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 2022  gennaio 03 Lunedì calendario

Biografia di Calisto Tanzi

Calisto Tanzi (1938-2021). Industriale. Ha portato la Parmalat al più grave crac finanziario europeo di tutti i tempi • La storia comincia in via Oreste Grassi, a Parma, in un palazzo vicino alla stazione da cui entravano e uscivano i prosciutti di Langhirano. Era l’aziendina commerciale fondata dal nonno Calisto, lasciata al padre Melchiorre. «Calisto junior entra in affari a 21 anni. Il padre è malato e lui, già ragioniere, deve lasciare l’università. In breve tutto cambia: nel 1961 costituisce la Dietalat, poi trasformata in Parmalat. La svolta ha luogo in un negozio a Stoccolma. Lì vede il latte in pacchetto, un contenitore di carta fabbricato dalla Tetrapak. Saranno questa tecnologia e l’Uht (che consente la lunga conservazione) a fare la fortuna industriale di Tanzi, che estenderà le idee a conserve e succhi. L’imprenditore di Collecchio coglie però che l’anima del successo è nel commercio: marchio e distribuzione. Investe in reti di vendita, marketing, pubblicità. Patron del Parma Calcio, si butta nelle sponsorizzazioni sportive, sostiene campioni di sci (Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark), piloti (Niki Lauda e Nelson Piquet), squadre anche di pallavolo. Fin qui una storia di abilità imprenditoriale. Sostenuta però da un vizio d’origine, i debiti, e da un’attenta consuetudine con il mondo della politica. Democristiano da sempre, Calisto coltiva l’amicizia con Ciriaco De Mita. Gli dichiara la stima, gli presta l’elicottero, apre una fabbrica nel suo paese natale (Nusco), diventa sponsor dell’Avellino calcio. Convinto da De Mita compra una tv, la Odeon che vuole trasformare in “Telebontà”» (Sergio Bocconi). «Una scalata da vertigini, a un ritmo del 50 percento l’anno con punte del 74 percento. Andava fiero, il Gran Lattaio, che a Parma tutti chiamavano rispettosamente Il Cavaliere prima che l’ossequioso epiteto gli fosse sfilato da Berlusconi, dei grafici dei suoi bilanci: da 262 milioni a 14 mila miliardi e su su su! E snocciolava le fabbriche che aveva aperto in Russia e in Cile, in Australia» (Gian Antonio Stella) • A forza di crescere, spendere, indebitarsi e non capitalizzare mai l’azienda con soldi freschi (cioè soldi suoi), alla fine del 1989 la Parmalat, secondo quanto accertarono i giudici nelle loro indagini del 2004, era già tecnicamente fallita. In quel momento il buco principale era costituito proprio da Odeon Tv, che gli aveva succhiato 80 milioni di euro in pochi anni. Tanzi pompava inoltre soldi dalla Parmalat alla società di famiglia (la Sata: un calcolo sul periodo 1997-2003 mostra un drenaggio di 173 milioni), comprava aziende all’estero indebitandosi (6,805 miliardi di euro a fine 2003), distribuiva dividendi ricchissimi (16 milioni l’anno: tra i percettori di dividendi c’erano prima di tutto lui e i suoi) e infine – poiché faceva tutto a debito – si caricava degli interessi sugli interessi, un micidiale moltiplicatore del buco. Marco Vitale ha raccontato che già nel 1989-1990 «in una delle principali merchant bank si riteneva che la società fosse opaca, la natura dei nuovi capitali entrati ambigua» • Tanzi si salvò chiedendo in prestito 120 miliardi alla Centrofinanziaria, la merchant bank del Monte dei Paschi di Siena. Gli furono concessi a due condizioni: che vendesse Odeon e che restituisse i soldi in tre anni. In caso contrario avrebbe pagato cedendo alla banca il 22 per cento dell’azienda (già pronto l’acquirente: la Kraft). Odeon fu ceduta a Florio Fiorini, il prestito arrivò, ma non fu sufficiente • Ci si decise allora a portare l’azienda in Borsa. Avendo pessima fama (si sapeva che non pagava i fornitori), Tanzi si rivolse al finanziere Gianmario Roveraro, ex campione di salto in alto, membro influente dell’Opus Dei (morì ammazzato nel 2006, vedi Filippo Botteri) che gli suggerì di quotare Parmalat acquisendo una società già quotata e offrì per questo la Finanziaria Centronord (Fcn) di Giuseppe Gennari, «più o meno una società di strozzo» (Carlo Bonini – Giuseppe D’Avanzo) • Nel frattempo, ai soliti costi, s’aggiunsero l’impegno per la squadra di calcio (alla fine del 2003 avrà assorbito 500 milioni) e quelli di Parmatour (altri 500 milioni). Tanzi aveva bisogno di soldi già nel 1992, due anni dopo la quotazione. Glieli fece avere ancora una volta Roveraro: si trattò di sottoscrivere un aumento di capitale di 430 miliardi di lire, al quale per metà avrebbe dovuto fare onore la famiglia Tanzi. I 215 miliardi arrivarono. Roveraro: «Allora Tanzi mi disse che aveva attinto al patrimonio della moglie e io gli credetti anche se cominciai ad avere dei dubbi quando, subito dopo, chiese a me, all’avvocato Sergio Erede e a Renato Picco (Eridania-Ferruzzi) di lasciare libero il posto nel consiglio d’amministrazione che da quel momento è stato sempre composto da familiari di Tanzi o da dipendenti della Parmalat». È da quel momento che cominciarono le falsificazioni dei bilanci • Parmalat tirò avanti fino al 2003 grazie alla sua natura di “azienda marcia”: quando una banca doveva avere soldi da un