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 2021  maggio 10 Lunedì calendario

Biografia di Alessandro Cattelàn

Alessandro Cattelàn, nato a Tortona (Alessandria) l’11 maggio 1980 (41 anni). Conduttore televisivo e radiofonico. «Credo di essere perfetto per il mio lavoro: ho l’età giusta, non sono troppo colto, non sono troppo ignorante, non sono troppo bello e non sono troppo brutto. Sono nella media giusta. Sono l’uomo comune al momento comune» (ad Alessandro Ferrucci) • Figlio unico di un carabiniere e di una parrucchiera. «“Papà aveva scelto di arruolarsi un po’ per caso, senza sapere bene cosa fare nella vita, e poi una certa attitudine militaresca gli era entrata dentro. Usciva e tornava a casa in divisa, smontava la pistola mettendola in cima all’armadio e a ondate regolari faceva la notte”. […] Che clima c’era in famiglia? “Quando papà si arrabbiava, c’era poco da ridere. Ma non c’era bisogno di urla né di sberle: bastava lo sguardo. Lo osservavo e leggevo il fumetto che aveva nella testa. Da lui, di schiaffi, ne avrò presi in tutto tre. Mia madre invece me le dava quasi ogni giorno, o meglio provava a darmele quasi per dovere, in una dinamica da Wile E. Coyote e Beep Beep, più che da Telefono azzurro. Il primo viaggio all’estero della mia vita, a Londra, l’ho fatto con lei. Una cosa un po’ da sfigato, ma un po’ sfigato e un po’ tamarretto di provincia ero”. […] Ha definito la sua famiglia “proletaria”. “Non siamo mai andati a mangiare al ristorante, e fino a quando non ho vissuto per conto mio mi è capitato di metterci piede solo per battesimi e comunioni. In vacanza andavamo in macchina nell’ex Jugoslavia, in cui per mille lire prendevi un fritto misto lungo un metro, con le partenze immancabilmente intelligenti nel cuore della notte. In verità, non mi è mancato niente e non mi sono mai sentito Oliver Twist. In classe c’era soltanto un ragazzo nettamente più ricco di tutti: gli altri avevano le felpe rattoppate, proprio come me”» (Malcom Pagani). «A scuola mi interessava solo che mi lasciassero perdere, e stavo bene. Seduto all’ultimo banco, defilato verso la finestra, al fianco di uno dei miei migliori amici, lo stesso amico che oggi cura i miei interessi economici». «Materia preferita? “Italiano e inglese. Però, nonostante scrivessi dei buoni temi, non ho mai preso più di 6. Poi però ho scritto tre libri…”. Avevi già questa parlantina? “Era quello che mi teneva a galla. Se mi offrivo volontario alle interrogazioni e parlavo di continuo, per i professori era impossibile che non avessi studiato”» (Barbara Mosconi). «“Alla fine mi era passata un po’ la voglia e per la maturità non aprii libro, ma forse il disimpegno era una maniera di rifiutare la pressione dell’esame. Non mi è mai piaciuto avere addosso il giudizio di una singola persona: paradossalmente, mi pesa di meno quello della massa”. È un modo per dire che era un pessimo studente? “Non ero un cane, non sono mai stato rimandato e ho chiuso con la media del 7. Affrontavo le interrogazioni con beata incoscienza e non marinavo. L’unica volta che l’ho fatto, dicendo ad Andrea […] – che ancora oggi è il mio migliore amico – […] ‘Possibile che finisca il liceo e non abbiamo fatto sega un solo giorno?’, siamo rimasti su una panchina, fermi come scemi, per cinque ore. I genitori ci beccarono subito. Ci fu un’imboscata e ci trovammo sotto processo. Le madri erano preoccupate che avessimo saltato la scuola per drogarci. Le rassicurammo. Volevano mantenere l’incazzatura, ma non ce la fecero e iniziarono a ridere”» (Pagani). «Alla maturità ho preso 62, il minimo. Era la prima maturità con i voti nuovi, fino a 100. Mia nonna non lo sapeva: pensava avessi preso oltre il massimo». «Si è definito un “tamarro”. “Avevo i capelli con le mèche, ero un po’ ignorante. La questione è che mi è sempre piaciuto il pop, e negli anni ’90 si traduceva indossando il peggio del periodo, compresi i pantaloni larghi e le felpe con i marchi scritti giganti”» (Ferrucci). «Sciocchezze giovanili? “Qualche cazzata, l’ho fatta. Una sera rubai un segnale stradale. Ho vissuto per anni con un senso unico sulla parete. Quando è arrivata mia moglie, ha preteso di frullarlo: ‘In cambio ti regalo un armadio: ne hai bisogno’”» (Pagani). «Che ricordi ha della vita a Tortona? “Ricordi da ragazzo di provincia: ci si ritrovava la sera in piazza, si usciva a piedi e intanto si sognava di andare via. A 14 anni la grande avventura era andare a Milano nei negozi di dischi e da McDonald’s. Oggi a ripensarci mi viene una certa nostalgia: […] chi lascia la provincia dopo qualche anno non vede l’ora di ritornarci”» (Valentina Colosimo). «Da adolescente consideravo Milano non diversa da New York. Ci andavo con Andrea […] e lo trovavo uno spaventoso mondo di frontiera, con la grande stazione e i ceffi alla Pablo Escobar a ogni angolo. I balordi c’erano anche a Tortona, ma sembravano di una balordaggine più gestibile». «Nei sogni di provincia c’era anche la tv? “No, in realtà volevo cantare. Mi piacevano i cantanti neri della Motown, Stevie Wonder. Ma purtroppo non ho una voce nera: ho una voce da tortonese”» (Colosimo). Altro suo grande sogno adolescenziale era quello di diventare calciatore. «“A 16 anni mi presentai nella sede del Derthona, una squadra vera, dicendo che ero stanco di dare pallonate ai giardinetti e che volevo iscrivermi. Il presidente mi guardò commiserandomi: “Qui non ci si iscrive: qui scegliamo noi chi chiamare”. Gli feci tenerezza e mi permise di fare una prova. Rimasi come difensore. In difesa le davo e le prendevo. In area succedevano cose tremende”. Come provocava l’attaccante? “Con l’ironia: ‘Guarda in che stadio meraviglioso ti ho portato: non ti preoccupare della palla, goditi il panorama’. Quello impazziva e magari erano mazzate. Al fischio finale poi ci si abbracciava”» (Pagani). «L’anno in cui venni ceduto, acquistarono Manuel Pasqual, diventato poi capitano della Fiorentina. Direi che ci hanno guadagnato» (ad