superfici precedentemente non boscate e dove c’era già ma ha aumentato la massa arborea». L’obiettivo è individuare le zone dove il carbonio può essere messo davvero «in cassaforte», ovvero dove il rischio del fuoco è minore.
Un progetto utile nell’ottica sia della Strategia europea sulla biodiversità sia della Restoration law. Quest’ultima prevede di porre il 30% del territorio sotto regime di protezione e di questo un terzo, cioè il 10% del totale, sotto regime di protezione rigorosa. «In Italia oggi siamo al 4%, la domanda a cui il nostro progetto vorrebbe dare una risposta è quali foreste perimetrare come nuove riserve integrali per coprire il 6% mancante», spiega Vacchiano. Sempre che la legge, come gli scienziati auspicano, alla fine superi il rifiuto degli otto Paesi. Infine, non possiamo dimenticare che a livello mondiale i Paesi che più soffrono la deforestazione si trovano ai Tropici, in particolare Brasile e Congo. Anche per colpa nostra. Se il bosco italiano è vivo, le foreste vergini tropicali subiscono i nostri consumi sfrenati: si stima che le importazioni di legname e di vari prodotti agro-alimentari – dalla soia alla carne – siano responsabili di una quota di deforestazione all’estero che è pari al rewilding in Italia.