imprenditore incapace di pagare, si rivolgeva a Tanzi imponendogli di comprarne l’azienda con soldi che essa stessa gli avrebbe fornito attraverso l’emissione di un bond da piazzare sul mercato. L’imprenditore, con i soldi pagati da Tanzi, saldava la banca che oltre a uscire dalle sofferenze lucrava le ricchissime commissioni legate all’operazione. Il debito passava a Parmalat e, attraverso i bond, al pubblico. Questo schema starebbe ad esempio dietro l’operazione Ciappazzi, la società di acque minerali di Ciarrapico che ha messo nei guai Cesare Geronzi • Il sistema che strangolò Parmalat era però solo per il 30 per cento italiano. Le banche strozzine erano soprattutto americane: «Nel 1993, Tanzi ha bisogno di crescere e bussa all’unica porta che conta davvero sui mercati internazionali. Quella di Chase Manhattan (oggi Jp Morgan-Chase). Collecchio partecipa alla stagione in cui tutti i grandi gruppi italiani scoprono il nuovo mercato dei bond e ne ottiene risultati lusinghieri (spesso la domanda di bond Parmalat è doppia rispetto all’offerta). Tra il 1994 e il 1996 Tanzi avvia un napoleonico piano di acquisizioni estere. In tre anni, Collecchio diventa il centro di un interesse finanziario che rende il gruppo cliente conteso dai colossi del credito americano ed europeo. Tra il 1996 e il 1997 – spiega un banchiere italiano – Parmalat è un boccone che fa gola a tutti. Anche se i suoi numeri già cominciano a dare dei segnali di sbilanciamento. Alla fine del 1996, l’indebitamento lordo del gruppo (vale a dire la somma delle sue esposizioni verso le banche e dell’ammontare di bond che circolano sul mercato) ha superato i 2.500 miliardi di lire (circa 1 miliardo e 200 mila euro) e per sostenere la liquidità è stato necessario un aumento di capitale di 370 miliardi di lire, che Calisto – non deve sorprendere, ormai lo sappiamo – sottoscrive, per la sua quota, con soldi che non ha e che questa volta ottiene con un prestito concesso dall’Ubs. Di più: il gruppo fatica a penetrare sui nuovi mercati americani e in Italia vede addirittura ridotta la sua quota di mercato» (Bonini e D’Avanzo). Ma non c’è nessun ravvedimento. Anzi, mentre Chase Manhattan comincia a raffreddare i rapporti, entra in scena la più aggressiva Citibank: il suo arrivo a Collecchio dà una nuova accelerazione alle acquisizioni, all’emissione di bond. Dopo un lungo incrociarsi di voci sui problemi dell’azienda, che cominciò nella primavera del 2003, l’annuncio ufficiale del crack arrivò il 17 dicembre di quell’anno: non potendo onorare un bond da 150 milioni, Tanzi cercò di tranquillizzare tutti mostrando, tra l’altro, l’estratto conto della sua Bonlat presso la Bank of America da cui risultava una liquidità di 3,95 miliardi di euro; ma il 17 dicembre la Bank of America comunicò che a New York non esisteva nessun conto Bonlat. Si scoprì così che Tanzi e il suo direttore generale Fausto Tonna avevano costruito, con uno scanner, un estratto conto completamente falso. In quel momento la Parmalat era presente in 30 paesi, con più di 500 società (nessuna delle quali in utile), oltre 35 mila dipendenti, ricavi di poco inferiori agli 8 miliardi di euro • Le persone o le società che, in tutto il mondo, avevano nel cassetto un bond Parmalat erano centomila. Il crack fu di 14 miliardi di euro. Tanzi fu arrestato a Milano il 27 dicembre 2003, dieci giorni dopo arrivò il comunicato della Bank of America • La Parmalat è stata salvata dall’opera paziente e implacabile del commissario Enrico Bondi, chiamato dallo stesso Tanzi e supportato poi da un’apposita legge varata a tutta velocità da Antonio Marzano, ministro delle Attività produttive nel Berlusconi II. Bondi ha tra l’altro chiesto 10 miliardi di danni alla Bank of America. L’azienda è stata rimessa in piedi, e il 6 ottobre 2005 è tornata in Borsa. Nel 2011 è passata ai francesi di Lactalis • Tre figli: Francesca (Parma 5 giugno 1967), ex numero uno dei villaggi Parmatour per il cui crac nel 2007 ha patteggiato 6 anni e 5 mesi (almeno 120 i giorni trascorsi in carcere), si è trasferita in provincia di Padova dove è ripartita gestendo un albergo, il Blue Dream Hotel di Monselice; Stefano (23 luglio 1968) ha patteggiato almeno 7 anni tra un filone e l’altro del processo e lavora alle Ceramiche Ricchetti di Sant’Antonino di Casalgrande (Reggio Emilia). Sua moglie Maria Pilar Vettori, architetto, ha uno studio a Milano ben avviato; Laura (1975), che era rimasta completamente estranea allo scandalo, vive tra l’Italia e la Svizzera [dal Catalogo dei viventi 2009, Dell’Arti e Parrini] • È stato condannato per aggiotaggio (8 anni), bancarotta fraudolenta (17 anni e mezzo) e per il crac Parmatour (9). Ne ha scontato qualcuno in carcere ma soprattutto agli arresti domiciliari nella sua villa vicino a Parma • «L’ultimo atto della sua parabola è andato in scena il 20 ottobre 2019 quando a Milano sono state battute all’asta per 12,5 milioni 55 opere, un tesoro che aveva nascosto prima del crac: quadri di Picasso, Monet, Van Gogh, Kandinskij e Ligabue. Il ricavato è andato a rimborsare i creditori della bancarotta Parmalat» [Bocconi, CdS] • È morto mentre si trovava ai domiciliari.