Alessandra Menzani). «Com’è cominciata la sua carriera? “Studiavo al liceo scientifico quando alla metà degli anni Novanta scoppiò la moda dei book fotografici. Un giorno vengono questi due tizi nella mia scuola e ci scattano delle fotografie promettendo grandi contatti per la tv. Io ero un tamarretto con i capelli biondi e le mèche, feci le foto come tutti gli altri. Per due anni, il silenzio. Poi, a 18 anni, mi chiamano per un provino: lo faccio, mi prendono per fare delle telepromozioni al Festivalbar. Un’estate in giro con il Festivalbar, ha presente? Un sogno”. E poi? “Silenzio per altri due anni. Poi uno degli autori del Festivalbar mi contatta per Viva, il primo canale concorrente di Mtv, che in seguito diventa All Music. Mi prendono come veejay, e dopo solo due settimane mi buttano a fare la diretta. Dei pazzi”» (Colosimo). «Per cosa ti hanno preso agli inizi nei canali musicali? “Ero l’unico ai provini che parlottava l’inglese. Poi non è vero che lo parli bene: l’ho imparato con le canzoni, la grammatica non la so”» (Cecilia Falcone). Nel 2001 il trasferimento a Milano. «“Quando sono arrivato sono capitato per caso a Isola, che ora è fra le zone più belle ma allora era ancora un postaccio, con prostitute, spacciatori e centri sociali. Avevo 20 anni e per me era comunque un sogno: era la cosa più simile al Village di New York che potessi sperare. Poi il quartiere è cambiato radicalmente, mantenendo però quella “sporcizia” mischiata a cose nuove fighissime. I primi anni mi rendevo conto che Milano aveva dei posti bellissimi ma che il tragitto dall’uno all’altro faceva schifo, invece ora riesci a girare vedendo cose belle ovunque”. […] Hai detto che su Viva a volte non ti vedeva neanche tua nonna. “A programma già rodato, abbiamo fatto questa puntata in cui secondo l’Auditel non ci aveva visto proprio nessuno: nei miei record c’è anche questo”» (Paolo Armelli). «“La prima intervista in televisione di Tiziano Ferro è con me, ai tempi di Viva: come tv non avevamo una lira, eravamo i parenti sfigati di Mtv, quindi costretti a inventarci le magie per non cadere nella loro scia. Da loro i già famosi, da noi tutto il resto, dalla porcheria ai diamanti”. Tipo? “Ho conosciuto Amy Winehouse e Shakira prima della loro esplosione. Comunque, un giorno di fine estate ero in macchina, accendo la radio, ascolto Perdono di Tiziano: non lo conoscevo, il pezzo mi sembra una bomba. Lo chiamiamo. E lui si presenta con lo zainetto, arrivato a Milano da solo e in treno, tutto molto semplice…”» (Ferrucci). Parallelamente, tra il 2003 e il 2005 Cattelan affiancò Ellen Hidding in Ziggie, programma per bambini di Italia 1. «“Il mio momento più vergognoso in televisione. Era un programma anche bello, per bambini, la prima esperienza dopo quella con Rete A, e con una big come Mediaset. Intimorito, pensavo: ‘Oddio, chissà che ambiente’. Al contrario, erano tutti carini e gentili, e stavo bene, andava bene, fino a quando scattava il dolore: ‘Ale, siamo pronti, andiamo in studio’”. E lì? “La morte nel cuore: mi vestivano come un cretino, e il mio ruolo era quello del cugino di un drago di gommapiuma. Imbarazzante. La domenica in campo giocavo da duro, bisticciavo con il numero nove della formazione avversaria, poi il lunedì parlavo con un aggeggio di gomma”» (Ferrucci). «Me ne stavo lì, vestito come un cretino, con accanto un drago di gommapiuma, e pensavo alle reazioni dei miei amici a Tortona». «Come arriva l’occasione di Mtv? “Dopo anni a All Music, hanno chiamato loro. All’improvviso mi sono trovato a viaggiare in tutto il mondo, presentare gente come Tom Cruise, Beyoncé, Britney Spears… Quando presentavo Trl, in piazza c’erano migliaia di persone, a Milano si è arrivati a centomila. Sceso dal palco, le guardie del corpo mi chiudevano in macchina, con le ragazze che mi inseguivano”. Si era montato la testa? “Beh, Mtv ti faceva sentire una superstar. Era come essere uno dei Beatles”» (Colosimo). Nel frattempo, nel 2006 Cattelan concluse la sua collaborazione con Mediaset come inviato della trasmissione Le iene (Italia 1). «Avendo iniziato molto giovane, il passaggio da divertimento a lavoro è stato quasi impercettibile per me. La prima volta che mi sono reso conto che il mio era un lavoro è stato quando hanno chiuso Mtv e ci siamo trovati appiedati: lì ho capito che dalle minchiate che dicevo in tv dipendeva il mio sostentamento» (a Mario Manca). «Perché è finita con Mtv? “Con Francesco Mandelli avevamo scritto un programma, Lazarus, ma a due settimane dalla messa in onda saltò tutto: per Mtv era cominciata la crisi finanziaria. Per un anno mi hanno pagato ma sono stato fermo. Un periodo amaro. Poi però è arrivato Quelli che… il calcio”» (Colosimo). Cattelan partecipò alla trasmissione di Rai 2 per due anni, in un ruolo secondario ma molto apprezzato dalla conduttrice Simona Ventura, della quale fu per qualche tempo definito il «pupillo». «Che cosa ha visto in lei? “Non gliel’ho mai chiesto. Quando mi ha proposto di lavorare a Quelli che, ho risposto solo di sì: avevo grande timore reverenziale nei suoi confronti”» (Colosimo). Nel 2011 la grande occasione, con il passaggio a Sky, nel ruolo di conduttore, su Sky Uno, della quinta edizione di X Factor, trasmissione fino a quel momento condotta su Rai 2 da Francesco Facchinetti, rispetto al quale Cattelan tenne a marcare immediatamente le distanze: «“Con Facchinetti, io non c’entro niente. Lui è uno che urla, io preferisco usare la parola. Lui si sbraccia, fa casino, io sono più compassato. […] Di certo io e Francesco siamo le persone più lontane che ci siano nel modo di fare televisione”. […] Lei ha dichiarato di avere “una conoscenza musicale più vasta di Facchinetti”. “Ho detto solo che ne ho una, non so se sia più vasta di quella di Francesco. Se lui ce l’ha o no, non ne ho idea, non lo conosco”. […] C’erano troppi litigi a X Factor? “In una competizione è normale litigare, ma di sicuro io non cercherò lo scontro a