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 2024  marzo 28 Giovedì calendario

Intervista a Zucchero


LONDRA Fatelo voi un concerto di due ore e mezza con il batterista che ha dato forfait per un malore 36 ore prima dello show e il sostituto arrivato al volo il mattino dopo direttamente sul palco a fare le prove dopo aver studiato tutta la notte. «Lo puoi fare se hai una band unita e non di mercenari. Come la mia: qualcuno sta con me dagli esordi, altri da vent’anni... Potrei cambiare scaletta ogni sera. Suoniamo tutto, senza usare basi: costerebbe meno, ma se non c’è l’elemento umano non c’è divertimento». Zucchero tira un sospiro di sollievo. Il debutto alla Royal Albert Hall di Londra (tre show con 5 mila spettatori a serata) è andato bene e la nuova sessione del suo World Wild Tour può mettersi on the road in tranquillità: tocca all’Europa, quindi a giugno cinque concerti negli stadi italiani (il via il 23 giugno a Udine, si chiude il 4 luglio a S. Siro).
Lei fa 150 date a tour, non si ferma mai: Vasco ha detto di voler morire sul palco...
«L’ho detto prima di lui e qualche anno fa ci sono andato vicino a Zurigo... I concerti mi fanno sentire vivo, è adrenalina, giri il mondo... Mi piace anche fare dischi, ma è come andare in ritiro francescano, quindi nel futuro il live sarà la parte più importante della mia carriera. Dipende da come regge il fisico».
Baglioni e Tozzi hanno annunciato il tour di addio. Ci ha mai pensato?
«Quando deciderò di smettere non mi si vedrà più da un giorno all’altro. Non me la sento di annunciare un tour che dura anni, magari cinque come quello di Elton John: non me la sento di prendere un impegno così. Se cambiassi idea e mi volessi fermare prima o andare avanti ancora che figura ci farei?».
L’apertura dello show è affidata a «Spirito nel buio». L’anno scorso aveva detto di averlo scelto per essere in sintonia con i tempi. È ancora così?
«I tempi non sono solo bui, ormai siamo a notte fonda. L’umanità è già depressa e allora io cerco di essere più solare e positivo: nelle canzoni che sto scrivendo in questi mesi, anche nei testi più tosti, metto uno spiraglio di luce».
Lei è uno dei pochi italiani da export. Niente date in Russia nel tour, mentre Pupo (allarga le braccia, ndr) canta per Putin...
Sanremo
mi ha rotto Siamo l’unico Paese
al mondo dove c’è una gara sulla musica, come se fossimo cavalli da corsa: siamo rimasti
ai tempi
dei romani
«Andavo volentieri in Russia. A partire dal mio concerto del 1990 al Cremlino, ho sempre trovato un pubblico attento, che ama l’arte. Adesso ovviamente non ci vado in tour e non ci andrei nemmeno su invito. Si apre un discorso enorme, ma non andrei nemmeno se mi invitassero Netanyahu o Trump».
I tempi bui possono essere anche personali. Sul palco ha ricordato la sua prima volta a Londra, come supporter di Eric Clapton per 12 serate proprio alla Royal Albert Hall: «Nel 1991 la finestra della mia camera in hotel era aperta e volevo buttarmi giù. Vado sempre lì, ma ora le finestre possono stare chiuse».
«L’intenzione era quella... chiamai un amico che venne in camera e mi portò fuori a fare un giro. Nonostante questo non ho cambiato albergo: allora era dark, vittoriano, scuro; oggi le pareti sono solari, celesti e ocra».
Il governo vuole limitare i testi violenti e misogini dei trapper. Come la vede?
«Ma pensano di poter indirizzare qualcosa? E comunque le parole dei politici sono spesso più violente dei testi delle canzoni. Più in generale anche nel rock prevale il politically correct e nessuno prende posizione. Un erede? Mi identifico in Salmo, sa arrivare ai ragazzi ma si espone».
Su Sanremo non è mai stato delicato. Non ci tornerebbe proprio in gara?
«Quest’anno è stata la prima volta che l’ho seguito solo a spizzichi: mi ha veramente straccato i maroni... Troppi influencer e troppo show televisivo. In gara a fare cosa? Siamo l’unico Paese al mondo dove c’è una gara sulla musica, come se fossimo cavalli da soma o da corsa. Trovo allucinante l’idea che ci sia chi vince e chi perde, ma al popolo piace e allora si fa: siamo rimasti ai tempi dei romani e del Colosseo...».
Sul palco c’era Jack Savoretti con cui ha appena riproposto «Senza una donna» che le diede il successo internazionale insieme a Paul Young.
«Sono stato fra i primi a fare duetti ma c’era sempre una giustificazione, un completamento fra artisti, un andare in una direzione diversa. Adesso che li fanno tutti io che sono un bastian contrario non li faccio se non c’è spontaneità».