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 2024  marzo 28 Giovedì calendario

Intervista a Andriy Shevchenko

«Sì, siamo molto contenti. Ma c’è anche tanta preoccupazione. E non ci è possibile nasconderlo». La voce di Andriy Shevchenko è chiara, al telefono, ma anche triste, mentre in auto sta viaggiando da Wroclaw a Kiev: dalla Polonia – dove la Nazionale dell’Ucraina, vincendo lo spareggio con l’Islanda, ha conquistato un posto all’Europeo tedesco – fino alla capitale di un Paese assediato e distrutto dalla guerra: «Mancano ancora cinque ore, poi sarò nel mio ufficio». L’ex Pallone d’oro, eletto due mesi fa presidente della Federcalcio, è tornato a vivere e a lavorare lì, nella sua città. L’aveva lasciata a 23 anni, per diventare il campione che è stato tra Milano e Londra, residenza sua e della sua famiglia. L’ha ritrovata, senza averla mai trascurata, a quasi 48 anni: da lì prova a tenere in piedi il calcio ucraino, ultimo appiglio per la sua gente, in un presente fatto di bombe e di morti.
Shevchenko, in un calcio che celebra i gol con scenette a uso social, ha fatto effetto vedere che voi, dopo la qualificazione all’Europeo, non avete festeggiato, né brindato.
«Ci vuole energia per festeggiare.
Una volta esaurita l’adrenalina del campo, ci è rimasta una consapevolezza che non ci abbandona: quella di rappresentare un Paese che vive un momento di enorme difficoltà».
Il ct Rebrov ha parlato di “vittoria importante per l’intero popolo”.
«Non è retorica, è la realtà. Abbiamo regalato un piccolo momento di felicità al Paese: soprattutto ai soldati che stavano guardando la partita. Il modo in cui abbiamo raggiunto il traguardo non è stato banale: abbiamo fatto fatica, abbiamo sofferto».
Due vittorie identiche in sei giorni: 2-1 in rimonta in Bosnia in semifinale, 2-1 in rimonta con l’Islanda in finale.
«Anche la prima è stata davvero dura: fino a 6 minuti dalla fine, ai gol di Yaremchuk e Dovbyk, stavamo ancora perdendo. Poi la squadra ha saputo reagire. E il talento individuale, che per fortuna non ci manca, è stato decisivo. A Wroclaw è stato quasi uguale, anche se stavolta abbiamo pareggiato un po’ prima: con Tsygankov, nel secondo tempo.
Ma il gol della vittoria Mudryk l’ha segnato solo a 6 minuti dalla fine».
Guardiamola da una prospettiva tecnica.
«Questa è una generazione interessante, che sta emergendo da tempo anche nelle grandi leghe europee: ad esempio Zinchenko e Mykolenko in Inghilterra eTsygankov e Dovbyk in Spagna, protagonisti dell’ottimo campionato del Girona. Poi ci sono i più giovani, molto bravi: non sono pochi».
Mudryk, del Chelsea, è l’esempio dei nuovi talenti sbocciati in tempo di guerra?
«Ha 23 anni e stavamo aspettando un suo gol importante in Nazionale.
L’ha fatto nella serata giusta. Ma non è l’unico. Zabarniy ha 21 anni, Sudakov 21, Brazhko 22».
Brazhko è nato a Zaporizhya, un nome con cui purtroppo tutti hanno
ormai dimestichezza.
«Sono le zone più colpite: Zaporizhya, Lugansk, Kharkhiv, che è la grande città più vicina al confine russo. Proprio pochi giorni fa è stata colpita una centrale elettrica e per tre giorni la città è rimasta senza acqua, elettricità, riscaldamento».
Due mesi fa, dopo essere stato eletto presidente della federazione, lei sembrava meno preoccupato.
«Lo ero invece, lo siamo sempre. Ma la situazione è peggiorata, soprattutto in prima linea. Sono aumentati i bombardamenti.
Ognuno di noi sta cercando di fare del proprio meglio. È il momento più difficile della storia dell’Ucraina, ma abbiamo la Nazionale, l’Under 17 e l’Under 19 qualificate per l’Europeo.
E l’Under 21 prima in classifica. Per la prima volta ci siamo qualificati per le Olimpiadi. Abbiamo reso orgogliosa la nostra gente».
Lei ora ha un ruolo di grande responsabilità.«Ho un programma di nove punti da rispettare. Devo mettere le basi per il futuro, col censimento digitale dei nostri talenti. Devo tessere rapporti fondamentali: penso ad esempio ai camp per portare in Europa i ragazzi delle zone più colpite. Abbiamo collaborazioni con la Figc. Con Germania e Francia il rapporto è proficuo».
Ha in programma viaggi in Italia?
«La considero la mia seconda patria. Il primo messaggio mi è arrivato da Paolo Maldini: “È bello vedere l’Ucraina all’Europeo”. Mi hanno scritto Mauro Tassotti e Andrea Maldera, miei collaboratori storici.
Ma i messaggi sono stati davvero tanti dall’Italia, che ha dimostrato al popolo ucraino sensibilità e solidarietà».
In Germania, come hanno potuto constatare gli azzurri a Leverkusen lo scorso novembre, gli ucraini in fuga dalla guerra sono tanti: a giugno, all’Europeo, giocherete un po’ in casa?
«L’affetto lo abbiamo sentito anche nelle partite che abbiamo giocato in Polonia. Ma sappiamo che la maggior parte degli ucraini aspetterà le nostre partite davanti alla tv. Saremo per loro un punto di riferimento, che va oltre lo sport».
Il vostro girone, con Romania, Slovacchia e Belgio, non sembra impossibile.
«Questo è il mio quarto Europeo, il primo da presidente federale dopo quelli da giocatore, da ct e da assistente tecnico. Ma sarà il più difficile, per le ragioni che potete capire. Quando la guerra finirà, dovremo avere già le basi per ripartire. Aspettiamo con speranza».
Quanto lo vedete vicino?
«Lo vediamo ancora lontano, purtroppo».