tutti i costi e non farò neppure la parte del prete che vuole placare gli animi. Se il diverbio ha un senso lascerò che i giudici si attacchino, altrimenti no, non ce n’è bisogno”. […] È stata Simona Ventura [anch’essa nel 2011 passata a Sky – ndr] a fare il suo nome per X Factor? “Simona ha speso belle parole sul mio conto dopo che avevamo lavorato insieme a Quelli che, ma non so di preciso chi mi abbia scelto”» (Colosimo). «“All’inizio ho suscitato qualche leggera perplessità, specialmente al primo anno di X Factor: in diretta mi presentavo con le mani in tasca, poi smussavo gli scontri tra i giudici, mantenevo dei toni verbali mai alti. Se un concorrente piangeva gli dicevo, e dico: ‘Non lacrimare, non ne vale la pena’”. Una bestemmia… “Infatti le indicazioni interne erano altre: l’atteggiamento opposto al mio già funzionava allora e regge oggi. Ma non sono in grado. Mi imbarazzo se uno accanto a me piange, penso: ‘Fai un favore a te stesso, smettila, ti rendi ridicolo’”» (Ferrucci). «Molto complesso […] conciliare personalità debordanti come quelle dei giudici e talenti nervosi ed emergenti come quelli dei concorrenti, il tutto senza perdere di vista la vera natura delle cose, il senso profondo dell’intrattenimento. Da lì il decollo verticale, che lo ha trasformato in uno dei volti più amati della televisione italiana, gradito a generazioni diverse, e che gli ha permesso di pensare, costruire e condurre un format tutto suo» (Michele Dalai). A partire dal 2014 infatti Cattelan presidiò la seconda serata di Sky Uno con E poi c’è Cattelan, programma – per lo più settimanale (solo la quarta e la quinta edizione andarono in onda dal lunedì al venerdì) – d’intrattenimento con interviste a personaggi pubblici «modellato sui late night show stile Letterman o Jimmy Fallon. […] Un pot-pourri che Cattelan tiene insieme con un misto di nonchalance e incoscienza. […] Da Cesare Cremonini a Roberto Saviano, da Milena Gabanelli a Emily Ratajkowski, solo per citare alcuni dei tantissimi che sono venuti da te. Cosa cerchi in un ospite? “Questo è cambiato un po’ nel tempo: all’inizio puntavamo molto sul gioco, sulle gag. Ora ci prendiamo più spazio per chiacchierare, soprattutto quando ci sono persone che hanno un peso sociale, che il pubblico ascolta, nel bene o nel male. In realtà ciò che cerchiamo in loro è la disponibilità a valutare quello che proponiamo: poi le puntate sono varie, ci sono quelli con cui sai che riderai di più, quelli con cui ridi meno, ma le due cose che ti dicono sono importanti”. […] Quanto conta la promessa di viralità nella preparazione di uno sketch? “Per noi tantissimo. Spesso si parla ancora di ascolti, che peraltro per il nostro canale sono ottimi. Ma noi viviamo molto di viralità: alcune nostre clip hanno fatto 6-7 milioni di visualizzazioni. È una strada che in generale la televisione prenderà, l’intrattenimento ancora di più, noi siamo fra i primi ad averla seguita”. […] Ti si rimprovera di non esporti troppo. “Non è sicuramente una scelta, ci sono cose volute e altre no. […] In una puntata abbiamo distrutto le schede elettorali della gente dicendo che non è in grado di votare: in tv non si era mai visto. Poi è ovvio che non intervisto i miei ospiti per litigarci, ma perché venga fuori qualcosa di bello. Si può essere l’uno e l’altro: un po’ di cose divisive le abbiamo fatte, come la campagna con Burioni contro i laureati da Facebook. Quando c’è qualcosa in cui io e il mio gruppo crediamo non mi tiro indietro, ma evitiamo la polemica solo per il gusto di farla”» (Armelli). «David Letterman Show: molti suoi colleghi ci si sono confrontati e scontrati. In Italia non ha mai funzionato. “È un caso in cui il nome rappresenta il genere, come la Nutella. Letterman faceva un programma che in realtà va in onda su tre canali in contemporanea negli Usa. I ‘late’ sono tutti uguali: tazza, scrivania, due ospiti. Io Letterman come persona lo idolatro, ma c’entro poco. Come genere l’ho preso in modo onesto: ho rubato senza vergogna”. E senza problemi? “All’inizio ho dovuto litigare per la scrivania, dicevano ‘abusata’. Andiamo, non è un vezzo, è grammatica di un certo tipo di racconto. È imprescindibile”. Epcc flirta con il surreale. Gli ospiti si fanno la parodia da soli, le lasciano accesso al loro telefono. Dove sta il confine? “Non c’è. Nessuna regola mentre giriamo, poi in fase di montaggio gli diamo un senso. Non facciamo la tv per il nostro gruppetto, se non si capisce cambiamo”. Per esempio? “Sistemiamo scene deliranti, magari evito battute che farei e che non sarebbero capite: l’Italia è un Paese dove tutti si offendono per qualunque cosa”. E si autocensura senza soffrire? “Dipende: se la battuta è centrale la salvo, se è uno sfregio per fare il birichino passo oltre”» (Giulia Zonca). «Cattelan gioca un po’ al conduttore inconsapevole. In realtà dentro E poi c’è Cattelan (Epcc) […] c’è tutta la sua ultra-professionale capacità di cazzeggiare. Dice: “Tutto quello che mi piace fare, ce lo butto dentro. Epcc sono io al 100%”. […] Ha gareggiato con il centauro Valentino Rossi sui cavallucci a dondolo, si è travestito da He-Man e ha sfidato il centrocampista Claudio Marchisio nel tiro al barattolo, si è fatto insegnare a suonare la fisarmonica da Francesco De Gregori e ha giocato a “per un pugno di schiaffi” con l’attrice Miriam Leone concludendo la sfida a scarabocchi in faccia. La citazione del film Toro scatenato che si è tatuato […] spiega tutto: “That’s entertainment”. […] Costringi i tuoi ospiti a giochi rocamboleschi. “In realtà spesso sono loro stessi a proporre qualcosa da fare. Vengono in redazione. Ci parlo e gli sottopongo una lista di possibili spunti. A me non piace l’idea del conduttore che deve costruire tranelli per mettere in difficoltà l’ospite o per farlo inciampare. Faccio intrattenimento”» (Vittorio Zincone). «Niente agguati, giusto? “Proprio così: niente agguati. L’ospite sa cosa faremo, deve sentirsi a suo agio per fare quella performance che io mi aspetto da lui”. […] Quali sono gli ospiti di E poi c’è Cattelan che l’hanno stupita di più? “Quelli che hanno un’immagine pubblica austera, seria, e nascondono leggerezza: la Gabanelli, Vespa, la Cirinnà”» (Ferruccio Gattuso). «L’ospite con cui ti sei divertito di più a Epcc? “Bobo Vieri, Elettra Lamborghini, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, il Nongio [Francesco Mandelli – ndr]”» (Falcone). «Sente mai soggezione dei suoi ospiti? “Raramente. Forse De Gregori, e solo la prima volta. Di base non sono uno che cerca la confidenza immediata, mi piace la gradualità in ogni rapporto”» (Ferrucci). «Con un pizzico di incoscienza ho chiamato lo show con il mio nome. […] Sky mi ha permesso di fare quello che ho sempre voluto, il late show di seconda serata. Forse è stato meglio non averlo fatto prima, E poi c’è Cattelan: forse non sarei stato nel contesto giusto. Per condurre un programma alla Letterman bisogna essere un po’ credibili, e forse prima di X Factor non avevo questa credibilità». Il 2020 ha segnato la conclusione del suo rapporto con Sky: in estate il mancato rinnovo di E poi c’è Cattelan da parte della rete (contro la volontà di Cattelan, che aveva più volte dichiarato di volerlo condurre per tutta la vita), in autunno l’annuncio dell’abbandono di X Factor da parte del conduttore, dato nel corso della puntata finale della quattordicesima edizione del programma (nei cui confronti Cattelan aveva in più occasioni manifestato segni di stanchezza). In quanto al prossimo futuro, Cattelan dovrebbe approdare in Rai, per condurre in autunno un programma dedicato agli ultraquarantenni (titolo provvisorio Da grande) nella prima serata di Rai 1, ma sarebbe anche in trattative con Netflix, per la realizzazione di una serie cui sta lavorando già da alcuni anni («talmente bella che ero partito con l’idea di recitarci anche, ma adesso ho paura di rovinarla»). Nel novembre 2020 ha avuto il Covid-19, riuscendo a guarirne senza grandi problemi nell’arco di circa tre settimane • Numerose le attività cui Cattelan si è dedicato nel corso degli anni, parallelamente alla conduzione televisiva: la conduzione radiofonica (Radio Kiss Kiss, Rtl 102.5, Radio 105, Radio Deejay), che lo vede tuttora impegnato con Catteland (Radio Deejay, dal 2013); la partecipazione a un paio di commedie cinematografiche, Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo (2014) e Sono tornato di Luca Miniero (2018); la scrittura di tre romanzi (Ma la vita è un’altra cosa, a quattro mani con Niccolò Agliardi, Mondadori, 2008; Zone rigide, Mondadori, 2010; Quando vieni a prendermi, Mondadori, 2011); la canzone, insieme a Gianluca Quagliano nel duo rap 0131 (Sunglasses (Non dirlo a nessuno), 2006) ma anche in proprio, principalmente con pezzi ironici ispirati dalle figlie (Broccoletti, 2018, «nata per caso, per far mangiare le verdure alle bambine»; Telefonino, 2019). «Fai così perché non riesci a fare a meno di correre, provare esperienze e così via? “Faccio quello che mi va di fare. Una volta un ragazzo che non conoscevo mi ha scritto su Twitter: ‘Ciao Ale, stasera giochiamo a calcetto, siamo in nove, ti va di venire?’. E io sono andato perché quella sera avevo voglia di giocare. Sì, è così: perché poi muori, e quando sei morto è meglio aver fatto delle cose invece di non averle fatte”» (Armelli) • Ha prestato la propria immagine alle campagne pubblicitarie di Enel Energia. «Io sono consapevole di essere una persona molto spendibile dal punto di vista pubblicitario e cerco di mantenere una credibilità. Ma non potevo rifiutare l’offerta economica dell’Enel. In compenso ho sempre evitato le proposte non all’altezza: ti offrono migliaia di euro per pubblicare una foto su un social network in cui compari tu e si vede di striscio un prodotto». «Sa come capisco chi non ha Sky? Sono quelli che mi incontrano e mi dicono: “Enel!”. Come una signora sotto casa, […] che mi guarda e mi chiede: “Ma viene proprio lei a montare i contatori?”» (a Fiamma Sanò). «Delle signore sono arrivate a domandarmi se potevo andare a casa per sistemare la caldaia. ‘No, signora’. ‘Ah, scusi, ha dei ragazzi che vengono al posto suo?’. Mi prendevano come Ennio Doris per banca Mediolanum, o Giovanni Rana per i tortellini» • «La scambieranno […] per Maurizio Cattelan, l’artista… “Soprattutto sui social: magari leggono ‘Il Guggenheim ha offerto il bagno di Cattelan a Trump’, e quindi si scatena la qualunque tra favorevoli e contrari. Ah, una volta mia madre ha prenotato in un ristorante: ‘Che nome, signora?’. ‘Cattelan’. ‘Ah, l’artista’. E lei: ‘Sì’, convinta mi avessero preso per tale”. Poi avrete svelato l’arcano al ristoratore… “Neanche tanto: dico di sì a tutti, anche a chi mi scambia per Daniele Bossari, Giorgio Pasotti o Alvin. Insomma, un po’ per tutti quelli che hanno più o meno la mia età, i capelli saldi in testa: per il pubblico siamo tutti la medesima persona”. L’ego non si offende. “Firmo pure autografi per gli altri”» (Ferrucci) • Sposato dal 2014 con la modella svizzera Ludovica Sauer (classe 1981), due figlie: Nina (2012) e Olivia (2016). «Ci siamo conosciuti in un modo pazzesco: allo stadio di San Siro, durante Inter-Milan. Eravamo seduti accanto, e io, che di solito non prendo mai l’iniziativa, ho detto: “È troppo bella per farmela scappare”» (a Valerio Palmieri). «Quando hai detto “con questa donna, ci passo la vita”? “Subito: sono uno abbastanza bulimico nelle scelte. Non ho mai avuto l’illusione di fare una famiglia con le altre donne che ho avuto, con Ludovica sì. E non mi sono mai pentito”» (Falcone). «“Non sono uno da discorsi sull’amore: tendo ad abbassare tutto, ci metto sempre una cavolata”. Com’è stata la proposta di matrimonio? “Tristissima. Ludovica era in sbattimento pensando che potevano venire fuori questioni burocratiche coi figli. Al che, ho detto: vabbè, sposiamoci”. Il gesto più romantico mai fatto? “Nessuno. Mi hanno asportato la ghiandola del romanticismo da piccolo”» (Candida Morvillo). «Cos’è il matrimonio? “La decisione di prendersi un impegno, ma per noi valeva già prima. Il matrimonio in sé è stata una gran rottura, fatto in venti minuti, in Comune, per evitare una serie di scocciature dopo. Non amo le cerimonie”» (Falcone). «“A Catteland su Radio Deejay e a Epcc tendo a parlare di quello che, per me, è importante in quel momento. Da single parlavo di uscire la sera, ora che ho due bimbe […] spesso parlo – purtroppo – di figli”. Perché “purtroppo”? I figli invecchiano? “Secondo me, sì. O sono malato o sono i figli. Tutti mi dicono ‘Ma che faccia hai?’. È un discorso delicato: in Italia, se non ti svegli alle quattro e sollevi i bancali, sembra che non puoi dirti stanco. Finché mi alzavo alle otto, riuscivo a essere una persona. Ora, mi sveglio alle sette e vivo tutto il giorno col sonno”. […] Che padre è? “Sono la versione limata dei miei genitori, che mi hanno educato e dato dei valori. Ma quelli erano tempi più ruvidi, i ruoli erano più definiti: per qualunque problema parlavi con la mamma, il papà si occupava solo di lavorare”» (Morvillo) • «Hai un clan di amici? “Esco poco. C’è un gruppo milanese e poi ci sono quelli antichi di Tortona. Quello che vedo e sento di più è Dery. Gli sottopongo gli sketch. Molte idee, le scriviamo insieme”» (Zincone). «Sei rimasto legato alla tua città, Tortona? Molto. […] Fino a quando non mi è nata la prima figlia non sono mai rimasto a Milano nei weekend» (Falcone). «Se vivi in provincia hai voglia di uscirne: io non vedo l’ora di tornare. Mi trovo bene» (a Silvia Fumarola) • Numerosi tatuaggi, «sulle braccia, sulle anche, sulle spalle. C’è un Gesù Cristo, c’è Elvis Presley. Simboli religiosi, la data dell’ultima vittoria della Nazionale ai Mondiali di calcio e diverse citazioni. […] Quando gli chiedi il perché di quei segni sul corpo, lui risponde che “non ci sono date o momenti particolari da ricordare, la retorica del tatuaggio non fa per me: è solo una forma particolare di comunicazione. Che poi la comunicazione è anche il mio mestiere”» (Colosimo) • «Sei cattolico. Hai un Cristo tatuato sulla spalla. Che cosa pensi del dibattito sulle unioni civili? “Come si fa a non essere favorevoli ai matrimoni gay? Vuol dire essere ottusi. Io cerco di attenermi al buon senso”. Le adozioni da parte di coppie gay… “È più complicato. La natura ci direbbe che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Ma è anche evidente che un bambino stia meglio con due padri che gli vogliono bene piuttosto che con due genitori disattenti”» (Zincone). «Credi in Dio? “Sì. Credo in un’energia, che poi può essere anche banalmente il karma”. […] Dove si va quando si muore? “Me l’ha chiesto anche mia figlia. […] Le dico che per molti ci sono un paradiso o un inferno in base a come ti comporti. La mamma è convinta che si rinasca. È probabile che non succeda niente di tutto questo, ma nessuno lo sa. Io cambio speranza in base ai periodi, però la reincarnazione non mi piace, perché mi è andata troppo bene in questa vita”» (Falcone) • «Hai mai fatto politica? “No”. Te ne occupi? “Poco. Ho avuto una fase adolescenziale durante la quale non me ne fregava nulla. Tra i 23 e i 28 anni ho sentito il bisogno di portare il fardello del disgusto per certi incomprensibili atteggiamenti della politica. Ora evito l’argomento”. Che cosa voti? […] “In passato ho messo la ‘X’ sul nome di Fini, di Prodi…”» (Zincone). «L’ultimo di cui ti sei fidato? “II ‘primo’ Matteo Renzi”» (Giovanni Robertini). «Un politico che stimi? “La Cirinnà”» (Falcone). «Credo che dovrebbero limitare il diritto di voto, dandolo a partire dai 25 anni e fino, al massimo, ai 65. Prima sei troppo influenzabile, dopo stai prendendo decisioni per un futuro che ti appartiene poco». «Ha sostenuto che per fare un voto di Enrico Mentana ne servono dieci suoi. “Di fatto, ho detto che la democrazia deve finire. È una provocazione, però il voto informato ha un fondo di senso: l’esempio della Brexit è sintomatico, perché molti non sanno neanche cosa hanno votato. Del voto, che è diritto e dovere, si è perso il peso del dovere. A me hanno insegnato che devi parlare quando sai cosa stai dicendo. Oggi invece si vota per la simpatia, per tifo”» (Morvillo) • «A Renzi, a Salvini e a Grillo che cosa faresti fare? “I tre maschi della serie Friends. Gli farei cantare la sigla”» (Zincone). Il 25 settembre 2018, in apertura di E poi c’è Cattelan a teatro, prima di sei puntate speciali trasmesse in diretta dal Teatro Franco Parenti di Milano, Cattelan avrebbe dovuto intervistare Silvio Berlusconi, il quale però poi annullò la sua partecipazione al programma. «La puntata era già quasi pronta: avremmo parlato un po’ della sua storia, poi fra le altre cose è cresciuto dove io sono venuto a vivere per la prima volta a Milano, a Isola, che prima era un quartiere povero. Immagino che raccontata a modo suo sarebbe stata una storia molto divertente. Poi avremmo parlato di come si sente, dopo essere stato criticato per anni, a essere in una posizione in cui anche i suoi detrattori quasi lo rimpiangono» • «Che cosa è per te la bandiera dell’Italia? “È qualcosa che lego alla mia infanzia. Mi commuovo quando la vedo sventolare dopo un’impresa sportiva. Sarà l’influenza paterna: da bambino mio padre mi insegnò anche che quando c’è l’Inno ci si alza in piedi, ci si mette la mano sul petto e si canta”. È anche per questo che ti sei fatto tatuare la data della finale dell’ultima vittoria ai Mondiali dell’Italia? “No, quella è stata una scommessa sciocca fatta prima che cominciassero i rigori. Urlai: ‘Se vinciamo, lo faccio!’. E così…”» (Zincone). «Il femminismo cos’è? “Tutto quello che finisce con ‘-ismo’ mi fa un po’ paura. Che le donne vadano rispettate mi sembra un assunto logico. Ho poca fiducia nelle campagne tipo ‘il vero uomo non picchia la moglie’: non influenzano chi lo fa”. Non le piace il politicamente corretto? “No, svilisce gli argomenti importanti. Guardi le molestie sessuali: c’è solo fame di trovare nuove accuse. Dici ‘braccia rubate all’agricoltura’ e ti accusano di discriminare i contadini. Parli in radio di cene aziendali e ti scrivono: ‘indelicato, un sacco di gente non ha lavoro’. Sta diventando snervante”» (Sanò). «Termini come buonismo e correttezza stanno un po’ sfuggendo di mano. Un tempo si era meno politicamente corretti ma più corretti nei fatti. Adesso si dà più importanza al termine utilizzato: c’è sempre una minoranza pronta a offendersi, a sollevare gli scudi su argomenti che magari non ne valgono nemmeno la pena. […] Quanto all’essere radical chic, […] oggi siamo al punto che se mangi con le posate o leggi un libro sei definito radical chic» • Fervente interista. «Sono al fianco dei nerazzurri fino all’ultimo secondo della partita. Non sono come quelli che escono dallo stadio cinque minuti prima per paura del traffico». «Sei cresciuto a pane, Bergomi e Rummenigge: cosa pensi della generazione dei calciatori “social” divi? “I giocatori devono ricordarsi che, a torto o a ragione, sono considerati dei privilegiati da persone che vivono tutta la settimana in attesa di quei 90 minuti, della partita, che sentono come un’isola felice. Se perdi non puoi postare una foto di te che ridi al ristorante con gli amici. Assurdo ma è così, e spesso i ragazzi non ne tengono conto”. […] Sei più affascinato dall’epica dei generosi ma scarsi o dai talentuosi discontinui? “In realtà, da nessuna delle due categorie. […] Amo la generosità, ma deve portare dei risultati: non a caso i miei idoli sono stati Nicola Berti, Paul Ince e il Cholo Simeone, generosi ma molto concreti”» (Dalai). «Se mi dicessero “Puoi presentare gli Oscar o giocare una partita nell’Inter”, gioco nell’Inter senza pensarci un secondo» • «Di tempo per stare per conto mio, da ragazzo, ne ho avuto tantissimo. Passavo tutte le domeniche invernali chiuso in camera, con Tutto il calcio minuto per minuto in sottofondo, giocando a pallone da solo e parlando con gente che non c’era. Se sul campo i miei eroi perdevano, ce la mettevo tutta. Ero convinto che più ci davo dentro e più l’Inter ne avrebbe tratto vantaggio. Non avevo un amico immaginario: ne avevo dieci». «All’epoca non c’era YouTube, ma, se fossi nato nel ’95 e non nell’80, forse sarei diventato uno youtuber anch’io. Nei video casalinghi tra amici, con le interviste post-partita dopo aver giocato a calcio sul computer, quel germe c’era». «Io e un mio amico d’infanzia, Dery, facciamo interminabili sessioni di telecronache notturne delle nostre partite a Fifa. A volte ci piace interpretare Caressa e Bergomi, altre ci ispiriamo più genericamente alla scuola romana. Siamo arrivati a un tale livello di immedesimazione che spesso facciamo anche le interviste post-partita» • Come calciatore dilettante, ha annunciato il suo ritiro il 6 maggio 2019, all’indomani della promozione in Eccellenza della sua squadra, il Derthona. «Da vero interista, Cattelan lo ha fatto in perfetto stile Mourinho, la sera della Champions vinta contro il Bayern: il conduttore tv ha preferito dire basta dopo un successo. Resterà un grande tifoso della squadra della sua città, a cui ha dato un contributo sportivo e di immagine nelle stagioni della rinascita post-fallimento. Perché, anche se limitato dagli impegni televisivi, il popolare showman è stato il simbolo dei colori bianconeri. È stato protagonista in piazza Duomo alla presentazione estiva del Derthona, poi in campo nelle prime e nell’ultima partita del biennio, ma anche in panchina a sostenere i compagni nelle partite giocate in tanti piccoli stadi del Piemonte, in cui sembrava sempre che il club giocasse in casa per i tanti tifosi al seguito. “Un’esperienza bellissima, purtroppo mi accorgo di essere un po’ datato per certi ritmi da atleta – racconta Cattelan –. I segnali arrivano dal fisico: dopo gli allenamenti si fanno vivi i piccoli dolori, stiramenti e contratture varie che ho accusato in questi mesi. Siamo passati dalla Prima categoria all’Eccellenza in due campionati e si è realizzato un sogno: adesso credo che guarderò i compagni dalla tribuna e sarò il primo supporter: non avrei potuto reggere un torneo ancor più difficile e impegnativo”» (Massimo Delfino). «Mi hanno dedicato un coro: “Che ce frega de Bonucci, noi c’abbiamo Cattelan!”». «“In campo, come a tutti, mi sarebbe piaciuto essere protagonista come quelli davvero talentuosi. Ma ci mettevo grinta e spirito: ero un difensore, e di momenti di gloria, cioè di gol, me ne capitavano veramente pochi”. […] Procediamo a stilare la tua pagella da calciatore. “Destro 6, sinistro 4,5 e testa 7, sia come colpo che come capacità di ragionare”. […] Chiedi scusa a quell’avversario a cui…? “Sono tanti. Mai per nulla di particolarmente grave, ma di stecche ne ho date via un bel po’, quindi approfitto di questa intervista per farlo: se la state leggendo, mi scuso dei lividi e delle botte. Insisto, mai gravi e con cattiveria, ma parecchie”. […] Raimondo Vianello ha giocato fino agli 80 anni. Ti stuferai mai del calcio? “Non mi stuferò mai di giocare, e anch’io sogno di arrivare a tirare un rigore nel Derby del cuore a 80 anni come lui, a San Siro. Sarebbe una gioia immensa”. […] Hai due figlie, diciamocela tutta: hai già pensato al loro futuro nel calcio femminile? “Chiaro che sì! La mamma per adesso non è tanto d’accordo, ma tra le altre cose ho la fortuna che siano nate in Italia ma hanno anche passaporto tedesco ed eventualmente brasiliano: sono tre nazionali molto forti, se scelgono di giocare a calcio sono convinto che almeno una Coppa del mondo me la portano a casa”» (Dalai) • «A 15 anni eri campione italiano di jujitsu. Un’arte marziale… “Ho smesso subito dopo, per ‘lasciare in vetta’, si dice…”» (Mosconi) • «È il conduttore senza sbavature, papà e marito devoto, figlio modello. Non si sente un po’ perfettino? “No. Siete voi che mi dipingete così: non è che esca da una cella frigorifera! Mangio come una bestia, non sono vegano, non fumo ma bevo molta birra. Sono una persona normale”» (Menzani) • «Nella tua chiavetta nello spazio cosa ci sarebbe? Scegli 5 cose che vorresti salvare in un futuro lontano. “Un po’ di libri, i Backstreet Boys, l’Inter, la birra. E un frigo per tenerla fredda”» (Armelli). «“Le cinque cose a cui non rinuncerei sono la birra, l’Inter, i libri, la Playstation e l’Inter di nuovo”. Il regalo desiderato da sempre e non ancora ricevuto. “La canotta dei Bulls autografata da Michael Jordan”» (Barbara Ferrara) • Tardiva ma intensa la passione per i libri. «Ho iniziato tardi: da ragazzino piuttosto mi sarei tagliato un piede, poi per il mio ventunesimo compleanno mi hanno regalato la biografia di Roberto Baggio. Da lì non mi sono più fermato: prima i saggi, poi la narrativa, e ora leggo proprio per il gusto di farlo». «Il libro preferito?Il vagabondo delle stelle di Jack London”. […] La canzone? “Beatles, Beatles. Ho dovuto smettere di ammucchiare memorabilia dei Fab Four, perché casa mia sembrava il covo di un maniaco”. Sei mai riuscito a conoscere uno dei Beatles? “No, ma ho assistito al concerto di Paul McCartney e Ringo Starr. Il più bello della mia vita”» (Zincone). «Cosa c’è di sovversivo nel pop? “Che ti fa star bene. Tendenzialmente il pop che ci piace di più è quello di quando avevamo tra i 16 e i 25 anni, prima del mutuo, delle tasse. Dovevi solo andare a scuola, ti sembrava un inferno ma realizzi poi che non lo era. Le canzoni allegre di quel periodo ti salvano la vita. Il pop ti fa felice con poco”» (Falcone) • «Mai fumata neanche una canna? “Molte birre, ma nessuna droga. La prima, anzi il primo e unico tiro di canna della mia vita l’ho fatto l’anno scorso [cioè nel 2015 – ndr]. Me l’hanno passata, ho aspirato, non mi ha fatto nulla, ho subito perso interesse per la questione e il resto l’ha fatto la mia mania per il controllo. Preferisco sapere cosa sto facendo ed essere sempre in grado di reagire, gestire le situazioni, sapere cosa e come rispondere”» (Pagani) • «Viso innocuo, passioni comuni a tutta una generazione (dai Backstreet Boys al Game Boy e i Ghostbusters), Cattelan è il classico ragazzo di provincia – la sua Tortona – che ce l’ha fatta senza sbracare e senza smettere di sognare in grande» (Armelli). «Nel calcio si dice che l’arbitro migliore è quello che non si nota e lascia spazio ai protagonisti del match. Cattelan è questo: una garanzia. Il palco è casa sua. […] La marcia in più della contemporaneità. Il ritmo incorporato» (Maurizio Caverzan). «Alessandro Cattelan è il conduttore pulito, istituzionale ma non cerimonioso, il Terminator dei tempi morti. Mai un commento fuori posto, un attimo di incertezza, è una specie di robot» (Menzani). «Alessandro Cattelan è bravo, ha padronanza scenica e senso del ritmo (caratteristiche che molti conduttori italiani ignorano), canta bene, con quella barbetta fintamente incolta che lo fa un po’ il Russell Crowe di Tortona» (Aldo Grasso). «Ci sono ancora “fantasisti” in giro nella nostra televisione, oggi? Gente che sappia ballare, recitare, intervistare, cantare, presentare, e magari fare anche un pezzo comico? Sì, uno c’è: […] Alessandro Cattelan» (Robertini). «Più osservi Alessandro all’opera e più ti rendi conto che non solo è un talento naturale, […] uno di quelli a cui viene tutto facile, ma è anche baciato dal grande dono della leggerezza, la capacità rara di fare le cose divertendosi e senza mai drammatizzare il contesto e prendere troppo sul serio il proprio ruolo» (Dalai). «Lo stile spiazza, il linguaggio coccola. Lui, educato, spettinato, con le giacca glitter e il sorriso tradizionale, è il presentatore uscito dalle ceneri della tv generalista» (Zonca). «Ha ritmo, è ironico senza essere caustico, naso a patata, l’aria da Charlie Brown incredulo di aver vinto la coppa lo rende simpatico: Alessandro Cattelan è il miglior conduttore della sua generazione, dicono in coro. […] Ha uno stile tutto suo. […] Conserva l’educazione di chi fa televisione chiedendo permesso come se entrasse a casa d’altri, ma ha un linguaggio moderno e la rapidità del furetto del web che piace ai ragazzi» (Fumarola). «Quell’aria da “giovane conduttore”, probabilmente, non la perderà mai. Alessandro Cattelan è il Leonardo DiCaprio della televisione italiana, un po’ per quelle vaghe analogie cromatiche nell’aspetto, ma molto di più perché, proprio come accade con il divo hollywoodiano, gli anni che passano sembrano accovacciarsi accanto a lui e chiedersi quando, finalmente, potranno saltargli addosso. Lui fa come se non ci fossero, tira diritto e sbandiera il suo sorriso da giovane. Quello di chi sta facendo una cosa che lo diverte e, in fondo, mica è colpa sua» (Gattuso). «Deejay piacione ma non troppo, impacciato quanto basta e autore di libri genere “Fabio Volo se fosse bravo”, la cui forza risiede nella semplicità. Un conduttore british, adatto all’epoca e non senza talento» (Andrea Scanzi). «You’re the Italian me! [Sei la mia versione italiana – ndr]» (Jimmy Fallon a Cattelan) • «Cosa guardava in tv? “La prime cose che ricordo sono Drive in e Il pranzo è servito: quando l’hanno levato ho capito che in tv non ti devi affezionare. Poi Mai dire gol, che mi divertiva un sacco. Mi rendo conto adesso che guardavo e mentalmente prendevo appunti senza accorgermene”. Adesso invece cosa vede? “Seguo il calcio e le serie”» (Fumarola) • «I miei modelli sono Jimmy Fallon e Dave Letterman». «Hai il sogno americano? “Sì, mi piace la cultura pop dell’intrattenimento che viene da lì. Mi giocherei il sogno di riuscire ad andarci a lavorare”» (Falcone). «Davvero pensa di lasciare l’Italia? “Mi faccio auto-tenerezza a dirlo. È come quando i ragazzi che cantano in inglese vogliono sfondare dove è già pieno di veri cantanti inglesi. Ma sarei disposto a ripartire da zero. Farei anche un programma di lanci pomeridiani sulla dodicesima rete”» (Morvillo). «Quanto studia? “Inconsciamente tanto, ma non per arrivare a un obiettivo: guardo molti programmi esteri, e solo per piacere; leggo molto, e per lo stesso motivo. E tutto ciò viene poi sintetizzato dentro Epcc: in trasmissione arriva quello che mi appassiona, senza strategia. Ed è una fortuna”» (Ferrucci). «I tuoi punti di riferimento professionali sembrano tutti americani. Di italiano non ti piace nulla? “I miti della mia adolescenza: Bonolis, la Gialappa’s, Elio e le Storie Tese, Fabio Volo”» (Robertini) • «Lo stile british, l’eloquio preciso da dove arrivano? “Non sono necessariamente tratti del mio carattere. Credo siano nati con X Factor: volevo evitare la solita conduzione enfatica, ho levato tutto. Però, ho sempre preferito l’umorismo che ci metti due minuti a capirlo piuttosto che il tormentone”» (Morvillo) • «“A me interessa fare cose in cui credo, non ho la smania di essere riconosciuto per strada. Nella mia carriera ho sempre fatto un passo alla volta, senza scorciatoie e mantenendo un profilo basso”. Come sceglie i progetti su cui lavorare? “Il mio metodo è uno: fare cose per cui non mi debba vergognare con i miei amici di Tortona, dove sono nato e cresciuto. Anche se in passato non mi sono potuto permettere di fare troppa selezione, perché non sono nato ricco”» (Colosimo) • «Hai fatto tanta gavetta. “Mi dicono ‘bravo’, ma l’ho fatta perché nessuno mi aiutava a saltare la fila. Adesso so che è stata una fortuna, che per andare avanti bisogna salire tutti gli scalini”» (Falcone). «Se pensi ai tuoi esordi, come sei cambiato? “Ho visto […] un filmato dei primissimi tempi di All Music, 20 anni fa. Mi è cambiata tanto la voce, ma ho proprio notato che l’attitudine è la stessa di adesso, e ne sono felice”» (Ferrara) • «Cosa ti fa effetto del tuo lavoro? “Poter avere un rapporto con personaggi che erano già famosi quando io ero adolescente. Come Robbie Williams. Le ragazzine piuttosto che uscire con me giravano con le sue foto nel diario”. […] Cos’è il bello della diretta? “L’adrenalina prima di cominciare: quei 30 secondi sono la mia parte preferita. Il bravo presentatore dice che il bello sono gli imprevisti, quando non va un microfono, si spegne una camera. Per me no: il bello è quando tutto funziona come l’hai immaginato”. […] Quanto sei maniaco del controllo? “Abbastanza. A volte arrivo a dei livelli impossibili, più di così diventerebbe una malattia, bisogna fermarsi prima. Non faccio la tv per andare in tv, la faccio se posso decidere io. E devo stare attento: l’occhio del padrone ingrassa la mucca, no?”» (Falcone). «Quando, spesso, mi chiedono se sono teso prima di una diretta rispondo sempre di no, perché è come se in questa dimensione ci fossi nato, come se fossi una rana dentro uno stagno. […] Il giorno in cui mi verrà l’ansia per questo lavoro, lo cambierò». «“L’ansia, ce l’ho per quello che non è sotto il mio controllo: se mi arriva a casa una busta, o una raccomandata, non mi sento bene perché non so cosa sia. Non sopporto le attese, aspettare la decisione di qualcun altro”. È la scuola Mtv. “Assolutamente. Tutto quello che so fare l’ho imparato lì. […] Ho imparato a fare tv e tante dirette come fossero un gioco. Per questo oggi non ho l’ansia del video. Come Mowgli che non ha paura dei lupi perché è cresciuto in mezzo a loro”» (Menzani). «È vero che non ha un gobbo? “Verissimo. Né io, né i cantanti. Perché se ce l’hai poi ti viene da leggere. Rappresenta un po’ la finzione televisiva: io ho un altro tipo di approccio”. Non si è mai trovato in difficoltà? “No, scusi se lo dico, ma basta usare il cervello. Non può succedere nulla che non si possa controllare: il massimo che può accadere è che qualcuno canti. Basta avere una mente un po’ flessibile e ce la si fa”. Ha un rito scaramantico prima di salire sul palco? “No, bevo delle birre”» (Antonella Luppoli) • «Si scommette sulla tua conduzione di Sanremo: cos’ha di magico? “L’effetto che fa sugli altri. Entri a far parte della storia del tuo Paese: a mia nonna verrebbe un infarto, ti dà orgoglio”» (Falcone). «Forse farei il Sanremo con meno ascolti: non sono convinto che sarebbe giusto per Rai 1. Ci porterei gli artisti che piacciono a me» • «Il complimento migliore che tu abbia mai ricevuto, da calciatore e da personaggio televisivo? “In realtà coincidono. Dicono che di me, quando manco, si sente la mancanza. Un complimento un po’ morettiano, ma molto bello. Meglio ancora, dicono che quello che so fare si percepisce ancora di più quando non sono io a farlo”. […] Tre cose che ti piacerebbe dicessero di te? “Te ne dico una e torno a un paragone calcistico. Mi piacerebbe dicessero che sono uno che ha sempre dato tutto per la maglia, qualunque sia la maglia di cui si parla”» (Dalai). «La critica che le fanno più spesso? “Parlo troppo veloce”. Peggior difetto? “Ansioso. Con manie di controllo”» (Sanò) • «Che odore ha la felicità? “Del bagnoschiuma Vidal al limone misto alla puzza di piedi degli spogliatoi di calcio di quando ero piccolo”» (Falcone) • «Di base sono un cialtrone». «Devi parlare di cose che sai e fare ciò che ti piace fare». «Ridere su una cosa non significa sottovalutarla, ed essere seri su quella stessa cosa non significa capirla». «Quanto hanno contato per lei l’ambizione e la fortuna? “La fortuna tantissimo. Mi chiamò una persona al telefono fisso per il primo lavoro: se avesse risposto papà, avrebbe riattaccato. Poi devi avere un ego grande per pensare di fare una tv che non esiste col tuo nome. E devi avere savoir faire, non chiamiamolo talento: devi saper fare quello che fai. Non tutti sono capaci”. […] Se dovesse smettere, cosa farebbe? “Il mio sogno è accumulare tanta ricchezza da uscire ogni mattina per girare a piedi una città diversa. Vorrei vincere ‘Turista per sempre’: una vita senza orari”» (Fumarola). «Non vorrei essere insolente, ma lei è il miglior giovane conduttore d’Italia da tantissimo tempo ormai. “Già, e a questo proposito vi do una notizia: anche io invecchio, e purtroppo lo sento”» (Raffaella Serini).